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Cilento.   Ovvero come sottrarsi alla minaccia del Non Essere     

     In questi luoghi 2500 anni fa nacque la filosofia ed essa continua a rinascere in ognuno di noi quando cominciamo a sospettare che ci possa essere un essere delle cose nascosto fra gli affanni, le pieghe e le beghe del quotidiano, è allora che ci incamminiamo verso la ricerca di ciò che ha davvero significato

la sciorta.. 

canti tradizionali, raccolti nel 1983 dalla voce di Alessio Malzone, Agnone.

Quanno nascietti io nascietti a mare
nascietti tra li Barbari e li Mori

'na zèngara me puòzzi adduvenare
Figlio, ara truvà nu gran tesoro

Pigliai la zappa e me mettietti a scavare
nù truvai nè argiento nè oro

che me puozzi rece chera zèngara cana
chi nasce afflitto scunsulato more

Verietti la Sciorta mia mmiezo lo mare
'ncoppa nu nìuro scuòglia ca chiangìa

tanto re lu chiantu e lacrimare
puro li pisci lacrimar facìa

e fui costretto ra l'addumannare:
"Furtuna, appecchè chiangi a' 'sta manera ?"

tanto dal singhiozzar nun rispunnìa:
"Songo la Sciorta toa" pare ca ricìa.

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la ginestra

E' noto che negli ultimi due secoli in questi luoghi le attività principali furono la pesca, con i risvolti della lavorazione e conservazione delle alici, e più di recente la realizzazione di vari manufatti utilizzando fibre vegetali ricavate dalla lavorazione di diverse piante. Uno dei questi manufatti erano i  libbani, costituiti da una fune, molto resistente alla trazione e alla umidità, realizzata intrecciando le fibre dello Sparto dopo averle opportunamente trattate. Naturalmente una parte rilevante nella piccola economia quotidiana era data anche dagli orti e dall'allevamento di animali da cortile per uso familiare, così come dalla raccolta delle olive nei terreni circostanti.

Meno note erano altre attività che contribuivano anche se in misura minore al consolidarsi di una piccola economia locale, sufficiente per sopravvivere e per qualcuno anche di più.

Due di queste attività erano la lavorazione della ginestra e la lavorazione del sale, attività quest'ultima praticata illegalmente in quanto fabbricazione e vendita del sale erano di esclusiva competenza del Monopolio di Stato.

Dalla ginestra si estraeva una fibra tessile per ricavarne del filato e confezionarne lenzuola, strofinacci, tovaglie, sacchi, bisacce ma anche camiciole,

La ginestra (Spartium Junceum) è un arbusto della famiglia delle leguminose, cresce spontanea producendo una gran quantità di rametti, lunghi e sottili che si coprono di bellissimi fiori di un intenso colore giallo. Verso fine luglio quando la pianta ha superato la piena fioritura donne e bambini partivano verso la collina inerpicandosi per i ripidi sentieri, per raccogliere grandi quantità di rametti di ginestra che venivano riportati a valle in sporte con l'aiuto dell'asino o in cofani e sacchi trasportati sulla testa oppure a spalla.

Buona parte della lavorazione era delegata a donne e bambini che iniziavano la lavorazione liberando i rametti dai fiori e raccogliendoli in mazzetti
che venivano raccolti in piccoli mazzetti che venivano ripiegati su se stessi e legati con un rametto stesso, ricavandone dei mazzetti di circa 15-20 cm di lunghezza e 3-4 cm di spessore. I mazzetti venivano messi a bollire in grandi pentoloni poggiati su trèppiti e alimentati con fuoco di legna, rivoltandoli più volte durante la bollitura, che durava circa mezz'ora e comunque fino a che i rametti perdevano buona parte della colorazione verde e le fibre iniziavano a sfaldarsi. Dopo la bollitura i mazzetti venivano estratti dal pentolone e messi a raffreddare, venivano poi legati in piccole fascine e messi a macerare nei vùttari del Rio Lapis sotto il peso di grosse pietre per circa una settimana. La fase successiva consisteva nella estrazione delle fascine dall'acqua e dalla pisatùra a mano, con l'aiuto degli stessi pesanti magli di legno utilizzati per i libbani. In queste fasi era essenziale l'esperienza e l'occhio di chi gestiva questi passaggi perchè essi influivano sulla qualità finale della fibra. Dopo la battitura i mazzetti venivano sciolti e si procedeva alla separazione manuale, si riusciva così a separare la fibra dalla corteccia che, appallottolata e seccata al sole, era usato per accendere il fuoco. La fibra ricavata subiva poi sia altri bagni, per completare il processo di decolorazione, che altre lavorazioni meccaniche con l'aiuto di rudimentali arnesi, fino ad arrivare alla cardatura ed alla filatura.

Le fibre solo cardate venivano comunque utilizzate per imbottire cuscini e materassi mentre per ottenere dei tessuti era indispensabile, dopo la cardatura le fibre venivano lavorate fino ad ottenere un sottile cordoncino grezzo che veniva poi avvolto sulla rocca. Le fibre prelevate con grande abilità dalla rocca venivano poi filate mediante il fuso con tecniche simili a quelle usate per la lana. Il fuso era composto da un legno (o canna) con le estremità appuntite e la parte centrale panciuta, con la rotazione innescata dal sapiente colpo di mano della filatrice provvedeva a torcere le fibre e a produrre un sottile filato.
 

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il canto..

Sia benedetto chi criào lu munno
ca lu sapette tanto bello fari

Criào la notte e pò criào lo juorno
e pò criào le stelle pe' 'nce meravigliari

Criào lu mari e po' criào l'onna
e poi la varca pe' 'nge navigari

Poi 'nce criào a tìa bella figliola
ca nun me fai 'n'ora arripusàri

questo canto è stato raccolto qualche decennio fa ad Agnone dalla voce di Ciro Giannella, è un vero peccato che non sia possibile ascoltarne  la versione cantata.

Ma per dare un'idea del modo del canto, che ha delle caratteristiche particolari tanto che è definito alla cilentana, vi invito ad ascoltare versione di questo files, registrato dalla voce di Gianluca Zammarelli, originario di Salento (Cilento).

clicca qui per scaricare il file mp3  (per gentile concessione di Gianluca Zammarelli)

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