la ginestra
E' noto che negli ultimi due secoli in questi
luoghi le attività principali furono la pesca, con i risvolti
della lavorazione e conservazione delle alici, e più di
recente la realizzazione di vari manufatti utilizzando fibre
vegetali ricavate dalla lavorazione di diverse piante. Uno
dei questi manufatti erano i libbani,
costituiti da una fune, molto resistente alla trazione e
alla umidità, realizzata intrecciando le fibre dello Sparto
dopo averle opportunamente trattate. Naturalmente una parte
rilevante nella piccola economia quotidiana era data anche dagli orti e
dall'allevamento di animali da cortile per uso familiare,
così come dalla raccolta delle olive nei terreni
circostanti.
Meno note erano altre attività che
contribuivano anche se in misura minore al consolidarsi di
una piccola economia locale, sufficiente per sopravvivere e
per qualcuno anche di più.
Due di queste attività erano la lavorazione della
ginestra e la lavorazione del sale, attività quest'ultima
praticata illegalmente in quanto fabbricazione e vendita del
sale erano di esclusiva
competenza del Monopolio di Stato.
Dalla ginestra si estraeva
una fibra
tessile per ricavarne del filato e
confezionarne lenzuola, strofinacci, tovaglie, sacchi,
bisacce ma anche camiciole,
La ginestra (Spartium Junceum) è un arbusto della
famiglia delle leguminose, cresce spontanea producendo una
gran quantità di rametti, lunghi e sottili che si coprono di
bellissimi fiori di un intenso colore giallo. Verso fine
luglio quando la pianta ha superato la piena fioritura donne
e bambini partivano verso la collina inerpicandosi
per i ripidi sentieri, per raccogliere grandi quantità di
rametti di ginestra che venivano riportati a valle in sporte
con l'aiuto dell'asino o in cofani e sacchi trasportati
sulla testa oppure a spalla.
Buona parte della
lavorazione era delegata a donne e bambini che iniziavano la
lavorazione liberando i rametti dai fiori e raccogliendoli
in mazzetti
che venivano raccolti in piccoli mazzetti che venivano
ripiegati su se stessi e legati con un rametto stesso,
ricavandone dei mazzetti di circa 15-20 cm di lunghezza e
3-4 cm di spessore. I mazzetti venivano messi a bollire in
grandi pentoloni poggiati su trèppiti e alimentati
con fuoco di legna, rivoltandoli più volte durante la
bollitura, che durava circa mezz'ora e comunque fino a che i
rametti perdevano buona parte della colorazione verde e le
fibre iniziavano a sfaldarsi. Dopo la bollitura i mazzetti
venivano estratti dal pentolone e messi a raffreddare,
venivano poi legati in piccole fascine e messi a macerare
nei vùttari del Rio Lapis sotto il peso di grosse
pietre per circa una settimana. La fase successiva
consisteva nella estrazione delle fascine dall'acqua e dalla
pisatùra a mano, con l'aiuto degli stessi pesanti
magli di legno utilizzati per i libbani. In queste
fasi era essenziale l'esperienza e l'occhio di chi gestiva
questi passaggi perchè essi influivano sulla qualità finale
della fibra. Dopo la battitura i mazzetti venivano sciolti e
si procedeva alla separazione manuale, si riusciva così a
separare la fibra dalla corteccia che, appallottolata e
seccata al sole, era usato per accendere il fuoco. La fibra
ricavata subiva poi sia altri bagni, per completare il
processo di decolorazione, che altre lavorazioni meccaniche
con l'aiuto di rudimentali arnesi, fino ad arrivare alla
cardatura ed alla filatura.
Le fibre solo cardate
venivano comunque utilizzate per imbottire cuscini e
materassi mentre per ottenere dei tessuti era
indispensabile, dopo la cardatura le fibre venivano lavorate
fino ad ottenere un sottile cordoncino grezzo che veniva poi
avvolto sulla rocca. Le
fibre prelevate con grande abilità dalla rocca venivano poi filate mediante il
fuso con tecniche simili a quelle usate per la lana. Il fuso era
composto da un legno (o canna) con le estremità
appuntite e la parte
centrale panciuta, con la rotazione innescata dal sapiente
colpo di mano della filatrice provvedeva a torcere
le fibre e a produrre un sottile filato.
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