Michelangelo - I Prigioni




Diametralmente opposta è la concretizzazione delle idee neoplatoniche nei Prigioni. Forte anche di un soggetto che ha in sé la tendenza a liberarsi dallo stato di schiavitù in cui è costretto, Michelangelo, raggiunge una sintesi di una modernità assoluta tra forma in lotta per liberarsi dalla materia e la materia stessa. Seguendo l'intuizione che nel blocco di marmo fosse racchiusa la forma data e che compito dell'artista (scultore) fosse quella di liberarla, l'artista esplicita la lotta immane che la forma fa per manifestarsi allo spettatore e, parallelamente, chiarisce anche la necessità dello stesso schiavo di tornare alla condizione di libero. Tale lotta titanica dall'artista è risolta attraverso l'espediente del "non finito" dove è sottolineata proprio lo sforzo dello schiavo di liberarsi dalla materia che lo opprime (in senso lato, dalla condizione di schiavitù che lo limita). La grandezza del "non finito" michelangiolesco sta, in definitiva, proprio in questa sua scelta di fermare il processo di definizione dell'opera quando la forma appare nel blocco di marmo rozzo, tale azione permette all'artista di fermare l'attimo di lotta e rende le opere assolutamente dinamiche.

Commenti

  1. Il "non finito" è la caratteristica del genio. Come il "non luogo", il "non nome", il "non tempo", ecc... L'astuto Ulisse crea un "non nome", Nessuno, per ingannare Polifemo, e un "non luogo", il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo.

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