Michelangelo - La "fabrica" di San Pietro





Mentre Michelangelo è impegnato anche a Firenze, a Roma fervono i lavori per la ricostruzione della Basilica di san Pietro che papa Giulio II aveva deciso di realizzare, distruggendo quella paleocristiana e affidando i lavori a Donato Bramante nel 1506. Il progetto di Bramante, partendo dagli studi che l’architetto urbinate conduceva con Leonardo sulle chiese a pianta centrale, proponeva una struttura a croce greca inscritta in un quadrato con i quattro bracci che si concludevano in altrettante absidi semicircolari all’interno ma quadrangolari all’esterno e con grande cupola centrale. L’invaso a croce principale si ripeteva quattro volte, in dimensioni proporzionalmente minori, nei quattro quadrati angolari che riproponevano anche cupole minori rispetto a quella centrale, mentre 4 campanili angolari chiudevano la struttura. Il progetto, innovativo oltremisura, proponeva per il massimo tempio della cristianità un superamento della comune Basilica a pianta longitudinale evidenziando il ruolo della cupola, evidentemente rivestita di significati simbolici. La morte di Bramante, quando erano solo stati impostati i 4 grandi piloni di sostegno della grande cupola, porta il nuovo papa Leone X a cercare un nuovo architetto che continuasse l’opera e compare sulla scena prima Giuliano da Sangallo, poi fra Giocondo e infine Raffaello che, con l’intenzione di tornare alla pianta basilicale, parte dalla proposta bramantesca aggiungendo ad essa un allungato corpo basilicale preceduto da un nartece porticato. La morte di Raffaello non permette che il progetto si realizzi e la direzione della “fabrica” viene affidata a Baldassarre Peruzzi che ritorna alla pianta centrica bramantesca, scardinandola dal quadrato entro cui la croce era inscritta e liberando i 4 campanili già previsti, quindi, riprendendo l’idea raffaellesca dell’indicazione di un percorso longitudinale, propone un portico ad U davanti ad una delle 4 absidi. Interrotta la fabbrica a causa del Sacco di Roma del 1527, i lavori riprendono con papa Paolo III con la direzione dei lavori affidata ad Antonio da Sangallo il Giovane che, cercando di mantenere la primitiva pianta e di riproporre il percorso longitudinale, prolunga la croce greca, molto vicina al progetto di Peruzzi, con una immensa Loggia delle Benedizioni su porticato. Il progetto di Antonio da Sangallo il Giovane, estremamente complicato, che si sviluppa in maniera disorganica con un’eccessiva frammentazione della superficie muraria in loggiati, colonnati e piani sovrapposti viene rigettato in maniera violenta e definitiva da Michelangelo che, nel 1547 viene chiamato da Paolo III, essendo morto Antonio da Sangallo il Giovane. Spazzando via tutto, eliminando tutte le tendenze certamente goticistiche di Antonio da Sangallo, Michelangelo ripropone lo spazio centrico bramantesco interpretato in termini neoplatonici che si concretizzano massimamente in un dialogo tra le masse murarie. La prima operazione compiuta da Michelangelo consiste in uno svuotamento del complesso e frammentato spazio previsto sia da Bramante che, in ultima istanza, da Antonio da Sangallo il Giovane. Pur non modificando l’assetto dell’invaso centrale cruciforme i piloni bramanteschi che dovevano reggere la cupola, Michelangelo elimina il moltiplicarsi delle croci periferiche creando una sorta di ambulacro quadrato attorno all’immenso spazio centrale. Il quadrato così definito viene quindi ruotato di 90° accogliendo (presso gli angoli) le absidi relative alla croce greca inscritta nel primo volume quadrato che vengono raccordate tra loro secondo un lato di 45° corrispondente al secondo quadrato frutto della rotazione prima descritta. Proprio in quanto ospitante le absidi semicircolari dell’ambiente principale, quest’ultimo quadrato non mostra alcuno spigolo vivo e quindi partecipa alla realizzazione di una struttura dove scompare il processo compositivo michelangiolesco per apparire ondulata e perfettamente omogenea in tutte le sue parti. L’operazione artistica michelangiolesca pur se appare non distante né in contrasto con il primo progetto bramantesco, ormai storicizzato, in realtà interviene mutando radicalmente la concezione spaziale dell’intera struttura, che si trasforma in edificio dinamico e rotante attorno al perno dell’invaso centrale, sormontato dalla cupola. Le dimensioni gigantesche della Cupola ed il rapporto che essa intesse con la struttura architettonica sottostante, fanno sì che quest’ultima si configurasse in realtà come una sorta di basamento della cupola stessa che, rispondendo ad esigenze simboliche proprie della Chiesa romana, rappresenterebbe l’immagine percepibile del Paradiso. Riprendendo il discorso iniziato nelle opere fiorentine, e in maniera particolare nel vestibolo della Biblioteca laurenziana, ecco che la cupola di Michelangelo può essere, anch’essa, inserita tra i prototipi dell’architettura barocca secentesca, legata com’è allo spirito neoplatonico e all’idea di moto e di dialettica tra “masse” che informa tutto il pensiero dell’artista. Di forma leggermente ogivale e conclusa da una lanterna cuspidata, la cupola michelangiolesca si erge su un tamburo dal profilo “a ruota dentata” che, riprendendo e sintetizzato il moto innestato dall’incontro tra le due masse quadrate della chiesa sottostante, ruota contro la massa gassosa del cielo romano. La scelta di realizzare una struttura che apparisse come composta da masse omogenee che dialogassero tra loro e con l’ambiente gassoso circostante, porta Michelangelo ad intervenire sulla gestione dell’involucro murario, evitando di frantumare la superficie e unificando i due piani che la compongono con un unico ordine architettonico: l' “ordine gigante”, ovvero una lesena che, superando il marcapiano intermedio partendo da terra regge direttamente la trabeazione del piano superiore e, quindi, l’attico.

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