Si può ritenere una descrizione sterile se non si tenesse conto delle migliaia di persone occupate nella coltivazione ed estrazione di questi prodotti e, quindi, dell’indotto che serpeggiava nel contesto delle attività primarie e secondarie: dalla trasformazione del minerale alla lavorazione del metallo, dal trasporto alla commercializzazione del prodotto finito.
Quanto osservava la “testata giornalistica” a fine XIX sec. è il prodotto di una evoluzione delle tecniche riferibili al reperimento ed allo sfruttamento di giacimenti geologici-minerari e che trovava, appunto nel corso dello spirante Ottocento, la massima espressione. Ma la storia minerario/siderurgica della Valle Camonica trae origini ben più lontane, sin dalla preistoria.
Risalgono alla Prima Età del Ferro (800 - 400 a.C.) le prime testimonianze rilevate nell’ambito di una coltivazione di rame individuata da ricercatori dell’Università degli Studi di Bergamo in località Campolungo (comune di Bienno) nell’alta Val Grigna ad una quota compresa tra i 1650 e i 1550 m. s.l.m..
Alla Media Età del Ferro (IV°- III° sec. a.C.) viene fatta risalire l’incisione realizzata sulla roccia n° 35 del Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane (Capo di Ponte) che illustra un probabile fabbro impegnato a forgiare un attrezzo, attività peraltro ben documentata da numerose incisioni di armi (lance, spade, pugnali) tra le quali, le più antiche, risalgono all’Età del Rame (2800-2400 a.C.).
Sono attribuiti alla protostoria taluni sfruttamenti di giacimenti minerali individuati nei territori di Berzo Demo e Cevo, in alcuni casi associati a rocce e massi che recano incise iscrizioni nord-etrusche.
Per l’epoca romana non vi sono ad oggi chiare indicazioni antropiche riferibili all’attività mineraria, seppur i corredi funerari rinvenuti a Cividate Camuno, Borno e a Breno abbiano restituito numerosi utensili in metallo che testimoniano qualificata manualità siderurgica. Tuttavia indizi di attività metallurgiche nel corso della romanizzazione della Valle Camonica e della prima età imperiale sono emersi nel contesto di un abitato, databile tra VI sec. a.C. e II sec. d.C. (età imperiale), a Berzo Demo tra Via Pascoli e Via Kennedy.
Al Medio Evo appartengono le coltivazioni individuate e studiate dall’Università degli Studi di Bergamo nel territorio del Comune di Berzo Inferiore (Loc. Piazzalunga 1330/1635 m. s.l.m.); i giacimenti presentano tracce estrattive che sono comprese cronologicamente tra l’Alto Medioevo ed il XV secolo.
Per quanto riguarda le fonti scritte il primo documento che riferisce circa l’attività estrattiva in Valle Camonica risale al 905-906; la documentazione comincia ad essere più abbondante a partire solo dal XV sec., in coincidenza dell’inizio della dominazione veneta su parte del territorio lombardo. È del 1 luglio 1428 il cosiddetto “Privilegio Foscari”, emanato dalla Serenissima, con il quale la Valle poteva commerciare il ferro anche con stati esteri, e del 1488 la normativa denominata “Capitoli et Ordini minerali” che regolarizzò il lavoro minerario.
Dalla fine del XV secolo fino agli anni Ottanta del XVIII secolo si assiste ad una sostanziale staticità del settore estrattivo che ben si rileva dalle relazioni che periodicamente venivano trasmesse a Venezia. Anche il settore siderurgico si mantenne sugli stessi livelli di attività e di occupazione con un numero di forni che variava dai 4 ai 10 (per terminare ai 6 nel 1784) e con un elenco di fucine che si stabilizzò su circa un centinaio di impianti.
Durante questi secoli l’attività estrattiva e di conseguenza la siderurgia e la metallurgia ebbero un notevole sviluppo che diedero inizio ad importanti trasformazioni sociali ed ambientali nel contesto delle località presso le quali venivano attuate e che ancora oggi possiamo rilevare ed osservare.
Con l’Ottocento il settore subì una fase di rallentamento a causa della concorrenza esterna e dei ritardi tecnologici e degli alti costi di produzione. In questo periodo si sviluppò una forma di artigianato collegato all’intraprendenza di poche famiglie con il conseguente concentramento delle concessioni minerarie e delle coltivazioni in mano a poche realtà produttive. La storia di queste Società si caratterizza per le alterne vicende e per la presenza di abili figure imprenditoriali come: Giovanni Andrea Gregorini originario di Vezza d’Oglio, la famiglia Corna Pellegrini e i Damioli di Pisogne, i Celeri di Malonno, Lodovico Capoferri di Casto, i Laini di Angolo Terme, i Franzoni di Borno, ecc.
In tema di normativa va evidenziato l’interesse in epoca napoleonica di tutto quello che ruotava intorno alle miniere con approfondimenti a carattere scientifico e con controlli rigidi su tutta la materia. Questa impostazione venne adottata in linea di massima anche dai governi successivi; è del 1854 la legge imperiale austriaca emanata dall’Imperatore Francesco Giuseppe e comunemente conosciuta come “Legge montanistica”. In essa si prevedono strutture di controllo a vario livello e si definisce un nuovo concetto di lavoro in miniera. Tuttavia il settore risentì per tutta la seconda metà del XIX secolo, della diffusione massiccia nel vecchio continente del ferro di produzione tedesca.
Dalla “Statistica industriale”, pubblicata nel 1900 dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio emerge che: Nelle miniere della provincia di Brescia è in diminuzione da vari anni la produzione dei minerali di ferro, essendo quasi sospeso il commercio dei minerali stessi stante la chiusura della maggior parte dei forni, ridotti a sospendere la produzione per le condizioni generali del mercato siderurgico.
La crisi che investì a fine secolo XIX l’economia delle Valli bresciane ebbe gravi ripercussioni anche a carattere sociale con l’avvio del processo di emigrazione.
La relazione della Camera di Commercio e Industria di Brescia, redatta nel 1910, si chiude con una desolante considerazione: “...oggi le miniere sono quasi tutte abbandonate ed i forni spenti, anzi di molti non se ne scorgono che ruderi, ciò per effetto della concorrenza dei ferri esteri. Le uniche escavazioni che resistono sono quelle di siderite site sui monti di Cerveno e di Pisogne (di proprietà della Società Anonima “Gio. Andrea Gregorini”), di zinco (una miniera a Capo di Ponte della “Ditta Zitti Felice fu Antonio ed Eredi Grassi Giovanni”), di zinco/ferro e rame a Sellero (della “Ditta Erba e Curletti”) e di barite a Pisogne (della “Ditta Avv. Corna e c.”).”
Con l’avvento del Fascismo si sviluppò una politica autartica che permise la ripresa delle attività minerarie con espansione fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Gli anni che seguirono videro il diffuso interesse verso i siti minerari della Valle Camonica da parte delle più importanti industrie italiane: Breda, Montecatini, Fiat, Franchi-Gregorini, Ilva, Ferromin; ma tale attenzione non andò oltre a massicce campagne di ricerca.
Il 3° censimento generale dell’industria del 1951 rileva solo due unità operative in Valle Camonica: una a Pisogne ed una a Malonno. Nel 1954 le coltivazioni di Malonno vennero chiuse mentre quelle di Pisogne continuarono ancora per qualche anno.
L’attività estrattiva cessò definitivamente in Valle Camonica negli anni ‘80 del XX secolo con la chiusura dell’ultima miniera di barite in territorio del Comune di Capo di Ponte.
Il vasto impatto antropico sull’ambiente che si venne nel corso dei secoli ad imporsi nel più vasto contesto del paesaggio camuno è l’articolato risultato di una serie di interventi tra essi strettamente collegati ed interdipendenti che possiamo così raggruppare:
•l’insieme di mulattiere e di sentieri di collegamento tra fondovalle e siti minerari;
•le aree esterne alle escavazioni;
•le strutture abitative e di riparo per i minatori;
•le coltivazioni a cielo aperto e in sottosuolo;
•i siti per la trasformazione del minerale;
•le aree siderurgico/industriali;
•le direttrici per il trasporto e per il commercio (teleferiche, fondachi, magazzini, stazioni e linee ferroviarie, ecc.).