Centro Studi Albero del Mondo. L'Isola dei Morti di Böcklin
Arnold Bocklin nacque a Basilea il 16 ottobre 1827. Il suo periodo di apprendistato, che durò fino al 1850, lo vide studente dell'Accademia di belle arti di Düsseldorf sotto la guida di Johann Wilhelm Schirmer, esponente del Romanticismo tedesco, e nel 1848 a Parigi dove ebbe l'opportunità di vedere l'opera di Corot, Delacroix e Couture.
Lo scoppio dei moti rivoluzionari, nell'estate del 1848, lo costrinse a tornare in Svizzera. Qui conobbe lo storico Jacob Burckhardt che gli procurò committenze e lo incoraggiò a soggiornare in Italia.
Fu qui che si stabilì fino al 1857, sposando nel 1853 la diciassettenne romana Angela Pascucci, e scoprendo il mondo antico e la mitologia classica che rappresenteranno sempre un forte stimolo per la sua ispirazione pittorica e poetica. Dopo la nascita dei primi due figli, nel 1855 e nel 1857, Böcklin ottenne, per intervento dell'amico Anselm Feuerbach, l'incarico di decorare la sala da pranzo di casa Wedekind ad Hannover: il tema sarà l'uomo e il fuoco.
Nel 1859 si stabilì a Monaco e l'anno dopo diventò professore alla Scuola d'arte di Weimar.
Dopo aver lasciato l'insegnamento nel 1862, ritornò a Roma, dove rimase colpito dagli affreschi di Raffaello delle Stanze Vaticane. Particolarmente suggestiva per Böcklin sarà anche la visita a Napoli e la scoperta degli affreschi pompeiani che offrirono stimoli di studio allo sviluppo tecnico e tematico della sua arte.
Nel settembre del 1866 rientrò a Basilea, dove dipinse molti ritratti e dove, dal 1868 al 1870, affrescò con soggetti mitologici lo scalone del Museum für Natur und Volkerkunde. Dopo aver definitivamente rotto i rapporti con Burckhardt, dal 1871 dipingerà intensamente a Monaco, per poi trasferirsi nel 1874 a Firenze, dove dipingerà la prima delle cinque versioni del celebre quadro l'Isola dei morti, commissionatogli dalla contessa Oriola.
Da qui, nel 1885, si trasferì a Zurigo., dove strinse amicizia con il poeta Gottfried Keller e dove, in quello stesso anno, venne colpito dal primo attacco apoplettico.
Dopo una ricaduta nel 1892 rientrò definitivamente a Firenze nel 1893, dove la Galleria degli Uffizi gli chiese un autoritratto per la propria collezione.
Morì a Fiesole il 16 gennaio 1901.

Böcklin comincia a formarsi negli anni 1845-47 presso l'Accademia d'Arte di Düsseldorf.
Le sue origini tedesche lo spingono verso la tradizione pittorica paesaggistica del Nord-Europa, comincia, quindi, a viaggiare per le varie città tedesche e svizzere per ammirarne i paesaggi.
Spinto verso la pittura del Rinascimento italiano dipinge le campagne romane con una forte ricerca della verità e " preferisce riprendere la natura nell'ora meridiana e soprattutto pomeridiana, quando nella luce accecante e calda l'intensità del verde si incupisce, mentre tutti gli altri colori acquistano una forza timbrica che si imprime nella retina in modo diretto e prepotente".
È anche a Roma, però, che comincia a dipingere i primi quadri con Ninfe, Centauri, Fauni e lentamente abbandona il "travestimento seicentesco" per affermare la sua originalissima pittura. L'Italia resta sempre nell'arte di Böcklin.
Lontano da questo Sud, sognato più che reale, Böcklin compie un passo decisivo verso il suo disvelamento come pittore di miti immaginati in modo del tutto personale.
Dopo gli anni '70 Böcklin si rivolge sempre più spesso ai pittori primitivi fiamminghi e tedeschi (per esempio Grünewald). È così che il paesaggio di Bocklin si popola di personaggi appartenenti, sì, alla mitologia classica (Flora, Muse, Furie, Naiadi, Centauri), ma tutti immersi in un'atmosfera nordica da un artista che risente del Romanticismo e vive il Decadentismo producendo invenzioni atemporali.
Le ultime opere di Böcklin sono sempre più ardite nel teatralizzare il racconto, calcano i toni tragici e i toni comici e grotteschi per una libertà del rappresentare che raggiunge l'arbitrio. Egli non perde tuttavia mai quell'intensità dell'invenzione iconica che gli ha permesso di realizzare un repertorio straordinario di immagini, vocaboli di riferimento per molti artisti del Novecento.

L'Isola dei morti

In una lettera inviata alla vedova Marie Berna, poi contessa Oriola, il pittore svizzero Arnold Böcklin offre del dipinto da lei commissionato - noto oggi come L'isola dei morti - una chiave suggestiva di fruizione e di interpretazione. La contessa, alla vista della sua opera, avrebbe "sognato nel buio mondo delle ombre", per poi avvertire "leggero il tiepido alito di vento increspare le onde del mare, in un silenzio solenne e irreale che una sola parola bastava a turbare".

L'effetto voluto dal pittore di Basilea - convinto, peraltro, che ogni spettatore dovesse dare ad un dipinto la propria personale interpretazione - avrebbe coinvolto, insieme alla contessa Oriola, le più sensibili e inquiete coscienze del tempo.

In merito all'opera, Böcklin non volle dare alcuna spiegazione, né tanto meno un nome e una stesura definitiva. Tantoché si deve il titolo attuale al mercante d'arte berlinese Fritz Garlitt. In origine il dipinto era noto come Un luogo (o un'isola) tranquillo. Solo più tardi, nelle seguenti riproposizioni dell'opera, quel cerchio concluso di scuri cipressi e pareti rocciose divenne per Böcklin l'isola dei sepolcri. Il paesaggio dell'opera si popola di massicci calcarei o pareti megalitiche, interrotte da leoni di pietra e bianche strutture templari, quasi ad accrescere il senso sacrale di silenzio e di immobilità. All'isola rocciosa, lungo quelle acque immobili e silenti, si accosta una piccola e nera imbarcazione: a bordo, accanto a un feretro infiorato, una bianca figura evanescente.

Tante sono state nel tempo le interpretazioni dell'Isola dei morti, fra cui anche il tentativo di rappresentare Avalon, l'isola leggendaria che verrebbe collocata "da qualche parte" in Inghilterra.
Alcune teorie riconducono la parola Avalon a una traslitterazione inglese del termine celtico Annwyn, cioè "il regno delle fate", o Neverword. Goffredo di Monmouth le ha dato il significato di Isola delle Mele, cosa molto probabile, visto che in bretone e in cornico il termine usato per indicare mela è Aval e in gallese è Afal, pronunciato aval.
Avalon è il luogo in cui secondo la tradizione venne sepolto il corpo di

Re Artù, trasportato nell'isola su una barca guidata dalla sorella del Re, Morgana, detta La Fata.
Secondo il mito Artù dorme sull'isola, in attesa di tornare quando il mondo ne sentirà nuovamente il bisogno.
La tradizione secondo cui Artù fu sepolto nella Glastonbury Tor è attestata sicuramente dall'XI secolo. Durante il regno di Enrico II, secondo il cronista Giraldo Cambrense e altri, l'abate Enrico di Blois commissionò una ricerca, scoprendo apparentemente, ad una profondità di 5 metri, un enorme tronco di quercia o una bara con un'iscrizione: "Qui giace sepolto l'inclito re Artù nell'isola di Avalon".
I resti furono sotterrati di nuovo davanti all'altare maggiore, nell'abbazia di Glastonbury, con una grande cerimonia, a cui partecipò anche re Edoardo I. Secondo altre teorie, Avalon sarebbe Ile Aval, sulla costa della Bretagna, e Burgh-by-Sands, nel Cumberland, che al tempo dei romani era il fortilizio di Aballava, lungo il Vallo di Adriano, e vicino Camboglanna, al di sopra del fiume Eden, ora Castlesteads.
Avalon resta comunque nel mito come un'isola di magia, ove continuano a vivere le tradizioni dei Celti e dove la Grande Dea viene onorata dai druidi e dalle sacerdotesse.
Sono proprio quest'ultime, sempre secondo la tradizione, ad aver nascosto l'isola tramite una fitta nebbia, rendendo il luogo accessibile solamente a chi ha le conoscenze per aprire questo incantesimo.
Prima versione(la "numerazione" è riferita in ordine cronologico alle versioni di cui disponiamo dell'opera: una di queste è andata perduta in circostanze non chiare) de L'isola dei morti del 1880 - conservata al Kunstmuseum di Basilea in Svizzera.
Seconda versione del quadro dipinta nuovamente nel 1880 - conservata al Metropolitan Museum of Art di New York (l'immagine disponibile qui sopra è più scura della resa reale dell'opera).
Terza versione, del 1883 è stata acquistata da pochi anni dalla Nationalgalerie di Berlino.
Ultima versione de L'isola dei Morti, dipinta nel 1886 si trova presso il Museum der Bildenden Künste a Lipsia.

L'immagine che tuttavia, osservando L'isola dei morti, per prima salta alla mente è quella di Thule, l'isola, situata all'estremo Nord del mondo, che fu durante l'Età dell'Oro patria degli Iperborei, che secondo il mito furono primi antenati degli indoeuropei.
Semidei, la cui vita era consacrata ad un'esistenza rituale, hanno trasmesso nel proprio sangue ai loro discendenti la summa delle esperienze conosciute in Thule.
Quest'ultima, finita l'età dell'oro, diventa irraggiungibile ed introvabile per chi non è degno di raggiungerla. Nelle ere successive a quella dell'oro, potranno raggiungere Thule solo i guerrieri attraverso una morte eroica sui campi di .
Thule è rappresentata in tutte le descrizioni mitiche come una montagna che spunta dal mare.

Ed è proprio l'ibridazione del mito di Thule con quelli esaltati dal Romanticismo, che porta a questa visione di Thule. La ricerca romantica dell'Urvolk, il popolo primigenio, gli studi sulle radici etniche indoeuropei, che si rivolgono al Nord per individuare la sede originaria della civiltà d'Europa e portano l'identificazione di Thule con la terra degli Iperborei, patria dei culti solari che diffusero la luce della civiltà degli Arii. Proprio verso questa presunta Vaterland si rivolge la nostalgia romantica, non luogo spaziale ma patria perduta nel tempo. Indagare su Thule significa, quindi, da quel momento in poi, guardare verso un Nord ipotetico, intraprendere un viaggio di ricerca fuori dal tempo.
In questa chiave il mito di Thule sopravvive e si perpetua; e se la tecnica ha potuto ridisegnare i confini del mondo e fare di essa non più di un'ombra, le riserva comunque l'identificazione con un mito univoco e indimenticato.
Nietzche cita Thule nell'Anticristo "Guardiamoci in viso: Noi siamo iperborei…'Né per terra né per acqua troverai la via che conduce agli iperborei': questo già Pindaro sapeva di noi. Al di là del Nord, dei ghiacci, della morte - la nostra vita, la nostra felicità"; Tilak, i cui testi arrivarono in Europa attraverso René Guénon, esperto di testi sacri indù, segue col suo Origine polare della tradizione vedica i percorsi della presunta origine nordica degli Arya, nei Veda e nell'Avesta; René Guénon vi contribuisce con il suo Il Re del Mondo "la denominazione 'isola del quattro Signori'…era attribuita in tempi anteriori, aun'altra terra…Ogigia o piuttosto Thule, che fu uno dei più importanti centri spirituali o addirittura il centro supremo, durante un certo periodo…il nome Tula fu dato a regioni molto diverse, poiché ancora oggi lo si ritrova sia in Russia sia in America centrale; è probabile che ciascuna di queste regioni sia stata, in epoca più o meno centrale, sede di un potere spirituale che era una sorta di emanazione di quella Tula primordiale…bisogna distinguere la Tula atlantideadalla Tula iperborea, ed è quest'ultima che, in realtàrappresenta il centro primo e supremo per l'insieme del Manvantara attuale; essa fu 'l'isola sacra' per eccellenza e…Tutte le altre "isole sacre" che sono designate ovunque da nomi di significato identico, non furono che sue immagini…".Anche Julius Evola in Rivolta contro il Mondo Moderno dice: "Secondo le tradizioni greco-romane Thule si sarebbe trovata nel mare che reca appunto il nome del dio dell'età dell'oro, nel Mare Cronium, corrispondente alla parte settentrionale dell'Atlantico: né diversa localizzazione, in tradizioni più tarde, fu data talvolta a ciò che passò nel simbolo e nella superstoria nella forma di Isole Fortunate e Isole degli Immortali o dell'Isola Perduta… Con Thule si confonde dunque sia il leggendario paese degli Iperborei,posto nell'estremo nord, da cui i ceppi achei originari portarono l'Apollo delfico; sia l'isola Ogygie, "ombelico del mare"…prossima al luogo artico ove vive ancora, immerso nel sonno, Kronos, il re dell'età aurea…luogo di luce perenne e senza tenebre… Ed anche quando l'età dell'oro si proiettò nel futuro come speranza in un nuovo saeculum, non mancarono riemergente del simbolo nordico: dal nord…sarà da attendersi, per esempio secondo Lattanzio, il Principe possente che ristabilirà la giustizia dopo la caduta di Roma; nel nord "rinascerà" l'eroe tibetano, il mistico invincibile Guesar a ristabilire un regno di giustizia e a sterminare gli usurpatori; in Sgambala, sacra città del nord, nascerà il Kalki-avatara, colui che porrà fine all'"età oscura"; l'Apollo iperboreo, secondo Virgilio inaugurerà una nuova età dell'oro e degli eroi nel segno di Roma; e così via"
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