martedì 15 giugno 2010

Diritto alla pensione, anzianità contributiva e lavoratori part-time

Corte di Giustizia UE: calcolo anzianità contributiva in caso di part time verticale

Secondo la Corte di Giustizia la disciplina comunitaria deve essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.
La questione riguarda da vicino l'Italia in quanto le domande di pronuncia pregiudiziale formulate alla Corte di Giustizia, relative all’interpretazione della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, sono state proposte nell’ambito di una serie di controversie nelle quali l’INPS si contrappone a diversi ricorrenti, in merito alla determinazione dell’anzianità maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione.
In sostanza la Corte di Giustizia ha rilevato che "il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati".
Ciò in contrasto con quanto sostenuto dall'Italia e dall'INPS, sulla legittimità del sistema in essere a norma del quale: "Per un lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per il calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei periodi effettivamente lavorati tenuto conto della riduzione degli orari di lavoro. In questo modo, un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici mesi consecutivi, di un anno di anzianità ai fini della determinazione della data in cui può rivendicare il diritto alla pensione. Per contro, ad un lavoratore in una situazione comparabile che abbia optato, secondo la formula del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno, e questo per il solo motivo che egli lavora a tempo parziale. Ne consegue che, sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale".

(Corte di Giustizia CE, Sentenza 10 giugno
2010: Direttiva 97/81/CE – Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale – Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno – Calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione – Esclusione dei periodi non lavorati – Discriminazione)

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