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Apr
11

Habemus Papam. Nanni Moretti e il Papa in ansia da prestazione

Voto: 7,5 (su 10)

“Nanni, spostati e fammi vedere il film”. Questa battuta di Dino Risi ha accompagnato a lungo, e lo fa tuttora, la carriera di Nanni Moretti. Quasi che avesse voluto ascoltare il maestro, e rispondere a questa battuta, negli ultimi film Moretti si è spostato dal centro dell’inquadratura. Solo in parte, certo, e a modo suo. Nel senso che ha lasciato ad altri il ruolo da protagonista, e i suoi film non sono più i diari intimisti di Caro diario e Aprile, incentrati sul suo personaggio. Ora Moretti sforna dei kolossal, e sposta l’interesse verso personaggi molto più alti. Dopo il Berlusconi de Il caimano, ecco il Papa, inteso come figura e non come la persona dell’attuale pontefice, in Habemus Papam.

“Cosa faccio? L’attore. Viaggio da una città all’altra. Faccio le prove, le tournee”. È questo che il neoletto Papa Melville (Michel Piccoli), in fuga dal Vaticano, racconta alla psicanalista interpretata da Margherita Buy. Abbiamo appena assistito, dentro al conclave, alla sua elezione, tra cardinali che non sapevano chi eleggere, altri che copiavano, e tutti che chiedevano “non io, Signore, non sono all’altezza”. Ma può un Papa non sentirsi all’altezza del suo ruolo? Così al suo cospetto viene chiamato uno psicanalista, interpretato da Moretti stesso (ve l’avevamo detto che non si sarebbe spostato del tutto dall’inquadratura), tra mille conflitti, perché il concetto di anima e quello di subconscio non sono compatibili. In quel suo “faccio l’attore”, pronunciato dal Papa c’è tutto il senso del film, ed è un senso a più strati. Il Papa Melville infatti da giovane voleva davvero fare l’attore, ma non fu preso all’accademia. Ed è anche per questo che ora è in crisi, per non aver potuto fare quello che sognava. Ma in quel suo “faccio l’attore” c’è anche il significato di quello comporta essere Papa, come essere un capo di stato o qualunque altro ruolo di guida e carisma, quel dover recitare una parte, un copione fatto di rituali e tradizioni, di dover mostrare anche quello che non si è. In questo senso Habemus Papam è un film shakespeariano, perché racconta come un ruolo può intrappolare l’uomo fino a diventare una prigione, un fardello pesante da portare. Per questo il Papa vorrebbe la libertà dell’attore Salvo Randone, che con Vittorio Gassman una sera recitava la parte di Otello e una sera quella di Iago.

Moretti si è fatto da parte per mostrarci il Papa. Ma è chiaro che lo vediamo con i suoi occhi, quelli di chi è laico, non è credente. Con gli occhi di chi è razionale e vede molte cose come anacronistiche, inutili. Il Vaticano visto da Moretti è grottesco, surreale. Ma la sua non è una presa in giro, è più che altro lo sguardo, incredulo, e tutto sommato anche rispettoso, di chi è estraneo alla cosa. Habemus Papam non è il film militante anti Vaticano che molti fan di Moretti si aspettano. E infatti la politica rimane fuori, anche se chi vuole può considerarlo un film politico. Quello di Moretti è prima di tutto un viaggio dentro l’uomo che c’è dietro all’icona. E proprio come uomo il Papa ha l’ansia da prestazione che ci caratterizza ormai tutti. Non è un Moretti tagliente, è un Moretti che smussa gli angoli, anche se qualche stilettata la lancia: il Vaticano dove la benzina costa meno, dove c’è la farmacia con le medicine che non si trovano a Roma. “Da tempo la Chiesa ha difficoltà a capire le cose, abbiamo avuto difficoltà ad ammettere le nostre colpe”. Fa dire anche questo al suo Papa, Moretti, e sono comunque parole importanti, pesanti, che in molti auspicherebbero di sentire, dentro e fuori la Chiesa. Da questo punto di vista, Habemus Papam può essere visto come un film politico, ma senza politica. Forse perché ormai non esiste più.

Habemus Papam può essere visto anche come il secondo capitolo di un dittico, o di una ideale trilogia ancora da compiere sui grandi misteri dell’Italia, da spiegare all’estero, dove Moretti è amatissimo. Dopo il mistero Berlusconi, c’è il mistero del Vaticano. Da Il caimano ad Habemus Papam si passa da chi non ha dubbi e non si mette in discussione a chi non si sente all’altezza, da chi ha fede solo in se stesso a chi ha fede in Dio. Da chi ha incarnato il peggio degli aspetti della modernità a chi dalla modernità è ancora lontano. Entrambi i protagonisti sono circondati da un circo mediatico enorme.

E Moretti? Si è davvero spostato per farci vedere il film? In parte. Il protagonista è un altro, ma lui si è ritagliato il ruolo del matto shakespeariano, del jolly che spariglia le carte e fa saltare il banco. Incredulo in un mondo che non è il suo, il suo psicanalista diverte, tra critiche e partite di pallavolo, mette in mostra le incongruenze del sistema come un Candido di Voltaire. Si ritaglia il ruolo più simpatico e divertente, controcanto all’amara vicenda del Papa e necessario per alleggerirla. Sfrenato come attore, rigoroso come regista, perché, pur privilegiando l’uomo, sfrutta tutto quello che di scenografico c’è nella storia, dall’architettura di San Pietro al rosso porpora degli abiti cardinalizi, fino ai colori delle guardie svizzere, per costruire un film spettacolare. Nanni insomma si è spostato dall’inquadratura, ma continua a far capolino davanti alla macchina da presa. E continua a piacersi molto. Si prende in giro anche su questo. Tanto da far dire al suo personaggio: “Che condanna. Me lo dicono sempre tutti che sono il più bravo”.

Da vedere perché: è un film shakespeariano, perché racconta come un ruolo può intrappolare l’uomo fino a diventare una prigione, un fardello pesante da portare

 


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