Il viaggio di Ovidio in Sicilia

di Maurizio Vento
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Statua di Ovidio a Costanza (Tomis) sul Mar Nero in Romania, identica alla statua di Ovidio a Sulmona in ItaliaLa presenza di Ovidio in Sicilia nel 26-25 a.C. per circa un anno è riferita dallo stesso Poeta che, nella decima elegia del secondo libro delle Epistulae ex Ponto, indirizzata dall'esilio di Tomis (odierna Costanza in Romania) a Pompeo Macro, rievoca nostalgicamente il soggiorno in compagnia dell’amico nell'isola mediterranea, quando il poeta di Sulmona era ancora un ragazzo.
«Sotto la tua guida - scrive - noi vedemmo le superbe città dell'Asia e con i miei occhi vidi la Sicilia. Noi abbiamo contemplato il cielo risplendente per la fiamma dell'Etna, che il gigante che sta sotto il monte vomita dalla sua bocca, il lago di Enna e le paludi fetide del Palico, e dove l'Anapo unisce le sue acque a quelle del Ciane. Non lontano di lì - prosegue Ovidio - è la ninfa che, mentre fugge il fiume dell'Elide, corre celata ancora oggi sotto l'acqua del mare. È qui che ho passato buona parte del corso di un anno. Oh, quel Paese quanto è diverso da quello dei Geti! E questa non è che una piccola parte di ciò che abbiamo visto insieme, mentre tu mi rendevi i viaggi piacevoli, sia che con la barca dipinta fendessimo le acque azzurre, sia che un carro ci portasse con rapide ruote. Molte volte, discutendo tra noi, la strada ci parve meno lunga e le nostre parole, a contarle, furono più numerose dei nostri passi; ed il giorno spesso fu più breve dei nostri discorsi e, per parlare, anche le ore lente dei giorni d'estate non bastavano».
Ma chi era questo Pompeo Macro che aveva accompagnato Ovidio nei suoi itinerari giovanili in Grecia, in Oriente e in Sicilia? Era pressoché un suo coetaneo, e divenne poi dotto scrittore di greco e di latino, specializzato nell'elaborare tematiche del ciclo troiano; dopo la relegazione a Tomi del Sulmonese, era stato nominato da Augusto coordinatore delle biblioteche pubbliche e, in tale ruolo, era stato costretto ad eliminare da esse le opere ovidiane che ne erano state bandite per decreto dell'imperatore.
Questa fu forse la ragione che aveva spinto Ovidio, nell'ottava elegia del primo libro dei Tristia, ad esprimersi con parole assai amare: «Sono stato ingannato da colui che credevo mi avrebbe offerto aiuto nella sventura ... Quel sacro e venerabile nome dell'amicizia non vale niente per te?».
Evidentemente, nei circoli politici della capitale, il «carmen» e l'«error» non gli erano stati perdonati e gli amici di un tempo si astenevano dall'intervenire in favore di Ovidio temendo di incorrere nelle ire di Augusto.
Torniamo ora al viaggio del Poeta che, come abbiamo detto, gli consentì di conoscere le varie città dell'Isola, avendola egli percorsa in lungo e in largo assieme a Pompeo Macro; ed infatti, al di là delle specifiche notizie sui luoghi sopra menzionati, egli non mancò di descriverne le bellezze paesaggistiche e di assimilarne i dati culturali, assumendone quei miti che avrebbe poi rielaborati nelle Metamorfosi e richiamati nelle elegie dell'esilio. Esemplificativo è in merito il passo del IV libro dei Fasti in cui si narrano il ratto di Proserpina a Pergusa e il disperato girovagare della madre Cerere alla ricerca della figlia: «La dea si lascia dietro nella sua corsa Leontini e il fiume Amenano e le rive erbose dell'Aci; oltrepassa il Ciane e le sorgenti del placido Anapo ed il Gela vorticoso e inguadabile. Attraversa Ortigia, Megara, il Pantagia, le foci del Simeto, gli antri dei Ciclopi arsi dalle fornaci, e la città che ha foggia e nome di una falce ricurva. E Imera e Didime e Agrigento e Taormina e il Mela dai grassi pascoli delle vacche sacre. Va poi a Camarina, a Tapso, all'eloria Tempe, all'Erice sempre aperto agli zefiri. Già aveva visitato il Peloro, il Lilibeo, il Pachino ...».
Narrazione circostanziata, a testimonianza della familiarità che avevano assunto per lui tali tópoi, così carichi di tradizioni e di valori divenuti parte integrante dell'universo ovidiano.
Nei Tristia e nelle Epistulae ex Ponto frequenti sono dunque le citazioni di miti e leggende siciliane che assumono, nel freddo inverno di Tomis, il valore simbolico di referente poetico, con il vagheggiamento di un mondo ideale in cui emerge l'incancellabile ricordo di un meraviglioso viaggio nel cuore del Mediterraneo.



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