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martedì 20 marzo 2012

Azienda Speciale Consortile. Conosciamola da vicino.

Nei vari confronti avvenuti con gli amministratori della nostra provincia ed all'interno della Commissione Ambiente di Senigallia, quando si parla di Azienda Speciale Consortile spesso si è fatta una gran confusione, sono stati dati giudizi affrettati lontani dalla realtà ed estremamente approssimativi.

C'è chi ha paragonato questo modello di gestione con le vecchie municipalizzate abolite dalla legge Galli. Se c'è un aspetto positivo in questa legge è proprio l'abolizione di questi carrozzoni. Lungi da noi riesumarli. Molti hanno bollato semplicemente come demagogica la nostra proposta, attribuendoci in maniera "colorita" in un incontro specifico di possedere scarsa conoscenza dell'argomento ergo non meritevoli di considerazione. E' comprensibile che ci troviamo ad essere governati illegittimamente in Parlamento da tecnocrati e che le persone sono sempre più distanti dalla vita politica anche grazie all'arroganza di questi personaggi. Per fortuna ancora per poco.

Nell'articolo sottostante vi descriviamo alcune specificità che caratterizzano l'azienda speciale rispetto la società per azioni. Buona lettura.

1. L’ Azienda speciale: caratteristiche generali

L’ Azienda speciale, come recita l’art. 114 del Testo unico degli Enti Locali, è “ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale”. Si tratta pertanto di un ente di diritto pubblico, diverso dal comune o dalla provincia da cui dipende funzionalmente. La personalità giuridica, che si acquisisce con l'iscrizione al registro delle imprese, fa dell'azienda speciale un soggetto di diritto a sé stante, indipendente e diverso dall'ente locale che lo ha costituito. Al Comune compete l’approvazione degli atti fondamentali dell'azienda speciale: il piano - programma comprendente il contratto di servizio, i bilanci economici di previsione pluriennale e annuale, il conto consuntivo e il bilancio di esercizio. Anche lo statuto, al momento della costituzione dell'azienda speciale, viene approvato dal consiglio comunale. Al comune, infatti, compete soltanto la determinazione esterna di fini e obiettivi, compete all'azienda procedere autonomamente al perseguimento dei fini posti dell'ente locale godendo di ampia autonomia imprenditoriale. L’acquisizione della personalità giuridica avviene per la prima volta con la legge 142/90 e questo fatto è ciò che maggiormente differenzia l’Azienda speciale con le precedenti Aziende speciali “municipalizzate”


 L'azienda speciale rientra, inoltre, nella categoria degli enti pubblici economici (Cass. Sez. un. 15 dicembre 1997, n. 12654) cioè degli enti di diritto pubblico la cui attività, pur se strumentale rispetto al perseguimento di un pubblico interesse, ha per oggetto l'esercizio di un'impresa ed è uniformata a regole di economicità perché ha l’obiettivo del pareggio di bilancio. L’acquisto della personalità giuridica da parte dell'azienda speciale, comporta, oltre l'iscrizione nel registro delle imprese, la sua assoggettabilità al regime fiscale proprio delle aziende private (Cons. Stato, III, 18 maggio 1993, n. 405) ed alla disciplina di diritto privato per quanto attiene al profilo dell'impresa e per i rapporti di lavoro dei dipendenti (T.A.R. Liguria, II, 24 maggio 1995, n. 272). Ciò, ad esempio, significa che i contratti collettivi di lavoro non sono necessariamente quelli del settore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in riferimento al settore merceologico di appartenenza (contratto gas-acqua per i settori del gas e dell’acqua, autoferrotramvieri per il trasporto pubblico locale, igiene ambientale per la gestione dei rifiuti ecc.). Allo stesso modo, l’ Azienda speciale è soggetto passivo di imposta e, dunque, assoggettata al pagamento di IRES e IRAP.

Visto il profilo della personalità giuridica dell’azienda speciale, la giurisprudenza ha posto in rilievo l’applicabilità alla medesima di alcune disposizioni tipiche del diritto privato, per esempio per quanto attiene alle materie lavoristiche, in virtù della sua natura di ente pubblico economico; è necessario d’altro canto evidenziare anche l’altro elemento fondamentale che connota l’istituto in questione, cioè il rilevato carattere “strumentale dell’ente locale”. Al carattere strumentale si ricollega l'esigenza che le attività poste in essere siano finalizzate al conseguimento degli stessi scopi che l’ente locale si prefigge, cioè il soddisfacimento degli interessi della collettività locale e lo sviluppo della stessa.

I vincoli che legano l'Azienda speciale al Comune sono quindi cosi stretti, sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere “elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso Ente territoriale » (Corte Cost., 12 febbraio 1996 n.28). L'Azienda speciale, quindi, pur con l'accentuata autonomia derivantele dall'attribuzione della personalità giuridica è parte dell'apparato amministrativo che fa capo al Comune e ha connotati pubblicistici. L'attribuzione della personalità giuridica non ha mutato tale natura, ma l'ha solo configurata come un nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici, distinto dal Comune, con una propria autonomia decisionale, e ha reso possibile, per l'esercizio di un'attività che ha rilievo economico, l’effettuazione di scelte di tipo imprenditoriale, cioè l’organizzazione dei fattori della produzione secondo i modelli propri dell'impresa privata (compatibilmente peraltro con i fini sociali dell'Ente titolare) per il conseguimento di un maggiore grado di efficacia, di efficienza e di economicità del servizio pubblico. Guardando alla gestione del servizio idrico , e quindi ad un territorio composto solitamente da una pluralità di Comuni presenti nell’ATO, appare del tutto evidente  che, in questi casi,  l’assetto dell’Azienda speciale sia di tipo consortile. In questo senso va richiamato l’art. 31 (consorzi) del TUEELL 267/2000. Il consorzio è sostanzialmente equiparato all’azienda speciale: lo stesso art. 31, infatti, dispone che la costituzione del consorzio avviene “secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’art. 114 per quanto compatibili”. Parte della dottrina, addirittura, ritiene che i consorzi siano aziende speciali pluricomunali; anche il Consiglio di Stato con alcune pronunce dei primi anno 90 ha ritenuto che consorzio e azienda non siano figure distinte. Per l’Azienda speciale consortile, quindi, valgono tutti i ragionamenti sviluppati prima; inoltre essa, rispetto alla ordinaria azienda speciale, si caratterizza per la presenza di un organo in più: l’assemblea consortile. Mentre l’azienda speciale è amministrata e gestita soltanto dal Consiglio di Amministrazione (per forza di cose ristretto e di modeste dimensioni), nell’assemblea consortile sono rappresentati tutti gli enti consorziati attraverso i sindaci o assessori delegati.

2. L’ assoggettamento al Patto di Stabilità degli Enti Locali

L’ art. 25 del decreto liberalizzazioni del governo Monti, approvato in Senato e in attesa del passaggio finale alla Camera, dispone che le Aziende speciali ( e anche le SpA a totale capitale pubblico) dal 2013 siano sottoposte al patto di stabilità interno, con un decreto ministeriale da mettere a punto entro l’ottobre di quest’anno.

Il Patto di stabilità interno fissa le regole cui devono attenersi gli Enti Locali per concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica fissati dalle Leggi finanziarie ( ora Leggi di stabilità), in relazione ai parametri di deficit e debito pubblico che derivano dagli impegni assunti a livello europeo ( da Maastricht al recentissimo Patto fiscale di questi giorni). Esso ha dunque una lunga storia ed è stato modificato più volte, dopo essere stato introdotto per la prima volta con la legge finanziaria 1999, in senso sempre più restrittivo: inizialmente esso indicava degli obiettivi di carattere programmatorio generale per poi passare gradualmente a fissare grandezze vincolanti relative anche all’andamento della spesa corrente. Allo stato attuale, il Patto di stabilità interno è stato normato con la legge di Stabilità 2012, n. 183 del 12 novembre 2011. Per quanto riguarda gli Enti Locali ( con esclusione delle Regioni, che seguono una normativa a parte), esso è costruito sulla base dell’art. 31 e riguarda per il 2012 i Comuni con più di 5000 abitanti, mentre dal 2013 i Comuni interessati sono tutti quelli con più di 1000 abitanti. Il meccanismo è abbastanza complesso, ma per dare un’idea di fondo di come è determinato, e quindi a grandi linee, si può far riferimento ai seguenti passaggi: in primo luogo, si calcola il saldo finanziario tra entrate e spese finali del Comune costruito in termini di competenza mista, e cioè competenza per la parte corrente e cassa per la parte in conto capitale (ricordo che la competenza registra un’entrata/uscita quando ne sorge l’obbligo giuridico, quindi accertamento o impegno, mentre la cassa registra un’entrata/uscita quando ne avviene la regolazione finanziaria, quindi incasso o erogazione). Il secondo passaggio consiste nell’ applicare alla media della spesa corrente del comune nel triennio 2006-2008 la percentuale indicata al comma 2 dell’art. 31 della legge 138  (per esempio il 15,6% per il 2012 per i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti). Tale valore va diminuito di un importo pari al taglio dei trasferimenti statali cui il Comune è stato interessato, che costituisce il saldo-obiettivo da rispettare. Si arriva, infine, alla determinazione della “manovra” da compiere, che è il “miglioramento” cui il Comune deve attenersi, che è pari alla differenza tra il saldo-obiettivo da rispettare e il saldo finanziario determinato con il primo passaggio. Inoltre, sempre la legge 183 prevede che le percentuali da applicare alla media della spesa corrente saranno rideterminate dal 2013, stabilendo due classi di “virtuosità” in cui collocare gli Enti Locali e graduando in modo differenziato su di esse l’impatto del Patto di stabilità. I parametri per stabilire queste due classi di virtuosità sono numerosi, comprendendo l’autonomia finanziaria dei Comuni, l’incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente, il tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale e anche le operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie.

Per dirla in estrema sintesi, il Patto di stabilità interno è stato il principale responsabile delle politiche restrittive cui sono andati incontro i Comuni e gli Enti Locali in questi anni. In particolare, la conseguenza più rilevante dell’ intervento del Patto di stabilità è stato quello di ritardare e diminuire di molto gli investimenti; quello che poi si prospetta con la nuova versione del Patto stesso dal 2012 in avanti è anche un ridimensionamento della spesa corrente, e, quindi, anche della spesa sociale. Secondo uno studio di IFEL ( Fondazione dell’ANCI) sulla situazione finanziaria dei Comuni, nel triennio 2008-2010 il saldo finanziario medio nazionale dei Comuni è stato di 26,5 euro procapite e ciò è stato realizzato attraverso la concomitante riduzione delle entrate e delle spese complessive, con le prime che si sono ridotte di oltre 12,5 euro e le seconde che hanno su­bito una contrazione decisamente più marcata, di poco superiore ai 39 euro pro capite. Quest’ultimo risultato, peraltro, deriva una crescita delle spese correnti di quasi 39 euro e da una riduzione delle spese in conto capitale di 78 euro. Detto in altri termini, in questi ultimi anni i Comuni hanno sostanzialmente bloccato gli investimenti e ritardato i pagamenti degli stessi e, d’ora in avanti, come già detto, sorte analoga toccherà alla spesa corrente.

Se poi un Comune non ha rispettato il Patto di stabilità, le conseguenze sono assai pesanti: limitazione delle spese di parte corrente, divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti, divieto assoluto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

E’ evidente che sottoporre le Aziende speciali al Patto di stabilità significa,
in primo luogo, estendere anche ad esse ciò che si è verificato per gli Enti Locali, e cioè costruire una condizione per cui esse non saranno più in condizioni di effettuare investimenti. Non ci vuole molto per vedere che questa diventerà la strada per favorire i processi di privatizzazione: ci toccherà sentire con ancor più forza il refrain, che i nostri detrattori usano già abbondantemente adesso, che “ siccome il servizio idrico ha necessità di molti investimenti, questi li può garantire solo l’ingresso del privato”. 
E’ utile inoltre aver presente che, sia alle Aziende speciali che alle SpA a totale capitale pubblico,
oltre all’assoggettamento al Patto di stabilità, vengono imposte ( alle Aziende speciali con il decreto sulle liberalizzazioni, mentre per le SpA a totale capitale pubblico ciò esisteva da prima) le disposizioni che stabiliscono, a carico degli  enti locali, divieti  o  limitazioni  alle   assunzioni   di   personale e il contenimento degli oneri contrattuali e delle altre  voci  di  natura retributiva o indennitaria. Il che significa, solo per esemplificare, che scatta il blocco del turn-over ( una sostituzione ogni 5 lavoratori che cessano l’attività), nonché il blocco dei contratti nazionali e della contrattazione integrativa che vige per i settori del pubblico impiego. Anche se tutto ciò non sembra di facile applicazione, visto che ai lavoratori del settore idrico si applica il contratto di settore Federgasacqua, ciò non toglie che si prefigura un deciso peggioramento delle loro condizioni che , invece, non si verificherebbe lì dove c’è la presenza di soggetti privati.
Per quanto ci riguarda, non possiamo che contrastare con forza la scelta di assoggettare le Aziende 
speciali al rispetto del patto di stabilità interno. O, meglio, per essere più precisi, non è tanto il fatto in sé da contrastare ( ha una sua ratio che Enti strumentali della Pubblica Amministrazione rientrino nei conti dell’Ente locale di riferimento), quanto soprattutto la decisione che le Aziende speciali siano sottoposte a questo Patto di stabilità, che è congegnato appositamente per impedire agli Enti Locali di procedere ad una seria politica di investimenti e, più in generale, per imporre una linea di tagli e di ridimensionamento delle risorse a disposizione degli Enti locali.
Da questo punto di vista, occorre mettere in campo un’iniziativa di mobilitazione e di proposta per 
arrivare alla scadenza di ottobre in termini tali da non dover semplicemente subire una scelta che renderebbe difficoltoso, se non addirittura marginale, la possibilità dell’affidamento del servizio idrico ad Aziende speciali. Si tratta di muoversi almeno lungo quattro direzioni:
-          la costruzione di una proposta di riformulazione del Patto di stabilità, da far tornare alla sua
 versione originaria, e cioè di fissazione di un saldo generale di natura finanziaria, lasciando così maggiore 
libertà di scelta agli Enti locali nella fissazione delle politiche di entrate e di spesa:
-          l’esclusione, in ogni caso, degli investimenti effettuati per i servizi pubblici essenziali dai
 meccanismi di calcolo del Patto di stabilità;
-          l’ approntamento di una strumentazione “ ad hoc” per finanziare, in modo agevolato, 
gli investimenti nei servizi pubblici essenziali ( ma su questo torniamo subito dopo quando parliamo 
del sistema di finanziamento del servizio idrico);
-          l’ eliminazione dei meccanismi di penalizzazione occupazionale e retributiva per i lavoratori 
delle Aziende speciali.
Su queste ipotesi va predisposto un percorso di confronto e interlocuzione con le Associazioni rappresentative
 dei Comuni e delle Province, che iniziano timidamente a muoversi nella direzione da noi indicata.  
Soprattutto va lanciata una campagna, sulla falsariga di quanto facemmo a proposito della modifica 
degli Statuti Comunali, per far approvare dai Consigli Comunali e Provinciali prese di posizione
 a supporto della nostra impostazione ( vedi, in allegato, proposta di o.d.g. in materia di 
Patto di stabilità, servizi pubblici essenziali, ruolo della Cassa Depositi e Prestiti).

3. Le nostre proposte in tema di nuovo sistema di finanziamento del servizio idrico

Indicare la strada della ripubblicizzazione del servizio idrico tramite la gestione di soggetti di diritto pubblico 
comporta necessariamente mettere a punto una proposta che si misuri con la necessità di finanziamento del 
sistema, in particolare rispetto agli ingenti investimenti da realizzare. E ciò a maggior ragione in uno scenario 
che da quando il mercato e le scelte privatizzatici  sono diventate dominanti nel servizio idrico, e 
cioè negli ultimi 15 anni in termini progressivi, gli investimenti sono drasticamente diminuiti e 
stanno ben al disotto di quanto sarebbe necessario. Il primo dato eclatante
 ( fonte elaborazioni CoViRi su dati ISTAT)
 riguarda il vero e proprio crollo degli investimenti che si è realizzato tra gli inizi degli anni ’90 e i primi anni 2000, 
gli anni in cui iniziano ad affermarsi i processi di privatizzazione: si passa dai circa 2 mld. euro annui a circa
 700 mil. annui, praticamente 2/3 in meno. L’altro punto di riferimento di fondo è rappresentato dallo scostamento 
rilevante tra gli investimenti previsti e quelli realizzati. Utilizzando  i dati del CoViRi ( Rapporto sullo stato dei servizi idrici, luglio 2009), 
risulta che negli ultimi 3 anni presi in considerazione, il tasso di realizzazione degli investimenti è pari 
al 56%: rispetto ai 5,9 mld. euro di investimenti già previsti nei Piani d’Ambito, ne sono stati realizzati
 circa 3,3 mld. Se è pur vero che la  indeterminatezza  del quadro legislativo può aver inciso in termini
 negativi sugli investimenti e sulla possibilità di accesso al credito,  questi semplici dati rendono ben chiara
 una situazione per cui, rispetto ai circa 40 mld. di investimenti necessari nei prossimi 20 anni per il 
servizio idrico integrato ( o, se si preferisce ai 60 mld. per i prossimi 30 anni), il sistema attuale non è 
assolutamente in grado di realizzare quest’obiettivo.
Non ci vuole molto ad individuare le cause di questa situazione fallimentare. Esse sono insite nel meccanismo di fondo delle logiche di privatizzazione del servizio idrico integrato, e, per questo, hanno radici strutturali e non modificabili se non si cambia proprio l’approccio di funzionamento del sistema. Infatti, il crollo degli investimenti e lo stato cronico di sottoinvestimento risiedono principalmente in due fattori: il primo è la gestione di carattere privatistico del servizio, affidata alle SpA e, dunque, orientate al raggiungimento del profitto. E’ evidente che la non effettuazione degli investimenti previsti costituisce una delle voci principali su cui intervengono le SpA per massimizzare i profitti, assieme all’incremento delle tariffe e dei consumi. A maggior ragione ciò si verifica per gli investimenti volti alla ristrutturazione delle reti e per le nuove opere, che notoriamente implicano risorse rilevanti e danno ritorni economici solo nel lungo periodo.

Il secondo fattore sta nel meccanismo di finanziamento del sistema, il “full cost recovery”, e cioè il caricare sulla tariffa tutti i costi di finanziamento, compresi quelli degli investimenti. Ciò , come i fatti dimostrano, determina in realtà una non copertura piena dei costi di investimento, a meno di prevedere incrementi tariffari assolutamente insostenibili dal punto di vista sociale e/o di sovrastimare i consumi d’acqua previsti. Insomma, il risultato finale è che gli investimenti previsti non vengono realizzati, come del resto sono costretti ad ammettere anche il CoViRi e la stessa Federutility.

In verità, solo un meccanismo realmente alternativo di finanziamento del sistema può garantire gli ingenti investimenti necessari. E’ questo il senso di fondo della nostra proposta, che risale già all’elaborazione della nostra proposta di legge di iniziativa popolare del 2007. Al posto del “full cost recovery”, occorre costruire un nuovo meccanismo tariffario e ricorrere sia alla finanza pubblica che alla fiscalità generale. Più in particolare, la nostra ipotesi, elaborata e presentata nel corso della campagna referendaria e aggiornata alla luce dell’aggravamento della crisi economica e sociale, prevede che la tariffa copra i costi di gestione, gli ammortamenti  per la parte degli investimenti finanziati con la finanza pubblica più il costo degli interessi del capitale, prevedendo comunque un’articolazione della tariffa tra quota fissa e quota variabile e, all’interno di questa, sulla base delle fasce di consumo, mentre la fiscalità generale è chiamata ad intervenire per coprire il costo del quantitativo minimo vitale ( 50 lt/abitante/giorno) e un’altra parte di investimenti. Per quanto riguarda la suddivisione degli investimenti, la fiscalità generale copre quelli relativi alle nuove opere ( circa 23, 2 mld in 20 anni), mentre la finanza pubblica interviene per garantire gli altri circa 16,8 mld. di investimenti relativi alla ristrutturazione delle reti.

Lo strumentazione di finanza pubblica che individuiamo come quella più rispondente è riferita, da una parte,  all'intervento della Cassa depositi e prestiti oppure, dall’ altra,  alla possibilità di ricorrere all’ emissione di bond locali. E' evidente, peraltro, che pensare all'intervento della Cassa Depositi e Prestiti comporta necessariamente che essa ritorni alle sue funzioni originarie, a partire dal fatto di mettere a disposizioni risorse economiche a tasso agevolato, e che, dunque, si operi una seria inversione di tendenza rispetto al fatto che, negli ultimi anni, essa si è distinta nel favorire e supportare i processi di privatizzazione e, in ogni caso, ha abbandonato la sua funzione di “banca pubblica”. Inoltre, la manovra di tipo fiscale deve avvenire senza che essa provochi un innalzamento del deficit e debito pubblico, specificando dunque le maggiori entrate e minori spese del bilancio pubblico, senza produrre tassazione aggiuntiva sul reddito delle persone fisiche. Ciò può essere realizzato in diversi modi: per esempio, intervenendo con la lotta all’evasione fiscale,  diminuendo le spese militari, costruendo una tassa di scopo come quella sulle bottiglie PET o con altri interventi ancora.

Infine, è utile sottolineare che questa nostra proposta è assai significativa rispetto all’attuale situazione di crisi economica, visto che il Piano straordinario di investimenti reso possibile da essa produrrebbe anche un incremento di circa 200.000 posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla crisi stessa.

Questa proposta si muove, peraltro, in un solco di continuità e coerenza politica rispetto all’esito del secondo quesito referendario, quello che ha abrogato la remunerazione del capitale investito dalla tariffa del servizio idrico. Nello stesso tempo, essa è alternativa anche ad ipotesi di pura e semplice rimodulazione del sistema tariffario, facendo comunque ricadere interamente su di esso il finanziamento del servizio idrico, magari provvedendo a sostituire la voce della remunerazione del capitale con una voce fissa, calcolata razionalmente, relativa agli oneri finanziari.

Per quanto ci riguarda, invece, come detto sopra, un nuovo metodo tariffario deve essere coadiuvato dall’intervento della finanza pubblica e della fiscalità generale e dovrà sì avere uno schema nazionale unitario, ma applicato e definito a livello territoriale. Anche per questo, è utile riuscire a leggere le situazioni economiche e finanziarie dei soggetti gestori e intervenire nel merito delle scelte che si compiono a livello dei singoli ATO.

Comitato Acqua Bene Comune Senigallia

 
 
 
 
 
 
 


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