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mercoledì 16 marzo 2011

Il settimino di Incisa Scapaccino


Antonio Cacciabue detto “Tunen il settimino di Incisa”, personaggio emblematico, nato a Incisa Belbo (oggi Incisa Scapaccino) l’8 agosto del 1850 e ivi deceduto il 29 giugno 1929, è stato durante la sua vita un punto di riferimento importante per la popolazione dell’intera Valle Belbo, ma anche per quella  delle zone limitrofe.  Era un agricoltore, un uomo del popolo che riservava parte della giornata per ricevere i bisognosi che ricorrevano alla sua “medicina empirica”. La notte era dedicata alla preghiera. Egli infatti, si ritirava  in un cespuglio dietro casa e là, in contemplazione, pregava nostro Signore (diceva che Dio era il motore di ogni cosa, lo spiegava in dialetto con altri termini, ma il significato era quello), pregava la Madonna Virgo Potens  di cui era particolarmente devoto e altri santi come Sant’Antonio Abate, San Biagio, ecc. Dalla sua intensa Fede cristiana Tunen riceveva “un’energia particolare”, dalla quale originavano le facoltà assai poco comuni che gli permettevano di aiutare e, sovente, guarire la gente. Per valli e colline si  narra che già da bambino compisse prodigi di questo genere,  profusi per molto tempo,  cioè fino alla morte sopraggiunta  a settantanove anni. Per certo si sa che non si trattava di un guaritore che “imboniva” con subdoli artifici persone capaci di sviluppare solo ragionamenti semplici in quanto, all’epoca, nelle nostre campagne era ancora diffuso l’analfabetismo.
Nonostante siano passati quasi ottant’anni dalla sua scomparsa, il popolo non lo ha dimenticato; infatti, ogni persona  di quelle terre ha continuato a recarsi da Tunen, non più alla sua casa, o nei suoi campi dove lavorando li riceveva, ma nella cappella al cimitero di Borgo Villa a Incisa Scapaccino. Qui di fronte alla sua lapide, sempre adornata di fiori e di ceri votivi, la gente si inginocchia e gli parla dei propri problemi, talvolta alcuni gli scrivono lettere e poi le infilano nelle fessure del marmo lapideo,  dopo queste confidenze, ciascuno torna sui propri passi verso casa, si torna col cuore leggero perché si sa che Tunen un aiuto lo dà. È una certezza strana che si avverte ogni volta che si sosta davanti alla sua tomba, nell’istante in cui torna alla mente con insistenza quel «va’ ca’», una nenia dolce che pare giungere da lontano e ci segue, ci segue perché ormai è dentro di noi... Locuzione abituale con cui Tunen, quand’era in vita, congedava i suoi ricorrenti; «va’ ca’» significava: “vai tranquillo ora ci penso io.” Quando invece sapeva di non poter far nulla per il malcapitato, si scusava e lo avvisava che la sua “forza” non era sufficiente.
Il settimino di Incisa ha rappresentato per questa terra monferrina, angolo remoto del Mondo, un fenomeno culturale, e non solo, talvolta inspiegabile anche per un attento antropologo. È stato certamente un simbolo, un esempio di buon cristiano che in nome di Dio, della Vergine Potente e di alcuni santi, ha dispensato per tutta la vita aiuto al suo prossimo; lo ha fatto con umiltà, in cambio di nulla, ma, quando con insistenza gli si lasciava un obolo, lui andava a depositarlo nella mano tesa di un mendicante, o nella cassetta per le elemosine posta sul portale della chiesetta Virgo Potens  a  Borgo Impero.
Antonio Cacciabue detto Tunen, un contadino che vestiva abiti pesanti d’estate e leggeri d’inverno, che camminava scalzo nei fossati calpestando i rovi e le ortiche, che metteva sassolini nelle scarpe affinché la propria vita risultasse caratterizzata dalla sofferenza ad imitazione di Cristo, trovava sollievo nella preghiera e nella pratica dei Sacramenti poiché la sua via era tracciata dall’essenza sostanziale delle Virtù Teologali, le quali gli indicavano ogni giorno la meta. Traguardo identificato in una vita oltre la vita che già assaporava ogni notte, quando in estasi nel cespuglio dietro casa, parlava con Dio.

1 commento:

  1. 'l Setmen


    Teste fedele legge:
    «… è greve per le plebee
    vendere le trecce belle,
    per vedere nell'erede
    rese le perse tempre.
    'L setmen , scelte l'erbe,
    delle meste le pene espelle:
    ‒ Prendete per tre sere
    le perle benedette
    e prece ver l'Esser Celeste,
    fedelmente tendete ‒.
    Né merce pretende, né mercede.
    Celebre messere
    delle terre venete,
    perven, perse le speme
    d'erpete sveller le strette.
    'L setmen, d'erbe greche
    ben, ben, spreme l'essenze,
    stende le pregne bende,
    deterge l'escrescenze:
    ‒ 'Ste dense creme mettete,
    né strenne per me, né spese;
    sempre del ben tessete ‒.
    Rende nel seren, gente gemente,
    pezzente e perbene,
    spegne febbre fremente
    per bergere e gregge,
    per serve neglette e reggente.
    N'ebbe: beghe, vertenze e beffe;
    n'esce sempre eccellente.
    Tenne per sé, strettezze
    grette e stente.
    Ver deferente plebe,
    'l Setmen, nel deceder,
    dette le estreme precette:
    ‒ ' Ndè 'ndrè e fè semper del ben…
    Pregherete per mè! … Scese le stelle. ‒ »

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