Una madre… leopardiana…

"Io ho conosciuto intimamente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma saldissima ed esattissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione. Questa non solamente non compiangeva quei genitori che perdevano i loro figli bambini, ma gl’invidiava intimamente e sinceramente, perchè questi eran volati al paradiso senza pericoli, e avean liberato i genitori dall’incomodo di mantenerli. Trovandosi più volte in pericolo di perdere i suoi figli nella stessa [354]età, non pregava Dio che li facesse morire, perchè la religione non lo permette, ma gioiva cordialmente; e vedendo piangere o affliggersi il marito, si rannicchiava in se stessa, e provava un vero e sensibile dispetto. Era esattissima negli uffizi che rendeva a quei poveri malati, ma nel fondo dell’anima desiderava che fossero inutili, ed arrivò a confessare che il solo timore che provava nell’interrogare o consultare i medici, era di sentirne opinioni o ragguagli di miglioramento. Vedendo ne’ malati qualche segno di morte vicina, sentiva una gioia profonda (che si sforzava di dissimulare solamente con quelli che la condannavano); e il giorno della loro morte, se accadeva, era per lei un giorno allegro ed ameno, nè sapeva comprendere come il marito fosse sì poco savio da attristarsene. Considerava la bellezza come una vera disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti o deformi, ne ringraziava Dio, non per eroismo, ma di tutta voglia. Non proccurava in nessun modo di aiutarli a nascondere i loro difetti, anzi pretendeva che in vista di essi, rinunziassero intieramente alla vita nella loro prima gioventù: se resistevano, se cercavano il contrario, se vi riuscivano in qualche minima parte, n’era indispettita, scemava quanto poteva colle parole e coll’opinion sua i loro successi (tanto de’ brutti quanto de’ belli, perchè n’ebbe molti), e non lasciava [355]passare anzi cercava studiosamente l’occasione di rinfacciar loro, e far loro ben conoscere i loro difetti, e le conseguenze che ne dovevano aspettare, e persuaderli della loro inevitabile miseria, con una veracità spietata e feroce. Sentiva i cattivi successi de’ suoi figli in questo o simili particolari, con vera consolazione, e si tratteneva di preferenza con loro sopra ciò che aveva sentito in loro disfavore. Tutto questo per liberarli dai pericoli dell’anima, e nello stesso modo si regolava in tutto quello che spetta all’educazione dei figli, al produrli nel mondo, al collocarli, ai mezzi tutti di felicità temporale. Sentiva infinita compassione per li peccatori, ma pochissima per le sventure corporali o temporali, eccetto se la natura talvolta la vinceva. Le malattie, le morti le più compassionevoli de’ giovanetti estinti nel fior dell’età, fra le più belle speranze, col maggior danno delle famiglie o del pubblico ec. non la toccavano in verun modo. Perchè diceva che non importa l’età della morte, ma il modo: e perciò soleva sempre informarsi curiosamente se erano morti bene secondo la religione, o quando erano malati, se mostravano rassegnazione ec. E parlava di queste disgrazie con una freddezza marmorea. Questa donna aveva sortito dalla natura un carattere sensibilissimo, ed era stata così ridotta dalla sola religione. Ora questo che altro è se non barbarie? E tuttavia non è altro che un calcolo matematico, e una conseguenza immediata e necessaria dei [356]principii di religione esattamente considerati; di quella religione che a buon diritto si vanta per la più misericordiosa ec."
 
Dopo aver letto e studiato a fondo questo brano dello Zibaldone (chi non lo conosce può rimanerne sconvolto) ed aver sondato con attenzione quanto sostiene la critica e cioè che si trattarebbe del ritratto della stessa madre di Giacomo Leopardi, mi sono convinta che, invece, si tratti di un "tipo" di donna che egli voleva rappresentare per mostrare, per così dire,  a quali distorsioni si può incorrere quando si vive la religione in un senso razionale assoluto e soprattutto distorto. Ma ora mi è capitato di leggere una certa preghiera composta proprio da Adelaide Leopardi, madre di Giacomo, che mi sconcerta non poco:
 
"Mio Dio Voi siete il primo Padre de’ miei Figli e Nepoti: io ve li raccomando con tutto il mio cuore: illuminateli co’ vostri divini raggi, e corroborateli con le vostre grazie: fateli morire piuttosto che permettere vi offendino. Che essi non contragghino mai alcun abito cattivo, e che siano così infelici di perdere la loro anima dopo che Voi avete sparso tutto il vostro preziosissimo sangue per salvarli!"
 
Mi pare, a questo punto che, sia pure in buona fede, Adelaide la pensasse veramente così e che i figli, quasi certamente, l’abbiano udita recitare tale preghiera da lei stessa composta. A sua discolpa io credo bisogna riconoscere com’era vissuta la religione prima del Concilio Vaticano II, vissuta cioè in un clima di terrore. Questa madre che amava profondamente i suoi figli, come dimostrano tanti episodi che i biografi ci hanno tramandato, era però, ripeto, in perfetta buona fede e corerente con gli stessi insegnamenti da lei ricevuti nella sua famiglia. Ma questa preghiera aggiunge un tassello per comprendere l’educazione infantile del nostro Leopardi.

Un pensiero riguardo “Una madre… leopardiana…

  1. Conoscevo già questo brano dello Zibaldone… e mi interessa molto il tuo punto di vista, non l\’avevo mai considerato, spero di trovare altri brani qui sul tuo blog che ne parlino… cmq anche io ritengo che si debba fare uno studio approfondito su questa donna anche perchè in fondo siamo o non siamo il prodotto dei nostri genitori?

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