Diario di viaggio

Viaggio di pace in Bosnia-Erzegovina e Serbia

2 – 12 giugno 2010

 

a cura di Angela Mengano

mercoledì 2 giugno
Siamo in 19 [Gigi, Lucia e Gaetano, Pina, Lia e Ninni, Francesca, Laura, Elke, Ginevra, Angela, Mariella e Vittorio, Gabriella, Maria Cristina, Imma, Rachele, le sorelle Lalla e Tina] alla partenza dal porto di Bari, sulla M/n Marko Polo della Jadrolinija. Ci attende una notte in navigazione sul mar Adriatico, per fortuna molto calmo, nonostante le previsioni avverse.
Giovedì 3
All’arrivo a Dubrovnik troviamo ad accoglierci Nada, che ci presenta i nostri due angeli custodi, la guida Zlatan Zubac (il nome equivale all’italiano Aurelio) e l’autista Romeo Ivicic , che saranno con noi sino all’imbarco sulla via del ritorno. Saliamo sul comodo pullman tutto per noi e da Dubrovnik ha inizio il nostro viaggio. Uscendo dalla città attraversiamo il grandioso ponte intitolato a Franjo Tudjman, presidente della Croazia dal 1990 al 1999; la strada serpeggia lungo la costa, sciorinando davanti ai nostri occhi un susseguirsi variegato di isole più o meno lontane, più o meno grandi (dalle Elafiti sino a Peljesac/ Sabbioncello) ed eccoci al posto di frontiera tra Croazia e Bosnia, in località Metkovic, il primo che attraversiamo senza peraltro perdere troppo tempo, perchè stavolta Romeo risolve da solo e in un attimo le formalità di frontiera (cosa che non si ripeterà in seguito). Ora penetriamo nell’interno, ed ecco dall’alto la vista sul delta della Neretva, che per secoli fu nascondiglio per i pirati (questa e tante altre notizie e curiosità sulla storia di queste terre ci vengono ammannite dal buon Zlatan). Andando avanti, incontriamo la prima moschea e le prime scritte in cirillico. Poi, Radimlja, necropoli bogomile. Osserviamo affascinati le lapidi (stecci) con le immagini, per lo più scene di caccia, guerrieri , danze funebri, con grandi mani, spesso sovrastate da scritte in caratteri glagolitici (XIV-XVI) . A Mogorjelo visitiamo i resti di una Villa rustica di età romana, che dovette essere qualcosa di molto simile alle moderne masserie. C’è anche un rudere che fa pensare a un fonte battesimale; lì ha voluto essere battezzato, non molti anni fa, uno dei caschi blu ONU di stanza da queste parti. All’uscita dal complesso archeologico c’è l’omonimo ristorante. Un po’ di sconcerto desta il piatto forte a base di rane e anguille, ma siamo aperti a qualsiasi novità e alla fine ci va bene tutto! Ripreso il viaggio, facciamo un’altra sosta in una splendida città ottomana nel cuore dell’Erzegovina, Pocitelj, inerpicandoci sino alla bella moschea del 1563. Sembra che la guerra abbia fatto molti danni anche qua ma è notevole la ricostruzione. Più avanti, la strada indica la deviazione per Medjugorie, meta ormai consolidata di turismo religioso, che negli anni del regime comunista Tito ha cercato inizialmente di ostacolare, vietando per 18 mesi ogni prenotazione; del resto neanche la Chiesa si è sinora pronunziata ufficialmente sull’argomento, benché ormai il numero dei visitatori abbia raggiunto cifre a molti zeri.
Siamo ora al monastero di Zitomislici, ma Zlatan ci fa sapere che non potremo visitarlo perchè si fa tardi e comunque di monasteri, in questo viaggio, ne visiteremo a bizzeffe.
A Blagaj visitiamo la cinquecentesca Casa dei Dervisci, dove per la prima volta (noi donne) siamo costrette a velarci il capo e (tutti) a togliere le scarpe per poter entrare (ma ne vale la pena). L’antica costruzione è addossata alla roccia, da cui sgorga la sorgente del fiume Buna; è uno spettacolo naturale di incomparabile bellezza. Il cielo si fa ora minaccioso, e la pioggia non tarda a cadere, mentre arriviamo a Mostar costeggiando campi di lavanda. Visitiamo la moschea Koski Mehmed Pasha , vicino al vecchio ponte ricostruito dopo la guerra, mentre si leva in alto il richiamo del muezzin; Zlatan ci racconta tante cose e Lucia ricorda che l’Adirt e il comune di Bari hanno sostenuto il progetto di ricostruzione di una scuola di Mostar. In questa moschea si può entrare senza togliere le scarpe; c’è un enorme bellissimo tappeto donato alla moschea; nella città si celebra il centenario della visita di Francesco Giuseppe; affiancati sono all’interno della moschea gli stendardi dell’Islam, rosso quello della Turchia ottomana, verde quello dell’Islam tout court. Poi, sotto una pioggia torrenziale, ripariamo nel cortile di un caffè, mentre i più intrepidi proseguono a piedi sino allo Stari Most.


Ci accoglie, per la cena e il pernottamento, l’hotel Bristol, che a suo tempo ospitò anche, come ci racconta Zlatan, lo scrittore premio Nobel Ivo Andric. Due chiacchiere nella hall, poi la cena , e un tavolo lungo e stretto ci accoglie tutti. Dopo cena facciamo una passeggiata sino al vecchio ponte, per gustarci sino in fondo il fascino di questa città. Ma ci colpiscono i segni della guerra su tanti muri. Al ritorno, ci scambiamo le nostre impressioni prima di andare a dormire.
Venerdì 4
Lasciamo Mostar con un bel sole, che rende più vivace e colorato tutto ciò che ci circonda. Zlatan ci parla a lungo di questa terra che è la sua terra, e della “pornografia della guerra” 

che ha reso la Bosnia/Erzegovina un paese sui generis, con una Costituzione che non dice se è repubblica o monarchia, e la divide in due tronconi: Repubblica Serba e Federazione di Bosnia ed Erzegovina, a sua volta divisa in 10 cantoni; la sua lingua ufficiale è – ma che pasticcio!- l’inglese. A detta di Zlatan , qui ci sono almeno quattro diverse verità, e comunque quel che conta non è tanto la verità in sé ma la sua percezione. Intanto ci inoltriamo tra le gole della Neretva, che con la loro natura selvaggia hanno coperto le azioni partigiane durante la seconda guerra mondiale. Per capire la complessità della nostra storia, dice Zlatan, bisogna vedere “La battaglia della Neretva”, kolossal yugoslavo del 1969. Ma anche, ricordiamo, “No man’s land” di Tanovic ambientato nella guerra serbo-bosniaca.
[Per inciso, i soldati fascisti lasciarono di sé buona memoria a Mostar, molti di loro sposarono ragazze del posto (“eccellenza amatoria”, si commenta nelle retrovie del pullman)].
Alle 11, anzi addirittura con un po’ di anticipo, siamo all’imbocco del bunker di Jablanica,

per visitare il quale abbiamo ottenuto un permesso speciale (si tratta in ogni caso di zona militare), ma dobbiamo attendere pazientemente di superare inspiegabili intoppi burocratici prima che un solerte graduato, dall’aria impenetrabile per non dire inquietante, ci accompagni nel ventre della montagna, dove le paranoie del regime titoista produssero la città sotterranea, dotata di tutto quanto bastasse alla sopravvivenza per almeno sei mesi di 300 persone e cioè dell’intero apparato di potere strategico-militare al vertice dello Stato: tutto compreso, dalle stanze dei bottoni corredate di una miriade di telefoni rossi agli impianti di alimentazione di vario tipo alle stanze da letto tutte – ed è veramente impressionante – impacchettate e pronte per l’uso (che non c’è mai stato).
Emersi con sollievo alla luce del sole, riprendiamo il nostro viaggio e, dopo aver ammirato a Konjic il bel ponte costruito dai Turchi, raggiungiamo il ristorante Orahovica, dove finalmente ci raggiungono Mara, Francesca e Giovanna, che hanno dovuto partire da Bari un giorno dopo per munirsi di passaporto. Il locale è in un luogo di fascino, laddove la Neretva si allarga sino a sembrare un lago; pranzo gradevole: degni di menzione la carne arrostita “sotto la campana di ferro” e il dessert, una mela farcita curiosamente chiamata “tufahija”.
Alle porte di Sarajevo facciamo una piacevole sosta con passeggiata in un parco, alle sorgenti del fiume Bosna, poi entriamo in città. Facciamo un veloce giro orientativo senza scendere dal pullman, poi approdiamo al nostro Holiday Inn, ultramoderno ma estraniante. Io e le altre amiche decidiamo di uscire subito, a piedi, attratte da questa città di cui abbiamo letto e discusso tanto. Dopo cena, poi, usciamo di nuovo in gruppo, con due taxi, per immergerci nelle suggestive atmosfere del quartiere turco: una moschea, quella cittadina, abbellita da tralci rampicanti di rose, dove tentiamo di entrare, ma ci fermano sulla soglia dicendoci “Domani, domani…” (scopriremo poi che questa moschea è interdetta ai turisti); un‘accogliente caffé-libreria piena di sorprese; la strada della “movida”, vivace e piena di giovani, e qui ci sembra di leggere nell’aria la voglia di scrollarsi di dosso gli orrori della guerra.
Sabato 5

Prima colazione in albergo. La sala è invasa da un gruppo di turchi. Uomini baffuti, donne velate. Zlatan ci avverte: “Se vedete donne velate qui, non sono di Sarajevo, vengono da fuori”. Altro detto di Zlatan che mi piace riportare: “Due volte cucito tiene meglio”. Il giro della città parte dalla visita al Museo Nazionale, aperto nel 1888. Ci soffermiamo sulle cose più interessanti della sezione archeologica. Qui è conservata la Haggada, [racconto], antico testo ebraico di origine sefardita; ma ci delude, è solo una copia e per giunta messa sotto vetro in modo da renderla poco leggibile al visitatore. Mi colpiscono alcuni frammenti di affresco dai vividi colori, di notevole bellezza, provenienti da Bobavac, che fu capitale prima dell’arrivo dei turchi. Dopo il museo si va in giro nel centro storico, sotto la pioggia, passando dall’edificio in stile eclettico, dove aveva sede la biblioteca nazionale; molto danneggiata dai bombardamenti (tornerà dopo il restauro a ospitare la sede del Municipio);  il Basçarsija, cuore della città vecchia, con la monumentale fontana di legno; il Moriça Han (caravanserraglio) al cui interno Zlatan ricorda di aver incontrato, tanti anni fa, i più bei versi mai scritti sul vino, quelli di Omar Khayyam [il vino come metafora della vita]; la moschea del Bej, la più grande della Bosnia; lo scorcio del minareto affiancato alla Torre dell’Orologio del XVII secolo; la Cattedrale cattolica (che però chiude ai rintocchi del mezzodì); la Cattedrale ortodossa; il mercato cittadino; il mercato coperto (Bruza Bezistan), e finalmente una piacevole sosta nel ristorante Aeroplan. Pranzo a base di sfogliata di verdure e verdure ripiene. Dopo la pausa pranzo, altre tappe: il Ponte Latino (espressione che qui, ci dice Zlatan, ha una connotazione negativa), dove ebbe luogo l’attentato nel quale perse la vita l’arciduca Francesco Ferdinando; la sinagoga Ashkenazi, sulla riva sinistra del fiume Miljaçka; una sosta a un caffè per due chiacchiere con Zlatan, che ci parla della bugia, che nell’Islam non è nemmeno peccato veniale (e come esempio ci fa quello dei musicisti dell’orchestra di Sarajevo che, trovandosi a suonare a Roma, per un pubblico occidentale, hanno fatto il miracolo di passare di colpo dalle uggiose nenie islamiche allo Stabat Mater di Pergolesi!). Poi Zlatan ci mostra il salame (di maiale!) che ha comprato, come fosse una rarità, stamane nel mercato cittadino. Sulla via del ritorno, col pullman facciamo una deviazione sulle colline, tra lo spiegamento grandioso delle installazioni sportive per l’Olimpiade dell’84 e l’immensa raggelante distesa dei cimiteri postbellici.
Chiacchiere in albergo prima e dopo cena, condite, questa volta, con un po’ di musica e di allegria: io suono il pianoforte, Laura canta – sarà anche guardata malissimo, per questo, da un turco un po’ tradizionalista – Tina balla, poi si unisce alla combriccola, intonando una struggente melodia del suo paese, un simpatico portoricano, Andreas, anche lui in vacanza a Sarajevo.
Domenica 6
Lasciata Sarajevo, andiamo a Srebrenica, nei cui dintorni (Potocari) è stato eretto il memoriale che ricorda il genocidio della locale popolazione musulmana da parte dell’esercito serbo nel luglio del 1995: una intera montagna punteggiata di semplici bianche lapidi; una moschea all’aperto, una stele dove depositiamo fiori che Zlatan ha avuto il pensiero di prendere per farne omaggio alle vittime di questa assurda guerra. E’ Ambra ad accoglierci all’ingresso e ad accompagnarci nella visita: ha perso nella guerra la maggior parte dei suoi familiari, ci porta al capannone che fu luogo di concentramento e dove vediamo foto e un documentario. Molti sono i visitatori, musulmani e non; palpabile è la commozione collettiva. E’ difficile credere che in questa terra martoriata la gente possa dimenticare o continuare a vivere come se nulla fosse accaduto: ma, come dice Zlatan, ora facciamo “professione di convivenza”.
Al ristorante Misirlije (“l’egiziano”) di Srebrenica ci vengono serviti cibi squisiti in un’atmosfera affabile e genuina. Nel pomeriggio raggiungiamo, dopo lungo cammino nella natura boscosa e incontaminata, il monastero di Lovnica, del sec. XIV, a Sekovici, che conserva un interessante ciclo di affreschi del monaco Longin. Siamo conquistati e appagati dall’atmosfera di spiritualità che promana dal luogo e dall’accoglienza discreta della badessa “igoùdima” Johanna (delle suore dell’ordine di San Saba), che ci offre squisiti biscotti accompagnati da caffè e slivovica e ci invita a partecipare all’ultima preghiera della giornata, quella delle 18 (la prima è alle 4 del mattino). Sentendo che veniamo da Bari, non esita a confessarci che tra i suoi più grandi desideri è quello di recar visita a San Nicola, molto venerato anche in Serbia (ne troveremo l’immagine in tutti i monasteri, accanto a quella del grande santo della Serbia medievale, San Saba).
La giornata si conclude con la cena e il pernottamento nel Motel Bad Novak a Zvornik, tutto nuovo ma un po’ faticoso per chi ha la stanza al terzo piano (senza ascensore). Ma comunque si tratta di una sola notte e amen.
Lunedì 7
Colazione ruspante, con yogurt e burro caserecci e sfogliate calde. All’esterno, un capretto viene sacrificato sullo spiedo. Alle nove siamo già alla frontiera bosniaco-serba, sulla Drina (poliziotta bionda con tacchi a spillo nel settore bosniaco, poliziotto a bordo con ritiro passaporti e relativo meticoloso controllo nel settore serbo; Rachele ammonita perchè punta l’obiettivo per immortalare il posto di blocco, cosa che ci potrebbe anche costare cara, a detta dei nostri accompagnatori). Ora che entriamo in Serbia, Zlatan ci dà alcuni cenni storici, dalla mitica battaglia del Kosovo (anche detta dei merli) del 1389 alle varie ribellioni contro la dominazione ottomana, alle dinastie degli Obrenovic e Karageorgevic, sino al riconoscimento dello stato serbo al congresso di Berlino del 1878. Facciamo una sosta “tecnica” in una stazione di servizio a Sabac: ora siamo in Vojvodina e attraversiamo la Sava. Lucia ci legge Rumiz: illuminante, perchè dice che la storia “deraglia”, e il vecchio ponte di Mostar, simbolo del collegamento tra Oriente e Occidente, è caduto appena 8 anni prima dell’11 settembre, la grande nemesi musulmana. Ben presto giungiamo nel parco nazionale della Fruska Gora, dove visitiamo il monastero di Ravanica, luogo di venerazione del santo re Lazar, caduto nella battaglia dei merli. Poi facciamo la sosta pranzo al ristorante Sremski Kutak di Sremski Karlovci, che ricorderemo per il goulash di pesce servito con la pasta, per lo strano dessert di pasta , semi di papavero e miele, per gli ottimi vini e per la simpatica faccia rubizza dell’oste. Dopo pranzo facciamo un giro nel paese, importante centro della spiritualità serba, dove il patriarcato serbo si trasferì da Peç al tempo dell’oppressione turca, e anche rinomata per la produzione del Riesling. Visitiamo la chiesa di S. Nicola e prendiamo un gelato per ristorarci dal caldo che appare in fase crescente. Poi ripartiamo per visitare il secondo monastero della Fruska Gora, Krusedol . Gli affreschi sono molto belli ma il monaco che ce li mostra è un po’ scorbutico. E mentre ci dice che qui è sepolto il despota Djordje Brankovic, Zlatan commenta stupito che è la prima volta che sente qualcuno parlare bene del suddetto, che i serbi considerano unanimemente un traditore per non essere morto in guerra. Ed è evidente che i monasteri in Serbia erano vere fortezze!
Lasciata Krusedol, riprendiamo il viaggio verso Belgrado, dove arriviamo al tramonto. Il nostro albergo, in pieno centro , è l’hotel Mosckva, elegante edificio in stile Secessione. Uscita dopo cena in gruppo, a spasso per la zona pedonale di via Kneza Mihaila, mentre Lucia parte con destinazione Skadarlija (quartiere zingaro).
Martedì 8
Dopo colazione, e prima di partire per il giro guidato, andiamo alla scoperta della Skadarlija, suggestivo angolo frequentato dalla “scapigliatura” belgradese. Poi Zlatan ci presenta la nostra guida di Belgrado, Branislaw Popovic detto Bane, gentiluomo balcanico, eloquio appropriato in un italiano impeccabile: ci spiega ben presto che è vissuto a Bari in gioventù al seguito del padre, console serbo, e manco a dirlo conserva un grato ricordo degli anni costà trascorsi, frequentando lo Scacchi. Oggi a Belgrado ci sono 30° – la città più calda d’Europa, si affretta ad aggiungere Bane. Dai quartieri nuovi oltre la Sava sino a Zemun, giungiamo poi sulla collina che conduce al museo dedicato al maresciallo Tito. Oggi qui è in visita una folta delegazione cinese. Per la Costituzione yugoslava fu presidente a vita, oggi si direbbe che fu un “re comunista”. Ma alla sua morte sappiamo che lo stato yugoslavo è andato in frantumi. E Bane ci parla di “yugonostalgia”. Attraverso gli ambienti che furono la sua residenza, oggi museo, ne vediamo la tomba – mausoleo spoglio ed essenziale – gli arredi un po’ kitch, il salotto cinese, lo studio del Maresciallo, le staffette celebrative offerte dai vari paesi, la mostra Yoko Ono-Lennon dedicata alla pace tra i popoli .Ridiscendendo verso la città, Bane ci mostra un grande platano secolare, tante sontuose ville, sedi di ambasciate o residenze dorate di magnati, tra cui il palazzo del principe Milos Obrenovic; poi lo stadio della Stella Rossa. Visitiamo il santuario di San Sava che, come la fabbrica di S. Pietro, è eternamente in costruzione, e che aspira ad essere il più grande e importante santuario della chiesa ortodossa serba.  Nel giardino laterale vi è una statua in bronzo raffigurante San Sava: per la sua realizzazione furono fatte fondere le campane del Cremlino, il che costituisce motivo di orgoglio per la gente di Belgrado. Riprendiamo il nostro giro: passiamo davanti al parco dedicato a Vuk Karadzic, riformatore della lingua serba (ridusse il numero degli antichi caratteri slavi cirillici e comunque semplificò la lingua nella scrittura e nella pronunzia; poi davanti al monumento a Nicola Tesla, geniale quanto sfortunato scienziato da Bane definito “il più illustre serbo di tutti i tempi” (era serba anche, dice Bane, la moglie di Albert Einstein, Mileva Mariç).
Molto piacevole, dopo tanto vagabondare , è la sosta al ristorante Daço in località Karaburma, verso il Danubio. Arredamento creativo/naif vivacemente colorato, immancabili leccornie balcaniche.
Il nostro pomeriggio belgradese scorre tra il bellissimo Museo Etnografico e la poderosa fortezza-cittadella del Kalemegdan, che da un lato si apre alla città e dall’altro domina il grandioso panorama alla confluenza dei due fiumi Sava e Danubio, con il monumento al vincitore di Ivan Mestrovic, diventato il simbolo di Belgrado.
Davanti al padiglione delle arti Bane ci racconta di Sveta (Fiorella) Zuzoric, della quale si diceva che fosse la più bella delle due coste adriatiche ai tempi di Shakespeare, andata sposa al console fiorentino a Dubrovnik Bartolomeo Pescioni, poetessa immortalata dal Tasso nei suoi sonetti.
Finita la visita al Kalemegdan il gruppo si disperde; alcuni di noi restano compatti intorno a Bane che, sulla via del ritorno verso l’albergo, ci conduce alla cattedrale ortodossa, dove sono le tombe degli Obrenovic, ci indica il Palazzo del Patriarcato, la residenza della principessa Ljubica Obrenovic, il luogo dove nel ’41 i nazisti bombardarono e distrussero la biblioteca nazionale, cancellando la memoria storica del popolo serbo, e infine, lungo la Mihailova, piccola mostra dedicata alla civiltà romana in Serbia (l’antica Singidunum). Facciamo ritorno in albergo per una pausa, prima di radunarci per andare a cena sulle rive del Danubio. Per andare, riattraversiamo la Novi Beograd, con gli edifici moderni (i due curiosi palazzi gemelli chiamati “pomodori”; il “monolite”, grattacielo visibile sullo sky-line di Belgrado anche a grande distanza, così ribattezzato dopo il film di Kubrick 2001-Odissea nello spazio; le torri, i centri commerciali, i grandi alberghi…)
Siamo ora al ristorante Reka: promette molto (atmosfera romanticamente danubiana) e mantiene poco . Siamo ben presto preda di zanzare molto insistenti; cibo discreto (gettonatissime le olive simil-ascolane con mandorla, su cui Ginevra più tardi inscenerà in pullman un divertente interrogatorio generale sferzandoci perchè incapaci a usare “le papille”) ma si sente la mancanza di un dessert; un’orchestrina rompi-timpani rende più difficile la conversazione e, peggio ancora, non c’è posto per Zlatan e Romeo costretti ad attenderci all’uscita per il rientro in albergo .
Mercoledì 9
Stamattina dobbiamo fare un lungo tragitto da Belgrado alla nostra tappa di arrivo, Mokra Gora, dove soggiorneremo nel villaggio creato dal regista Emir Kusturica. Facciamo solo una sosta per un ottimo caffè turco in un locale di montagna , “la cucina operaia”, nei pressi di Caçak (Zlatan offre per tutti , 4 euro per 15 caffè). Lungo il viaggio, c’è chi racconta : Rachele parla della sua serata al casino di Belgrado con Gabriella; Zlatan, sollecitato dalle nostre considerazioni sul suo italiano forbito, ci dice che conosce bene non tanto le parole “terra terra” quanto quelle “che passano sopra le teste”. Dice di avere fatto il liceo dai gesuiti a Dubrovnik, poi l’università a Zagabria, dove è stato allievo di Pretrag Matvejevic, che è di Mostar, suo conterraneo. Lucia ci legge Magris e Matvejevic sulla guerra, Andric sull’odio di cui è intrisa questa terra. Zlatan fa commenti sulla “schizofrenia balcanica”. Seguendo il corso della Zapadna Morava, siamo a Uzice e Zlatan racconta dei cetnici “primi guerriglieri della storia” che però non opposero resistenza ai nazisti nella seconda guerra mondiale; cita la definizione di Clemenceau “ serbi avvoltoi della storia”, poi declama i Tristia di Ovidio lasciandoci sbalorditi. Non ricordo poi a che proposito ci racconta degli hajduk, briganti alla Robin Hood che dettero filo da torcere anche ai turchi; noti per la loro irruenza, hanno poi dato nome alla squadra di calcio di Spalato, che infatti si chiama Hajduk. Siamo ormai nell’area del parco nazionale di Tara; passiamo vicino a Kremna, dove vivevano due fratelli vissuti insieme, mai sposatisi, che hanno con strabiliante lucidità profetizzato tutte le guerre che hanno sconvolto questi paesi . Arrivati finalmente al “Drvengrad”, la città di legno di Kusturica, prendiamo possesso delle nostre stanze all’hotel Mecavnik, tutte ospitate in casette di legno tradizionali, pittorescamente arredate, che il regista con gusto eccentrico ha concentrato in questo luogo per preservarle dal degrado, creando un villaggio turistico sui generis, una Cinecittà tra le montagne tra Serbia e Bosnia, con bar, ristoranti, chiesetta ortodossa, sala cinematografica. Dopo il pranzo nel ristorante al coperto (carne al sugo molto saporita, ma in quantità esorbitante per le nostre abitudini; vecchie foto storiche di Pancho Villa e di Ivo Andric alle pareti) il nostro pomeriggio è interamente dedicato al giro turistico con la vecchia locomotiva a vapore e le carrozze di legno che, attraverso tunnel e vecchie stazioncine, forma di continuo un otto, ed infatti la rotta ha avuto un nome, “Sarganska dupla osmica” che significa “Doppio otto di Sargan”.
Stasera, dopo la cena nel ristorante all’aperto, ci raduniamo nel locale dove abbiamo pranzato, e invece di andare ad ascoltare la musica dal vivo che si fa nel bar (forse la No Smoking Orchestra) facciamo musica in proprio, con il pianoforte a nostra disposizione, e beviamo una slivovica.
Giovedì 10
Siamo in partenza alle 8.30 da Mokra Gora, e già dopo pochi chilometri siamo alla frontiera serbo-bosniaca. Anche qui accurato controllo dei passaporti e il poliziotto bosniaco, sentendo che veniamo da Bari, sfodera i suoi ricordi calcistici (Stella Rossa di Belgrado, campioni d’Europa a Bari). Poi siamo al monastero di Dobrun: veloce visita della chiesetta, e ripartiamo senza particolari emozioni. Ma siamo ormai in vista di Visegrad e del mitico ponte sulla Drina (secondo Ivo Andric il ponte è delle opere dell’uomo quella che più desta meraviglia).  Attraversiamo il ponte assaporandone l’atmosfera, con il supporto della letteratura, sostando lungamente accanto alla “porta”, poi facciamo una sosta al caffè, sotto gli alberi, prima di riprendere il cammino. Ci attende nuovamente una frontiera, e questa volta dalla Bosnia rientriamo in Serbia, per visitare Mileseva, altro importante monastero (XIII sec.) fatto costruire da Vladislav, nipote di San Saba, come ci spiega l’igumània madre Anna, indicandoci, tra le tante meraviglie, l’Angelo bianco che annunzia la Resurrezione del Cristo, (affresco a noi ben noto perchè studiato da Nino Lavermicocca, nonchè prima immagine televisiva trasmessa dall’Europa nel 1958 e vista in tutto il mondo); S.Onofrio eremita con i lunghissimi capelli bianchi che ne ricoprono il corpo; la Madonna in trono, notevole perchè raffigurata alla maniera usata in Palestina a partire dal II sec.. Qui i serbi ebbero una loro tipografia, che però fu poi proibita dai turchi. Ripartiamo, ma oggi è la giornata delle frontiere: stavolta lasciamo la Serbia per il Montenegro, ed è il sesto timbro sul passaporto. A lungo seguiamo il corso del Lim , mentre Zlatan ricorda che il Montenegro è stato il nucleo più antico della Serbia, mai violato dagli assalti ottomani, perchè i turchi controllavano le pianure e i montenegrini le montagne. Arriviamo al ristorante Cardak di Bijelo Polje, scortati dal ristoratore che è venuto a prenderci al posto di frontiera per facilitarci il percorso sino al suo locale. Qui troviamo un ambiente molto gradevole, con tavoli di legno massiccio, vasellame ricercato, tessuti artigianali e tappeti e, naturalmente, ottima cucina. Riprendiamo il viaggio tra splendidi scenari toccando Mojkovac, famosa per la battaglia del 1916 in cui i montenegrini sconfissero il forte esercito austro-ungarico; re Nicola del Montenegro però venne sacrificato agli interessi serbi nella zona finendo la sua vita nell’esilio francese: ancora oggi viene ricordato come il “suocero d’Europa” per aver dato cinque figlie in matrimonio a eredi di case regnanti europee.
Raggiungiamo per il pernottamento l’hotel Lipka di Kolasin, che ricorderemo come forse il migliore in assoluto dell’intero viaggio, molto moderno ma accogliente. Il giretto a piedi nel paese ci rivela una gradevole località turistica di dimensioni lillipuziane. Io, Franca e Pina scopriamo, tra le tante proposte dell’albergo, il massaggio ai piedi, piacere che ci concediamo per ritemprare le estremità messe a dura prova dal programma di viaggio. La cena stasera è a self-service ma di ottimo livello (da noi particolarmente apprezzato il Vranac, un vitigno rosso autoctono). Per chiudere in bellezza ci concediamo tutti insieme una slivovica (qualcuno la vuole di prugne, qualcun altro di albicocche) in un bar del centro, tutto sommato a pochi passi dal nostro albergo.
Venerdì 11
Partiamo da Kolasin facendo a Zlatan i nostri apprezzamenti sull’albergo, che abbiamo trovato “a misura d’uomo” come ci piace; lui allora ci raccomanda, in questo senso , l’hotel Croazia di Cavtat, che a suo dire lo è – a misura d’uomo – nonostante le dimensioni ragguardevoli (500 camere). Nel viaggio Lucia ci legge Andric, Zlatan cita Njegosh, poeta montenegrino: “Le aquile fanno il nido sulla roccia perchè nella pianura non c’è libertà”. A lungo costeggiamo le trasparenti acque turchesi del fiume Tara, per poi ammirarne, dal ponte, il vertiginoso panorama . Zlatan ricorda “Most” (Il ponte), pellicola slava che secondo quanto lui dice fu vista in Cina per anni da una cifra impressionante – 40 milioni di cinesi? stentiamo a crederlo. Siamo ora in vista del parco nazionale del Durmitor, che ci offrirà una incantevole sosta-pranzo a Zabliak, nel ristorante Jezera, in riva al Lago Nero. Ottimo il prosciutto dalmata, ottima la trota, ma è un’impresa ripartire velocemente dopo aver pagato le consumazioni con la moneta locale . La strada che ora ci attende da Zabliak a Niksiç è piena di tornanti e piuttosto stretta, sicché per darci conforto Zlatan ci racconta la barzelletta dell’autista e del prete che si trovano davanti a S. Pietro per il giudizio finale e S. Pietro manda in Purgatorio il prete (perchè quando lui celebrava i fedeli dormivano) e l’autista in Paradiso (perchè quando lui guidava i passeggeri pregavano) . Comunque facciamo i complimenti a Romeo perchè come autista è veramente bravo (a parte la cura maniacale con cui tiene in ordine il pullman). Finiti i tornanti, sostiamo ad un bar nei pressi di Niksic, dove incontriamo un gruppo di giovani del posto, alcuni con occhi di un azzurro profondo che ci colpiscono, che si interessano a noi e attraverso Zlatan si informano da dove veniamo e come mai ci troviamo da quelle parti. Poi proseguiamo il viaggio verso Dubrovnik: dobbiamo ancora oltrepassare per ben due volte la frontiera, prima dal Montenegro alla Bosnia poi dalla Bosnia alla Croazia, ma rinunciamo alla visita di Trebinje perchè in territorio bosniaco il nostro pullman – croato – potrebbe essere male accolto.
Alle 18 circa arriviamo a Dubrovnik , all’hotel Valamar, sulla penisola di Lapad, grande albergo all’americana, genere villaggio turistico, nel quale ci sentiamo un po’ sperduti. Solo Franca riesce ad approfittare di quanto di meglio possa offrire il luogo, facendosi il bagno in mare al tramonto. Poi andiamo a cena nel ristorante self-service. La serata si chiude con il raduno sulla terrazza per un caloroso saluto a Zlatan e Romeo, che sono stati perfetti accompagnatori per tutto il viaggio, ciascuno nel suo ruolo, e al loro indirizzo rivolgiamo parole – anche scritte – che esprimono la nostra sincera e veramente sentita gratitudine.
Sabato 12
Prima di lasciare Dubrovnik per imbarcarci sulla M/n Azzurra alla volta di Bari, facciamo un veloce giro della città, invasa da comitive di crocieristi. E’ sempre molto bella, anche se è tutta ricostruita, dopo i bombardamenti degli anni ’90. All’inizio dello Stradùn, vicino alla fontana di Onofrio, un vecchio in costume suona uno strumento ad archi della tradizione popolare; Zlatan lo saluta, i due si scambiano battute scherzose da croato a bosniaco. Arriviamo sino al porto vecchio, entriamo in qualche chiesa (S. Salvatore, S. Biagio, Cattedrale) poi, dietro suggerimento di Zlatan, nella libreria internazionale dove troviamo anche libri in italiano. Al porto, dove ci attende la nostra nave, salutiamo per l’ultima volta Zlatan e Romeo, poi ha inizio la nostra traversata e, per fortuna, anche il ritorno scorre tranquillo sul mare liscio come una tavola. A bordo, inganniamo il tempo chiacchierando e come di consueto ci scambiamo le impressioni sui luoghi visitati. Eccole in sintesi (e mi scuso in anticipo se avessi travisato il pensiero di qualcuno):
Lia: tutto del viaggio, ma in particolare il ponte sulla Drina. In positivo la conoscenza, in negativo la realtà sociale, le tensioni, i contrasti che non fanno ben sperare. Poi il bunker di Tito: gli sprechi del potere che si autoprotegge.
Mariella: mi aspettavo più degrado ma la ricostruzione ha fatto miracoli. Questi la guerra ce l’hanno in testa. Emozionante l’incontro con la suora di Loznica in quell’atmosfera di pace.
Giovanna: La strage di Srebrenica: Questa gente non è mai tranquilla, mai serena. Ma mi sono sentita arricchita.
Maria Cristina: le case ferite, le case bombardate della gente comune a Mostar ancora più che i palazzi bombardati del potere a Sarajevo. Ma anche l’ironia di Zlatan: li lasciano così per impietosire il mondo.
Francesca Mattia: la disperazione delle madri di Srebrenica (una di loro aveva perso tre figli). Ma c’è una bella gioventù e c’è da augurarsi che col tempo costruiscano qualcosa.
Tina: Non potrò dimenticare le bellezze naturali. Ma di altro non voglio parlare perchè mi fa piangere.
Lalla: La situazione rispetto a quello che avevo già visto in un precedente viaggio verso la fine del potere yugoslavo è ancora peggiorata ed è diventata ancora più difficile da risolvere. Ci sono le responsabilità di Europa e America. Dubrovnik poi è tutta una speculazione turistica .
Gabriella: bellissima, terribile, dolorosa. Vivono di rendita sugli aiuti esterni, ma ora speriamo che riescano ad attuare la “professione di pace”.
Ninni: Mi è piaciuta questa forte componente culturale dell’ADIRT, l’interesse al “viaggio di pace” in questo crogiuolo di conflittualità, leit motiv del viaggio questa “suspence border line” alimentata da Zlatan. Perchè davvero in questo paese la pace è “border line”.
Rachele: avevo pregiudizi per esperienze precedenti. Le letture fatte mi hanno stimolato a guardare la realtà minuta. Non mi è sembrato che la religione costituisca motivo di odio: mi ha dato il senso della pace come libertà di espressione . Belle le città con i fiumi, come pulsazioni del corpo umano. La gioventù può costruire una realtà nuova.
Replica di Ninni: Io invece vedo le chiese come espressione di conflittualità.
Elke: riflessione sui monasteri. Meraviglioso, anche per l’incontro con la persona, Loznica con Madre Johanna . Gli altri sono stati per lo più una delusione, rifatti e senza affreschi. La natura: un prato fiorito apre il cuore.
Imma: a parte Srebrenica, le rose.
Mara: La bellezza intatta della natura mi fa ancor più disperare. A questo paese non auguro un nuovo Tito, perchè comunque è stata una dittatura, ma piuttosto un Mandela, sebbene una soluzione razionale non sia la migliore per un paese irrazionale. La dimensione religiosa dovrebbe essere secondaria nel nostro secolo. Ma qui c’è una componente di ferocia. Forse che se si buttano nella speculazione dimenticano gli odi?
Laura: Il pianto delle ragazze di Srebrenica durante il filmato. E comunque mi piace molto dei viaggi dell’Adirt questo avere interessi comuni: mi dimentico del mio passato!
Pina: Il paesaggio, splendido, indimenticabile. Un paese difficile, complicatissimo. Le pagine di Andric sull’odio.
Gigi: io non dirò niente, per me parleranno le mie foto.
Vittorio: pessimismo di fondo su questo paese. Da un punto di vista architettonico mi meraviglia come il ponte sulla Drina sia rimasto intatto .Sono rivolti al passato: il ponte di Mostar lo vogliono ricostruire con le vecchie pietre. Gli incontri umani: la superiora del monastero di Loznica; le due guide, Zlatan e Bane, entrambi di cultura non comune. Ma per me qui la pace non ci sarà mai.
Franca Botrugno: I cimiteri e la loro estensione.
Con leggero ritardo, alle 21 siamo in arrivo nel porto di Bari.