I modelli e le fusioni in bronzo ed
ottone.
Il disegno
è il punto di partenza fondamentale in un’opera d’arte. Che
sia eseguito da un’artista indipendente o dallo stesso artigiano,
comunque esso deve tenere conto di alcune caratteristiche specifiche.
Il
manufatto deve risultare frazionabile in diversi elementi; ciò si rende
necessario per due motivi fondamentali:
1° i
getti di piccole dimensioni, soprattutto nel caso di produzione in serie,
consentono una maggiore maneggevolezza
e la possibilità di raggiungere ogni parte della superficie in
fase di rinettatura e cesellatura.
2° a
fronte delle ridotte dimensioni il metallo fuso rimane minor tempo a contatto
con la terra dello stampo, mantenendo fluidità, anche in presenza di
spessori modesti, che tendono a raffreddarsi precocemente; permettendo una
riduzione del peso, del costo e soprattutto scongiurando perniciosi ritiri per
eccesso di spessore.
Tale
necessità, di dividere l’oggetto, deve essere prevista già
in fase di disegno, affinché ad esempio l’innesto di un braccio
risulti mascherato da una piega della veste, un bracciale,ecc.
Due sono
sostanzialmente i metodi antichi di fusione a cera persa.
Fusione
diretta a cera persa.
Su di un
telaio di ferro si plasma la figura, che si vuole ottenere, impiegando vari
materiali: terre refrattarie, gesso, mattoni in pezzi, ed altro; in modo da
conferire all’impasto resistenza e permeabilità. Quando il lavoro
ha raggiunto la forma desiderata, è ricoperto con un sottile strato di
terra refrattaria fine, sufficientemente liquida da essere stesa a pennello.
Trascorso il tempo necessario all’indurimento, si riveste interamente il
manufatto, che fungerà da anima, con un congruo spessore di cera, e si
modella finemente nei minimi particolari. Si applicano a caldo, nei punti
suggeriti dall’esperienza, le “canne” (aste di cera di vari
diametri, preparate allo scopo), che permetteranno sia l’alimentazione,
sia gli sfiati, durante la colata.
S’infiggono, attraverso lo strato di cera, nell’anima dei chiodi, che si
lasciano sporgenti. Si procede alla copertura completa del tutto con il
mantello, eseguito con terra fine diluita stesa a pennello e poi con altra
terra.
Dopo
essiccamento completo, si cuoce, generalmente in forni adatti al recupero della
cera, che si liquefa lasciando vuoto lo spazio, che sarà occupato dal
metallo fuso; quindi elevando la temperatura si vaporizzano completamente le
tracce residue. Se lo spessore del mantello è sufficiente a contenere la pressione idrostatica del
metallo fuso si esegue direttamente la colata. Altrimenti si deve
preventivamente procedere, in un contenitore normalmente una buca,al
seppellimento in sabbia asciutta. Alla fine si libera la fusione, rompendo il
mantello ed estraendo l’anima. Il fonditore elimina, con sega e lime, i
getti in corrispondenza di ogni canale di alimentazione e di sfogo, indi il
cesellatore rifinisce con raschietti e ceselli tutta la superficie.
Fusione
indiretta a cera persa.
Sull’originale
dello scultore, eseguito in argilla, in gesso, in cera od in legno intagliato,
una volta applicata una mano di antiaderente si procede alla costruzione di uno
stampo in gesso. Con pennello e poi con spatole si stende il gesso, coprendo la
più ampia suprfice possibile senza che risultino sottosquadri. I bordi
di questo tassello devono essere piani, perpendicolari alla superfice e di
adeguato spessore. Su tali bordi si devono ricavare nicchie (riscontri
femmina); anche sul gesso secco si stende un antiaderente. Si procede allo
stesso modo per i tasselli successivi, che risulteranno provvisti sia di
riscontri maschi, in prossimità di quelli contigui femmina, sia femmina,
ove ulteriormente ricavati. E’
necessario studiare con cura il percorso del profilo dei tasselli, al fine
di coprire tutta la superficie con il minor numero. Completato ed indurito il
guscio si estraggono, a cominciare dall’ultimo realizzato, i tasselli, se
ne rifilano le sbavature e si stende anche sulle superfici interne una mano di
antaiaderente. A questo punto si ricopre di uno strato adeguato l’
interno di ogni tassello, pressando con le dita della cera morbida. Dopo aver
rifilato la cera in esubero, si ricompone l’intero guscio e si cola la
malta refrattaria all’interno, da uno o più fori. Una volta
indurita, essa regge, dopo aver tolto i tasselli, l’involucro di cera e
ne costituisce l’anima. Da questo punto si procede come per la fusione
diretta, con il vantaggio di conservare un calco, nel caso di insuccesso della
prima colata o per la produzione di successivi multipli.
Altro
metodo utilizzato per alcuni lavori artistici di pregio e serie più
limitate, consiste nel ricavare lo stampo del modello con gelatine animali,
che, restando morbide, permettono di sfilarlo come una specie di guanto. Anche
queste gelatine vengono racchiuse in una forma di gesso, con lo scopo di
mantenerle in posizione al momento della colata della cera; questa calda
incontra la superefice umida e fredda dello stampo in gelatina, che ne
favorisce il raffreddamento. Questo modello in cera è poi lavorato come
descritto in precedenza.
La fusione
in terra.
Si
può ricorrere alla fusione in terra per bassorilievi, medaglie,
placchette, pannelli,vasi, od anche figure a tutto tondo, con o senza
l’ausilio dell’anima (in questo caso le anime non sono tenute in
posizione da perni, ma è necessario che abbiano appositi appoggi
fuoriuscenti alle due estremità), ecc; purché non sia richiesta
una superfice particolareggiata e non siano presenti sottosqudri.
Si
utilizzano le “staffe”, che sono generalmente di ferro,
rettangolari, somiglianti a cassetti senza il fondo. Le più piccole sono
grandi come scatole da scarpe, ma ne esistono anche con i lati di qualche
metro. Si impilano una sull’altra. Le pareti sono concave verso
l’interno (in modo da trattenere la zolla di terra refrattaria) e
provviste all’esterno di flange forate, con la duplice funzione di
servire da manici e di permettere l’inserimento degli
“spinotti” (perni di ferro lunghi un palmo, del diametro di 12,
Esistono
molti tipi di terre refrattarie, più o meno fini, somiglianti a sabbie
con l’aggiunta di agglomeranti; devono essere preparate ogni volta prima
dell’utilizzo, gettandole inumidite contro una parete a formare cumuli.
La terra così preparata è molto soffice, stringendone una
manciata rimane una impronta perfetta del pugno spessa un dito.
Per la
formatura si posa la prima staffa (chiamata staffamatta) su di un piano
d’acciaio,si posizionano uno o più tubi conici ( che estratti
lasceranno i fori dei canali per la colata), secondo le esigenze, si colma di
terra, si comprime con la piletta (grosso pestello di ferro con la testa
d’ottone), si aggiunge terra e si pesta la zolla fino a raggiungere la
densità desiderata. I modelli pianeggianti sono posati sul piano,
ottenuto dopo aver rasato con una stecca metallica la staffa, mentre è
necessario inserire quelli di un certo spessore in nicchie appositamente scavate.
Si riempiono i vuoti lungo il profilo fino ad ottenere il seppellimento di una
metà del lavoro, con apposite spatole da formatore. A questo punto, dopo
aver spolverato, si passa una mano di licopodio (polvere idrorepellente) su
tutta la superfice. Si appoggia una seconda staffa, si inseriscono gli
spinotti, si riempie e si comprime come in precedenza. E via di seguito con
altre staffe a seconda della grandezza del lavoro. Si capovolge il tutto
tenendo ben serrato e si estrae la staffamatta. Si ripassa il licopodio e si
sovrappone una nuova staffa con i suoi spinotti e si riempie e comprime
nuovamente. Si assestano alcuni colpi di mazzuolo sui lati delle staffe, al
fine di distaccarle dai modelli. Aperto lo stampo si estrae il modello,
mediante viti inserite in appositi fori filettati eseguiti sul retro nel caso
di un lavoro accurato, o più abitualmente con le unghie; motivo per cui,
nelle fusioni più grezze, alle volte sono presenti tracce di queste
“unghiature”. Si estraggono i tubi conici e si connettono i canali,
così ottenuti, ad incisioni ricavate, sulle facce interne, partenti dai
bordi dell’impronte lasciate dai modelli, che una volta, richiusi gli
stampi, serviranno per
l’entrata e l’uscita dei getti durante la colatura. Se il lavoro
è particolarmente curato, con apposite procedure, si posa a contatto del
modello un impasto più fine, che permette una maggiore cura dei
particolari. Da ultimo si
rompe lo stampo di terra e si pulisce la fusione grezza dai residui.
La terra
viene miscelata con sterco e peli di animali affinché, durante il
riscaldamento, tale materiale bruci e si crei una certa porosità da cui
possano uscire i vapori della cera fusa, evitando la creazione di tensioni o
bolle.
In questo
modo si perde il modello di cera, da qui il nome di “cera persa”
dato a questa tecnica, che richiede la preparazione di una nuova
“cera” ogni volta.
Bisogna inoltre tenere conto che i
singoli pezzi da usarsi come modelli devono essere progettati e provati
affinché si incastrino perfettamente tra loro, non essendo poi possibile
aggiungere materiale; ed in quanto, ad ulteriore complicazione, un pezzo pieno
si ritira, durante il raffreddamento del metallo, in una percentuale maggiore
di un pezzo cavo. La divisione in parti ed il relativo intervento a carico dei
vari innesti (maschio-femmina), affinché risultino perfettamente
solidali a lavoro ultimato, è compito del modellista fonditore, che
adotta il tipo d’incastro a seconda del modo di bloccaggio previsto (
chiodatura, spinatura, saldatura o viti e dadi).
Il cesello
è eseguito con bulini e martello fissando il pezzo da cesellare su una
ciotola semicircolare riempita di pece, del peso di alcuni chili, scaldandolo
per farlo aderire perfettamente o per distaccarlo ogni volta che si deve
accedere ad una sua parte.
Da quanto descritto si comprende
quale importanza rivestisse all’epoca la preparazione del modello.