Letteratura

Commento a “Lezioni americane” di I.Calvino: 1.Lightness


Calvino dedica la sua prima lezione americana al valore della leggerezza, contro la «pesantezza, l’inerzia e l’opacità del mondo, qualità che s’attaccano subito alla scrittura,se non si trova il modo di sfuggirle»1.
Mondo Medusa, mondo di pietra è quello a cui Calvino vuol sfuggire. L’allegoria del rapporto poeta/mondo è dipanata da Calvino nel mito di Perseo (Poeta) e Medusa (Mondo).
In una scena del film2 dell’autore americano Paul Schrader sulla vita e la opera di Yukio Mishima il protagonista afferma che il mondo non sa che farsene delle parole, ma che le parole possono cambiare il mondo. Lo scrittore giapponese temeva la decadente corrosività delle parole, tendando di esorcizzarne i fantasmi con la disciplina del corpo. Ma attraverso il decadimento del Mondo attraverso il sangue di Medusa Calvino evoca la nascita di Pegaso, cavallo alato il quale – a sua volta – con un colpo dello zoccolo fa scaturire le Nove Muse dalle pendici del Monte Elicona.
Perseo non si separa mai dalla testa di Medusa (è forse la petrificante Razionalità del Reale?), portandola seco in un sacco ed evitando di guardarla direttamente, come d’altronde aveva fatto per sconfiggerla, grazie all’uso dello specchio. Curiosamente – per tornare a Mishima – la spada (che rappresenta il valore, arete) e specchio (che rappresenta la saggezza, phronesis), oltre alla collana di grani di giada (che rappresenta la benevolenza, eudaimonia) sono i tre simboli della somma potestà imperiale nipponica.
Il poeta (Perseo) rispetta il suo trofeo e quando – nelle Metamorfosi di Ovidio – deve appoggiarla al suolo, per ripulirsi dopo la liberazione di Andromeda, decide di adagiarla sopra un letto di fogliame che tosto, al contatto con la testa anguicrinita, metamorfizza in corallo.
Esistenza ed Essere, Pesantezza e Leggerezza, Ineluttabilità e Insostenibilità, Arte e Vita, Morte e Amore: ecco le coppie suggerite o evocate da Calvino, che presago della rivoluzione informatica, prospetta (o meglio auspica) il futuro dominio della leggerezza del software contro la pesantezza dello hardware.
«Tanto in Lucrezio quanto in Ovidio» – per continuare, affiancando Calvino nel percorrere la mitologia (e la mitopoiesi) classica – «la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza[…] ma in entrambi i casi è una leggerezza che si crea nella scrittura…indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire»3.
Contrapposta alla leggerezza della frivolezza, spesso purtroppo contigua ad una superficiale inconsistenza, Calvino prende in esame – auspicandola quale «simbolo inaugurale del Nuovo Millennio»4. – una leggerezza pensosa del’intellettuale che sa sollevarsi sulla pesante, monotona vitalità del secolo, in realtà appartenente al “regno della morte”.
«Leggera, piana, dritta» al bersaglio amoroso del poeta (qui Guido cavalcanti) ha da andar la ballata, munita di affilati strumenti comunicativi, ma soprattutto insufflata da uno spirito avvicinabile all’eros cosmogonico di Klages o all’amor fati nietzscheano e non certo al ghost in the machine, giacché gli eretici Cavalcanti e Calvino non aderiscono certo a quel che Ryle definisce la “dottrina ufficiale” e loro leggerezza non è mai incorporea, né tantomeno – come già detto in precedenza – inconsistente.
Se di dualismo si può parlare – nell’àmbito della teoria letteraria, però, e non certo in quello della filosofia della mente – lo si riscontra, come nota Calvino, agli inizi della letteratura italiana ed europea nel differente atteggiamento stilistico-narratologico di Guido Cavalcanti e Dante Alighieri. Giocando con il termine inglese lightness nella “luce” delle fisica quantistica novecentesca si potrebbe quasi dire che in Dante la luminosità/leggerezza ha un aspetto “corpuscolare”, mentre in Cavalcanti questa assume caratteristiche “ondulatorie”.
Il locus di un’opera diventa lucus ossia Lichtung (la clarità/leggerezza dell’essere heideggeriana) che non a caso si avvicina – per tornare a cercare parallelismi con letterature e filosofie distanti ma non remote – al concetto giapponese di iki5, “leggiadria illuminante” (alla quale peraltro può essere contrapposto – sempre in un’ottica pseudo-quantistica – il concetto di wabi-sabi, “grave e dimessa bellezza”).
Della stessa sostanza di cui son fatti i sogni siamo, secondo William Shakespeare; per Calvino il tessuto melanconico delle trame shakesperiane (e cervantiane) si lega ad alcuni tratti umoristici, come analizzato nel celebre studio su Saturno e la melanconia6, ma citiamo direttamente Calvino:

Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, cosi lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono.Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l’accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, cosi definisce la melanconia (atto IV, scena I):

… but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.

… è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.

Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose7.

Defilate rispetto al dualismo cartesiano-newtoniano appaiono le figure di Cyrano de Bergerac (che è il cognome, di nome faceva Hector Savinien) – più noto come lead and title character della celebre pièce tardo-romantica di Rostand che come poeta e libero pensatore del libertinismo seicentesco d’oltralpe – e di Jonathan Swift. Più che sentire il “peso” della forza di gravità costoro s’ingegnarono – fantasticamente, certo – a vincerla, macchinando ingegnosi artifici per ascendere alla luna o far librare in aria isole volanti. Anche il volterriano Micromega sfrutta un newtonismo “alleggerito” per caracollare fra mondi lontanissimi mentre il Barone di Muenchausen elaborò trame talmente complicate ma così leggere da evitar persino di doversi raccontare da sé, lasciando a mano anonima – prima della “infame” versione inglese pubblicata da Rudolf Erich Raspe – il peso del racconto dei suoi meravigliosi viaggi.
Tornando alla Luna, la silenziosa Luna, Calvino la vuol lasciar tutta al suo più rarefatto interprete, Giacomo Leopardi autore del miracolo “di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare”, per tentare di dare un senso a quel peso che come mostrò vanamente Carlo Michelstaedter “non può mai esser persuaso”8. Lasciando volutamente cadere quasi tutti i possibili bandoli di questa intricata matassa: quello astrale, quello lucreziano-rinascimentale, quello della metafora “ondulatoria” che attraverso Leibniz porterebbe fino alle più ardite radicalizzazioni del postmodenismo, Calvino decide di concludere la propria disamina della leggerezza nella letteratura intesa come funzione esistenziale, reazione al peso “impersuasibile”. Il Calvino epistemologo della narratività, aduso «a considerare la letteratura come ricerca di conoscenza” per spostarsi sul “terreno esistenziale” non può fare a meno anche di «considerarlo esteso all’antropologia, all’etnologia, alla mitologia»9, ricollegando «la funzione sciamanica e stregonesca…con l’immaginario letterario»10, ma preferisce terminare la redazione della conferenza semplicemente immaginando di cavalcare il secchio del cavaliere kafkiano11, nell’aldilà inesistente delle Montagne di Ghiaccio.

Gianni Rainero.


[1] Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, p. 6
[2] Cfr. Mishima, una vita in quattro capitoli di Paul Schrader, USA 1985 – 121′
[3] Italo Calvino, cit., pp.11-12
[4] Idem, p.13
[5] Cfr. Kuki Shuzo, La struttura dell’iki, a cura di G.Baccini, Milano, Adelphi, 1992 (1a edizione giapponese 1930)
[6] Cfr. R. Klibansky, E. Panofsky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983 (1a edizione inglese 1964)
[7] Italo Calvino, cit., p.21
[8] Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, tesi di laurea completata nel 1908, disponibile online
http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_9/t253.pdf p.8
[9] Italo Calvino, cit., p.28
[10] Idem, p.29
[11] Franz Kafka, Der Kuebelreiter (1921) versione tedesca online: http://gutenberg.spiegel.de/kafka/erzaehlg/kuebel.htm
trad.it. in Franz Kafka, Tutti i romanzi e i racconti, Roma, Newton e Compton, 1991, p.625-626.

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