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lunedì 30 novembre 2009

Il condominio non ha diritto al risarcimento per i processi troppo lunghi

I condomini sono tra i luoghi in cui il tasso di litigiosità è particolarmente elevato, e non stupisce, pertanto, che siano parte di numerosi procedimenti civili, e tra le principali vittime della lentezza dei processi.
Proprio su questo argomento è di recente intervenuta la Cassazione che con sentenza n. 22558 del 22 ottobre 2009 ha escluso la legittimità attiva dell’amministratore, salvo che ricorrano determinate condizioni, chiarendo che il condominio è privo di personalità giuridica in quanto la sua unica funzione è la gestione delle cose comuni, per cui l’amministratore può agire solo in virtù della delibera assembleare, anche nella non totalità, a tutela della gestione delle stesse mentre per quanto concerne i diritti che i condomini vantano unicamente come singoli è necessario uno specifico mandato da parte di tutti condomini. Non vi è dubbio, pertanto, che il diritto all’equo indennizzo per la ragionevole durata del processo non spetti all’ente condominiale che è preposto unicamente alla gestione della cosa comune, in quanto l’eventuale patema d’animo conseguente la pendenza del processo troppo lungo incide unicamente sui condomini che quindi sono titolari uti singoli del risarcimento.

E’ reato lanciare dal balcone oggetti, acqua sporca e rifiuti

Per alcune persone è costume lanciare dal proprio balcone o dalla propria finestra oggetti, acqua sporca e/o rifiuti. Ebbene, uno di questi casi è stato esaminato dai Giudici della Sezione I della Cassazione penale, che con sentenza n. 26145 del 23 giugno 2009 ha stabilito che risponde del reato di cui all'articolo 659 del Codice Penale (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) e di cui all'articolo 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose), colui che con rumori e strepiti disturbi il riposo e le occupazioni degli occupanti l'appartamento sottostante in condominio e getti nel cortile dei vicini vari oggetti, anche pericolosi, acqua sporca e rifiuti, causi rumori fortissimi e molesti provocati in ora notturna dal rotolamento sul pavimento e della collisione di grosse biglie o bocce.

venerdì 27 novembre 2009

Il diritto di sopraelevare: diritto, divieto e riconoscimenti per gli altri condomini

La costruzione di un’ulteriore unità abitativa da parte del condomino dell’ultimo piano di un edificio può essere motivo di attrito all’interno del condominio. Con una nuova sentenza, la Cassazione torna su questa problematica chiarendo alcuni aspetti.
Con sentenza n. 21629, del 12 ottobre 2009, i Giudici della Suprema Corte stabiliscono che
il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano di un edificio condominiale con le limitazioni previste dall'art. 1127 c.c. (condizioni statiche, stabilità) senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all'esercizio di tale diritto possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale di tipo contrattuale (sentenza 6/12/2000 n. 15504), e fatti valere da ciascuno dei condomini sia come tale, sia quale proprietario esclusivo di una porzione dell'edificio (sentenze 3/12/1994 n. 10397; 25/10/1988 n. 5776).
In ipotesi di sopraelevazione di edificio condominiale, i proprietari dei piani (o delle porzioni di piano) risultanti, entrano a far parte del condominio ipso facto e ipso iure e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1117 c.c., acquistano senz'altro un diritto di comunione su tutte le parti di edificio ivi menzionate, ancorchè comprese nei piani preesistenti (sentenza 11/5/1984 n. 2889).
L'indennità prevista dall'art. 1127 c.c., u.c. trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio che, ai sensi dell'art. 1118 c.c., comma 1, è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene (sentenza 16/6/2005 n. 12880).

Animali e condominio: guerra e pace!

Un motivo di litigio molto frequente nei condomini è la contestata presenza di animali domestici.
Per risolvere la prima problematica occorre accertare quanto stabilito dal regolamento di condominio, e ancora prima verificare la natura di quest’ultimo. Infatti, qualora il regolamento fosse contrattuale (adottato con l’accordo di tutti) l’eventuale clausola che vietasse di possedere animali costituirebbe un inadempimento in senso stretto che esporrebbe l’obbligato persino al risarcimento, oltre all’obbligo di allontanamento dell’animale acquistato. In caso di regolamento assembleare (adottato con le maggioranze prescritte dal codice civile) a nessun condomino (compreso colui che abbia manifestato il proprio consenso all’adozione del regolamento violato) potrebbe vietarsi il possesso di animali domestici, poiché una norma che ponesse una limitazione alla proprietà privata richiederebbe una ulteriore manifestazione di volontà, che non potrebbe desumersi da quella manifestata in sede di approvazione del regolamento medesimo (Cass. 04/12/1993, n. 12028).
L’uso dell’ascensore (bene comune) è consentito all’animale salvo che il regolamento, di qualunque natura esso sia, lo vieti. L’assenza dell’eventuale preclusione non esime il proprietario dell’animale dall’evitare che lo stesso ascensore possa sporcarsi o danneggiarsi a causa del suo animale. Resta ferma, in ogni caso, la sua responsabilità, e il correlato obbligo di risarcire l’eventuale danno.

giovedì 26 novembre 2009

L’eccesso di velocità non può essere accertato con la sola percezione del vigile

I Giudici della Suprema Corte hanno di recente affermato un principio di estrema importanza, distinguendo tra ciò che può essere rilevato dal vigile con i suoi sensi, e ciò che richiede necessariamente l’ausilio di determinati strumenti elettronici.
Con la sentenza n. 22891 del 28 ottobre 2009, la Cassazione ha accolto il ricorso di un automobilista multato perche non indossava le cinture di sicurezza e per eccesso di velocità rilevata dai sensi del vigile accertatore.
I Giudici della Cassazione hanno condiviso la sentenza del Giudice di pace che aveva dato conto analiticamente del perché la percezione dell’agente accertatore doveva ritenersi adeguata con riferimento alla accertata marcia senza fari anabbaglianti e senza cinture di sicurezza (verifiche che potevano essere fatte agevolmente e risultavano compatibili con la posizione in cui si trovava l’agente al momento dell’accertamento) e non sufficientemente adeguata quanto all’accertamento del superamento del limite prudenziale di velocità. Il Giudice di pace ha infatti chiarito che, dalla stessa descrizione dell’agente, risultavano carenti elementi oggettivi cui ancorare la valutazione operata, che in definitiva era risultata esclusivamente riferita alla sua percezione soggettiva.

Il turista che non può partire per cause gravi ha diritto al risarcimento

In vista delle prossime vacanze, pare ancora opportuno soffermarsi su alcune pronunce della Cassazione che faranno certamente piacere ai viaggiatori.
Con sentenza numero 26985 del 20 dicembre 2007, la Corte di Cassazione ha stabilito che il turista che, per colpa a lui non addebitabile, non è riuscito a partire a causa di un motivo molto serio, deve essere rimborsato. Se la causa della mancata partenza è la sua morte improvvisa ad essere rimborsata deve essere la sua famiglia. A tale conclusione i giudici della Suprema Corte sono giunti mettendo in rilievo che vi è una differenza tra i motivi futili e motivi cosiddetti serissimi (ricovero ospedaliero, morte) che impediscono la partenza. Infatti, «il venir meno dell’interesse creditorio può essere legittimamente determinato anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, qualora essa si presenti come non imputabile al creditore, nonché oggettivamente incidente sull’interesse che risulta esplicitato nel contratto: una impossibilità tale, cioè, da vanificare o rendere irrealizzabile la finalità turistica».
Devono, invece, ritenersi “non serie” «le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto, quali il desiderio di allontanarsi dalla famiglia o dalla cerchia degli amici, l’esigenza di un distacco dall’ambiente di lavoro, la necessità di riprendersi da un periodo di stress, la ricerca di avventure post-matrimoniali».

mercoledì 25 novembre 2009

Se il volo ritarda più di tre ore, la compagnia aerea deve risarcire

Il periodo delle vacanze natalizie si avvicina, ed è bene che i viaggiatori sappiano che con la sentenza n. C 402/07 e C 432/07 del 19/11/2009, la Corte di Giustizia europea estende i loro diritti riconoscendo il diritto a un indennizzo, che non esclude l’ulteriore risarcimento dei danni, qualora il volo dovesse accumulare tre o più ore di ritardo.
Premettendo che l’indennizzo in esame viene riconosciuto anche nell’ipotesi in cui i passeggeri venissero “dirottati” su un altro volo, poiché tale ipotesi integrerebbe quella di “volo cancellato” espressamente previsto dal Regolamento (CE) n. 261/2004, i Giudici della Corte europea hanno evidenziato che la circostanza che tale regolamento non disciplini espressamente l’eventuale ritardo, deve essere colmata effettuando una interpretazione della disciplina che tenga conto della ragione cui essa è ispirata, e che pertanto deve portare alla sua estensione anche alla fattispecie del ritardo che determina un indennizzo a favore del passeggero da liquidarsi secondo gli stessi criteri previsti per il volo cancellato, ovvero: euro 250 per i voli, intracomunitari o internazionali, inferiori o pari a 1.500 Km; euro 400 per i voli intracomunitari superiori a 1.500 km e per quelli internazionali trai 1.500 e i 3.500 km; euro 600 per i voli internazionali superiori a 3.500 km.

Controversie utenti – operatori telefonici: i tempi tendono a ridursi

Forse non tutti sanno che in caso di contenzioso con l’operatore telefonico è necessario esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Comitato Regionale per le Comunicazioni (Co.Re.Com) territorialmente competente che abbia già firmato la convenzione bilaterale con l'Autorità per l'esercizio delle funzioni delegate.
Ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento di procedura per la soluzione delle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche, il Co.Re.Com territorialmente competente è quello del luogo in cui è ubicata la postazione fissa ad uso dell’utente finale ovvero, negli altri casi, al domicilio indicato al momento della conclusione dl contratto o, in mancanza, la residenza o la sede legale dell’utenza.
Ad oggi i Co.Re.Com che hanno firmato la convenzione bilaterale con l'Autorità e sono pertanto abilitati all'esercizio delle funzioni delegate sono quelli delle regioni di seguito indicate:
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Val d'Aosta, Veneto, Provincia autonoma di Trento e di Bolzano
Gli utenti hanno, altresì, la facoltà di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, e sono tenuti a farlo nel caso in cui il Co.Re.Com. territorialmente competente non rientri tra quelli provvisti di delega, presso, tra l’altro, le Camere di Commercio.
Ebbene, per accelerare tale procedura, con Deliberazione 14/09/2009, n. 479, l’autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (AGCOM) ha disposto che: venga preferito lo scambio di comunicazioni in via telematica o a mezzo telefax; il ricorso alla convocazione delle parti in udienza non sia piu' obbligatorio; in caso di controversie di modico valore, la cui definizione e' delegata al direttore della struttura, sia eliminata la pubblicazione sul bollettino ufficiale dell'Autorita'.
Piccoli cambiamenti che rendono un po’ più celere una delicata e spesso decisiva fase del contenzioso.

martedì 24 novembre 2009

Bar rumoroso? Per farlo chiudere prima è sufficiente l’esposto di una sola famiglia

Il TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, con la sentenza n. 1814 del 2 novembre 2009 ha disposto la legittimità dell’ordinanza che impone la chiusura anticipata di un bar – in attesa dell’adozione delle misure idonee a riportare la rumorosità nei limiti di legge – la cui attività sia fonte dell’inquinamento acustico, poichè “il superamento dei limiti di legge, in materia di inquinamento acustico, implica automaticamente la sussistenza di una situazione di rischio per la salute pubblica che i soggetti preposti al controllo sono tenuti a rimuovere attraverso l’unico mezzo a disposizione rappresentato, per l’appunto, dall’ordinanza ai sensi dell’art. 9 della legge 447/95. La motivazione espressa per relationem al verbale dei rilievi fonometrici operati dall’USL appare, quindi, del tutto sufficiente ad integrare il rispetto dell’obbligo di legge […] sono numerose le pronunce in cui si mette in luce come l'art. 9 della legge 447/1995 (ordinanza sindacale) rappresenti per così dire l'ordinario rimedio in materia di inquinamento acustico, non prevedendo la citata legge altri strumenti a disposizione delle Amministrazioni comunali (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 8.6.2006, n. 3340 e sez. I, 24.1.2006, n. 488, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27.12.2007, n. 6819)”.

Il venditore del pacchetto turistico è responsabile dei danni subiti dal viaggiatore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24044 del 2009 del 13/11/2009, si è nuovamente pronunciata sulla responsabilità del tour operator in caso di danni subiti dal viaggiatore stabilendo che l’organizzatore o venditore di un pacchetto turistico, secondo quanto stabilito nell'art. 14 del d.lgs. n. 111 del 1995, emanato in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE ed applicabile ai rapporti sorti anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), è tenuto a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore, a causa della fruizione del pacchetto turistico, anche quando la responsabilità sia ascrivibile esclusivamente ad altri prestatori di servizi (come il vettore, ad esempio), salvo il diritto a rivalersi nei confronti di questi ultimi (nello stesso senso anche Cass. n. 5531/2008).
Con la stessa pronuncia la Suprema Corte ha condiviso la tesi sostenuta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26972 del 2008, ribadendo che il danno non patrimoniale è risarcibile quando deriva da un fatto illecito, ma anche quando trae origine da un inadempimento contrattuale, poiché costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento d’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, dalla quale consegua un pregiudizio insuscettibile di valutazione economica, senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.

lunedì 23 novembre 2009

Cassonetto in mezzo alla strada? Il Comune risarcisce i danni subiti dagli utenti della strada

Capita sovente di incappare con il proprio mezzo in un cassonetto dei rifiuti che intralcia la circolazione stradale.
Ebbene, con sentenza n. 16374 del 14 luglio 2009, la Cassazione ha ritenuto responsabile il Comune per i danni subiti da un centauro che si era scontrato contro un cassonetto mal collocato su un tratto di strada di pertinenza comunale.
Respingendo l’eccezione di incompetenza - sollevata dal Comune - sulla strada interessata, con l’argomentazione che i tratti interni di strade provinciali (così come per quelle statali o regionali) che passano all’interno del centro abitato sono di proprietà del Comune quando la popolazione di quest’ultimo supera i diecimila abitanti, la Cassazione ha ritenuto sussistente la responsabilità extracontrattuale a norma dell’art. 2043, c. c., poiché il Cds impone all’ente titolare dell’infrastruttura di vigilare anche sulle pertinenze della sede stradale e su attrezzature, impianti e servizi; aggiungendo che il cassonetto dei rifiuti in mezzo alla strada è un pericolo che tuttavia può facilmente essere eliminato con un intervento immediato.

Se viaggia in due sul ciclomotore, il conducente è corresponsabile dell’incidente

Con la sentenza n. 22662, del 9 settembre 2008, la Corte di Cassazione ha ritenuto corresponsabile il conducente di un motorino - sul quale viaggiavano due persone – investito da un’automobile che non rispettava la precedenza, sul presupposto che «sembra innegabile il fatto che il trasporto di un passeggero sul ciclomotore comporti necessariamente una maggiore instabilità del veicolo sia in relazione alla tenuta di marcia che con riferimento all'eventuale necessità di eseguire una manovra di emergenza, con conseguente maggiore esposizione alle conseguenze negative di un impatto violento con altro veicolo».
Sulla base di questa sentenza, è facile prevedere che in caso di sinistro che veda coinvolti un automobilista e un centauro, spetterà comunque ai giudici stabilire chi tra i due abbia ragione, sebbene il primo infranga un precetto del codice della strada, e il secondo viaggi con un’altra persona.

venerdì 20 novembre 2009

La banca risponde anche del danno causato dal promotore

Con sentenza n. 13529 dell’11 giugno 2009, la terza sezione della Cassazione ha ribadito un principio di estrema importanza, soprattutto in un momento particolarmente delicato come quello in corso, durante il quale i listini delle borse internazionali hanno mostrato una estrema volatilità.
Secondo i Supremi Giudici, infatti, «la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale, richiede - ai fini della sussistenza della responsabilità di detta società, un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze affidate e fatto del promotore, rapporto che, peraltro, è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio.
Nonostante la “colpa del cliente” che all'atto della richiesta di disinvestimento delle somme di sua pertinenza chiede che le somme medesime vengano contestualmente versate sul conto personale del promotore, resta il fatto che l’intermediario si era sottratto alle rigorose regole concernenti le modalità di affidamento all'intermediario dei capitali da investire, espressamente indicate nelle proposte di sottoscrizione di valori mobiliari, così violando i più elementari oneri di cooperazione nel compimento dell'attività di investimento tramite intermediazione (e così inevitabilmente concorrendo nel cagionare il danno poi lamentato), attesane, oltretutto, la (indiscussa) qualità di soggetto perfettamente a conoscenza (per personale e pluriennale esperienza) del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento delle incombenze di cui è investito».

L’A.S.L. è responsabile delle aggressioni dei cani randagi

Qualora le Regioni affidino la lotta al randagismo alle A.S.L., queste, e non il Comune, sono obbligate a risarcire i danni provocati dalle aggressioni dei cani randagi.
Infatti, sul presupposto che le A.S.L. costituiscono strutture dipendenti dalla regione, e strumentali per l’erogazione di servizi sanitari di competenza regionale, con sentenza n. 8137 del 3 aprile 2009, i giudici della Cassazione hanno stabilito che «per omessa vigilanza sui cani randagi, la legittimazione passiva spetta all’azienda sanitaria locale, succeduta alla Usl, e non al Comune, sul quale, perciò, non può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti dal suddetto evento».

giovedì 19 novembre 2009

Voli annullati: decide il giudice del luogo di partenza o arrivo

In materie di controversie nascenti dall’inadempimento di obbligazioni contrattuali aventi per oggetto il trasporto aereo internazionale, con sentenza n. C. 204/08 depositata il 9 luglio 2009, la Corte europea di Giustizia ha stabilito che il giudice competente è quello del luogo di partenza o di arrivo, in caso di volo effettuato tramite un unico vettore, a scelta di chi adisce l’autorità Giudiziaria.
I giudici “europei” hanno motivato detta decisione chiarendo che a norma del regolamento n. 44/2001, art. 5, punto 1, lett. b), che disciplina il contratto di compravendita di beni, il collegamento più stretto tra il contratto in causa e il giudice competente - in caso di pluralità dei luoghi di fornitura dei servizi in diversi Stati membri - avviene nel luogo in cui vi è la fornitura principale dei servizi. Nel caso del trasporto aereo detti servizi, quali l’identificazione del passeggero, l’imbarco, lo sbarco, la consegna dei bagagli, avviene sia nel luogo di partenza che in quello d’arrivo.
Alla luce di quanto sopradetto in caso di trasporto aereo di persone da uno Stato membro all’altro, effettuato sul fondamento di un contratto concluso con un’unica compagnia aerea che è il vettore operativo, il tribunale competente a conoscere di una richiesta di compensazione pecuniaria basata su tale contratto di trasporto e sul regolamento n. 261/2004 è quello, a scelta dell’attore, nella cui circoscrizione si trovano il luogo di partenza o il luogo di arrivo dell’aereo quali indicati in detto contratto.

Se il fisco sbaglia paga i danni

Con sentenza n. 4622 del 26 febbraio 2009, la Cassazione ha stabilito un principio che determina la rivincita del contribuente nei confronti del fisco, stabilendo che il primo – oltre ad impugnare gli atti errati dell’ufficio delle imposte - può adire l’Autorità giudiziaria ordinaria per chiedere il risarcimento dei danni subiti per aver chiesto la consulenza di un professionista circa gli effetti dell’atto poi dichiarato innocuo dall’amministrazione finanziaria, poiché l’ufficio delle imposte non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo. Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi perché si astato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente.

Il gestore dei parcheggi risponde dei danni subiti dalla macchina

Il gestore del parcheggio incustodito è responsabile dei danni subiti dalla macchina ad esso affidata, anche se espone il cartello con il quale avvisa gli utenti di non rispondere di eventuali furti o danneggiamenti.
Con la sentenza n. 1957 del 27 gennaio 2009, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha condannato l’azienda trasporti di Milano a risarcire il danno subito da un automobilista a causa del furto della propria autovettura avvenuto in un parcheggio a pagamento gestito dalla medesima società.
Secondo i Supremi Giudici, infatti, il contratto che si stipula con il gestore del parcheggio è assimilabile a quello di deposito che pone a carico del concessionario l’onere di custodire il bene nel momento in cui dall’automobilista incassa la tariffa stabilita, anche mediante l’introduzione di moneta nell’apposito meccanismo, in quanto il dovere di custodia può essere surrogato da «sistemi complementari automatizzati per la procedura di ingresso e di uscita dei veicoli attraverso l’uso di schede o biglietti magnetici».

mercoledì 18 novembre 2009

TV a pagamento, telefonia e internet: disdetta in 30 giorni e senza oneri impropri

Con la legge n. 40/2007 (cosiddetto decreto “Bersani-bis”), i contratti di telefonia, pay tv e internet possono essere oggetto di recesso con un preavviso di 30 giorni, senza sopportare alcun onere che non sia il semplice rimborso delle spese sostenuto dalla società fornitrice del servizio per il definitivo distacco o il semplice passaggio a un altro operatore.
Nell’esplicitare i suddetti principi, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera n. 484/08/Cons, ha ribadito che l'esercizio di recesso non deve in alcun modo essere gravato da oneri impropri, definendo “pertinenti" solo quei costi che risultino basati su valutazioni oggettive e imparziali e calcolati secondo rigidi criteri di causalità e strumentalità, mentre con le delibere n. 96/07/Cons e la n. 126/07/Cons, ha fissato in via regolamentare le modalità di attuazione dei principi di trasparenza e corretta informazione delle condizioni contrattuali riservate agli utenti.

Per gli infortuni sul lavoro è responsabile anche il subappaltatore

Sebbene il committente abbia nominato un responsabile della sicurezza, con il compito di coordinare tutte le imprese che operano nel cantiere, il subappaltatore resta responsabile della sicurezza dei propri operai, in quanto tale nomina non esonera il datore di lavoro dal controllare l'adozione delle misure di sicurezza, come si evince dall'art. 9, lettere a) e b), D.Lgs. n. 494/1996 (adesso art. 96, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008), ciò perché il datore di lavoro è il soggetto in via primaria onerato degli obblighi di prevenzione e di sicurezza, a cui si aggiunge, senza alcuna estromissione, la responsabilità del committente […] in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, all'obbligo della osservanza delle norme di legge sono tenuti tutti coloro che esercitano tali lavori, quindi anche il subappaltatore, che ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, ancorché la sua attività si svolga concomitantemente ad altra, prestata da altri soggetti, né egli può esimersi da responsabilità facendo affidamento sull'opera preventiva di questi ultimi”. Nella materia di cui ci si occupa e nella quella sono in gioco valori primari come la vita e l'integrità fisica dei lavoratori, il principio d'affidamento va contemperato con il principio di salvaguardia degli interessi del lavoratore ‘garantito’ dal rispetto della normativa antinfortunistica”.
Se ne deduce che “il datore di lavoro, garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare i rischi ed a prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui”, e che, “in ragione dei ricordati principi, il subappaltatore non perde la sua posizione di garanzia, anche se nel cantiere ove si trovi a lavorare sia operante l'appaltatore ed un rappresentante del committente”.

Ostacolo sull’autostrada. L’onere della prova è a carico del concessionario

Un rischio che si può correre, e che talvolta si concretizza, è quello di colpire un ostacolo che inspiegabilmente si trova in mezzo alla carreggiata di un’autostrada, arrecando notevoli danni al mezzo sul quale si viaggia.
Su questa fattispecie, con sentenza n. 10689 del 24 aprile 2008, si è pronunciata la Corte di Cassazione, mettendo in evidenza che «nelle autostrade con pedaggio, il rapporto che si instaura fra l’ente proprietario o concessionario e l’utente ha natura contrattuale, sicché la presenza di un ostacolo sulla carreggiata va configurato come inadempimento (di garantire la sicurezza) la cui non imputabilità va provata dall’obbligato (il concessionario che fornisce il servizio) ex art. 1218 c.c.. La stessa Corte ha ulteriormente chiarito che alla medesima conclusione si perverrebbe ove il titolo dedotto fosse extracontrattuale, in quanto troverebbe applicazione l’art. 2051 c.c., attesa la possibilità della vigilanza da parte dell’ente proprietario o del soggetto concessionario dell’autostrada».
Adesso gli automobilisti hanno un’arma in più contro i concessionari delle autostrade.

Il Comune che interrompe l’erogazione dell’acqua paga i danni

Con sentenza n. 3539 del 14 febbraio 2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno esplicitato un principio di estrema importanza, disponendo che l’ente locale è tenuto al risarcimento dei danni quando, nonostante il pagamento del consumo, ha interrotto il servizio. Il privato, a cui si riferisce l’utenza, è titolare di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo che lo legittima a richiedere il risarcimento del danno al giudice ordinario, e non a quello amministrativo, poiché tale materia non rientrano nell’elenco delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo (art. 33, D.lgs. n. 80/2008), in quanto «il rapporto che si instaura tra il comune ed il privato, relativamente all’erogazione dell’acqua potabile, è di natura privatistica».

Anche se la madre è casalinga, al padre spetta il riposo

Con la discussa circolare n. 112/2009, l’Inps subordinava i riposi giornalieri del padre, soprannominati per allattamento, a un complesso di limiti (come ad es. quali accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi) ed oneri anche documentali, sebbene non esistesse norma alcuna che lasciasse spazio a siffatta interpretazione.
A chiarire meglio i termini del problema ci ha pensato il Consiglio di Stato, mettendo in evidenza che l’art. 40, lettera c) del D.Lgs. n. 151/2001 (che disciplina il riposo in esame) è quella di beneficiare il padre dei permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato.
A tacer d’altro, appare singolare che lo stesso I.N.P.S., con circolare n. 109/2000, nel pieno rispetto della ratio chiarita dal Consiglio di Stato, non richiedeva alcuna documentazione alle madri che svolgevano un lavoro autonomo o dipendente.
Per evitare un’evidente disparità, si ripete, non supportata da alcuna norma, , con circolare n. 112/2009, il Ministero del Lavoro ha modificato la suindicata circolare dell’I.N.P.S., dando una lettura dell’art. 40 lettera c) del D.Lgs. n. 151/2001, che si colloca nello stesso solco della citata sentenza del Consiglio di Stato.

Se l’automobile della polizia è priva di insegna, la multa è annullabile

Con il parere n. 75730, il Ministero dei Trasporti ha fatto sapere che le multe elevate con l’autovelox collocato sull’automobile della polizia priva dell’apposito cartello richiesto dalla legge sono annullabili anche se la postazione è stata segnalata, in quanto tale condotta può essere ritenuta illegittima in sede di ricorso perché limiterebbe la piena visibilità della postazione di controllo richiesta dalla legge n. 160/2007.
Con il parere n. 75753, invece, lo stesso Ministero, in materia di autorizzazione prefettizia in caso di utilizzo dell’autovelox in alcune strade senza l’intervento degli operatori, precisa che in virtù dell’art. 4 del d.l. n. 121/2002, convertito con modificazioni, dalla l. n. 168/2002, il prefetto conserva la competenza per l'individuazione dei tratti di strada sui quali, utilizzando apposite apparecchiature, si può procedere ad accertamenti senza l’obbligo di contestazione immediata. Tale autorizzazione non è necessaria per i normali controlli con il fermo dei veicoli, svolti direttamente dalla polizia stradale, su qualsiasi tipo di strada.
Ne consegue l’illegittimità delle multe rilevate dai sistemi automatici senza l’assistenza degli operatori nelle strade non individuate da apposito provvedimento prefettizio.

martedì 17 novembre 2009

Vendite a distanza: il consumatore non può essere costretto a pagare un’indennità di uso.

Gli acquisti a distanza, in passato con le televendite oggi con internet, sono all’ordine del giorno, e per questo è bene che il consumatore venga a conoscenza di un’importante decisione della Corte di Giustizia europea, che si è pronunciata sulla legittimità della clausola che pone a carico dell’acquirente un’indennità per l’uso del bene, qualora venga esercitato il diritto di recesso.
Con la sentenza n. C-489/2007 depositata il 3 settembre 2009, infatti, i giudici della Corte europea hanno inteso aumentare la tutela a favore dei consumatori nei contratti a distanza, chiarendo che il diritto di recesso «è stato previsto proprio per consentire al consumatore di meditare sull’acquisto e di ripensarci, dopo averlo ricevuto, senza alcun onere. Di conseguenza, proprio per garantire che il recesso non abbia un mero carattere formale la direttiva si limita a prevedere che al consumatore vengano addossate le sole spese di spedizione relative alla restituzione della merce. Questo perché chi acquista a distanza si trova in una situazione di svantaggio in quanto non può visionare la merce e quindi il diritto di recesso deve essere garantito nel modo più ampio possibile, senza oneri economici che ne compromettano la funzionalità e l’effettività».
L’unico caso in cui è ammissibile che al consumatore sia addossata un’indennità, si verifica qualora l’uso del bene sia fatto in violazione dei criteri di buona fede, correttezza e arricchimento senza causa, sempreché la stessa indennità non sia sproporzionata.

Gli eredi accedono gratuitamente al conto corrente del defunto

L’art. 119 del Testo Unico Bancario prevede che «il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni».
Qualora gli eredi dovessero presentare una richiesta di accesso a norma dell’art 7 del codice della privacy, la Banca non ha l'obbligo di esibire copia di ogni documento contenente i dati personali dell'interessato, in quanto l’art. 10 del Codice della privacy prevede, per garantire l’effettivo esercizio dei diritti di cui all’art. 7, che il titolare del trattamento (la Banca) adotti misure idonee ad agevolare l'accesso ai dati personali da parte dell'interessato, anche attraverso l'impiego di appositi programmi per elaboratore finalizzati ad un'accurata selezione dei dati che riguardano singoli interessati identificati o identificabili. La Banca, pertanto, dovrebbe fornire copia degli estratti conto e dei documenti contabili ai familiari del defunto imputando i costi dell’operazione ai richiedenti.
Con decisione n. 1541439, il Garante della privacy ha ricordato che i parenti del familiare defunto sono legittimati a esercitare gratuitamente e senza l’applicazione delle commissioni bancarie il diritto di accesso ai dati personali dello stesso ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del Codice della privacy che prevede che «i diritti di cui all’articolo 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione».

L’avviso di multa lasciato dal vigile sul parabrezza non ha valore

Con il parere n. 24605/2008, il Ministero dei trasporti ha precisato che la contestazione non immediata dell’infrazione è ammessa dal Codice della Strada nell’ipotesi in cui l’accertamento avvenga in assenza del trasgressore e del proprietario del veicolo e che la notifica del verbale deve comunque avvenire secondo le modalità disciplinate dall’art. 385 del Regolamento.
Ne consegue che l'avviso di infrazione lasciato dal vigile sul cruscotto dell’auto in divieto di sosta, in quanto procedura informale, non contemplata dal Codice e dal connesso Regolamento, non produce alcun effetto e non può essere nemmeno oggetto di ricorso nell’ipotesi di difformità con il successivo verbale, per cui non rileva la eventuale difformità delle contestazioni contenute nel verbale, rispetto a quelle contenute nell'avviso di infrazione, in quanto il ricorso non può che essere opposto nei confronti delle risultanze del verbale, che deve necessariamente essere notificato con le modalità di rito.

lunedì 16 novembre 2009

I fabbricati rurali non sono soggetti all’I.C.I..

L’assoggettabilità dei fabbricati rurali al pagamento deIl’I.C.I. è stata motivo di parecchie controversie tra contribuenti e Comuni, decise dalla Cassazione con sentenze non sempre univoche a causa dell’assenza di una norma che espressamente li esentasse. La presunta esclusione, infatti, era frutto di un’interpretazione non supportata esplicitamente dalla lettera della legge. La Suprema Corte è di recente tornata su questo argomento, alla luce di una nuova legge, l’art. 23, comma I bis, D.L. n. 207/2008,convertito con modificazioni dalla L. N. 14/2009, che a detta dei giudici della stessa Cassazione opererebbe un’interpretazione autentica delle norme che regolamentano la materia, sancendo che l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale (cat. A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta ai sensi della citata legge, che ha efficacia retroattiva. L’attribuzione dell’immobile a una diversa categoria deve essere impugnata dal contribuente che pretenda la non soggezione dell’immobile all’imposta, essendone altrimenti assoggettato. Per gli immobili non iscritti al catasto l’esenzione è subordinata all’accertamento dei requisiti richiesti per l’iscrizione nella categoria della ruralità del fabbricato, che può essere condotto dal giudice tributario investito dalla domanda di rimborso.

Quando i beni acquistati dal coniuge cadono in comunione legale dei beni

Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni che determina la comproprietà tra i coniugi di tutti i beni da essi acquistati singolarmente o insieme, salvo le eccezioni previste dalla legge (artt.177 e 179 c.c.).
Le obbligazioni contratte da entrambi i coniugi per effetto dell’ordinaria e/o straordinaria amministrazione gravano sui beni della comunione e, in via sussidiaria, su quelli personali di ciascuno dei coniugi nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti (art. 190, c.c.).
Relativamente alle obbligazioni contratte da un solo coniuge si pone la necessità di distinguere tra amministrazione ordinaria e straordinaria, con la precisazione che, sebbene per entrambe valga il principio suesposto, in caso di atti di amministrazione straordinaria compiuti da uno dei due coniugi, l’altro ha il potere di chiedere o l’annullamento dell’atto stesso entro un anno dal suo compimento, o il ripristino della comunione nello stato in cui si trovava prima che l’atto fosse compiuto.
Ne consegue che se un coniuge da solo acquista un bene di consumo come un qualunque elettrodomestico, questo cade in comunione e il relativo prezzo deve essere pagato da entrambi i coniugi poiché l’obbligazione grava sulla comunione legale e solo in via sussidiaria, sui beni personali di ciascun di essi nei limiti di cui al citato art.190 c.c.(Cass. 7/7/1995 n.7501; Cass. 8/1/1998, n. 87).

sabato 14 novembre 2009

Spese dell’amministratore non preventivamente autorizzate dall’assemblea condominiale

In via generale l’amministratore del condominio che sopporti oneri per l’esecuzione di lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione deve essere previamente autorizzato dall’assemblea condominiale, salvo che si tratti di lavori urgenti, che non ammettano dilazione nel tempo. Su questa problematica è intervenuta una nuova sentenza della Cassazione la quale ha chiarito che l'assemblea può riconoscere vantaggiosa l'opera e la relativa spesa decisa dall’amministratore senza la sua preventiva autorizzazione, ancorché non indifferibile ed urgente, e approvarla purché oggettivamente utile per il condominio e non voluttuaria né gravosa, restando la preventiva formale deliberazione di esecuzione dell'opera utilmente surrogata dall'approvazione del consuntivo della stessa e dalla conseguente ripartizione del relativo importo tra i condomini (Cass., n. 18192/2009).

venerdì 13 novembre 2009

Vendita dell’immobile e pagamento della rata condominiale

Un motivo di dissidio molto frequente nella prassi, è chi debba pagare le rate del condominio relative a spese già deliberate dall’assemblea condominiale in caso di vendita dell’immobile. Una recente sentenza della Cassazione è tornata sulla problematica ribadendo ancora una volta quanto sostenuto anche in tempi molti recenti (Cass., n. 23345/08), chiarendo ancora una volta che perfezionatosi il trasferimento della proprietà dell'immobile, l'alienante perde la qualità di condomino e poiché l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali è collegato al rapporto di natura reale che lega l'obbligato alla proprietà dell'immobile, alla perdita di quella qualità consegue che non possa essere chiesto né emesso nei suoi confronti il decreto ingiuntivo (Cass. n. 23686/2009).
Tale nuovo arresto giurisprudenziale, tuttavia, merita alcuni chiarimenti. La fattispecie concreta cui si riferisce la sentenza citata si caratterizzava per il fatto che il contratto di compravendita era stato perfezionato in data 27/05/2002 e trascritto due giorni dopo, mentre la delibera condominiale che approvava le spese per le quali era stato emesso il decreto ingiuntivo era stata adottata il giorno successivo alla vendita, ovvero il 28/05/2002, cioè dopo che l’acquirente dell’appartamento era divenuto “condomino” di quel determinato edificio.
Questo particolare è di estrema rilevanza, e differenzia l’ipotesi in cui il subentro del nuovo condomino avvenga dopo la delibera assembleare e prima che le rate siano pagate dal venditore dell’immobile. In quest’ultima ipotesi, infatti, trova applicazione l’art. 63, disp. att., c. c., il quale statuisce che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Ausiliari del traffico e legittimità delle multe da essi rilevate

Al di là delle ragioni che hanno spinto la loro introduzione sulle strade italiane, gli ”ausiliari del traffico” oggi sono una realtà con la quale bisogna fare i conti, e pertanto appare opportuno comprendere le condizioni che rendono legittime le multe da essi elevate agli automobilisti. Anche questa, infatti, rappresenta una vexata questio che ha coinvolto con sempre maggiore frequenza i giudici della Suprema Corte, i quali si sono persino pronunciati a Sezioni Unite il 9 marzo 2009, stabilendo che le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalità delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle società concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell’area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu).
Sull’argomento la Cassazione è tornata con la sentenza n. 22676, emessa il 27 ottobre 2009, ribadendo che i c.d. vigilini (gli ausiliari del traffico) possono sanzionare gli automobilisti “indisciplinati” che parcheggiano in divieto di sosta le proprie autovetture nelle strade pubbliche, anche fuori dalle famigerate “strisce blu”, solo se dipendenti comunali. I limiti di competenza sono valide solamente per coloro che si trovano alle dipendenze delle società concessionarie, i quali possono rilevare le infrazioni esclusivamente nelle zone blu e in quelle limitrofe di stretta pertinenza (che impediscono il parcheggio nella zona blu impedendo la riscossione del relativo ticket), e per gli ispettori del trasporto pubblico legittimati a rilevare multe nelle corsie preferenziali dei mezzi pubblici.

giovedì 12 novembre 2009

Processo troppo lungo? Risarcimento in quattro mesi!

Com’è noto, il male per definizione della giustizia italiana è la lunghezza dei processi! Forse non tutti sanno che grazie alla L. 24 marzo 2001, n. 89 (Legge Pinto), per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’eccessiva lunghezza del processo non è più necessario rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea con sede in Strasburgo, ma è sufficiente presentare un ricorso presso la Corte d’Appello, la quale entro quattro mesi emette un decreto provvisoriamente esecutivo e ricorribile in Cassazione.
Appare opportuno mettere subito in rilievo che il danno (non patrimoniale) in esame non deve essere provato, in quanto esso è conseguenza normale – anche se non automatica - della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, sicché, pur dovendo escludersi l’automaticità è necessariamente insito nell’accertamento della violazione, per cui il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenerlo sussistente, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cassazione Sezioni Unite, n. 1338/2004; Cass. n.402/2009)
La condizione per ottenere il risarcimento suddetto è la violazione della ragionevole durata dei processi (art. 2, comma I, L n. 89/2001), da valutare in relazione alla complessita' del caso, e, in funzione di quest’ultima, del comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonche' quello di ogni altra autorita' chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione (art. 2, comma II, L. n. 89/2001).
Poiché la legge non indica termini, anche i giudici italiani hanno fatto proprio il sistema adottato dalla Corte europea che considera ragionevole un processo il cui primo grado duri tre anni, il secondo due, e quello di legittimità (Cassazione) tre.
Se il processo nel suo complesso, o un singolo grado di esso, dovesse superare i suddetti limiti, entrambe le parti (attore e convenuto) sono legittimate a chiedere e ottenere il risarcimento danni, con buona pace del lento sistema giudiziario italiano!

mercoledì 11 novembre 2009

Photored: La multa è legittima in presenza di un vigile o con lo scatto di almeno due foto

Come molti sapranno il Photored è un dispositivo collocato in prossimità dei semafori in grado di rilevare automaticamente il passaggio con il rosso. Quasi tutti gli automobilisti si saranno chiesti se v'è il rischio che venga rilevata un'infrazione qualora si superi il semaforo con il verde e al momento dell’accensione del rosso si dovesse restare imbottigliati nel traffico. Sull’argomento è intervenuta un’interessante sentenza della Cassazione che ha sostenuto la necessità della immediata contestazione dell’infrazione, e dunque la presenza del vigile, qualora il dispositivo dovesse scattare una solo foto, facendo permanere, così, lo stato d’incertezza sull’effettivo passaggio con il semaforo rosso. Incertezza che verrebbe meno solo se tale circostanza fosse accertata con una doppia foto che verifichi la posizione del veicolo sia con il verde che con il rosso, o con la presenza di un vigile che soprintenda tutte le suddette fasi (Cass. Sentenza n. 7388/2009).

Condizione per la risoluzione del contratto di vendita in caso di bene difettoso o privo delle qualità promesse

Un’ipotesi particolarmente frequente nel commercio, è l’acquisto di beni affetti da vizi o privi delle qualità promesse dal venditore. In entrambi i casi è possibile esperire l’azione di risoluzione del contratto, ma in presenza di condizioni diverse. Come ha ulteriormente chiarito la Cassazione con una recente sentenza, per l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di compravendita per i vizi delle cose che di esso formano oggetto non è richiesta dall'art. 1492 c.c. la colpa dell'alienante, la cui sussistenza è, invece, necessaria per promuovere l'azione risolutoria per difetto delle qualità promesse, in quanto l'art. 1497 c.c., che disciplina quest'ultima, richiama, a differenza dell'altra norma, le disposizioni generali dell'istituto della risoluzione per inadempimento, il quale è fondato sulla colpa, per promuovere l'azione risarcitoria, nella quale l'art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore, ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi (Cassazione civile , sez. II, 18 maggio 2009, n. 11423).
L’assenza delle qualità pattuite per l'uso al quale la stessa era destinata, poiché, a differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente (Cassazione civile , sez. II, 24 maggio 2005, n. 10922)

martedì 10 novembre 2009

Approvazione tabelle millesimali e legittimazione passiva dell'amministratore in caso d'impugnazione: La parola alle Sezioni Unite della Cassazione

Per lungo tempo la S.C. ha ritenuto che l'approvazione o la revisione delle tabelle millesimali non rientra nella competenza dell'assemblea, ma costituisce oggetto di un negozio di accertamento, il quale richiede il consenso di tutti i condomini; ove tale consenso unanime manchi, alla formazione delle tabelle provvede il giudice su istanza degli interessati, in contraddittorio con tutti i condomini (cfr. in tal senso: sent. 5 giugno 2008 n. 14951; 19 ottobre 1988 n. 5686; 17 ottobre 1980 n. 5593; 18 aprile 1978 n. 1846; 8 novembre 1977 n. 4774; 6 marzo 1967 n. 520).
A sostegno di tale tesi si rileva che la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e la loro espressione in millesimi è regolata direttamente dalla legge, per cui non rientra nella competenza dell'assemblea, o che l'atto di approvazione delle tabelle millesimali,deve essere inquadrato nella categoria dei negozi di accertamento, con conseguente necessità del consenso di tutti i condomini (sent. 8 luglio 1964 n. 1801).
La delibera con la quale si approva la tabella millesimale senza il consenso anche di uno solo dei condomini, secondo parte della giurisprudenza e affetta da nullità assoluta senza limitazione di tempo (sent. 9 agosto 1996 n. 7359); secondo altra giurisprudenza configurerebbe una ipotesi di nullità relativa, in quanto non opponibile dai condomini consenzienti, e non obbligherebbero i dissenzienti e gli assenti, i quali potrebbero dedurne la inefficacia secondo i principi generali, senza essere tenuti all'osservanza del termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c. (sent. 6 marzo 1967, cit.; 23 dicembre 1967 n. 3012; 6 maggio 1968 n. 1385; 6 marzo 1970 n. 561; 14 dicembre 1974 n. 4274).
Strettamente connesso a questa problematica, è l'ulteriore contrasto giurisprudenziale in materia di legittimazione passiva dell'amministratore o dei singoli condomini (orientamento prevalente: sent. 10 maggio 1992 n. 4405; 8 aprile 1983 n. 2499; 18 aprile 1978 n. 1846; 21 marzo 1977 n. 1084) in caso di domanda giudiziale di un condomino volta all'accertamento della invalidità o inefficacia della tabella millesimale.
Un ulteriore autorevole indirizzo giurisprudenziale è prossimo, e probabilmente porrà un fondamentale punto fermo.

Annullabilità della delibera che statuisce sui criteri di ripartizione delle spese condominiali

Cass. Civ. , Sez. II, sentenza del 14 gennaio 2009, n. 747


In materia di condominio degli edifici ed in ordine alla ripartizione delle spese comuni, le attribuzioni dell'assemblea, ai sensi dell'art. 1135 c.c., n. 2, sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe, venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca, per cui la deliberazione assembleare che modifichi detti criteri e' inefficace nei confronti del condomino dissenziente per nullità radicale deducibile senza limitazioni di tempo e non meramente annullabile con impugnazione da proporsi nel termine di cui all'art. 1137, c.c..
Tale orientamento giurisprudenziale è stato parzialmente rimodellato da una recente sentenza del Supremo Collegio, il quale ha deciso che esso trova applicazione solo nel caso in cui l'assemblea consapevolmente modifichi i criteri di ripartizione delle spese stabiliti dalla legge; al di fuori di questa ipotesi, invece, le deliberazioni relative alla ripartizione delle spese sono semplicemente annullabili a norma dell'art. 1137, c.c..

Se l'autovelox non è segnalato, la sanzione cagionata è nulla.

L'art 4 d.l. n. 121/2002 convertito in legge n. 168/2002, dispone che: "Sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all'articolo 2,comma 2, lettere A e B, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico, di cui viene data informazione agli automobilisti, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142 e 148 dello stesso decreto legislativo, e successive modificazioni".
Con sentenza n. 7419/200, la Cassazione ha chiarito che l'obbligo di informazione ivi previsto non può avere efficacia soltanto nell'ambito dei rapporti organizzativi interni alla p.a. (cfr in tal senso Cass. n. 12833/2007), ma è finalizzato a portare gli automobilisti a conoscenza della presenza dei dispositivi di controllo, onde orientarne la condotta di guida e preavvertirli del possibile accertamento di violazioni con metodiche elettroniche. Si tratta dunque di norma di garanzia per l'automobilista, la cui violazione non è priva di effetto, ma cagiona la nullità della sanzione!

Sulla tassa dei rifiuti non è possibile applicare l’I.V.A..

Recentemente la Corte Costituzionale si è pronunciata su una questione particolarmente delicata per i bilanci pubblici, ma anche per l’economia dei contribuenti, ritenendo che la “T.I.A.” (Tassa Igiene Ambientale) è una variante della T.A.R.S.U., e come tale essa è un tributo del quale presenta tutti i caratteri quali: l’obbligatorietà, l’assenza del rapporto sinallagmatico (di reciprocità), collegamento della prestazione pubblica offerta a un presupposto economico rilevante. Per effetto di tale decisione che sopisce il dibattito che sull’argomento era sorto, anche sulla “T.I.A.”, come sulla “T.A.R.S.U.”, non è possibile applicare l’I.V.A., poiché ciò determinerebbe l’applicazione di una tassa su un’altra tassa, sì da determinare una imposizione illegittima (n.238 del 24 luglio 2009).
Alla luce di questa fondamentale pronuncia della Consulta, gli enti pubblici e le aziende che gestiscono il servizio di raccolta dei rifiuti devono prestare particolare attenzione per non scivolare in tale illegittima condotta, che determinerebbe un numero particolarmente elevato di ricorsi.

lunedì 9 novembre 2009

Mancata indicazione degli estremi dell'ordinanza comunale a tergo del segnale stradale

L'art. 77, comma 7, del regolamento di esecuzione del codice della strada, regolamenta le indicazioni che devono essere inserite a tergo dei segnali stradali, disponendo, tra l'altro, che vengano indicati l'ente o l'amministrazione proprietaria della strada, e gli estremi dell'ordinanza di apposizione. A fronte di tale previsione, non v'è alcuna norma che prevede quali siano le conseguenze in caso di sua violazione, e ciò ha determinato un contrasto giurisprudenziale che da ultimo è stato risolto a favore della legittimità del segnale privo di dette indicazioni. Gli estremi dell'ordinanza, insieme agli altri requisiti previsti dalla legge, infatti, hanno la funzione di consentire agli organi preposti di verificare che i segnali siano stati apposti dagli organi competenti, e la loro omissione non esime l'automobilista dall'obbligo di rispettare l'ordine prescritto (Cass. n. 6474/00).

L'accertamento dell'infrazione al codice della strada

Una vexata questio riguarda l'obbligo o meno dell'immadiata contestazione dell'infrazione al codice della strada. Sebbene, in via generale, il pubblico ufficiale debba procedere alla immediata contestazione e all'identificazione del conducente, è lo stesso codice della strada che esplicitamente prevede che ciò può non essere fatto qualora la contestazione non sia possibile, o semplicemente opportuna in virtù delle condizioni in cui operano gli agenti (art. 384, regolamento d'esecuzione del c.d.s.). La Cassazione ha ulteriormente chiarito la sfera operativa di tale norma, includendovi anche ipotesi in cui la certezza dell'illecito si concretizza in un momento successivo, o in conseguenza di accertamenti che per la loro complessità non possono essere realizzati nell'immediatezza, semprechè tali circostanze siano specificate nel verbale di contestazione (Cass., n. 14040/08).
Tuttavia, in caso di rilevazione mediante il dispositivo "autovelox" il giudice non può eccepire che gli operatori non abbiano adottato uno dei possibili sistemi che consenta l'immediata contestazione dell'infrazione.
In estrema sintesi, la contestazione successiva è legittima a condizione che ricorrano le circostanze suesposte, e che le stesse siano indicate nel verbale. In caso contrario, procedere al ricorso!

sabato 7 novembre 2009

Multe: se arriva la cartella esattoriale

I Comuni che procedono alla riscossione delle sanzioni conseguenti alla violazione del Codice della Strada, devono procedere alla formazione dei ruoli esattoriali, per poi consegnarli all'esattore che procede alla riscossione delle relative somme.
Come ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 12999/99, l'azione di riscossione si prescrive in cinque anni a partire dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione, mentre il termine ultimo è quello in cui i ruoli vengono consegnati all'esattore, in quanto è proprio con questa procedura che la P.A. pone in essere l'atto d'impulso della procedura di riscossione, e al contempo si priva della facoltà di compiere altri atti diretti alla riscossione della sanzione. Tale termine, tuttavia, è interrotto dalla notifica del varbale, che costituisce agli effetti di legge, una formale messa in mora del debitore. Gli atti esecutivi dell'esattore, invece, sono soggetti alla prescrizione biennale che inizia a decorrere dalla consegna dei ruoli al medesimo esattore, la cui data deve sempre essere indicata nella cartella esattoriale.
Questa breve carrellata sui termini prescrizionali, anche se noiosa a una prima lettura, assume un particolare interesse ove si osservi che dalla consegna dei ruoli alla notifica della cartella esattoriale sovente trascorrono parecchi anni, e la prescrizione può tramutarsi in un inaspettato alleato del contribuente.

Termine per la notifica delle multe: facciamo il punto

A norma dell'art. 210, c. d. s., in caso di contestazione differita, il verbale deve essere notificato entro 150 giorni dal fatto. Detto termine inizia a decorrere dal momento in cui la P. A. è posta nella concreta condizione di conoscere il nominativo dell'obbligato, ovvero del proprietario del mezzo indicato nei pubblici registri (Corte Cost., sentenza n. 198, 1966; Cass, sent. n. 27936/2008). Questo principio è stato ribadito da una recente sentenza della Cassazione la quale ha ulteriormente chiarito che: "In tema di sanzioni amministrative, in caso di mancata contestazione immediata del verbale, il momento dell'accertamento, in relazione al quale decorre il "dies a quo" del termine prescritto [...] per la notifica degli estremi, non coincide nella conoscenza dei fatti nella loro materialità da parte dell'autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato in quello in cui l'autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell'esistenza della violazione segnalata ovvero in quello in cui il tempo decorso, pur tenendo conto della complessità della fattispecie, non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di detta acquisizione e valutazione".
Sulla base di quanto ormai si è consolidato in giurisprudenza, non pare che in futuro ci possano essere ulteriori dubbi. Dunque, attenzione!

Eppur si muove ... In arrivo ulteriori novità per il processo civile?

La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha rinviato la discussione sul decreto delegato che rende obbligatorio il tentativo di conciliazione in materia civile e commerciale. Secondo questa riforma, infatti, chi matura l'intento di agire in giudizio in materia di condominio, diritti reali, successioni ereditarie, patti di famiglia, divisioni, locazioni, comodati, affitto di aziende, risarcimento danno da responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari o finanziari, ha l'obbligo di esperire il tentativo di conciliazione disciplinato dal medesimo decreto o quello previsto dal decreto legislativo n. 179/2007, per le materie ivi previste.
Si tratto di un utile strumento che potrebbe contribuire a decongestionare i Tribunali italiani prossimi alla paralisi, ma anche in quaesta circostanza la politica fa attendere! Aspettiamo fiduciosi...

venerdì 6 novembre 2009

Danni causati dalla cattiva manutenzione del manto stradale

A molti sarà capitato di imbattersi in vere e proprie voragini che inspiegabilmente si creano nel manto stradale, o molto più semplicemente di percorrere strade accidentate a volte quanto un sentiero di aperta campagna. Legittimo, pertanto, è chiedersi a chi si debba imputare la responsabilità di un eventuale danno che si dovesse produrre a un mezzo o a una persona. Tale fattispecie viene generalmente ricondotta nell'ambito della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043, c. c.; ma oggi è sempre più frequente il ricorso all'art. 2051, c.c., che discpilina la responsabilità del danno cagionato dalle cose in custodia. In passato, infatti, prevaleva l'opinione secondo cui la P.A. non potesse controllare e repentinamente intervenire sull'intera rete stradale di propria competenza. Oggi, invece, un filone giurisprudenziale sempre più consistente ha assunto l'opinione opposta, ritenendo che quanto sinora negato in realtà sia possibile, almeno in riferimento alle situazioni di pericolo imminente connesse alla struttura e alla pertinenza della strada, versando nel caso fortuito allorquando il danno sia causato dagli stessi utenti, o da una repentina alterazione dello stato delle cose che non possa essere prontamente segnalata o rimossa (Cass. 11 giugno 2009, n. 13550).
Adesso il danneggiato ha un'arma in più per ottenere il giusto risarcimento.

martedì 3 novembre 2009

Se l'edificio è causa dello smottamento, il proprietario deve rimuovere il pericolo

Se gli immobili sono la causa di smottamenti a causa delle modalità di costruzione, grava sul proprietario dello stesso l'onere di rimuovere il pericolo che ne dovesse derivare.
Con questa motivazione i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso proposto dai proprietari di un edificio causa di uno smottamento, per il quale il P.M. aveva disposto il sequestro per il pericolo che ne derivava anche alle persone.
Secondo i giudici, infatti, sussiste il reato di cui all'art. 677, c.p., (omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina), qualora lo smottamento del terreno sia dovuto all'assenza del sistema fognante e denantre che avrebbe dovuto convogliare le acque (Cass. pen., Sez. I, 14/10/2009, n. 40034).