30 marzo 2010

SANZIONI PER MANCATA FORMAZIONE LAVORATORI

Quali prescrizioni si applicano per la mancata formazione dei lavoratori?

L’obbligo da parte dei datori di lavoro di informare e formare i lavoratori è riportato sia nell’art. 18 comma 1 lettera l) del D. Lgs. 81/08, sia nell’art. 36 e 37 dello stesso decreto legislativo con la differenza che il primo è riportato in un articolo che elenca gli obblighi generali del datore di lavoro e del dirigente e la cui violazione è punita con l’art. 55 del Testo Unico mediante l’arresto da quattro a otto mesi o l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro a carico del datore di lavoro e del dirigente (comma 4 lettera e), mentre gli obblighi di cui agli artt. 36 e 37 sono inseriti nella Sezione IV del Titolo I del Testo Unico che riguarda specificatamente la formazione e l’informazione dei lavoratori.

Più precisamente l’art. 36 comma 1 impone al datore di lavoro di provvedere affinché
i lavoratori ricevano un’adeguata informazione, la cui violazione è punita con l’art. 55 comma 4 lettera a) del Testo Unico con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 800 a 3.000 euro a carico del datore di lavoro e del dirigente, mentre l’art. 37 comma 1 impone che il datore di lavoro si assicuri che sia i lavoratori che i loro rappresentanti ricevano una formazione adeguata, ma per violazione di tale disposizione in realtà il Testo Unico non prevede alcuna sanzione penale.

Si riscontra quindi in questo caso una sovrapposizione di sanzioni o un’ipotesi di
contravvenzione che risulta sprovvista della relativa sanzione. In questo caso
l’obbligo generale e quello specifico prevedono tra l’altro sanzioni di misura diversa.

Quando si verifica una sovrapposizione di previsione sanzionatoria si applica la
sanzione prevista dalle disposizioni specifiche ai sensi del principio di specialità
contenuto nell’art. 298 del D. Lgs.81/08 secondo il quale “quando uno stesso fatto è
punito da una disposizione prevista dal titolo I e da una o più disposizioni previste
negli altri titoli, si applica la disposizione speciale” che in questo caso è anche più favorevole al contravventore.
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SANZIONI MANCATA FONOMETRIA RUMORE

La Valutazione del Rumore

ll D.Lgs. 81/08 e s.m.i.,nella parte relativa al "rumore", ha ribadito l'obbligo di tutti i datori di lavoro di eseguire la "valutazione fonometrica" con il supporto di un “tecnico fonometrico”. I risultati della fonometria devono essere inseriti nella valutazione dei rischi. Il mancato adempimento comporta una sanzione di 4.032 €

Stesso discorso è necessario dare per le "vibrazioni meccaniche" , entrato in vigore nel 2006, ha introdotto l'obbligo di effettuare una valutazione (documento di valutazione) di carico di lavoro d'uso delle attrezzature che emettono vibrazione, secondo parametri e strumenti complessi. Anche il mancato adeguamento a questa norma comporta severe sanzioni.
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MANCATE SANZIONI PER ASSENZA DI DPI

Mancate sanzioni per assenza dei DPI?

Questa notizia è stata tratta da: http://www.porreca.it/

QUESITO

Da una lettura accurata del T.U. non risulterebbe essere assistita da provvedimento sanzionatorio, in capo al DDL (tale sanzione adesso è solo a carico del preposto), la specifica norma di cui all’art. 18 lett. f) che richiede al datore di lavoro di far osservare ,ai propri dipendenti l’utilizzo dei DPI. E’ legittimo, in assenza della figura del preposto, ritenere responsabile per tale inadempienza il datore di lavoro considerato che la previgente normativa ex art. 4 lett. c e art. 389 lett. c del DPR 547/55 prevedeva la relativa sanzione a carico di entrambi i soggetti .

RISPOSTA

Nell’applicazione delle sanzioni penali non è consentito andare né per analogia né per logica per cui se una violazione non è stata supportata esplicitamente da una sanzione, vuoi per dimenticanza del legislatore vuoi per un refuso non è possibile estendere le penalità a persone diverse da quelle espressamente individuate dal legislatore medesimo per cui non si ritiene che si possa addebitare al datore di lavoro l’inadempienza ad un obbligo che il legislatore a posto a carico del preposto che è figura ben diversa dal datore di lavoro stesso né si ritiene faccia testo l’osservazione che il D.P.R. n. 547/1955 ora abrogato prevedesse per lo stesso obbligo una sanzione a carico di entrambe le figure..
Come si è avuto modo già di osservare in occasione della risposta a precedenti quesiti il sistema sanzionatorio nel D. Lgs. n. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, è stato un po’ bistrattato nel senso che è possibile riscontrare nel decreto interi Capi che pur introducendo degli obblighi non prevedono una copertura sanzionatoria, casi in cui per gruppi anche corposi di prescrizioni si applica una sola sanzione e casi anche di sovrapposizioni di sanzioni per la stessa violazione (vedi le prescrizioni sui luoghi di lavoro, sulla sicurezza delle attrezzature, sull’uso dei DPI, ecc.).
Esemplare è il caso che riguarda proprio i DPI in quanto per la mancata fornitura è prevista una sanzione in violazione dell’art. mentre non sono previste sanzioni per tutti gli obblighi relativi all’uso dei DPI medesimi contenuti nel Capo del Titolo . La mancata fornitura dei DPI ancora viene punita sia nel Titolo I contenente gli obblighi generali del datore di lavor che in alcuni altri successivi Titoli inerenti alla esposizione ad alcuni particolari rischi quali il rumore, il rischio cancerogeno edi il rischio chimico.
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CAMBIA MANSIONE CHI E' INIDONEO

MINISTERO DEL LAVORO: CAMBIA MANSIONE CHI E’INIDONEO

Cambia mestiere il lavoratore che non riesce (fisicamente) a sopportare la movimentazione manuale di carichi. Per questa attività (come per tutte quelle rientranti nel Titolo VI del T.u. sicurezza), infatti, il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori. E laddove il medico fornisca giudizio d’inidoneità, è tenuto a spostare il lavoratore ad altra mansione. Lo precisa il ministero del lavoro in una risposta a un apposito quesito concernente l’uso dei Dpi, i Dispositivi di protezione individuale (Faq).


UTILIZZO DEI DPI:

I chiarimenti rispondono ad uno specifico quesito che chiede di conoscere quali sono gli obblighi cui i datori di lavoro e lavoratori sono tenuti ad ottemperare in materia di Dpi. La normativa in tema di uso dei Dpi, spiega il ministero, è regolata dagli articoli 74 e seguenti del T.u. sicurezza (dlgs n. 81/2008).


In particolare, l’elemento di riferimento per l’applicazione dell’obbligo dell’uso di questi dispositivi è l’allegato VIII (estratto in tabella). La normativa pone degli obblighi in materia di uso dei Dpi sia in capo al datore di lavoro che ai lavoratori, prevedendo, che gli stessi devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione;
mezzi di protezione collettiva; misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro, e che gli stessi devono tener conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore e poter essere utilizzati dall’utilizzatore secondo le sue necessità.

LE SANZIONI PER I LAVORATORI:
Il corretto uso dei Dpi nei casi in cui questo sia previsto, aggiunge il ministero, costituisce obbligo per i lavoratori, la cui violazione è sanzionata. In particolare, l’articolo 78 del T.u. stabilisce che i lavoratori:
· Devono sottoporsi al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari;
· Utilizzando i Dpi messi a disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato e espletato;
· Provvedono alla cura dei Dpi messi a loro disposizione;
· Non vi apportano modifiche di propria iniziativa;
· Al termine dell’utilizzo seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei Dpi;
· Segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei Dpi messi a loro disposizione.

Con riferimento ai primi due obblighi (formazione e addestramento e utilizzo dei Dpi), vengono richiamate (e così rese applicabili) le disposizioni dell’articolo 20, comma 2 (rispettivamente), lettera h e lettera d, ossia i principi per cui i lavoratori sono tenuti ad osservare le disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale, e di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.
Violare questi principi costa ai lavoratori la pena dell’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro.

IL DIRITTO (PER IL LAVORATORE) AD ALTRE MANSIONI.
Il ministero, inoltre, fa presente che, ove le attività lavorative svolte nell’azienda presso la quale il lavoratore presta la sua attività rientrino nel campo di applicazione del Titolo VI del T.u. sicurezza recante “movimentazione manuale dei carichi” il datore di lavoro è tenuto ad assicurare ai lavoratori la sorveglianza sanitaria. Ai sensi della quale, il lavoratore può chiedere di essere sottoposto a visita medica che verrà effettuata qualora la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. In relazione al giudizio di idoneità o meno alla mansione specifica espresso dal medico, il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge n. 68/1999, è tenuto ad attuare le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, deve adibire il lavoratore, se possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

TRATTO DA ITALIA OGGI DEL 25 GENNAIO 2010
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Cos'è l'H.A.C.C.P.

L'HACCP è un sistema di controllo della produzione degli alimenti che ha come scopo la garanzia della sicurezza igienica e quindi della commestibilità di un alimento.

Il sistema è caratterizzato da sette principi di base :
1- Identificazione di potenziali rischi associati alla produzione di un alimento in tutte le sue fasi dal ricevimento merci fino al consumo;

2- Determinazione dei punti, delle procedure e delle tappe che possono essere controllate al fine di eliminare i rischi o minimizzare la loro possibilità di verificarsi (punti critici di controllo : CCP);

3- Accertamento dei limiti critici che devono essere osservati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo;
4- Istituzione di un sistema di monitoraggio che permetta di assicurarsi il controllo dei CCP tramite un test oppure con osservazioni programmate;
5- Predisposizione di un'azione correttiva da attuare quando il monitoraggio indica che un particolare CCP non è sotto controllo;
6- Definizione delle procedure di verifica di buon funzionamento del sistema HACCP;
7- Organizzazione di un sistema di gestione efficace dei documenti relativi al piano HACCP (raccolta dei dati ed organizzazione della documentazione).


Il metodo deve essere applicato da tutti gli esercizi di ristorazione e comunque da tutte le attività che effettuano la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione al consumatore. In questa attività rientrano gli esercizi di bar e caffetteria, ristoranti, gelaterie, unità produttive di ristorazione collettiva, pizzerie, pasticcerie, stabilimenti balneari, pubs, buffet di stazione, imprese di cetring e banqueting, panificatori, grossisti, ambulanti, oltre alla grande distribuzione ed ai produttori primari che effettuano la raccolta, la macellazione e la mungitura.


Alle aziende è richiesta la messa a punto di documentazione - da tenere a disposizione dei competenti organi di controllo in occasione di ispezioni da questi effettuate - quale :
- un manuale della qualità aziendale che riporti - oltre alla dichiarazione del titolare dell'esercizio riguardo alla definizione della politica di qualità igienica perseguita dall'azienda - anche la definizione dei ruoli e delle responsabilità, la descrizione dei prodotti e delle materie prime, le norme di riferimento, le procedure di verifica e la programmazione della formazione del personale;
- l'allestimento di schede per le registrazioni delle operazioni di controllo dei punti critici (i più importanti rappresentati da : ricevimento materie prime; temperature di stoccaggio alimenti deperibili; tempi di stoccaggio; igiene delle superfici degli ambienti e delle attrezzature; controllo del prodotto finito);
- la pianificazione di un programma di autocontrollo con l'ausilio di consulenti ed il supporto di laboratori di analisi abilitati;
- la formazione del personale.

tratto da: aepe.it
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COSA SONO LE DIA ALIMENTARI

Sono 2 pratiche, una igienico sanitari e una amministrativa, che devono essere presentate al comune per l'avvio di una nuova attività, e che una volta depositate e protocollate permettono lo svolgimento autorizzato delle diverse attività. Tali pratiche devono anche essere regolarmente aggiornate secondo le variazioni strutturali e processuali che un'azienda può subire, ad esmpio: la variazione dei locali con l'aggiunta di un magazzino o la variazione di una destinazione d'uso di un locale da laboratorio a magazzino; la variazione di un processo produttivo ad esempio se un'azienda inizia a preparare pasta fresca in aggiunta ai processi che fino ad ora effetuava. L'aggiornamento deve avvenire tramite una comunicazione scritta al comune di appartenenza.

Tratto da consulentihaccp.it
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CHE COS'E' UN MANUALE DI AUTOCONTROLLO?

E' un documento obbligatorio per legge che ogni azienda alimentare deve avere, questo deve: essere preparato in coformità ai principi dell H.A.C.C.P. per garantire il controllo dei pericoli che sono significativi per la sicurezza alimentare, essere semplice e strettamente relativo alla tipologia di azienda a cui si riferisce, essere specifico per i processi produttivi dell'azienda che riguarda, essere evolutivo e dinamico nel tempo per seguire l'azienda in ogni sua modifica. L'azienda infatti deve comunicare ai consulenti H.A.C.C.P. ogni variazione relativa alle attrezature, ai locali ed ai processi produttivi in modo da poter mantenere aggiornate il Manuale di Autocontrollo.

tratto da consulentihaccp.it
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OBBLIGHI PREVISTI DALLE NORMATIVE DI AUTOCONTROLLO HACCP

Per mettersi in regola con gli obblighi previsti dalle normative inerenti al H.A.C.C.P. un'azienda deve:

Avere le autorizazioni sanitarie (igienica e amministrativa), anche chiamate DIA (Dichiarazione Inizio Attività) correttamente compilate e depositate in comune.

COSA SONO LE DIA?

Sono 2 pratiche, una igienico sanitari e una amministrativa, che devono essere presentate al comune per l'avvio di una nuova attività, e che una volta depositate e protocollate permettono lo svolgimento autorizzato delle diverse attività. Tali pratiche devono anche essere regolarmente aggiornate secondo le variazioni strutturali e processuali che un'azienda può subire, ad esmpio: la variazione dei locali con l'aggiunta di un magazzino o la variazione di una destinazione d'uso di un locale da laboratorio a magazzino; la variazione di un processo produttivo ad esempio se un'azienda inizia a preparare pasta fresca in aggiunta ai processi che fino ad ora effetuava. L'aggiornamento deve avvenire tramite una comunicazione scritta al comune di appartenenza.

Avere e mantenere aggiornato un Manuale di Autocontrollo elaborato secondo il sistema H.A.C.C.P.

CHE COS'E' UN MANUALE DI AUTOCONTROLLO?

E' un documento obbligatorio per legge che ogni azienda alimentare deve avere, questo deve: essere preparato in coformità ai principi dell H.A.C.C.P. per garantire il controllo dei pericoli che sono significativi per la sicurezza alimentare, essere semplice e strettamente relativo alla tipologia di azienda a cui si riferisce, essere specifico per i processi produttivi dell'azienda che riguarda, essere evolutivo e dinamico nel tempo per seguire l'azienda in ogni sua modifica. L'azienda infatti deve comunicare ai consulenti H.A.C.C.P. ogni variazione relativa alle attrezature, ai locali ed ai processi produttivi in modo da poter mantenere aggiornate il Manuale di Autocontrollo.

Avere un corretto e aggiornato sistema di registrazioni.

QUALI SONO LE REGISTRAZIONI CHE UN'AZIENDA DEVE EFFETTUARE?

Punto A: la registrazione delle temperature dei frigoriferi, congelatori, vetrine refrigerate, banchi caldi ecc..

Da effetuare su appositi moduli.

Punto B: la registrazione delle pulizie da effetuare su appositi moduli

Punto C: la registrazione della rintracciabilità da effetuare su appositi moduli.

Risolvere vari problemi strutturali in modo da rispettare i vari requisiti di posti dai regolamenti comunali di igene e più in generale dal Reg. CE 852/04 (che fa parte del pacchetto igene, un insieme di normative sull'igene dei prodotti alimentari, in vigore dal 2006)

Assicurarsi che il personale abbia ricevuto un adeguata formazione, in relazione al tipo di attività.

QUAL'E' LA FORMAZIONE CHE DEVE ESSERE SVOLTA OBBLIGATORIAMENTE NEL SETTORE ALIMENTARE?

Gli operatori nel settore alimentare ed i responsabili dei piani di autocontrollo devono avere una formazione come previsto della legge Reg. 559/08 che prevede lo svolgimento di 4 Unità Formative.
I, II, III IV U.F. Responsabili attività alimentari complesse.
I, III, IV, U.F. Addetti ad attività alimentari complesse.
Le attività alimentari complesse sono quelle che prevedono la manipolazione diretta di alimenti.

ATTENZIONE!!! SE UN AZIENDA NON E IN REGOLA A GLI OBBLIGHI PREVISTI DALLA LEGGE RISCHIA LE SEGUENTI SENZIONI:

Al momento dei controlli da parte di ASL, NAS, ecc.., secondo la gravità dell'inflazione riscontrata, non viene più dato un tempo di adeguamento per mettersi in regola, ma viene applicata una sanzione immediata di migliaia di euro per ogni aspetto non conforme rilevato.

Esempio 1: se prima, per scarsa igene dei locali, gli Enti di controllo concedevano 60 gorni per rimettersi in regola, ed entro i quali l'azienda deoveva dimostrare di aver sistemato i problemi rilevati, oggi è a loro discrezione l'applicazione immediata di una sanzione a partire da 250,00€ a 1.500,00€.

Esempio 2: ogni inizio attività o variazione dell'attività, o dei locali e delle strutture deve essere notificata al Comune di appartenenza, se questo non viene fato, la sanzsione applicata e dai 1.500,00€ ai 9.000,00 €. In pratica, se nel manuale di autocontrollo dichiaro di fare pasta fresca e successivamente decido di non farla più, questo comporta una variazione dell'attività. Questa variazione va tempestivamente comunicata ai consulenti H.A.C.C.P. i quali provvederanno a comunicare il cambiamento e a variare il manuale di autocontrollo, che DEVE ESSERE SEMPRE ADERENTE ALLA REALTA'.

Esempio 3 : ogni impresa alimentare si deve dotare di un sistema di autocontrollo.Se un'azienda alimentare viene trovata priva del manuale di autocontrollo,le verrà applicata immediatamente una sanzione da 1000€ a 6000€

Esempio 4 : ogni impresa alimentare deve attuare verifiche microbiologiche sui propri processi/prodotti, ai sensi del Reg. 2073/2005. Se un'azienda alimentare è trovata sprovvista di certificati di analisi effettuate sui propri prodotti,sulle superfici,sulle attrezzature e sul personale,è a discrezione dell'Ente di controllo l'applicazione di una sanzione da 1000€ a 6000€.

Esempio 5 : ogni impresa alimentare deve rispettare gli obblighidi formazione del personale. Se viene riscontrata, da un Ente di controllo, la carenza totale di formazione di uno o più dipendenti, l'azienda alimentare può ricadere nelle sanzioni previste per l' assenza o carenza del piano di autocontrollo che vanno da 1000€ a 6000€.

Tratto da: consulentihaccp.it
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SANZIONI HACCP

Oltre alle sanzioni che riguardano la violazione degli obblighi di autocontrollo, vanno sempre tenute presenti le possibili sanzioni relative alla non conformità del prodotto alle norme di legge, che peraltro possono derivare da una non esatta applicazione delle misure di prevenzione e controllo previste dal sopracitato decreto legislativo. La normativa alimentare prevede sia illeciti penali che amministrativi. In particolare:

ILLECITI PENALI

All'interno delle previsioni penalistiche bisogna distinguere tra:

Violazioni di norme poste a tutela della salute pubblica

In questa categoria si ricomprendono tutte quelle violazioni che possono costituire un pericolo per la salute del consumatore. In tale categoria vanno segnalati:

art. 5 l. 283/62 che punisce con l'arresto fino ad un anno e l'ammenda da lire 600.000 a lire 60.000.000 (art. 6/4 l. 283/62) il divieto di mettere in commercio:

alimenti privati anche in parte dei propri elementi nutritivi o mescolati con sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo da variarne la composizione naturale (lett. a)
in cattivo stato di conservazione (lett. b)

con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali (cfr. OM 11 ottobre 1978) (lett. c)

insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione (lett. d)

con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministero per la Sanità, o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l'osservanza delle norme prescritte per il loro impiego (lett. g)

art. 444 c.p., che punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa non inferiore a lire 100.000 chiunque metta in commercio sostanze non contraffatte, né adulterate, ma comunque pericolose per la salute pubblica.

Violazioni di norme a tutela della buona fede del consumatore

In tale categoria rientrano tutte le violazioni che ledono la buona fede del consumatore o comunque la lealtà delle trattazioni commerciali. In particolare vanno ricompresi:

art. 515 c.p. "Frode in commercio", che prevede la pena della reclusione fino a 3 anni o la multa non inferiore a lire 200.000, nell'ipotesi di vendita di una cosa mobile (alimenti) per un'altra o di una cosa mobile per origine, provenienza, quantità e qualità diversa da quella dichiarata o pattuita.

art. 516 "Vendita di sostanze non genuine come genuine" , che vieta la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine, sanzionando i contravventori con la reclusione fino a 6 mesi o la multa fino a lire 2.000.000.

art. 13 l. 283/62 , che punisce con l'ammenda da lire 600.000 a lire 15.000.000 l'offerta in vendita o propaganda di sostanze alimentari, adottando denominazioni o nomi impropri, frasi pubblicitarie, marchi o attestati di qualità o genuinità, da chiunque rilasciati, nonché disegni illustrativi tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti.

Va rilevato che nella giurisprudenza in materia di alimenti si registra una mancanza di uniformità nella qualificazione delle condotte criminose. Non è infatti raro che lo stesso fatto sia ascritto nell'ambito di fattispecie penali anche notevolmente diverse tra loro con conseguente rischio di una disparità di trattamento sanzionatorio.

ILLECITI AMMINISTRATIVI

All'interno delle sanzioni amministrative sono ricomprese in particolare:

le violazioni delle norme previste da Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 in materia di etichettatura. In particolare:

art. 18/1 che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1.500.000 a lire 6.000.000 per "chiunque confezioni, detenga per vendere o venda prodotti alimentari non conformi" alle norme del decreto stesso ossia non contenenti le indicazioni prescritte.

art. 18/2 che stabilisce la sanzione amministrativa da lire 6.000.000 a lire 36.000.000 nel caso di violazione dell'art. 2 del Decreto Legislativo 109/92 che stabilisce che "l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari non devono indurre in errore gli acquirenti sulle caratteristiche del prodotto e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla durabilità, sul luogo di origine o provenienza, sul modo di ottenimento o di fabbricazione del prodotto stesso";

In presenza di sanzioni amministrative il contravventore ha diverse possibilità:

1) "PAGAMENTO IN MISURA RIDOTTA".

Tale procedimento, previsto dall'art. 16 l. 24 novembre 1981 n. 689, prevede la possibilità di estinguere la sanzione (semprecché non sussistano elementi validi per fare opposizione) tramite il pagamento di una somma di denaro pari al doppio del minimo o ad un terzo del massimo della sanzione prevista per la violazione contestata. Tale soluzione risulta tuttavia gravosa nel caso in cui i limiti della sanzione siano elevati.

2) OPPOSIZIONE

L'opposizione si articola in due fasi:

presentazione entro 30 giorni dalla contestazione o dalla notifica della stessa di scritti difensivi all'autorità competente, la quale può archiviare o irrogare la sanzione attraverso una ordinanza ingiunzione.

nel caso in cui venga emessa l'ordinanza ingiunzione, è possibile fare opposizione davanti al Pretore instaurando un normale giudizio civile.

Tratto da : farmacitta.it
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SANZIONE PER ASSENZA DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI (CPI)

Sanzione per l'assenza del Certificato di Prevenzione Incendi (CPI).

L’obbligo per le aziende di richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi è fissato dall’art. 1, primo comma, della Legge 7/12/1984 n. 818 denominata "Nulla Osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di Prevenzione Incendi, modifica degli artt. 2 e 3 della Legge 4/3/82 n. 66 e Norme integrative dell'Ordinamento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco" (G.U. n. 338 del 10/2/984).

Tale articolo sancisce infatti che "i titolari delle attività indicate nel Decreto del Ministro dell'Interno 16/2/1982 pubblicato nella G.U. del 9 Aprile 1982 n. 98, sono tenuti a richiedere il Certificato di Prevenzione Incendi secondo le procedure di cui alla Legge 26 Luglio 1965 n. 966 ed al Decreto del Presidente della Repubblica 29 Luglio 1982 n. 577".

Il Decreto del Ministro dell'Interno del 16/02/1982 denominato "Modificazioni del decreto ministeriale 27/09/1965 concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi" (G. U. n. 98 del 09/4/1982) riporta l'elenco delle attività, dei locali, dei depositi, degli impianti e delle industrie pericolose, i cui progetti sono soggetti all'esame e parere preventivo dei Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco ed il cui esercizio è soggetto a visite di controllo ai fini del rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi e per le stesse fissa anche la periodicità delle visite successive.

In particolare l’elenco comprende 97 attività industriali, civili, commerciali, pubbliche e private, nelle quali si producono, si impiegano, si sviluppano e si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti oppure che, per le dimensioni, ubicazioni o altre ragioni, presentano, in caso di incendio, grave pericolo per la incolumità delle persone ed anche quelle che, pur presentando limitati rischi, sono da considerare pericolose per la conseguenza che eventi, anche di limitata rilevanza, possono avere a causa dell'affollamento delle persone e della loro specifica destinazione.

La penalità per chi, in qualità di titolare di una delle attività di cui al citato D.M. 16/02/1982, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del Certificato di Prevenzione Incendi era prevista dall'art. 5 della stessa Legge n. 818/1984 ma in merito è da far comunque presente che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 282 dell'11/6/1990, pubblicata sulla G.U. n. 25 prima serie speciale del 20/6/1990, ha annullata tale sanzione dichiarando la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 1° comma, e 5, 1° comma, della Legge 7/12/1984 n. 818, motivando la decisione per aver individuato “la Legge i soggetti attivi del reato ed i destinatari dell'obbligo, la cui violazione è sanzionata penalmente, in una fonte di grado inferiore costituita da una atto amministrativo quale è un Decreto Ministeriale ".

La Corte di Cassazione ha già avuto modo in più sentenze di prendere atto che “la norma di cui all’art. 5 della legge n. 818 è stata dichiarata incostituzionale” e di desumere che “il fatto ivi previsto non integra più reato” e la stessa in due altre proprie sentenze della III Sez. risalenti fra il 1999 ed il 2000 ha provveduto a colmare, per quanto riguarda la richiesta del Certificato di Prevenzione Incendi, la lacuna venutasi a creare con la pronuncia della Corte Costituzionale ed ha ripescato quanto disposto dall’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955 in merito al controllo dei Vigili del Fuoco per le attività pericolose ed il contenuto della Tabella A allegata al D.P.R. n. 689/1959 che si erano ritenuti ormai abrogati dalla legge n. 818/1984 emanata successivamente.

In altre occasioni in più la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di annullare due sentenze di condanna accettando il ricorso dei titolari ricorrenti nel primo caso di un esercizio commerciale di prodotti per l’edilizia, già condannato per il reato di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 547/1955, ed adducendo la motivazione che nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 689/1959 non era ricompresa l’attività dallo stesso esercitata (Cass. 18 giugno 2001, Paolillo) e nel secondo caso di un responsabile del servizio di refezione scolastica che argomentava la sua richiesta di annullamento della condanna per le stesse motivazioni (Cass. Sez. III n. 45064 del 24/11/2003).

In occasione di tale ultima sentenza la Corte di Cassazione ha fatto una sorta di riepilogo e di ricostruzione della normativa in argomento sostenendo che “Gli artt. 36 e 37 D.P.R. n. 547/1955 sottopongono al controllo antincendio le “aziende e lavorazioni”, determinate dal D.P.R. n. 689/1959, aventi specifiche caratteristiche. La materia in questione è stata successivamente toccata anche dalla legge n. 818/1984, che, introducendo il nulla-osta provvisorio per le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ha ampliato la categoria delle stesse, rinviando per l’individuazione di tali “attività” al DM 16 febbraio 1982. Questa disposizione è stata ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 282/1990, per contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost.”.

La Corte di Cassazione conclude quindi con affermazioni, che, in carenza di un intervento del legislatore successivo alla sentenza della Corte Costituzionale che ha sancita la incostituzionalità dell'articolo contenente la sanzione per l'assenza del CPI, si possono ritenere al momento una sorta di indirizzo di riferimento per gli operatori di vigilanza. La stessa ha affermato che gli artt. 36 e 37 del D.P.R. n. 547/1955 sono ancora vigenti e “non sono stati toccati dalla successiva legge n. 818/1984 né dalle vicende alla stessa occorse” e che “sono tuttora ‘penalmente’ assoggettate al rilascio del certificato di prevenzione incendi quelle ‘aziende e lavorazioni’ specificatamente indicate nelle tabelle ‘A’ e ‘B’ approvate con D.P.R. n. 689/1959; non lo sono invece, le ‘attività’ individuate con il DM 16 febbraio 1982”.

Interessanti, poi, sono le conclusioni a cui è pervenuta la III Sez. della Corte di Cassazione per quanto riguarda in particolare l’inadempimento di tale obbligo nell'ambito delle scuole escludendo la stessa per tale circostanza la sussistenza del reato in quanto “Mentre il DM 16 febbraio 1982, al punto 85, pone, tra le attività soggette al rilascio del detto certificato ‘scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie e simili per oltre 100 persone presenti, nulla di simile è previsto dalle tabelle del D.P.R. n. 689/1959, né appare possibile far rientrare il caso in specie in altre categorie in esse contemplate”.

Di recente, comunque, con la sentenza n. 28117 del 23 giugno 2004 la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha fornito sull'argomento un indirizzo in senso opposto. La III Sezione ha preso in esame il caso di un titolare di una azienda agricola che era stato dichiarato colpevole del reato previsto dagli artt. 36 e 37 e 389, lettera h), D.P.R. 547/1955 per avere installato ed utilizzato, senza avere fatto preventiva denuncia al Comando dei Vigili del Fuoco territorialmente competente, un impianto di distribuzione di carburanti per uso privato ed agricolo ed un deposito di olio lubrificante in quantità superiore alla soglia prevista nelle Tabelle B alla voce n. 11,

La III Sezione, a sorpresa, ha accolto il ricorso presentato dall'imputato sostenendo che "il giudice di merito ha fatto riferimento al quantitativo di complessivi kg 500 previsto dal n. 11 della tabella A approvata con D.P.R. n. 689/1959, ma non ha tenuto conto del fatto che l'elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi è stato modificato ed aggiornato con successivi D.M. 27 settembre 1965 e D.M. 16 ottobre 1982, il quale ultimo, vigente all'epoca del fatto, al n. 15 include in esso solo i depositi di liquidi infiammabili e/o combustibili, per uso industriale, artigianale, agricolo o privato, aventi capacità geometrica complessiva superiore a mc 25.

La Sezione III ha concluso che " i quantitativi di olio combustibile e gasolio rinvenuti all'interno dell'azienda agricola dell'imputato, considerati sia singolarmente, che complessivamente, non raggiungevano la soglia dei mc 25, sicchè il fatto non riveste carattere di illecito penale".

Considerati, in conclusione, gli indirizzi e gli orientamenti contrapposti da parte della stessa Corte di Cassazione appare assolutamente necessario un intervento legislativo di riordino della materia.

Tratto da porreca.it
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Contenuti del Documento della Valutazione dei Rischi

La valutazione rischi, è un’operazione da praticare anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro.
L’oggetto della valutazione deve riguardare, secondo le nuove norme, tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui:

- quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004
- quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
- quelli connessi alle differenze di genere, all’età, la provenienza da altri Paesi

Il documento redatto a conclusione della valutazione, deve avere data certa e contenere (art. 28 comma 2):
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione;
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

La data certa costituisce sicuramente una novità introdotta dal Testo Unico. Inoltre, rispetto ai contenuti previsti dal D.Lgs. 626/94, sono stati aggiunti i punti dal d) al punto f), che rappresentano la necessità di evidenziare nel documento come si intende effettivamente realizzare quanto previsto (il “come” e il “chi fa cosa”).

Le Sanzioni

Per la mancata valutazione dei rischi, il datore di lavoro è punito con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 (art 55 comma 1).

Per l’omessa elaborazione del DVR secondo le modalità di cui all’articolo 29, il datore di lavoro è punito con l’ammenda da 3.000 a 9.000 euro (art. 55 comma 3).

Inoltre, la mancata elaborazione del DVR costituisce una violazione grave (come specificato all’ALLEGATO I del Testo Unico), e, l’accertamento della reiterazione può comportare la “sospensione dell’attività imprenditoriale”.


Fonte: PuntoSicuro
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QUALI SANZIONI PER IL MANCATO DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI

Sanzioni d.lgs 81/08 mancata valutazione dei rischi:
Ai sensi dell’art. 55 D. Lgs. 81/08 e' punito con l'arresto da quattro a otto mesi o con l'ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro che omette la valutazione dei rischi e l'adozione del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), ovvero che lo adotta in assenza degli elementi di cui alle lettere a), b), d) ed f) dell'articolo 28 e che viola le disposizioni di cui all'articolo 18, comma 1, lettere q) e z), prima parte.
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Come vengono valutati i rischi

LA VALUTAZIONED DEI RISCHI

Il recente D.Lgs. 106/2009 ha contribuito ad allargare la sfera di applicazione degli articoli 28 e 29 del D.Lgs. 81/2008 in materia di valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro.

L'oggetto della valutazione dei rischi deve ricomprendere tutte le fonti di pericolo dalle quali possono derivare dei danni alla salute dei lavoratori, soprattutto tenendo presente quelle categorie di lavoratori che a causa di un loro status devono essere considerati maggiormente bisognosi di tutele. E' questo il caso dei lavoratori collegati allo stress lavoro-correlato, delle lavoratrici in gravidanza, dei minori e di quelli che provengono da Paesi esteri.

Terminata la fase di valutazione, il datore di lavoro redige il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), il quale, per legge, va registrato su un supporto informatico e deve contenere data certa e la firma: del datore di lavoro, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e, se presente, del medico competente.

Gli elementi caratterizzanti il DVR sono:

la relazione che prende in considerazione tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dai quali possono derivare dei danni ai lavoratori, contenente i parametri utilizzati per effettuare la valutazione dei rischi. Incaricato alla redazione della relazione è sempre il datore di lavoro, il quale oltre a valutare i rischi predispone un piano di intervento basato sulla prevenzione aziendale;
l'elenco degli strumenti preventivi e protettivi e dei dispositivi di protezione individuali (DPI) per la tutela fisica dei lavoratori;
la pianificazione delle misure protettive da adottare con il passare del tempo, per consentire di avere un costante ed elevato livello di sicurezza;
l'assegnazione alle figure professionali specificamente formate del piano contenete i compiti attraverso i quali rendere operative le misure di sicurezza;
l'indicazione della nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e del medico competente eventualmente previsto;
gli incarichi che prevedono una possibile esposizione ai rischi specifici da parte dei lavoratori dotati di comprovate competenze professionali, pregressa esperienza in mansioni analoghe e formazione ed addestramento appropriati.

La normativa di riferimento prevede anche che le nuove aziende debbano provvedere ad effettuare la valutazione dei rischi e ad elaborare tramite il datore di lavoro il DVR, entro 90 giorni dall'inizio dell'attività di impresa. Nonostante, normalmente, la figura di riferimento per l'elaborazione del documento venga indicata nel datore di lavoro, anche il RSPP ed il medico competente danno il loro contributo, dopo aver consultato il RLS.

Qualora, gli ambienti lavorativi o i processi produttivi aziendali dovessero subire delle variazioni, oppure gli infortuni subiti dai lavoratori dovessero essere frequenti e rilevanti, i soggetti precedentemente citati devono provvedere a modificare o a sostituire la precedente valutazione dei rischi e conseguentemente devono aggiornare le misure di prevenzione entro il termine di 30 giorni.
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Il decalogo della sicurezza nei cantieri edili

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Un vademecum operativo per una maggiore sensibilizzazione al tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, ed in particolare nei cantieri edili.

La sezione di Roma di Federarchitetti, su incarico e per conto del Sindacato Nazionale nel quadro delle numerose iniziative già assunte e da assumere per una maggiore sensibilizzazione al tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, ed in particolare nei cantieri edili, che vedono protagonisti gli architetti e gli ingegneri con ruoli di elevata responsabilità, morale, prima ancora che professionale, ha organizzato per il giorno 26 febbraio 2010, la “Prima Giornata Nazionale per la Sicurezza nei cantieri edili”.

Federarchitetti ritiene che in questo campo non basti la formazione di tecnici ma è anche necessario raccogliere e fare propri gli appelli espressi, con profondo dolore, dalle più alte cariche dello Stato, e avviare quindi una seria campagna di sensibilizzazione per promuovere e sviluppare capillarmente una vera “cultura della sicurezza”, affinché diventi un patrimonio condiviso da tutti, operatori e non, del comparto edile, del mondo del lavoro, della collettività tutta.

La “Prima Giornata Nazionale per la Sicurezza nei cantieri edili”, che nelle intenzioni di Federarchitetti dovrebbe ripetersi con cadenza annuale, sempre più accresciuta di significati e di contenuti, deve essere quindi considerata come un momento di riflessione sullo stato dell’arte, per “monitorare” quanto accade sul nostro territorio, per acquisire informazioni, per evidenziare criticità del “sistema sicurezza” e per individuare e proporre soluzioni.

In questa occasione è stato presentato il decalogo della sicurezza:

FEDERARCHITETTI
Fa appello a tutti gli addetti ai lavori impegnati nel comparto dell’edilizia e li invita a:
1. preoccuparsi sempre e comunque dell’incolumità delle maestranze
2. contrastare sempre e comunque il lavoro nero
3. pretendere sempre e comunque che il cantiere sia pulito e ordinato
4. utilizzare e fare utilizzare sempre e comunque , all’interno del cantiere, i DPI (dispositivi di protezione individuale)
5. favorire, promuovere e pretendere per tutti gli addetti impegnati nel comparto edilizio (datori di lavoro, maestranze e professionisti) la formazione continua e periodica
6. verificare l’apprendimento della lingua da parte dei lavoratori stranieri prima di farli accedere alle lavorazioni di cantiere
7. vietare in cantiere, nelle ore di lavoro, di bere bevande alcoliche
8. considerare i coordinatori della sicurezza e i responsabili del servizio Prevenzione e protezione (RSPP) figure di altissima professionalità e responsabilità dai quali si deve tuttavia pretendere una costante e severa vigilanza in cantiere
9. dare il giusto valore ai PSC (piani di sicurezza e coordinamento) e ai POS (piani operativi di sicurezza) che vanno considerati come un elaborato progettuale da personalizzare per ogni singolo cantiere
10. assicurare ai coordinatori della sicurezza e ai responsabili del servizio Prevenzione e protezione (RSPP) il giusto onorario professionale commisurato alle dimensioni del cantiere e alle responsabilità connesse

Fonte: Federarchitetti.
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Imparare dagli errori: cadere da un automezzo in movimento

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Esempi tratti dall’archivio Ispesl Infor.mo.: cadute con conseguenze letali nel comparto della raccolta dei rifiuti. Le dinamiche degli incidenti, gli infortuni più frequenti nel settore, le misure di prevenzione generali e specifiche, le buone pratiche.

Nell’industria dei rifiuti solidi urbani ci sono stati, in Italia dal 2004 al 2008, circa 55mila infortuni sul lavoro (dati Inail) con una frequenza infortunistica molto alta, anche se raramente si tratta di infortuni particolarmente gravi.
Per questo motivo PuntoSicuro ha deciso di sfogliare l’archivio di INFOR.MO. – strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi – per rilevare alcuni esempi di incidenti con particolare riferimento, in questa puntata, alla caduta dagli automezzi.

I casi
Il primo caso, avvenuto nel 2007, è relativo ad un incidente ad un addetto al prelievo dei contenitori di rifiuti solidi urbani ed “all’aggancio degli stessi al meccanismo di svuotamento solidale con il mezzo di trasporto”.
Nella fase di spostamento del mezzo di trasporto, l’addetto ha i “piedi poggiati sul predellino previsto sul retro del camion”, ma il mezzo manca di un sistema di trattenuta adeguato: l’addetto perde l’equilibrio e precipita al suolo battendo il capo sull’asfalto.
L’effetto della caduta, determinata dalla forza di gravità, è “aggravato dall’energia cinetica di spostamento del mezzo, anche se questo procedeva a velocità relativamente bassa”.
È evidente che il fattore determinante è la mancanza di un sistema di trattenuta adeguato. Il documento di valutazione dei rischi, elaborato dal datore di lavoro, non aveva tenuto conto del rischio specifico nell’uso del mezzo di raccolta e trasporto rifiuti.

Un secondo caso, sempre del 2007, è riferito ad un altro addetto al prelievo dei sacchi di rifiuti solidi urbani ed al caricamento degli stessi sul cassone del mezzo di trasporto.
Nella “fase di spostamento del mezzo stesso, tra un punto di raccolta ed il successivo”, l’addetto si fa trasportare dall’automezzo: “non nell’abitacolo della cabina di guida, bensì salendo con i piedi sulla staffa posizionata sul retro del cassone del camion e reggendosi con le mani sul bordo del cassone stesso”.
Ma “sia l’appoggio offerto dalla staffa per i piedi, sia l’appiglio per le mani costituito dal bordo del cassone non si prestano (né sono previsti dal costruttore del mezzo di trasporto, né dalla prassi comune) al trasporto di persone, anche presupponendo una bassa velocità di spostamento”. Conseguenza di questa procedura di lavoro errata è una caduta dall’automezzo con conseguenti lesioni mortali.

La prevenzione
Gli infortuni più frequenti nel comparto della raccolta dei rifiuti sono:
- incidenti stradali;
- collisioni tra mezzi e investimenti di persone;
- inciampi, cadute, urti;
- tagli, punture o abrasioni dovuti a contatto con oggetti taglienti;
- caduta dall’alto di contenitori dei rifiuti.

Riguardo poi ai lavoratori che operano a supporto della raccolta a caricamento posteriore – come abbiamo rilevato dalle schede di INFOR.MO. – c’è un rilevante rischio di cadute dai mezzi. E mantenere l’equilibrio non dipende solo dal comportamento degli operatori, ma anche dai dispositivi presenti sul mezzo, dalle loro caratteristiche ergonomiche e dal livello di manutenzione.

Di questo tema parla un documento Inail – già presentato da PuntoSicuro – dal titolo “La sicurezza per gli operatori della raccolta dei rifiuti e dell’igiene urbana”.

Vediamo alcune delle misure tecniche generali che potrebbero essere adottate dalle aziende del settore in funzione delle innovazioni tecnologiche e degli adempimenti normativi, al fine di raggiungere l’obiettivo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori:
- “incremento del livello di automazione per evitare la presenza degli operatori a terra e su pedana, laddove sia previsto il conferimento in cassonetti;
- avvisatore acustico con inserimento automatico in retromarcia che segnala e informa il conducente sulla distanza e sulla posizione di eventuali ostacoli;
- riprogettazione dei veicoli al fine di limitare gli spostamenti o ridurre le condizioni di rischio (es.: introducendo scivoli o pedane rialzate)”.

Riguardo poi alla raccolta meccanizzata e manuale, il documento riporta altre misure di prevenzione specifiche.
Se l’adozione di “compattatori con caricamento ribassato a livello strada o in alternativa, sistemi per il sollevamento meccanizzato per la raccolta sacchi”, non fosse attuabile nel breve periodo si consiglia di:
a) “installare pedane posteriori in griglia d’acciaio antisdrucciolevoli, con cinture di sicurezza, maniglie e punti di presa ergonomici, barre di sicurezza semplici da utilizzare (aggancio, sgancio delle cinture di sicurezza degli operatori)”;
b) inserire “protezioni laterali per operatore in pedana in griglia metallica; cuscini paracolpi posti all’altezza del viso”;
c) avere “controllo visivo ovvero a pressione della presenza su pedana degli operatori”.

Riguardo poi alla modalità di trasporto su pedana degli operatori in mezzi a caricamento posteriore, si ricordano alcune buone pratiche:
- “partenza del mezzo solo dopo consenso da parte degli operatori sistemati stabilmente sulle pedane (uso dell’apposita cintura di sicurezza; chiusura della catena o della barra; uso dei mancorrenti) per spostamenti brevi tra i vari punti di raccolta;
- utilizzo della cabina per il trasporto degli operatori nel caso di spostamenti più lunghi;
- pulizia periodica delle pedane e dei gradini di accesso;
- divieto di trasporto su pedana durante le manovre di inversione o rese difficili per cattive condizioni climatiche, di traffico, strade in pendenza o di difficile accesso;
- divieto di trasporto di più di un operatore su ciascuna pedana;
- divieto di fumare durante gli spostamenti in pedana;
- divieto di utilizzo del telefono cellulare e di suoi accessori”.

Per consultare direttamente la presentazione dell’infortunio di cui ci siamo occupati, collegarsi a questa pagina del sito web di INFOR.MO. e successivamente visualizzare le schede numero 826 e 827 (archivio incidenti 2005/2008).
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Dipendenze da alcol e droghe: la sorveglianza sanitaria

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Come si stabilisce se si tratta di uso o abuso cronico di sostanze stupefacenti e alcol? In cosa consiste la sorveglianza sanitaria? Come si deve comportare il datore di lavoro nei confronti dei lavoratori? A cura di R. Dubini. Quarta parte.

Pubblichiamo la quarta e ulltima parte dell’approfondimento “Dipendenze da alcol e droghe: obblighi di sicurezza e igiene del lavoro” a cura dell’avvocato Rolando Dubini.

Sono già stati pubblicati:
Dipendenze da alcol e droghe: obblighi di sicurezza e igiene del lavoro
Dipendenze da alcol e droghe: le mansioni a rischio
Dipendenze da alcol e droghe: l’accertamento di assenza di alcoldipendenza

La sorveglianza sanitaria
Come già segnalato, la Regione Veneto nelle “Indicazioni operative sulle procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di alcoldipendenza in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza (D.Lgs 81/2008 – L. 125/2001 – bozza di documento del 26 giugno 2009)”, mette in evidenza l’obbligo fondamentale del datore di lavoro di “valutare, richiedendo in particolare la collaborazione del medico competente, il rischio legato all’assunzione di alcolici nella propria azienda in base all’elenco delle attività con divieto di assunzione di alcolici contenuto nell’Allegato 1 del Provvedimento attuativo 16 marzo 2006 dell’art 15 della Legge n. 125/2001. Nelle mansioni non comprese nell’allegato 1, in cui si evidenzia comunque un pericolo alcol correlato di infortunio o per la sicurezza di terzi, la valutazione del rischio potrà mettere in evidenza il rischio da assunzione di alcolici e indicare – specifici interventi di prevenzione. Nell’ambito delle politiche per la salute e la sicurezza, i datori di lavoro possono definire un regolamento aziendale condiviso con i rappresentanti dei lavoratori, che precisi i comportamenti corretti anche ai fini della verifica alcolimetrica. Se l’attività lavorativa rientra tra quelle per le quali è indicato un rischio alcol correlato per infortuni o per la sicurezza di terzi, il datore di lavoro deve realizzare azioni di prevenzione specifiche rispetto al rischio. Tali azioni possono comprendere: informazione/formazione, promozione della salute, verifica, sorveglianza sanitaria […]”.

Dunque il D.Lgs. 81/08 prevede (art .41 comma 4) che la sorveglianza sanitaria sia anche finalizzata alla verifica di condizioni di alcoldipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti nei casi previsti dalla legge.
In caso di abuso acuto di alcol accertato o sospetto, il medico competente esprime giudizio di temporanea inidoneità alle mansioni a rischio per sé o per gli altri. La riammissione è subordinata alla rivalutazione del medico competente.
Per la prevenzione/accertamento dell’abuso cronico di sostanze alcoliche nelle mansioni/attività previste dalla legge è prescritto un controllo sanitario periodico (esami ematologici specifici e visite specialistiche).
In caso di accertamento di abuso di sostanze alcoliche, viene formulato giudizio di inidoneità alle mansioni a rischio da parte del medico competente, che invita il lavoratore a presentarsi al SERT di residenza. La riammissione alle lavorazioni a rischio potrà avvenire solo dopo presentazione di certificato del suddetto Servizio attestante assenza di alcoldipendenza ovvero di avvenuta disintossicazione.

I lavoratori affetti da patologie alcol-correlate che intendono accedere ai programmi terapeutici di riabilitazione e recupero sono tutelati dal D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, che prevede la concessione di congedo senza assegni con conservazione del posto di lavoro fino a 3 anni.

Metodi di misurazione disponibili

ABUSO ACUTO
· Saliva alcol-test
· Misurazione dell’aria alveolare
· Etanolo ematico
Già dopo 6 ore è possibile non trovare elevati livelli di alcol nell’organismo; tali accertamenti sono pertanto inutili nel corso di visite mediche periodiche.

ABUSO CRONICO – ALCOLDIPENDENZA
· Aumento del volume dei globuli rossi (volume globulare eritrocitario)
· Aumento delle transaminasi (soprattutto AST)
· Aumento dei trigliceridi e dell’acido urico (nei bevitori di vecchia data)
· Gamma – GT : indicatore sensibile ma non specifico, in quanto influenzato da altre variabili: psicofarmaci, anticoncezionali, antireumatici, situazioni patologiche quali steatosi, ostruzioni biliari, epatiti ecc…
· Dosaggio ematico della CDT (transferrina decarboidrata): indicatore specifico dell’abuso di alcol ma relativamente sensibile, che riflette il consumo di alcolici negli ultimi 14-15 giorni; l’assunzione di 50-80 g/die ne determina un aumento.
Può essere comunque influenzato dalla carenza di ferro, dalla gravidanza e in caso di neoplasie epatiche o cirrosi biliare.

Rimandando alla lettura dell’intero documento per un’analisi più approfondita degli adempimenti a carico del medico competente e spisal, ricordiamo che le “Indicazioni operative sulle procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di alcoldipendenza in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza.” segnalano che “Il preposto è prevalentemente la figura chiamata ad intervenire nell’immediatezza del riscontro di un caso di stato di ebbrezza in un lavoratore” e viene suggerito un protocollo esemplificativo di intervento:

Esempio di procedura aziendale e formazione del preposto
1) Impedire che il lavoratore (in condizione di malessere o di alterazione psicofisica) svolga operazioni pericolose
- Non farlo lavorare
- Non permettere che usi la propria auto
- Farlo riposare in un luogo adeguato
- Avvisare il diretto superiore
2) Se il soggetto sta male, attivare il Servizio di Primo Soccorso Aziendale, il quale provvederà a:
- accompagnarlo a casa
- chiamare il 118
3) Se il soggetto è agitato e violento, attivare le forze dell’ordine

Ricordiamo inoltre che “La condizione di alcoldipendenza non è una diagnosi laboratoristica, ma è una diagnosi specialistica (psichiatrica)”:

Alcoldipendenza DSM IV Manuale Statistico Diagnostico delle malattie mentali IV° ed., almeno tre dei seguenti criteri diagnostici
1. presenza di tolleranza ovvero necessità di aumentare il consumo per raggiungere gli stessi effetti psichici oppure effetti clinici ridotti mantenendo costante il consumo;
2. Sindrome di astinenza
3. Assunzione della sostanza per periodi prolungati o in quantità maggiori di quelle previste dal soggetto;
4. Persistente desiderio di smettere o di ridurre il consumo alcolico con ripetuti insuccessi;
5. Una grande quantità di tempo spesa in attività necessarie a procurarsi alcol ad assumerlo o a riprendersi dagli effetti;
6. Interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’alcol;
7. Uso continuativo dell’alcol nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica causato o esacerbato dall’uso di alcol.

Dipendenza ICD 10 Classificazione Internazionale delle Malattie dell’OMS, almeno tre dei seguenti criteri diagnostici
1. Forte desiderio o senso di compulsione a usare una o più sostanze;
2. Evidente compromissione della capacità di controllare l’uso di una o più sostanze. Ciò può essere in relazione a difficoltà nell’evitare l’uso iniziale, difficoltà nel sospendere l’uso, difficoltà di controllo del livello d’uso;
3. Stato di astinenza, o uso della sostanza per attenuare o evitare sintomi di astinenza, e consapevolezza soggettiva dell’efficacia di tale comportamento;
4. Presenza di tolleranza agli effetti della sostanza;
5. Progressiva trascuratezza dei piaceri, comportamenti o interessi a favore dell’uso della sostanza;
6. Uso persistente della sostanza nonostante la evidente presenza di conseguenze dannose

Abuso alcolico DSM IV Manuale Statistico Diagnostico delle malattie mentali IV° ed., una o più delle seguenti condizioni nell’ultimo anno
1. Uso ricorrente di sostanze alcoliche che incide negativamente su impegni lavorativi, scolastici o quotidiani;
2. Uso ricorrente si sostanze in situazioni che sono fisicamente rischiose;
3. Problemi legali relativi all’uso di alcol;
4. Uso continuativo di alcol nonostante vi sia evidenza di ricorrenti problemi sociali e interpersonali causati o esacerbati dall’alcol.

Infine il numero verde 800 63 2000 in tema di alcol del OSSFAD, l’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’Istituto Superiore di Sanità che informa e forma in materia di tabagismo, alcolismo e tossicodipendenze.

Rolando Dubini, avvocato in Milano
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Le Radiazioni Ottiche Artificiali (ROA). Titolo VIII, Capo V, D.Lgs. n. 81/08

Il 26 aprile del 2010 entrerà definitivamente in vigore il Titolo VIII, Capo V, D.Lgs. n. 81/08 relativo alla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali.

Con questo provvedimento il Legislatore norma un settore che mai prima d’ora era stato soggetto a particolare attenzione, se si esclude la necessità di adozione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) in particolari tipologie di lavorazione (saldatura, lavorazione di metalli liquidi, ecc.). Adozione prevista fin dal (glorioso) DPR n. 547/55.

Ma quali sono le radiazioni ottiche artificiali che ricadono nel campo applicativo del Titolo VIII, Capo V? Sono tutte quelle comprese tra il campo di applicazione fissato dal Titolo VIII, Capo IV, D.Lgs. n. 81/08 (protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici) e quello stabilito dal D.Lgs. 230/95 relativo alle radiazioni ionizzanti. Quindi radiazioni infrarosse (IR), visibili ed ultraviolette (UV).

Attenzione: mentre con frequenze prossime a quelle degli IR e del visibile gli effetti attesi saranno prevalentemente di tipo deterministico, in corrispondenza dell’UV si sommeranno pure effetti di tipo stocastico (=cancerogenicità) dato che lo IARC ha classificato le componenti UVA, UVB ed UVC artificiali come “probabili cancerogeni per l’uomo” (Gruppo 2A).

Quest’interpretazione è avvalorata dalla constatazione che mentre nel titolo VIII, Capo IV la valutazione del rischio richiesta al datore di lavoro è limitata ai soli effetti “nocivi ed a breve termine”, nel Titolo VIII, Capo V tale aspetto è esteso a tutti i “rischi per la salute e la sicurezza” (…) “con particolare riguardo ai rischi dovuti agli effetti nocivi sugli occhi e la cute”.

Dirimente in questo senso risulta la risposta alla domanda 5.07 presente nelle indicazioni operative dell’ISPESL a cui si rimanda (cfr. link utili riportati a piè pagina).

Le principali sorgenti di emissione da analizzare saranno relative a radiazioni di tipo coerente ed incoerente, ma non tutte avranno necessità di un approfondimento di analisi (cfr. Art. 181, comma 3, D.Lgs. n. 81/08).

L’elenco delle sorgenti di radiazione “sicure” sono riportate sia nelle indicazione operative dell’ISPESL citate sia nelle “Non binding guide” applicative della direttiva 2006/25/CE (cfr. link utili riportati a piè pagina).

L’approfondimento della valutazione del rischio dovrà essere comunque realizzato nei seguenti casi (elenco non esaustivo):

•laser in categoria 3 e 4;
•saldatura elettrica ad arco (MIG, MAG, TIG, ad elettrodo, ecc.);
•utilizzo di plasma per taglio e saldatura;
•lampade germicide;
•sistemi LED per fototerapia;
•lampade abbronzanti;
•lampade ad alogenuri metallici;
•corpi incandescenti (metalli o vetro liquido);
•apparecchi con sorgenti IPL per uso medico od estetico;
•(…)
L’approfondimento dell’analisi potrà essere condotto, in prima istanza, attraverso l’ausilio della normativa tecnica, della documentazione dell’apparecchio oppure con calcoli derivanti dall’applicazione della Legge di Wien.

Alla misurazione dovranno essere riservati i casi più problematici, anche tenendo in considerazione la difficoltà di reperire sul mercato la strumentazione idonea all’applicazione del Titolo VIII, Capo V, D.Lgs. n. 81/08.

A questo proposito si riporta un estratto di quanto indicato dalle indicazioni operative dell’ISPESL (domanda 5.12):

Se le sorgenti non sono giustificabili, la valutazione senza misurazioni può essere effettuata quando si è in possesso di dati tecnici forniti dal fabbricante (comprese le classificazioni delle sorgenti o delle macchine secondo le norme tecniche pertinenti), o di dati in letteratura scientifica o di dati riferiti a situazioni espositive analoghe.

Anche l’analisi preliminare della situazione lavorativa e della sorgente talvolta permettono di evitare la necessità di effettuare le misure. In questo caso, in generale è necessario conoscere e riportare nel documento di valutazione dei rischi:

•il numero, la posizione e la tipologia delle sorgenti da considerare,
•la possibilità di riflessioni (scattering) della radiazione da pareti, apparecchiature, oggetti contenuti nell’ambiente;
•i dati spettrali della sorgente; lo spettro può essere determinato ricavandolo dalle specifiche tecniche fornite dal costruttore;
•se l’emissione della sorgente è costante o variabile;
•la distanza operatore-sorgente e le caratteristiche del campo visivo professionale;
•il tempo di permanenza dell’operatore nella posizione esposta.
•A titolo di esempio le misure o i calcoli non si rendono necessari:
•nel caso delle saldatrici ad arco, dove è noto che con qualsiasi corrente di saldatura e su qualsiasi supporto i tempi per cui si raggiunge una sovraesposizione per il lavoratore addetto risultano dell’ordine delle decine di secondi. Pertanto, pur essendo il rischio estremamente elevato, l’effettuazione delle misure e la determinazione esatta dei tempi di esposizione è del tutto superflua per l’operatore addetto; ulteriori valutazioni possono essere richieste se l’addetto alla saldatura deve essere assistito da altro personale o opera in prossimità di altri;
•nel caso di sorgenti classificate in accordo con lo standard UNI EN 12198:2009 (per le macchine) o lo standard CEI EN 62471:2009 (lampade o sistemi di lampade) dove i dati di classificazione consentono una ragionevole valutazione dei livelli di esposizione.

Link utili:
www.hse.gov.uk/radiation/nonionising/aor-guide.pdf
www.ispesl.it/linee_guida/Fattore_di_rischio/FAQ%20AFisici%20x%20web.pdf
it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Wilhelm_Wien

Tratto da Il Blog di Marzio Marigo
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Addio D I A . . . .

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge modificativo del Testo unico sull’edilizia prevede l’eliminazione dell’obbligo di denuncia di inizio attività (DIA) per gli interventi di manutenzione straordinaria.

Da oggi, quindi, la piccola attività edilizia non è più soggetta al controllo dell'Amministrazione Comunale. Non sarà più obbligatorio rivolgersi a un tecnico abilitato per effettuare interventi di manutenzione straordinaria, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio.

L’esenzione riguarderà lavori interni a un appartamento, a condizione che non si siano spostati i muri portanti, non sia aumentata la superficie o la volumetria dell'appartamento e non si fondano più unità immobiliari in una o, viceversa, ne derivi una frammentazione della unità immobiliare in più unità.

L’obbligo di Dia straordinaria viene eliminato anche per movimenti di terra strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola, per le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità, per le serre mobili stagionali sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola, per i pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno al servizio degli edifici da realizzare al di fuori delle zone di tipo A (DM 1444/1968) e per le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.

La norma dovrebbe è operativa al momento della pubblicazione in Gazzetta. Il dubbio deriva dalla dizione "Salve più restrittive disposizioni previste dalla disciplina regionale". Infatti, il provvedimento è applicabile solo nelle regioni dove la DIA è già stata abolita. In tutte le altre il provvedimento non è applicabile in quanto le norme regionali prevedono la DIA per gli interventi di manutenzione straordinaria, quindi la norma più restrittiva è già in vigore.

Le regioni dove saranno applicabili le semplificazioni del decreto sono:
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Marche, Molise, Puglia, che non hanno una legislazione regionale più restrittiva, oltre a Sardegna e Friuli Venezia Giulia dove la norma è già vigente.

Nelle regioni Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Trentino, Umbria, Sicilia, Val d'Aosta, Veneto, dove è in vigore una legislazione regionale più restrittiva, il Decreto non è ancora applicabile.
Il testo completo del decreto legge: http://www.normattiva.it

Tratto da edilone.it
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