giovedì, settembre 29, 2011

Aspoitalia e il dibattito italiano sul picco del petrolio

Pubblichiamo il documento inviato alla stampa dal Comitato Scientifico di Aspoitalia per controbattere ad alcune affermazioni pubbliche che negano la realtà del picco petrolifero.


Raccontando un incontro al Festival dell'Energia di Firenze, Lorenzo Pinna, uno dei giornalisti della rubrica televisiva SuperQuark, scrive un articolo dal titolo roboante “Balle energetiche: il Peak Oil e altri falsi miti“.
Nell'articolo si riprendono alcune delle opinioni sul Picco del Petrolio del Prof. Vaclav Smil da questi già espresse nel suo recente libro: “Energy Myths and Realities” e in un articolo reperibile in rete [1].
Il Picco del Petrolio sarebbe un falso mito. Nella sostanza l'articolo di Pinna e le pubblicazioni citate non aggiungono nulla di nuovo rispetto alla ricca letteratura meta-scientifica che si occupa di sfatare il mito del Picco del Petrolio.
Pinna, Smil e recentemente Yergin del Cambridge Energy Research Association adottano argomentazioni datate: non è vero che il petrolio è finito, anzi ne abbiamo sempre di più. Con questo essi intendono dire che ne abbiamo sempre di più da annoverare fra le risorse conosciute.
L'affermazione è tanto discutibile quanto inutile e non risolve il problema dell'offerta di combustibili liquidi.
E' infatti essenziale estrarlo quel petrolio, cioè produrlo.
L'impegno delle compagnie petrolifere, tutte le tecnologie dispiegate e il prezzo del barile (che nel decennio 1998-2008 è aumentato di un fattore 10 e oggi oscilla su valori non lontani dai 100 USD/barile) hanno permesso di impedire il declino della produzione di liquidi combustibili, ma lo hanno fatto attingendo a risorse assai più costose energeticamente ed economicamente, bilanciando il calo di produzione del petrolio convenzionale che, come previsto dagli stessi geologi citati nell'articolo di Pinna, ha avuto il suo picco attorno al 2005.
I fatti sono quantitativamente descritti nel seguente grafico tratto da The Oil Drum [2].
Qui è visibile il “plateau” (l’altopiano disegnato dalla stasi produttiva) nel quale ci troviamo dal 2004 e che viene faticosamente mantenuto a causa delle crescenti difficoltà di individuazione e di estrazione, nonché legate alla inferiore qualità del greggio.
Dalla prima metà del secolo scorso ad oggi il costo energetico di estrazione (determinato dal rapporto tra la quantità di energia investita e quella che se ne ricava, definito ERoEI), su cui pesano anche le sempre più onerose azioni di ripulitura ambientale (come quelle del Golfo del Messico), è aumentato in media di 10-15 volte. Un processo negativo che riduce di fatto la risorsa netta estraibile e quindi realmente disponibile.
Le nuove tecnologie introdotte possono in realtà solo allungare di qualche anno questo stato di stallo produttivo, dopodiché l'inizio della discesa della disponibilità di greggio sarà inevitabile.
Considerazioni analoghe sono contenute in recenti documenti del JOE (The Joint Operating Environment) del Comando delle Forze Armate USA, del Dipartimento dell’Energia del governo USA (DoE) e del Zentrum für Transformation der Bundeswehr, un Centro di Ricerca dell’esercito tedesco.
Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia nel suo ultimo rapporto colloca nel 2008 il picco della produzione di greggio convenzionale dei giacimenti già in produzione e nel 2015 quello deigiacimenti che si stanno ora sviluppando.
Successivamente il mantenimento del livello di produzione risulterebbe garantito solo da improbabili nuove scoperte che si potessero estrarre tempestivamente.
Le altre energie fossili (gas e carbone) seguono trend ed evoluzioni peggiorative dell’ERoEI analoghe, anche se non temporalmente coincidenti. Possibili processi di sostituzione di una fonte energetica primaria con un’altra non sarebbero comunque in grado di soddisfare una domanda di energia globale tendenzialmente in costante crescita.
Il problema non è la quantità di energia fossile che possiamo contemplare attraverso i sofisticati mezzi della prospezione geologica, ma la quantità di petrolio (o di gas o carbone) che possiamo estrarre a costi che il sistema economico globalizzato (largamente dipendente da un flusso ininterrotto di energia a buon mercato) può permettersi senza andare in tilt come nell'estate del 2008.
Allora, in concomitanza con il picco assoluto del prezzo del barile, il sistema finanziario inciampò nella realtà fisica che è alla base della ricchezza monetaria, piombando in un crisi da cui ancora nessuno sa quando e se si potrà uscire.


[1] Vaclav Smil - Peak oil: A Catastrophist Cult and Complex Realities - http://www.vaclavsmil.com/wpcontent/
uploads/docs/smil-article-2006-worldwatch.pdf
[2] http://www.theoildrum.com/node/8391

Comitato Scientifico ASPO-Italia.

3 commenti:

Paolo ha detto...

Anche ipotizzare un'uscita dalla crisi è un non senso. Questa crisi è intimamente legata al tipo di paradigma imperante, un paradigma morente o già morto, e quindi non ne usciamo più.
Si può solo ipotizzare un cambio deciso verso un paradigma sostenibile, l'unica alternativa possibile, ma il prezzo da pagare, al punto avanzato di disfacimento della civiltà tecnologica da fossili in cui ci troviamo, è tutto da quantificare nell'entità e negli effetti negativi su tutti noi.
Crisi irreversibile e scelta di un paradigma sostenibile della non crescita, il dogma che dovrebbero far proprio le rapaci elite di potere. Utopia...

ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE ITALIA AFRICA ha detto...

Una ripresa economica con questo modello energetico e' impossibile. Questo ha moltissime implicazioni economiche, sociali, politiche. Proprio per questo dobbiamo cominciare a dirlo.

marco

Anonimo ha detto...

Smill e Yergin affermano che non esiste un picco cel petrolio. Aspo e Vosek, AD Shell, il contrario. Anzi che entro pochi anni mancherà una bella quantità di energia da idrocarburi. Vedremo presto chi ha ragione.