Pellegrinaggi e viaggio religioso  (Parte prima)

 Le forme del viaggio sono in continua evoluzione e sono strettamente legate al periodo storico nel quale si inseriscono. Il viaggio, sia esso un pellegrinaggio o una vacanza all- inclusive, rimane comunque un esperienza di cambiamento, dettata da bisogni specifici.

E’ possibile ipotizzare che tra le prime forme di turismo, praticate nelle civiltà umane, via sia stato il viaggio a scopo religioso. Forme di pellegrinaggio sono documentate in tutte le società antiche, anche se, storicamente, il potere religioso e quello politico erano strettamente connessi, e le città attiravano visitatori sia per la visita ai luoghi sacri che ai rappresentanti del potere.

Il viaggio per motivazioni religiose è istituzionalizzato in tutte le grandi religioni, dall’Induismo al Buddismo, dal Cristianesimo all’Islam.

 I centri economici, culturali, religiosi, di socializzazione, si creano dagli spostamenti di gruppi umani, che si radicano in un determinato spazio, creando “luoghi significativi”.

Il progresso rappresenta, in modo costante, una tappa dell’evoluzione della civiltà;  quando però il progresso si sviluppa senza tenere in debita considerazione il miglioramento delle abitudini e delle condizioni di vita degli individui, si determinano processi di disumanizzazione che portano a conflitti sociali, a situazioni di crisi, a debolezze dell’equilibrio umano.

 A differenza di oggi, nel passato si conduceva una vita molto più sedentaria. Ci si muoveva per ragioni ben determinate, interessi commerciali, spedizioni militari, motivazioni religiose.

La prima condizione conosciuta dall’uomo è stata quella nomade, dominata da un economia di sussistenza, senza accumulazione di capitale e di ricchezza. Il successivo sviluppo di modelli stanziali con i primi villaggi, determinò una sorta di diffidenza nei confronti del nomadismo, creando le condizioni per il lungo processo di civilizzazione che si è sviluppato nei secoli.

Il viaggio verso determinate mete riguarda sia le società tribali preesistenti alle grandi religioni, che le società stanziali. Nella storia delle civiltà troviamo una miriade di “luoghi sacri”, mete di pellegrinaggio per ricevere responsi, miracoli, purificazioni, per ottenere guarigioni sia del corpo che dell’anima.

La Religione nasce con l’uomo; tutti i popoli hanno i propri riti, le proprie credenze, i propri dei, i propri miti. Nella ricerca del senso della vita, l’individuo ha necessità di mediazione tra il finito, l’infinito, l’indefinito. La Religione si pone come codice interpretativo del mistero della vita,  come elemento di coagulo sociale e come risposta ai tanti perché dell’esistenza.

 In tutto il pensiero occidentale, il viaggio assume in sé una forte connotazione simbolica, talvolta diviene una metafora per spiegare l’esistenza. La morte viene presentata come trapasso, la vita come cammino o pellegrinaggio terreno, le fasi dell’esistenza come riti di passaggio.

 L’antichità ha generato varie altre tipologie di viaggio e di credenze che sono divenute supporto di importanti  movimenti religiosi o di vere e proprie religioni strutturate. Sarebbe stato necessario analizzare anche altri aspetti, tipo le strade, i mezzi di trasporto, le tappe dei pellegrini, la rete di ospizi che ne è stesa, e quanto avviene al giungere alla meta. Ma questi aspetti potranno trovare uno spazio successivamente, se vi saranno ancora gli stimoli che hanno mosso questa ricerca. Vorrei solo ricordare, come già enunciato in altra parte, che con i pellegrini circolano le lingue, le preghiere, i canti, ma anche le idee, le tecniche e le forme artistiche. I pellegrini pregano, cantano, parlano, fanno paragoni. Quando ci si ferma o ci si incontra nel percorso,  s’aprono le discussioni, ciascuno può apprendere e scoprire le abitudini degli altri, i loro usi, gusti, metodi di lavorare, l’arte di dipingere, di scolpire, di vivere, di intendere l’amore e l’amicizia, di interpretare la terra, l’acqua, il fuoco, il cielo, il vento, l’ambiente, il proprio grado di civiltà.

Nel corso delle varie epoche storiche ci imbattiamo negli oracoli,  in Estremo Oriente, in Grecia, in Italia, nella Gallia e Arabia preislamica, presso gli Aztechi, i Maya, gli Incas. Nell’analisi dei pellegrinaggi si scopre che quelli antichi non cercavano di conoscere il futuro, ma erano mossi dalla pietà, dal pentimento, dalla riconoscenza. Scorrono così, davanti a noi, l’antichità sumerica, l’antico Egitto, le divinità precolombiane, l’India in eterno pellegrinaggio, la terra di Canaan, il vicino Oriente. Forme differenti di pensiero si incontrano e si confrontano, fornendo risposte alle questioni fondamentali che l’uomo si poneva: il confucianesimo e il taoismo in Cina, il buddismo e il gianismo in India, lo zoroastrismo in Iran, il pitagorismo e le filosofie in Grecia, il giudaismo in Israele e la civiltà celtica nelle nostre regioni occidentali.

 Nell’antichità, il viaggio si identifica con il viaggio dell’eroe e serviva a spiegare “il fato”, il ruolo degli Dei nella vita degli uomini. Non si tratta quindi di viaggi di piacere, ma di prove che comportano fatica, patimento, insidie e pericoli imposti da forze superiori.  Il superamento di queste sfide dà la possibilità di estendere il proprio io oltre la morte. Agli occhi delle comunità, le sofferenze generano il “mito”,  l’eroe,  e garantiscono gloria, fama, saggezza, posizione sociale. L’epopea di Gilgamesh (Mesopotamia intorno al 2900 a.C), il mito di Etana (re sacerdote babilonese circa 2000 a.C.), l’Odissea con il viaggio di Ulisse, il mito della caverna di Platone, sono alcuni esempi significativi di questo percorso.

 

Bibbia ed Ebraismo: Con la Bibbia, che deve essere considerata non tanto il libro sacro dell’ebraismo e/o del cristianesimo, ma testo della cultura occidentale,  si ha un diverso approccio al tema del viaggio, e si supera l’aspetto della figura dell’eroe. Nel libro della Genesi, l’uomo viene esortato  “…crescete e moltiplicatevi, e popolate la terra..”.  Sempre nella Genesi il viaggio si intende come esilio, penitenza, purificazione. La coppia Adamo ed Eva, per il peccato di quest’ultima, è cacciata dall’Eden e costretta, per espiare le proprie colpe, a viaggiare e lavorare. La penitenza del viaggio viene inflitta anche a Caino, che ha ucciso il fratello Abele; Dio gli nega ogni legame con la terra, lo pone nella situazione di eterno vagabondo, ma lo marchia in modo da non essere ucciso nel suo errare.

Nella Bibbia il viaggio viene visto anche come fonte di crescita e di esperienza. La storia del popolo ebreo non è soltanto un simbolo, un’occasione per imparare o espiare le proprie colpe; Abramo, padre del monoteismo e della religione ebraica, conduce il suo popolo, dopo peripezie di ogni genere, fino al raggiungimento della terra promessa.  La storia di Abramo e’ anche la storia della fedeltà di un uomo alla missione che gli è stata affidata, quella di abbandonare la sua terra e di compiere un viaggio verso una terra straniera, prestando fede a ciò, che il testo biblico presenta come volere di Dio. La Bibbia  è anche la storia delle popolazioni nomadi che vivevano tra la Mesopotamia, la Siria, la Palestina e che si muovevano alla continua ricerca di pascoli, scontrandosi tra loro per la sopravvivenza. La terra promessa allora, più che una realtà geografica, assume un valore simbolico, rappresenta quella condizione di legame tra Dio e l’uomo che garantisce felicità interiore. Abramo si abbandona interamente alla volontà di Dio.

Mosè appena nato viene nascosto per tre mesi, poi posto in un cesto e affidato al Nilo. La figlia del faraone scorge il cesto, vede il bambino e, pur riconoscendolo ebreo, decide di salvarlo. Si tratta di una storia che ritorna, a proposito dell’infanzia di personaggi celebri, come Sargon re in Mesopotamia, e che ha, quindi, caratteri stereotipati e ideali. Storico pare invece il ricordo dell’oppressione degli ebrei in Egitto e della loro liberazione sotto la guida di un condottiero che diviene il capo del suo popolo. Dio si rivela come il Dio dei padri e affida a Mosé il compito di liberare il suo popolo dalla schiavitù per condurlo verso un nuovo paese. Vi sono gli episodi delle piaghe d’Egitto, segni operati da Dio tramite Mosè per piegare il volere del faraone e permettere agli Ebrei di partire. Della storia di Mosè è utile ricordare due aspetti: in primo luogo le recriminazioni di cui è fatto segno da parte del popolo che l’ha seguito nel deserto e che soffre le fatiche del viaggio, la fame e la sete, giungendo a rimpiangere la terra d’Egitto. Mosè non dubita mai che il viaggio verso la Terra Promessa sia voluto da Dio, ed interviene a rincuorare il popolo divenendo tramite di eventi miracolosi, come l’episodio della manna dal cielo o quello dell’acqua fatta sgorgare dalla roccia.  L’altro elemento riguarda il fatto che Mosè non giungerà mai alla Terra Promessa, ma la vedrà soltanto da lontano. Vi sono chiaramente diversi livelli di lettura del testo, uno storico, uno allegorico, uno allegorico morale ed uno allegorico anagogico.

Gli Ebrei hanno visto evolversi il loro modo di fare pellegrinaggio e le loro mete a causa dello sviluppo della storia ebraica. I primi luoghi in cui si recavano erano quelli delle teofanie del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, dove Dio aveva parlato ai patriarchi Sichem, Mombra, Bersabea, Gilgal. Ogni tribù aveva il proprio santuario, fino a quando nell’epoca di re Giosia (622 a.C.) si concentra il culto in Gerusalemme, che rimarrà luogo sacro per eccellenza fino al 70 d.C., anno in cui i romani distruggono il tempio dando vita alla diaspora ebraica. Attualmente la principale meta dei pellegrinaggi ebraici è il “muro del pianto” dove si recano nella speranza che un giorno Gerusalemme possa essere riedificata.

 

Induismo: Tra le più antiche Religioni, con oltre un miliardo di fedeli, troviamo l’Induismo (Hinduismo) che vanta origini antichissime e che può considerarsi una somma di correnti religiose, filosofiche e metafisiche. L’Induismo è un modo diverso di concepire la vita, completamente estraneo ai valori occidentali. Gli Indù interpretano la vita come un perenne divenire in cui la storia umana ha poca importanza. Gli Induisti credono in un essere supremo, il Brahaman che però non è entità individualizzata, ma l’assoluto nel suo insieme, che si manifesta poi in migliaia di dei che hanno assunto, nel tempo, varie forme. L’induismo non ha una gerarchia sacerdotale, ha però gli insegnanti (swami), le guide spirituali (guru).  I principali libri sacri sono i Veda (conoscenza). Il Luogo Sacro per eccellenza è il fiume Gange, dove i fedeli si recano per la purificazione spirituale. Benares è il punto di arrivo per la vita di ogni Indù, centro antichissimo, legato al culto di Ganga, il fiume sacro a Shiva. Il fiume ha il potere di lavare i peccati più di ogni altro posto. Morendo a Benares e affidando le ceneri alle acque si entra al cospetto di Dio.

A Benares si trova quanto di più indiano si può cercare in India; è un centro talmente importante per la vita e cultura indiana che, per il visitatore, costituisce un’esperienza unica. Ciò che la rende importante è l’umanità che si incontra. I pellegrini che giungono da tutta l’India per purificarsi o per morire, affollano i “ghat” le grandi scalinate che scendono al Gange (ce ne sono circa 100). Qui i fedeli si immergono nelle acque fangose del fiume seguendo un percorso che li porta a bagnarsi in 5 differenti ghat. Le abluzioni avvengono al mattino presto; la luce tenue dell’alba conferisce al luogo un aspetto magico e irreale. Dopo il bagno ed il saluto al sole che sorge di fronte a loro, i fedeli offrono fiori freschi alla dea Ganga facendoli galleggiare sul fiume. Spesso i pellegrini portano con se brocche di ferro o di terracotta per raccogliere un pò d’acqua sacra del fiume Gange (la grande madre). Benares è uno dei luoghi più ricchi di spiritualità, di misticismo dell’intera India, al pari di città sante come Gerusalemme o La Mecca. Sul ghat di Manikarnika ardono ininterrottamente, giorno e notte, le pire per la cremazione, con i parenti dei defunti che gridano “la verità è il nome di Dio”. Morire a Benares, affidando le proprie ceneri al fiume, è l’aspirazione di ogni fedele Indù, mentre intorno alle pire è un pullulare di Santi e Santoni, preti, addetti alle cerimonie, devoti di Schiva o Vishnu, pellegrini, mendicanti, venditori d’offerte.

Gli induisti, ancora oggi, a milioni si riversano sul fiume Gange per compiere un imponente pellegrinaggio che si prefigge, come meta, le sorgenti del fiume, situate sull’Himalaya, con un percorso di oltre 100 Km. Questo cammino dura alcuni mesi e fa tappa nelle varie città bagnate dal fiume che, proprio per questo, sono considerate sacre. L’intento dei pellegrini è raggiungere, o per lo meno avvicinarsi al Dio Creatore, che risiede simbolicamente nelle alture del monte più alto del mondo.

Tra i seguaci dell’Induismo la grande figura morale di  Mohandas Karamchand Gandhi.

 

Buddismo: Storicamente l’arbitrio dei sacerdoti brahmani, l’insoddisfazione per l’ingiusta struttura di casta ed il dispotismo schiavista  ha creato terreno fertile per l’affermarsi dei principi Buddisti. Oggi i seguaci di questa filosofia rappresentano la quarta comunità religiosa mondiale, dopo Cristianesimo, Islam e Induismo, con oltre 400 milioni di adepti.  Il periodo storico che ha caratterizzato la nascita del Buddismo, tra  l’VIII e il VI sec. a.C. vede l’affermarsi di grandi turbolenze spirituali nelle civiltà superiori del bacino Mediterraneo e della Cina. Se prendiamo come riferimento l’Illuminazione di Siddartha Gotama (circa 523 a.C.), in Grecia tramontano le antiche monarchie di origine sacrale e si sviluppano le filosofie di Pitagora, di  Eraclito, della scuola eleatica. In Cina insegnano Confucio e Lao Tzu, in Persia domina la religione di Zarathustra. A Roma crolla la monarchia. Nel Vicino Oriente iniziano il declino le civiltà teocratiche, come quelle egizia e assiro-babilonese. In pratica gli uomini abbandonano progressivamente il primato dell’intelligenza intuitiva ed ispirativa, e tendono a sviluppare l’intelligenza logico-discorsiva. Questo nuovo “clima culturale” cerca la verità delle cose nell’interiorità dell’essere umano, o in un mondo visto con occhi più disincantati, con una mente meno disponibile a credere in spiegazioni mistiche o in tradizioni arcane.

Nato verso il 465 a.C. da una ricca famiglia di una stirpe che dominava il paese, gli viene imposto il nome di  Siddartha (colui che ha raggiunto l’illuminazione), ma in seguito, tra gli altri appellativi, emerge quello di Buddha (l’illuminato, il risvegliato). Cresce in mezzo alle comodità e ad lusso principesco, ma si narra che incontrò le miserie umane: un vecchio, un cadavere, un mendicante. Queste tristi realtà della vita lo impressionano profondamente. Desideroso di conoscere le cause della miseria del mondo, all’età di circa 30 anni abbandona tutto e tutti, per condurre vita eremitica alla ricerca del senso della vita. Insoddisfatto delle risposte di altri maestri, dopo digiuni estenuanti, abbandona le mortificazioni eccessive, ed a 35 anni, dopo quarantanove giorni di riflessione ai piedi di un albero di fico, in una notte di luna piena del mese di maggio, raggiunge l’illuminazione. Comprende le Quattro nobili verità: sul dolore, sull’origine del dolore, sulla soppressione del dolore, sulla via che porta alla soppressione del dolore. Animato da profonda pietà per gli uomini e dal desiderio di salvarli, si dirige verso Benares seguito da cinque discepoli, affascinati dalla bellezza della sua dottrina e percorre, per oltre quarant’anni, il Nord dell’India insegnando e predicando un messaggio di speranza e di felicità, raggiungibile non come dono di Dio ma come conquista del proprio intelletto e della propria volontà. Secondo la tradizione Buddha morì all’età di 80 anni, circondato da seguaci e discepoli.  Con la morte di Buddha, datata  486 a.C., inizia il cammino del Buddhismo come movimento religioso.

Il Buddismo vuole porsi come filosofia di vita e come pratica meditativa. Nel momento dell’Illuminazione il Buddha avrebbe intuito un preciso imperativo etico: “liberarsi dalle opinioni”. L’atteggiamento quindi vuole essere di tipo anti-dogmatico. “La dottrina è simile a una zattera -disse il Buddha -, serve per attraversare e non per trasportarsela sulle spalle”. Questo ovviamente non significa che il Buddismo, al pari di ogni altra religione, non abbia i propri dogmi, i propri canoni, i propri riti e persino il proprio misticismo. Sul piano del comportamento sociale, il Buddismo rifiuta il sistema brahminico delle caste e riconosce l’uguaglianza formale di tutti gli uomini. Ogni uomo ha uguali possibilità di salvezza morale, poiché tutto dipende dalla sua volontà. Il buddismo esalta, in modo particolare, il genere umano, non prevede azioni di difesa dal male ricevuto, non si vendica; sostanzialmente vi è la convinzione che chi compie il male, vedendo la non-reazione da parte di chi lo subisce, ad un certo punto smetterà di compierlo.

Intorno al I secolo d.C., il Buddismo si divide in due scuole di pensiero, l’Hinayana o “piccolo veicolo” (stretta via della salvezza)  e Mahayana o “grande veicolo” (larga via della salvezza), il che determina anche la nascita di alcune decine di correnti.  Una terza scuola di pensiero, detta anche Veicolo del Diamante, si afferma verso il VI secolo d.C., diffondendosi prevalentemente in Mongolia, Tibet, Nepal, Cina e Giappone.

Nella cultura buddista sono molto praticati i pellegrinaggi, sia verso i luoghi che ricordano le tappe della vita del fondatore, sia verso i “luoghi di potere”, chiamati anche luoghi santi (laghi, fiumi, montagne, caverne,  monasteri, luoghi di culto ecc.).  Tra le molte pratiche di devozione da compiere durante il pellegrinaggio spicca la circomambulazione, il bere o bagnarsi nelle acque di certi laghi, le prostrazioni (con cui talora si copre col corpo disteso per terra la distanza dal luogo di partenza a quello di arrivo del pellegrinaggio), le offerte (di lampade al burro, di sciarpe bianche di lino, di fumo profumato derivante da ginepro o rododendro), la recitazione di mantra, la meditazione e la preghiera. Per un più articolato approfondimento sui luoghi di pellegrinaggio, si segnala la nota sul sito  http://www.kunpen.it/DharmaTibet/33.pdf .

In Italia esistono oltre 60 centri buddisti, in gran parte nelle regioni settentrionali e centrali. Tutte le grandi scuole tradizionali sono presenti: in particolare quella Theravada (Sri Lanka e Sudest asiatico), quella Zen (Giappone) e quella tibetana. Escludendo qualsiasi intento di proselitismo, i buddisti italiani si dedicano prevalentemente al volontariato, ad attività socialmente utili, al dialogo interreligioso, interculturale ed a favore della pace e della tolleranza tra civiltà.

A. Locci

(segue)

 

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