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Comune di Casei Gerola
 
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Il Parco naturale di interesse sovraccomunale (P.L.I.S.) Le Folaghe è un'oasi naturalistica sita nel comune di Casei Gerola (ente gestore), inserita nel contesto dell'International Waterfowl Census (IWC) dal 1994.

Il parco si trova in provincia di Pavia, in una posizione strategica al centro della pianura padana, tra il comuna di Casei Gerola e Silvano Pietra e ha un'estensione di 70 ettari.

La mappa del Parco (scarica)

Clicca sui punti attivi per avere una descrizione degli ambienti

L'area del parco dal satellite

Le vasche dell'ex zuccherificio

La mappa seguente mostra, in BLU, l'ubicazione delle vasche dell'ex zuccherificio di Casei Gerola, sono ambienti in grado di produrre biodiversità e di attrarre diverse specie di uccelli, soprattutto durante le fasi di migrazione.
Viene mostrato anche il percorso per raggiungere le vasche partendo dal Parco, ma si tenga presente che l'accesso diretto alle vasche non è consentito.


Visualizza Casei Gerola - Vasche ex zuccherificio in una mappa di dimensioni maggiori

La produzione di mattoni è documentata sin dalle epoche più antiche: Egiziani e Greci li facevano essiccare al sole mentre i Romani, per realizzare costruzioni a più piani che richiedevano materiali più resistenti, cominciarono a cuocerli in apposite fornaci, una pratica che è rimasta sostanzialmente immutata sino alla Rivoluzione industriale.
Le ricerche fin qui condotte consentono di affermare che le fornaci per la produzione di laterizi erano diffuse praticamente su tutto il territorio regionale fino agli inizi del Novecento e che le informazioni desumibili da quelle fonti, confermate anche dai ricordi dei fornaciai, possono essere riferite anche a periodi precedenti.
In generale, le fornaci venivano costruite accanto alle cave di argilla, che erano quasi esclusivamente a cielo aperto, e ai boschi da cui ricavare la legna per la cottura. L’estrazione dell'argilla avveniva nel periodo invernale utilizzando la zappa e la vanga. Una volta scavata, l’argilla veniva trasportata, senza ricorrere all'ausilio delle macchine, accanto alla “piazza”, una superficie di terreno pianeggiante dove i laterizi venivano messi ad asciugare prima della cottura, ammucchiata in cumuli alti al massimo un metro e lasciate esposta alle varie condizioni atmosferiche: il gelo, con la forza della dilatazione dell’acqua, disaggregava le zolle e così l'argilla assorbiva con più facilità l’acqua, diventando più malleabile.

Caratteristiche delle cave di argilla

Le cave alle origini

Con il nome di cava viene indicato un cantiere di estrazione con mezzi idonei di materiale litoide (marmo, granito, calcare, arenaria, argilla, sabbia e ghiaia) da un giacimento secondo un programma spazio-temporale amministrativamente e tecnicamente autorizzato ed economicamente giustificato tale da consentire altresì un accettabile recupero del sito.
In questo contesto la nostra attenzione si focalizzerà sulle cave per l’estrazione di argilla per la produzione di laterizi. Tuttavia, l’uso generalizzato del termine “argilla” da laterizi è improprio. Trattasi in realtà di un litotipico costituito in prevalenza da limo, sabbia fine e, in misura minore, da argilla. La materia prima per la produzione dei laterizi esige appropriate caratteristiche mineralogiche e fisicochimico, con particolare riguardo a plasticità, refrattarietà, granulometria, contenuto in quarzo e carbonati ecc.

Le cave di argilla possono essere così suddivise: 1) cave di pianura; 2) cave di monte. Le prime sono prevalentemente incise in depositi continentali formatisi in occasione di grandi piene dei corsi d'acqua durante l’era quaternaria. Trattasi di accumuli di limi argilloso-sabbiosi disposti in banchi orizzontali caratterizzati, sulle lunghe distanze, da stratificazione lenticolare tipica dei depositi alluvionali. Le seconde, denominate di monte, ma più propriamente possono essere definite come collinari o, interessano, quasi sempre, sedimenti di origine marina. Tali formazioni pelitiche presentano, a volte, potenze di parecchie centinaia di metri come nel caso delle argille plioceniche diffuse lungo tutto il margine appenninico, con affioramenti consistenti anche in Lucania e Sicilia.
Nelle aree di pianura, come nel caso del territorio di Casei Gerola, date le caratteristiche morfologiche dei depositi, la coltivazione è realizzata in genere con modalità semplici e scavi a fossa, raccordati al piano di campagna circostante con rampe percorribili dai mezzi meccanici.

Molto spesso le operazioni di scavo si limitato all’asportazione di pochi metri di deposito argilloso utile, lasciando ribassi di suolo facilmente recuperabili all'originale attività agricola senza provocare guasti all'ambiente e al paesaggio.
La metodologia di scavo consiste nell’asportazione ed accumulo ai bordi della cava dello strato superficiale di terreno agrario. L’escavazione del materiale viene preferibilmente realizzata per tutta l’altezza del banco utile, generalmente con l’impiego di escavatore idraulico. Questo sistema ha il vantaggio di permettere, già in fase di coltivazione, una buona miscelazione dei vari livelli argillosi che costituiscono lo spessore utile. Il materiale estratto dalla cava presenta così una discreta omogeneità qualitativa e costanza di caratteristiche fisico-chimiche. In questo caso lo scavo ed il carico dell’argilla sugli autocarri costituiscono un’unica fase di lavoro. Per le cave di pianura, mentre non si pongono problemi circa la loro stabilità al di fuori delle pareti della fossa, emerge quello dell'eventuale interferenza sulle falde idriche presenti nel sottosuolo, legato soprattutto alla profondità, dal piano di campagna, del tetto della superficie freatica durante le sue escursioni. In questo caso il discorso idrogeologico si fa preminente e di grande importanza sarà quindi la conoscenza del livello e dell’andamento delle falde acquifere superficiali e profonde nonché la stesura, in fase progettuale, di una carta isopiezometrica, che consiste nella rappresentazione grafica dell’unione dei punti della superficie freatica aventi uguale quota sul livello del mare. Sulla base di tale elaborato sarà agevole programmare nel modo migliore l'attività di cava e di restauro dei luoghi tenendo in giusto conto la situazione idrogeologica locale e generale. L’escavazione del materiale sotto falda, avviene, mediante l’impiego di un escavatore equipaggiato con dragline e benna trascinata.

A volte sul fondo delle depressioni create dall’attività estrattiva si riscontra presenza d’acqua non dovuta ad interferenza del livello di scavo con il tetto della falda, bensì all'accumulo di acque superficiali o meteoriche per difficoltà di drenaggio. Questi ristagni d’acqua provocano effetti pollucenti ed è opportuno individuare e porre in atto accorgimenti volti ad evitarli e/o eliminarli.
Per le cave di monte la metodologia di scavo è condizionata dalla morfologia del versante da escavare. La coltivazione, di solito, è realizzata a gradoni discendenti o a piani inclinati e con sistemi di scavo adeguati alla quantità ed alle caratteristiche del materiale da escavare. Le fasi della coltivazione vengono realizzate con: a) asportazione ed accumulo ai bordi dell'area di scavo dello strato superficiale di agrario e/o sterile; b) apertura del gradone a mezzo ruspa; c) scarificazione e spinta, a mezzo ruspa, del materiale nel sottostante piazzale per il carico con pala meccanica sugli autocarri ribaltabili per il trasporto in fornace. La ruspa, ossia il trattore cingolato a lama frontale equipaggiato con ripper, può agire direttamente sul fronte nel caso di piano inclinato con idonea pendenza e la materia prima scarificata viene sospinta fino al punto di raccolta e di carico.
Nell'attivazione di questo tipo di cava è importante valutare attentamente la stabilità e le condizioni idrogeologiche dei luoghi che saranno interessati dall'escavazione, oltre considerare la copertura vegetale, le eventuali emergenze paesistico ambientali, la viabilità e la vincolistica cui è sottoposta la zona che ospiterà il cantiere. Per quanto concerne gli aspetti idrogeologici connessi alla coltivazione di questo tipo di cava, la circolazione idrica sotterranea risulta praticamente assente a causa della natura tendenzialmente impermeabile del substrato.

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Caratteristiche geologiche, geomorfologiche ed idrogeologiche delle cave di Casei Gerola

Il territorio in esame è di origine alluvionale, di età quaternaria recente. I depositi dei terreni che si trovano sono derivati dai sedimenti abbandonati dal Torrente Curone e dal Fiume Po, durante le più recenti fasi geologiche. La copertura alluvionale risulta costituita da una successione verticale a granulometrica decrescente dal basso verso l’alto (ghiaia, sabbia, argilla, limo), in relazione alla capacità di trasporto della corrente fluviale, poggiante sul basamento pliocenico raccordato con i rilievi appenninici.
In questo contesto generale, la porzione di pianura occupata dal Parco è caratterizzata da una successione litologica costituita, partendo dalla superficie:
1) da argilla limosa, fino a 5.5-7.0 m di profondità. Questo livello risulta pressoché obliterato nelle aree a cava; 2) da limo sabbioso, da 6.0 m, comunque al livello precedente, a circa 7.5 m; 3) da sabbia, sabbia e ghiaia acquiferi a 30-35 m circa, poggianti su un livello continuo argilloso spesso alcuni metri; 4) seguono alternanze di depositi dello stesso tipo dei punti precedenti fino a circa 120-150 m di profondità.
Il livello di depositi fini che costituisce i primi 5-7 m di profondità rappresenta la porzione di interesse per lo sfruttamento dell’industria dei laterizi. I minerali argillosi rilevanti in questa ottica sono l’illite, la smectite e la kaolinite.

Figura 1La geomorfologia della zona a Parco è rappresentata, come detto sopra, da forme di cava a fossa, scavate per l’estrazione dell’argilla. Il fondo delle cave, generalmente subpianneggiante, è a quota inferiore di circa 5-7 m rispetto al piano di campagna. Le cave sono inserite nel contesto di un territorio di pianura con quote originarie del piano di campagna che vanno da circa 77 m s.l.m., nel settore meridionale e occidentale, a circa 75 m nella zona settentrionale.
L’idrologia della zona è rappresentata principalmente dal Torrente Curone, posto circa 500 m ad Ovest del Parco, con alveo incanalato artificialmente. Il drenaggio superficiale è assicurato dalla presenza di fossi colatori che si raccordano ad un sistema di canali posti a valle, nel comune di Silvano Pietra. I canali principali sono il Fosso Vallazza, Roggio Botticella e La Roggia Viva della Mensa. Questi canali sboccano direttamente nel Fiume Po.
Idrogeologicamente, una successione litologica come quella descritta precedentemente porta alla costituzione di una falda idrica nei sedimenti più grossolani, sigillati dagli orizzonti impermeabili argilloso-limosi sovrastanti e, conseguentemente, alla formazione di una falda in pressione, come schematizzato nella figura a fianco.

Locali eteropie tra sedimenti argillosi e sedimenti sabbioso-ghiaioso all’interno dello strato più superficiale creano le condizioni per la genesi di locali falde sospese.
Recupero ambientale
L’attività estrattiva è sempre accompagnata dallo studio delle tecniche di ripristino e recupero paesaggistico; inoltre, è stato osservato a ragione, che il miglior recupero ambientale nasce già da una corretta coltivazione, condotta con buona tecnica e secondo un idoneo progetto.

Per ripristino ambientale non deve intendersi necessariamente la restituzione dell’area escavata allo stato originale, bensì il suo inserimento nell’ambiente circostante e deve costituire una normale fase operativa del lavoro estrattivo. Nelle singole cave dovrebbero necessariamente venire attuate tipologie di intervento direttamente connesse alla specificità degli ambienti. Le opere di restauro delle aree escavate, oltre a costituire una normale fase operativa del lavoro estrattivo, dovrebbero essere realizzate, per quanto possibile, parallelamente ai lavori di escavazione e non rimandate al termine della coltivazione. La scelta del tipo di restauro è condizionata da vari fattori fra i quali: la coltivazione adottata, l’ampiezza e la profondità degli scavi, le caratteristiche dei materiali rimasti in posto, la presenza d’acqua e le sue possibilità di ricambio, la vicinanza a centri urbani, a strade di grande comunicazione o a località di interesse paesaggistico ecc.
Ciò premesso, le aree recuperate possono essere destinate: 1) ad attività agricole; 2) alla riedificazione di ecosistemi attraverso il rinverdimento e il rimboschimento; 3) alla creazione di aree faunistiche, ricreative, parchi naturali o giardini; 4) all’insediamento di nuove aree di sviluppo industriale, commerciale o artigianale.

Il Parco Naturale Le Folaghe di Casei Gerola rientra nel tipo 3. Esso consiste di cave di argilla ormai dismesse, le più profonde delle quali, allagate dall’acqua di falda, sono diventate dei laghetti attorno ai quali nidificano numerose specie di uccelli acquatici: tuffetti, germani reali, mestoloni, marzaiole, moriglioni, aironi rossi, svassi maggiori, tarabusini e ovviamente folaghe.

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I visitatori del parco sono i benvenuti, siamo tutti invitati a rispettare poche semplici regole, nei riguardi del parco e degli elementi naturali che preserva.

Consulta il regolamento del Parco scaricandolo tramite il link seguente.

Regolamento Parco "Le Folaghe"

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I visitatori del parco sono i benvenuti, siamo tutti invitati a rispettare poche semplici regole, nei riguardi del parco e degli elementi naturali che preserva.
Rimani nei sentieri stabiliti, consulta le mappe per sapere come muoverti agevolmente all'interno del parco.

Mappa - 2012     Mappa 2012 Mappa - Generale     Generale
Mappa - Confini     Confini Mappa - fiume Po     Area Fiume Po
Mappa - Voghera     Area Voghera Mappa - Quadranti     Quadranti

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Ropaloceri

Farfalle

Le farfalle diurne, pur essendo motivo di interesse per diversi frequentatori del Parco, non sono mai state oggetto di un’indagine accurata e per questo motivo si disponeva solo di dati provenienti da osservazioni sparse (tra queste merita una citazione quella relativa a una specie migratrice rarissima alle nostre latitudini: il monarca africano (Danaus chrysippus), di cui è stato fotografato un individuo nel 2010).

In considerazione del fatto che le farfalle sono da considerarsi ottimi indicatori della qualità e della differenziazione ambientale si è deciso di procedere a un censimento completo delle specie presenti al Parco. A partire dal mese di marzo fino a ottobre hanno avuto luogo numerose sessioni di censimento che hanno portato alla compilazione di una lista di 46 specie, tra cui una, rilevata per la prima volta nel 2011, di interesse conservazionistico: la licena delle paludi (Lycaena dispar). La conservazione di questa farfalla, così come testualmente riportato dalla Direttiva 92/43/CEE, richiede la designazione di zone speciali di conservazione.

Ulteriore tassello del mosaico composto da specie animali e vegetali per la conservazione delle quali ci si auspica il raggiungimento dell’ambizioso quanto dovuto obiettivo dell’istituzione di un SIC e ZPS (Sito di Interesse Comunitario e Zona di Protezione Speciale). Questo significherebbe il raggiungimento di una delle conseguenze virtuose che lo sforzo compiuto nell’ambito del progetto descritto in questa monografia può produrre.

L’elenco completo, considerando anche i dati pregressi ammonta a 63 specie.

 

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Odonati

Coenagrion-scitulum


Sebbene il Parco sia un luogo idoneo alla riproduzione delle libellule non si disponeva di un elenco relativo a questi insetti. Nel 2011, da maggio a ottobre, si è proceduto con periodiche sessioni di censimento tramite ricerca degli adulti.

Il totale delle specie censite ammonta a 23, tra cui una, Coenagrion scitulum (nella foto), è senza dubbio meritevole di menzione, in quanto il Parco è la seconda stazione lombarda in cui ne è stata accertata la presenza.

 

 

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