martedì 27 novembre 2007

Alto Jonio Cosentino. Traffico di coca, 13 arresti all’alba

Due dei coinvolti erano già in carcere dopo “Omnia”, l’operazione che incastrò i Forastefano
Sgominata una banda di pusher che riforniva tutto l’Alto Jonio
Rifornivano di cocaina tutto l’Alto Jonio cosentino. Offrivano ai consumatori non solo droga dibuona qualità ma anche un osto sicuro dove poterla consumare: le loro automobili. Ieri mattina il “gioco” è finito. Alle prime luci dell’alba, come ogni operazione che si rispetti, sono entrati in azione i carabinieri su disposizione del gip della procura della repubblica di Castrovillari: centotrenta uomini del comando provinciale, supportati dai carabinieri cacciatori di Vibo Valentia, dalle unità cinofile e da un elicottero. Hanno messo a soqquadro tutto l’Alto Jonio: da Amendolara a Trebisacce, da Villapiana a Cassano. E i risultati parlano chiaro. Tredici le misure cautelari eseguite (cinque in carcere e otto con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Ventisette le perquisizioni domiciliari compiute che hanno portato al sequestro di alcuni grammi fra coca e hashish. In carcere sono finiti Nicola D’Angelo, 28 anni di Trebisacce, Gianni Andriolo, 25 anni di Villapiana e Raffaele Miniaci, 28 anni di Trebisacce ma domiciliato a Pergine (Tn). Francesco De Leo (52 anni) e Antonio Pagliaminuta (29 anni), destinatari dello stesso provvedimento restrittivo, si trovavano già in carcere dallo scorso 11 luglio perché coinvolti nell’operazione “Omnia” che decimò il clan dei Forastefano di Cassano Jonio del quale erano affiliati. Per altre otto persone, invece, il gip ha deciso la misura dell’obbligo di presentazione all’autorità giudiziaria. Si tratta di Carlo Motta, Maria Fazzitta, Angelo Marino, Gaetano Gatto, Fabio Rimedio, Fabio Giusto, Marco La Volpe e Vito Antonio Malvito. I particolari dell’operazione, denominata “Notti bianche”, sono stati raccontati ieri mattina in una conferenza stampa svoltasi a Cosenza, presso il Comando provinciale dei carabinieri. Per la Procura di Castrovillari, titolare delle indagini, hanno parlato il procuratore capo Agostino Rizzo e il sostituto procuratore Baldo Pisani. Con loro il colonnello dei carabinieri che ha coordinato l’operazione, Demetrio Buscia e il capitano della Compagnia di Corigliano, Raffaele Ruocco. Gli arresti di ieri sono solo l’ultimo atto di un indagine cominciata otto mesi fa e portata avanti dai carabinieri del comando provinciale con la collaborazione della compagnia di Corigliano. Un lungo lavoro di attesa che, in alcuni casi, ha spinto gli investigatori ad applicare il “ritardato arresto”, per consentire uno sviluppo più omogeneo dell’operazione. La rete di spacciatori smantellata non aveva una struttura ben definita. Per lo più si trattava di rapporti di amicizia e conoscenza. Non c’era un boss, anche se il placet dei clan del posto pare scontato. Se non sei nessuno non ti fanno spacciare cocaina in terra di ’ndrangheta. Ognuno aveva dei ruoli specifici. C’era chi andava a prendere la coca a Napoli, chi si occupava di confezionarla, chi la spacciava e chi cercava gli acquirenti. I consumatori più affezionati, è stato spiegato durante la conferenza, erano per lo più giovani e giovanissimi. I pusher vendevano la polvere bianca vicino ai locali pubblici più gettonati della costa e nelle stradine più buie. Peculiarità della rete di spaccio era il consumo: non solo la vendita della coca, ma anche un luogo “sicuro” dove poter farne uso. Gli spacciatori mettevano a disposizione le loro autovetture, dei veri e propri laboratori mobili con tanto di bilancini di precisione. Tutto durava una manciata di minuti: l’acquisto, la “tirata” in macchina e tanti saluti. Chi si occupava dell’approvvigionamento partiva in auto, alla volta di Napoli. La piazza partenopea è da sempre quella più conveniente per chi tratta lo stupefacente in genere. Scampia e Secondigliano sono i posti preferiti dagli eroinomani di tutta Italia. Ma nel capoluogo campano anche la coca si trova a buon prezzo. Un viaggio non si faceva mai per meno di due-trecento grammi, per un valore (sul mercato della sibaritide) di circa 40 mila euro. Ma nonostante i grandi quantitativi non era difficile piazzare la droga che, come ha riferito Baldo Pisani, «veniva smerciata con una frequenza enorme, anche perché la cocaina è lo stupefacente più in auge, quello più richiesto». Gli inquirenti, si diceva, si sono avvalsi anche di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. Proprio da queste è emerso il linguaggio criptato che i pusher utilizzavano per comunicare tra loro. Così una dose di cocaina diventava una bomba, o più semplicemente un gelato, oppure una candela, una zanna, un fazzoletto. Altri due particolari hanno reso più complicate le indagini: in primo luogo la maggior parte delle persone coinvolte è incensurata, dunque sconosciuta alle forze dell’ordine. E poi il ruolo attivo di alcune donne (fidanzate degli spacciatori) che, anche se parzialmente, contribuivano all’attività di spaccio. Il procuratore Rizzo ha parlato di «operazione dall’alto peso specifico in una zona molto calda». Una zona, quella della sibaritide, che dopo il ciclone di “Omnia” e lo scacco al clan dei Forastefano, fa i conti con una nuova ondata di arresti che ne mette a nudo, ancora una volta, l’alto spessore criminale. Biagio Simonetta da Il Quotidiano della Calabria del 27 novembre 2007

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