sabato 24 aprile 2010

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


E' la domenica del buon Pastore. E' la 47a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni e siamo invitati a pregare e a riflettere sul tema: La testimonianza suscita vocazioni (leggi il Messaggio del Santo Padre).
Il Vangelo di questa quarta Domenica di Pasqua è veramente breve, quattro versetti tratte da un discorso più ampio del capitolo 10 di Giovanni, ma è così intenso e pregnante di significati per il nostro vissuto quotidiano.
Il messaggio centrale è dato dai primi due versetti: "Le mie pecore ascoltano la mia voce. Io do loro la vita eterna". Gesù è in contrasto con i Giudei che ancora non vogliono credere (10,24: "Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente!") e invita a fare una scelta: se non credete, allora vuol dire che non siete mie pecore.
Ora tre verbi caratterizzano il rapporto pastore - pecore: le pecore ascoltano la voce, il pastore le conosce, le pecore lo seguono.
Ogni giorno siamo sommersi e sollecitati da tante voci. Anzi, spesso le voci diventano brusio, rumore, confusione. Le nostre orecchie, senza volerlo, sono toccate da tanti suoni. Eppure sappiamo riconoscere le voci diverse, quelle di coloro che amiamo. Addirittura capiamo quali sono i loro sentimenti dai toni della voce, dalle pause, dalla forza o dalla tenerezza delle parole. Voci… che riconosciamo perché sono di persone che ci conoscono. È ormai attestato che pure il neonato sa riconoscere perfettamente non solo la voce della mamma, ma anche quella del papà, voci che lo hanno atteso e chiamato con amore e trepidazione nei mesi della gravidanza.
In quanto ci circonda ci sta la voce della nostra intelligenza: plagiata spesso dalla ricerca del “benessere” diventiamo a volte dei perversi novelli “luciferi”. Come ci scopriamo deboli, accessibili al male. In questo nostro “ascoltare” si nasconde già una scelta… Sì, porta in sé un rifiuto ed una accettazione. Quante volte mi chiedo il perché; quante volte mi rendo conto di fare “il male che non voglio”. Quante volte rifiuto la voce di Dio nella mia vita non perché la rifiuti ma perché semplicemente scelgo di ascoltare la mia fisicità. Qualcuno mi rispose che sono delle stupidate. Io non ci credo. E sapete perché? Perché c’è una voce più forte, vera, che la nostra anima “conosce” perché è quella del creatore: La Voce di Dio.
Sì, lo voglio dire con molta serenità che c’è una comunicazione intima nella vita del cristiano; una comunicazione intima tra Cristo e l’anima.
E’ un dialogo profondo, che sottintende una donazione totale, di anima di mente e di corpo.
Ma il Vangelo parla anche delle Sue mani. Sappiamo che la mano può fare del bene e può fare del male. Ma la mano di Dio è mano piena d'amore e quando ce ne accorgiamo che sono mani d'amore, non possiamo che desiderarle per sempre.
Lasciamo che la sua mano ci afferri, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l'amore che è più forte dell'odio. La fede in Gesù, Figlio del Dio vivente, è il mezzo grazie al quale sempre di nuovo afferriamo la mano di Gesù e mediante il quale Egli prende le nostre mani e ci guida.

In questa giornata dedicata alle preghiera per le Vocazioni, il Signore ha fatto un grande dono all'Ordine del Carmelo: la beatificazione di Angelo Paoli, sacerdote carmelitano (il sito della beatificazione).
Lo ringraziamo vivamente e lo preghiamo perchè questa giornata sia per molti giovani occasione per riflettere sulla propria vocazione con l'aiuto del p. Angelo Paoli (beato).
Guarda anche il Video che narra la sua vita.


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venerdì 23 aprile 2010

Sabato della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


La sequela Christi non è la via dei buoni a nulla, dei semplicioni, degli scanzafatiche. E' una via dura, ma allo stesso tempo si mostra semplice per chi si abbandona fiduciosamente. Nel Vangelo odierno i discepoli sentono il discorso di Gesù come inaccettabile (vedi Gv 6,60-69).
Manifestare la propria incredulità, così come la leggiamo nelle pagine del vangelo, è indice che queste persone non sono rinate dallo Spirito Santo, perciò non possono credere alla rivelazione di Gesù. Per questo le parole di Cristo Gesù appaiono loro duro, ossia assurde e inaccettabili.
Ma fermiamoci un attimo e facciamoci pure una domanda: sono dure le parole di Gesù o è duro il nostro cuore che rimane ostinatamente ancorato alle sue pseudo-sicurezze e ha paura di lasciarsi provocare dall’amore?
Certo non è facile accogliere il dono totale di se, il dono totale di Gesù ma come diceva un grande maestro dello Spirito "Amare non vuol dire impossessarsi di un altro per arricchire se stesso, bensì donarsi ad un altro per arricchirlo..." (M. Quoist).
Gesù sta parlando del dono totale che consumerà sulla croce e si prolungherà nel tempo nelle specie eucaristiche, di un grande dono d'amore che sempre si perpetuerà e non si può ‘mangiare la sua carne e bere il suo sangue’ e continuare a custodire in cuore rancori, chiusure egoistiche e ‘idoletti’ vari. L’amore chiede amore, chiede di diventare amore, di spalancarsi al dono, senza distinzione di persone.
Non siamo isole felici che si alienano fino alla sclerotizzazioni della mente e del cuore, fino a rendersi impermeabili alla Parola di Dio, così che essa non riesce più a scalfire, anzi diventa incomprensibile, dura, e l’incredulità si fa ineluttabilmente strada.
Ecco perchè Gesù pone una domanda al nostro cuore: “Volete andarvene anche voi?”. Gesù invita gli apostoli a rinnovare la loro scelta: o accettare la sua rivelazione, anche sconcertante, o abbandonarlo e andarsene. La risposta però non affonda nella superficiliatà ma ci obbliga col cuore a prendere posizione nella vita, rimuovendo eventuali ostacoli. L'adesione alla persona di Gesù è un dono di Dio, che l'uomo può accogliere o rifiutare. Seguire Gesù non è un continuo stare a mani giunte. Origene diceva: "Anche noi dobbiamo stare attenti: anche noi spesso giacciamo vicino al pozzo di “acqua viva”, cioè vicino alle sacre Scritture e ci aggiriamo in esse. Abbiamo i Libri e li leggiamo, ma non cogliamo il senso spirituale. I nostri occhi sono aperti: il velo della lettera è stato tolto. Ma temo che noi li chiudiamo in un sonno ancora più profondo, se non teniamo vigile la spirituale intelligenza".
Lasciamo allora che il Signore scuota ogni giorno il nostro torpore. lasciamo che la forza dello Spirito Santo entri in noi e ci faccia nuove creature secondo il cuore di Dio.
Verbalizziamo così la nostra preghiera: Liberami, Signore, da una fede sonnolenta, che non si pone neppure più domande inquietanti. Il tuo amore continui mantener desto il mio, magari snidandomi dai comodi rifugi in cui mi sono rintanato.

giovedì 22 aprile 2010

Venerdì della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Altri interrogativi suscita la Parola nella vita dei Giudei... nella vita nostra di tutti i giorni. Questo brano riprende il tema del mangiare la carne di Gesù per richiamarlo e svilupparlo, e per associargli il tema del bere il suo sangue. Il mangiare la carne di Gesù e il bere il suo sangue hanno come effetto salvifico la vita eterna o il rimanere in comunione intima con la persona divina di Cristo (vedi Gv 6,52-59).
Non è facile comprendere queste parole di Gesù non si entra nel mistero del dono. Gesù qui non ha paura di essere preso per matto, non teme di parlare "della sua carne" di cui ci invita a nutrirci, del suo sangue che ci è dato a mo' di bevanda. L'Eucarestia è Lui stesso dato in cibo e bevanda. E' Lui stesso che perpetua la sua morte e risurrezione a mo' di alimento. Così – ed è mistero solo d'amore! - Lui vive in noi e noi in Lui. Così possiamo esistere in una "vita nuova" divinizzata a causa di Lui. Le parole di Gesù sulla condizione per possedere la vita eterna sono esplicite: bisogna mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La fede in Gesù si concretizza e si dimostra nel mangiare la sua carne e nel bere il suo sangue.
Con la comunione al corpo e al sangue di Cristo è seminato in noi il germe della risurrezione che porterà il suo frutto più maturo nell'ultimo giorno.
L'alimento della carne e del sangue di Cristo nutre veramente e in modo perfetto e definitivo, perché è fonte di risurrezione e di vita eterna. Per avere la vita non basta volere, non basta capire, è necessario mangiare. Bisogna diventare mendicanti di un pane che il mondo non sa produrre e ovviamente non sa dare. Come i poveri che chiedono pane, così siamo noi quando ci raccogliamo alla mensa eucaristica: essa anticipa il cielo sulla terra. Qui troviamo ciò che sfama e disseta per l'eternità. Gesù stesso, che ha camminato con i discepoli lungo i giorni della settimana, si ferma e mangia con noi come con i due discepoli di Emmaus.
All'eucaristia, presenza del corpo e del sangue di Gesù fra noi, dobbiamo fare un grande spazio nella nostra vita. Vivremo, così, un'esistenza nuova: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui [...] vivrà per me». Il frutto del mangiare e del bere, quindi, è anzitutto il dimorare nostro in lui e suo in noi: l'amore porta ad accogliere l'altro in se stesso, a farsi sua casa. In questo senso, pensiamo a quanto è importante partecipare all'eucaristia, fare la comunione con consapevolezza e con amore! Con il mangiare e il bere, inoltre, il Figlio amato e inviato ai fratelli, che vive grazie al Padre, ci comunica, come nostra vita, la sua vita, ci coinvolge nella vita che promana da Dio. Mangiando di lui, siamo assimilati da lui: l'amato diventa la vita di noi che lo amiamo, dando forma al nostro essere, al nostro pensare, al nostro volere, al nostro agire. La comunione tra Gesù e il discepolo si concretizza in un'azione di vita. Afferma Paolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
Preghiamo così:
Signore Gesù, donaci di accostarci alla mensa eucaristica con fede e amore, di accogliere te in noi e di essere accolti da te. Comincerà la vita nuova, con te, grazie a te e per te.

mercoledì 21 aprile 2010

Giovedì della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Continuiamo l'ascolto del capitolo VI del vangelo di Giovanni. Nel brano evangelico, Gesù ribadisce che accogliere lui è dono del Padre e, con una citazione della Scrittura (Is 54,13), spiega il carattere gratuito della fede. Vuole, però, che gli uditori non cadano nell'equivoco di un rapporto diretto con il Padre e afferma che non vi è accesso al Padre, se non attraverso colui che viene da Dio e che, solo, «ha visto il Padre». Perciò Gesù torna a rivolgere con insistenza l'invito alla fede in lui, pane della vita disceso dal cielo (vedi Gv 6,44-51).
Come rispondiamo a questo invito? Gesù qui non fa altro che accendere in noi il desiderio di essere docili a Dio e di essere istruiti da lui. Purtroppo, molti non capiscono quando si parla di docilità a Dio, perché pensano che Dio li alienerà, li priverà della loro libertà, quando invece Dio rende liberi. Dio ci rende discepoli della voce interiore che testimonia la Parola, la luce vera che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,9). Egli scrive in noi la sua parola: «noi siamo una lettera di Cristo [...], scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei nostri cuori» (2Cor 3,3).
È davvero difficile pensare che il cielo possa manifestarsi attraverso la terra, che la Parola possa presentarsi attraverso la debolezza delle parole evangeliche, che l'amore di Dio possa toccarsi attraverso l'amore dei suoi figli. Ma non dimentichiamo che la voce che Dio fa risuonare nel nostro intimo è quotidiana. Dice il Salmista: «ascoltate oggi la sua voce: "non indurite il cuore"» (Sal 94,8). Oggi noi ascoltiamo la voce di Dio oppure continuiamo ad ascoltare la nostra di voce, non lasciamo spazio a Lui che ancora oggi vuol comunicarci qualcosa?
Se ci lasciamo istruire da Dio, i suoi pensieri diventeranno i nostri pensieri per riempire l'anima di consolazione e di pace, e dolcemente portare con sé una nuova luce in cui guardare se stessi: una nuova capacità di decidere, di fare una scelta di vita.
Sì, è Lui la fonte della nostra vita che ci attira a Gesù Crocifisso e Risorto perché, se viviamo insieme con Lui e nel modo che Lui ci ha insegnato, diventa per noi possibile essere, già qui e ora, dei "corrisorti in speranza", gente che diffonde la pace.
Lasciamo allora che lo Spirito Santo riempia la nostra e facciamo sgorgare la nostra preghiera: O Padre, attirami fortemente a Gesù! Attirami con la forza del tuo Spirito Santo, perché il mio cuore e la mia vita si unifichino nell'unico desiderio di piacere a te, compiendo la tua volontà. Fa' ch'io cerchi non tanto di essere attirato da gratificazioni passeggere quanto dal tuo amore, che se vivo il vangelo di Gesù, mi salva.

martedì 20 aprile 2010

Mercoledì della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Continuiamo con l'ascolto della Parola secondo presa dal vangelo di Giovanni che ancora oggi vuole indicarci Gesù come pane di vita. I versetti del brano odierno (vedi Gv 6,35-40) sono rivolti criticamente ai Giudei, che hanno già manifestato la loro incredulità con la richiesta di un segno. Ad essi, che persistono nell'incredulità, Gesù rivolge il rimprovero: vedono, ma non credono. Passando poi al suo atteggiamento verso gli uomini, dice che egli non scaccerà nessuno che voglia far parte dei credenti in lui. Egli, infatti, è il Figlio che fa la volontà del Padre e non deve perdere nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato. Il Padre vuole che ognuno creda nel Figlio e, in tal modo, ottenga la vita eterna.
Nel vangelo ascoltiamo queste parole: "chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!" .
Quale fame vi è in noi? Esiste una fame profonda degli uomini. Fame di senso, fame di vita che rimanga e fruttifichi, fame di felicità.
C'è qualcuno tra noi che può farci dono di questo tipo di pane e sfamarci? Nella vita di ogni giorno andiamo ad aggrapparci a quanto vi è di effimero e che continua a prometterci felicità: carriera, denaro, piaceri, tutte cose che imitano la felicità, che inebriano, ma che lasciano aridamente intatto il nostro cuore.
Gesù oggi ci svela che Dio ci svela il senso della sua vita, il suo sogno nascosto: sfamare il nostro desiderio profondo, la nostra profonda radice di bene e di bello.
Gesù ci parla di un Padre che ama talmente l'umanità da mandare il suo Figlio a salvarci, di un Dio che desidera profondamente mettere in opera tutto il possibile per farci passare dalle tenebre alla luce. Questo è chiaro e serio nel discorso di Gesù.
per capire questo discorso bisogna entrare dentro il rapporto vitale tra Gesù Pane di vita e la sua identità di risorto. Gesù ha trionfato sulla morte dopo averla pienamente accolta, proprio per aprire anche a noi la via della vittoria su questo nemico dell'uomo, predisponendoci alla risurrezione. Quando partecipiamo all'eucaristia e prendiamo nella comunione il Pane della vita, noi siamo, in speranza, dei "conrisorti con Cristo", Gesù rinnova il suo dono più sublime: "Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi". Ed è caparra, per noi, di risurrezione alla felicità senza fine.
Nelle parole del Signore Gesù abbiamo una chiarezza che nasce dall'Eucarestia: la vita più duratura e piena non è quella che si conserva tutta per sé, che non lascia sciuparsi, ma al contrario quella che si spende tutta per gli altri.
A noi basta lasciarci fiduciosamente condurre da lui per ottenere tutta intera la felicità di una vita piena di senso, felice e fruttuosa, perché "chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna".
Preghiamo per poter entrare in questo mistero salvifico: Tu mi vuoi salvo, Signore, cioè felice!!! Anch'io lo desidero: dolce Signore, additami le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, te ne prego!

lunedì 19 aprile 2010

Martedì della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!



Continua il nostro cammino di fede e di trasformazione di conseguenza continuano i vari interrogativi che ci facciamo, nonostante che seguiamo Gesù (vedi Gv 6,30-35).
I giudei pretendono di fondare la loro fede sull'esperienza di prodigi straordinari.
Nella mentalità giudaica i segni sono visti nella linea delle opere e devono essere simili a quelli operati da Mosè quando liberò Israele dalla schiavitù dell'Egitto. Ecco allora logica e pertinente la richiesta, che la folla pretende da Gesù: "Quale segno dunque fai tu, perché vediamo e possiamo crederti?".
Qui Gesù cerca di far comprendere alla folla che ha mangiato il pane da lui benedetto e moltiplicato che cosa significhi credere. Chiama i suoi interlocutori alla fede, a riconoscere l'azione attuale di Dio, ad andare al di là delle apparenze, per riconoscere che nelle sue parole, nel suo esempio, nel dono che egli fa della sua vita, c'è il "vero pane" dal cielo, il "pane che dona la vita": «il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Gesù, apparentemente, non scendeva dal cielo, era un uomo nato sulla terra e perciò risultava difficile riconoscere in lui il "pane di Dio". Ma con gli occhi della fede era possibile riconoscerlo come il Figlio di Dio, «il pane della vita».
La fede è dunque adesione alla modalità di essere di Gesù: una esistenza in dono, quando si comprende che la propria vita, l'unica propria vita, può essere messa a disposizione di una causa alta di servizio agli altri.
Il Pane del cielo che dà la vita al mondo è la rivelazione del significato profondo del Cristo e del suo mistero pasquale e dunque dell'uomo stesso, di ciascuno di noi. E noi abbiamo bisogno proprio di questo: abbiamo "fame" "desiderio" di un Dio che non stia per i fatti suoi, beato nella sua onnipotenza e perfezione, ma che si doni a noi, che ci riveli le nostre origini, che ci sia terrà dove stendere le nostre radici nella serenità e nella fiducia, che ci nutrà quando la fame di senso attanaglia il nostro essere temporale e fragile. Abbiamo bisogno di Qualcuno che ci faccia diventare ciò che profondamente sperimentiamo di essere e che fatichiamo a tradurre nei mille gesti di ogni giorno: dono.
Ecco la fede: non adesione intellettualistica ad un circuito del sapere, ma l'incontro con una Persona: Cristo, che rivelandosi nella Parola e nel Pane, rivela noi a noi stessi e ci rende capaci di essere ciò che siamo secondo il progetto creatore: esistenza in dono.
Nella nostra preghiera non possiamo altro che dire: "fammi diventare amore"!

domenica 18 aprile 2010

Lunedì della III settimana di Pasqua

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Il brano giovanneo presenta anzitutto la folla che, non trovando né il Maestro né i discepoli, va in cerca di Gesù. Quando lo trovano, Gesù li rimprovera di cercarlo per il pane che perisce e li esorta a darsi da fare per quello che non perisce, che porta su di sé il sigillo del Padre. Per procurarsi questo "pane" bisogna credere in lui (vedi Gv 6,22-29).
Questa gente che cerca Gesù sembra piena di fede, ma in realtà essa non crede nel Cristo. La loro non è fede, ma solo curiosità e simpatia superficiale, come risulterà nel seguito del racconto.
Ognuno di noi può immedesimarsi su questa folla. Capita che anche il pensare la nostra fede sia sequela di Gesù e spesso ci si ritrova a seguire se stessi.
Gesù sa bene che quella gente lo cerca per interesse: più per saziarsi che per amarlo. Gesù però invita tutti ad operare "non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e denuncia il vero motivo del loro interesse per la sua persona e li invita a una ricerca meno egoistica e più spirituale.
Questa non è fede! Al limite può essere definita superstizione. I segni, da cui anche la nostra vita è raggiunta, ci sono dati come indicazioni da decifrare per cogliere la presenza preveniente e amorevole di Dio Amore. Guai a fermarsi alla loro materialità: diverrebbero fatalmente pietre d’inciampo, come rivelano certe affermazioni di fronte a eventi che ci turbano: “Ma Dio dov’è? Come può permettere questo? Proprio a me: ma che male ho fatto?”.
Abbiamo confuso il dono con il Donatore e una volta rimosso il dono si perde di vista il volto di chi ce lo offriva.
Diventare discepoli di Gesù, è tenere desto il dono di Dio, è coinvolgersi con lui e per lui. Per fare questo richiede un ascolto della sua Parola, decisione, applicazione, continuità, impegno e fatica. Non si è discepoli senza un vero e proprio lavoro di applicazione sul Vangelo e su se stessi.
E' una grande responsabilità. Il rischio di ieri e di oggi: quello di fermarsi al dato esterno, accontentandosi di una sequela di comodo. Credo in Dio, ne seguo i precetti e così sono al sicuro dagli inconvenienti della vita!
Sia la nostra preghiera una continua ricerca di Dio da vivere e testimoniare nella quotidianità.