Stemma Confratermale

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Sito Istituzionale

Antico e Aristocratico Sodalizio Religioso - Diocesi di Andria

L'Arciconfraternita Servi di Maria SS. Addolorata,fondata per Reale Decreto il 15 maggio1832 ed elevata al rango di Arciconfraternita il 14 maggio 1855,ospita nel sontuoso Oratorio appositamente costruito nel 1887 dal confratello Conte Onofrio Spagnoletti-Zeuli dedicato all'Augusta Titolare,la statua della Vergine dei Dolori dono della nobile famiglia Jannuzzi,realizzata nel 1840 in legno policromo intagliato da valenti scultori napoletani rappresentata nel suo composto dolore dalle lacrime sul volto, dal fazzoletto nella mano destra e dallo stocco che trafigge il suo cuore.


Testo a cura dell'Arciconfraternita M.SS.Addolorata



lunedì 4 aprile 2011

Via Matris VI Dolore

                                                       Gesù Deposto dalla Croce

Il vangelo di Giovanni annota che sotto la croce di Gesù  è presente la Madre,  altre due donne e l’anonimo “discepolo amato”. Sono questi i testimoni oculari degli ultimi attimi della vita del Signore. Soprattutto Maria raccoglie in eredità dal Figlio morente, la missione ad essere Madre del “discepolo amato”, cioè Madre della nuova comunità, che nasce proprio da quella sua morte.
Poi avviene tutto com’è normale che sia: Gesù muore. Gli eventi d’ora in poi si svolgono come da copione: quel cadavere non può dare spettacolo di sé proprio durante la Parasceve della Pasqua. Dalla vista dei pellegrini, che affollano Gerusalemme per la festa, deve essere tolto quanto prima l’obbrobrio di quella esecuzione.  Non resta  che staccarlo da quel legno maledetto e frettolosamente seppellirlo nel “giardino”, che si trova vicino al luogo dove era stato crocifisso, vicino a quel costone di roccia dal lugubre nome di “cranio”. A questo gesto estremo di compassione ci pensano altri due  discepoli di Gesù, Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo.
Il vangelo si fa silenzioso nel descrivere questi passaggi, che avranno plausibilmente avuto un tono di estrema discrezione.
Anche ora c’è Maria che, come ultimo gesto di affetto materno, prima di deporre il suo Figlio, “come un chicco di grano” nel grembo della terra,  lo stringe a sé; lo raccoglie tutto intero nel suo grembo, così come lo aveva raccolto al momento della sua nascita; e  così come lo aveva cullato quando era ancora bambino per affidarlo al sogno, ora, ancora una volta lo culla prima di affidarlo al grembo della morte. Vengono in mente le icone, le immagini, le sculture di tanti artisti hanno tentato di fermare quest’attimo di indicibile dolore e di serena pietà della Vergine Madre. Pensiamo in modo particolare alla cosiddetta “Pietà di Michelangelo” conservata nella navata destra della Basilica di San Pietro a Roma: Maria sembra una donna imponente, ma ha il viso di una madre ancor giovane, chino lievemente sul corpo esanime di Gesù, con le braccia aperte verso di noi che la guardiamo, ad indicarci il “frutto del suo grembo”, che si è consumato per noi e per l’umanità intera. Da quel grembo ancora ce lo dona. Quel grembo che  raccoglie tutto intero il corpo del suo Figlio, adulto-bambino; quel  grembo che appare immenso, infinito, pare voler  raccogliere nella pietà e nell’amore tutti i “figli dell’uomo” uccisi per l’odio, per la violenza, per l’ingiustizia, per l’intolleranza, per la povertà, per il rifiuto e per qualsiasi abuso. Maria già in questo momento assume pienamente la missione che il Figlio prima di morire le ha affidato: “ Donna, ecco il tuo figlio!”. Ella è davvero la nostra madre che ancora partorisce l’ umanità nel dolore e nell’ amore.
Poi le mani di Maria, insieme a quelle delle altre donne, a quelle del “discepolo amato”, alle mani di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, ungono con dolcezza quel corpo martoriato con gli oli aromatici:  “una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre”, una quantità davvero eccedente per quel esile corpo! Eppure in quella eccedenza, per Maria,  e per tutti noi, si nasconde una segreta “speranza”, quella che il “chicco di grano caduto in terra” possa far rinascere nuova vita. E allora  il dolore della Madre,  e il dolore dell’umanità,  si tramuterà in danza di gioia e di vittoria pasquale.

Meditazione di Don Sabino Lambo-Direttore Ufficio Liturgico Diocesano

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