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Antonio Secci, nato a Dorgali (NU) nel 1944. Vive e lavora a Cala Gonone (NU).

Si forma come artista in Sardegna a cavallo della metà degli anni 50, in una condizione di silenzio e di isolamento. La natura è la fonte di ispirazione e curiosità: "Nel mio intento osservare-scrive nell'autopresentazione di un catalogo dei 1972 - scoprivo che in essa [nella natura] le forme usuali si modificavano in forme astratte e solo lentamente riuscivo a riabituarmi alla loro nuova immagine... Le sembianze sfocate della natura che io ricavavo non erano mai quelle reali, ma sembravano volute da un ordine metafisico, interno, essenziale delle cose". Quando - spinto dal bisogno di informazione e confronto, incoraggiato da altri artisti - arriva nella fucina artistica di Milano, ponendo con se questa formazione decisamente legata alle caratteristiche morfologiche e sociali della sua terra, la sua sensibilità si dimostra in grado di comprendere e sviluppare sollecitazioni che gli provengono dall'esterno, si palesa capace di contribuire all'arricchimento della discussione culturale grazie all'esperienza privata e insulare che lui solo possiede. Antonio Secci ha prima partecipato a un dibattito e a una ricerca che stavano cambiando il corso della storia dell'arte italiana, recando un apporto individuale peculiarmente sardo, e seguentemente ha continuato a rielaborare, una volta tornato in sardegna, idee che possedevano in sé i semi fecondi di una stagione creativa straordinaria, dalle conseguenze internazionali. Già questo basterebbe a far considerare degna d'attenzione la sua opera. Possiede inoltre una rara qualità: saper tradurre in immagini e contrapposizioni comprensibili il mondo complesso che lo circonda.
Antonio Secci lascia momentaneamente la Sardegna, per trasferirsi a Milano, nel 1966, spinto in questa scelta da due artisti che ha conosciuto sull'Isola. Si tratta di Gianni Dova e Guy Harlotf, i quali - colpiti dalle qualità pittoriche del giovane, appena ventiduenne - lo invitano a trasferirsi nella metropoli e insistono affinché si iscriva all'Accademia di Belle Arti di Brera. In realtà, in quel momento, prima di arrivare in Lombardia, Secci pratica una sorta di ingenuo surrealismo che, confrontato con la sua ricerca seguente, non può assolutamente essere considerato significativo, ma già nel modo di affrontare la superficie scenica del dipinto, nella capacità di dare alla forma un respiro aereo e indipendente rispetto al piano di fondo, egli mostra uno spiccato senso dello spazio.
        Logico che tale acuta sensibilità, al momento applicata a figurazioni oniriche, interessi particolarmente Dova: l'artista romano - oramai milanese d'adozione - dopo aver firmato nel 1967, insieme con Fontana, Joppolo e Tullier, il Primo Manifesto Spaziale e dopo aver preso parte, negli anni '50, al Movimento Nucleare di Baj e Dangelo, si è volto da tempo verso un'astrazione surrealista che fonde la materia pittorica con la rappresentazione di personaggi metamorfici e geometrizzanti. Nello stile del giovane autore sardo può dunque leggere un sentire comune che, dichiaratamente, li avvicina. E che Harloff e Dova non si fossero sbagliati Io dimostra, appena due anni dopo, Metamorfosi, opera poi pubblicata addirittura in un catalogo personale del 1989 (Galleria d'Arte Moderna Saporito, Alba). Su un fondo rosso, che si ripeterà con assidua frequenza nella produzione di Secci, una sagoma puntuta e tondeggiante, debitrice sia nei confronti di Ernst che di Dova, sembra staccarsi dal fondo nonostante dichiari candidamente, la propria bidimensionalità. La vibrazione cromatica azzurro/turchese che la connota sembra muoverla, lentamente, verso i limiti del quadro, raggiunti da linee aguzze nella parte inferiore e occupati da una forma piena e sferica nella parte superiore.
È solo un esercizio di stile, ma palesa già nel 1968 una voglia estrema di capire e digerire le ricerche contemporanee più vicine e significative, nello sforzo di poterle rielaborare con un piglio del tutto nuovo. L'artista - come affermerà in un'intervista rilasciata nel 1973 a Viviana Carezzano - è completamente preso dall'ambiente artistico milanese, dal desiderio di aprire la propria ricerca, che lui definisce "gotico-barocca", a ogni arricchimento possibile. E, poiché per Secci la frequentazione di ogni autore è il mezzo migliore per comprenderne l'opera e l'idea che la sottende, riesce a conoscere Lucio Fontana, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e molte altre figure di spicco della cultura di quel periodo (e non solo). Milano, è bene ricordarlo, tra il 1960 e il 1975 sarà uno dei poli della sperimentazione contemporanea dove si opererà con maggior fervore. Fontana e lo Spazialismo, già compreso grazie a Dova, sono per Secci (e lo si può intuire guardando le sue opere di allora) una folgorazione, come importantissimo è l'incontro, casuale, con Roberto Crippa, di cui diviene, a partire dal 1967 e fino alla morte del maestro, il principale collaboratore.
           Durante questi anni di 'apprendistato' l'artista di Dorgali seguirà e vedrà da vicino la creazione di serie quali quelle dei Soli, delle Eclissi e dei Landscape. Anche Crippa, artista già famoso, con all'attivo partecipazioni alla Biennale di Venezia e personali presso gallerie allora decisamente importanti, crede fermamente nelle capacità dell'artefice sardo, tanto che gli dedicherà uno scritto di presentazione e, nel 1970, firmerà con lui due Composizioni. L'artista monzese non è nuovo alla realizzazione di lavori 'a quattro mani' ma, prima di Antonio Secci, avevano sottoscritto con lui un'opera comune soltanto Lucio Fontana e Victor Brauner (ovvero il teorico dello Spazialismo e uno dei più importanti esponenti del Surrealismo). Questa fiducia incoraggia Secci e spinge galleristi e collezionisti a interessarsi della sua ricerca. Le due opere sono frutto di una collaborazione semplice e immediata, basata sulla sovrapposizione dei segni distintivi dei due artisti: in un lavoro Crippa dipinge, in modo efficacemente stilizzato, un Sole rosso fuoco e perfettamente sferico, di forte impatto cromatico ed emotivo, tramontante su un panorama costituito da linee di luce appena visibili e leggermente oblique; nell'altro un sintetico Landscape finemente materico.
secci 'cuce' queste forme ai limiti del quadro tramite un sottile e lunghissimo tratto in rilievo, costruito grazie all'accumulo di metalli diversi per caratteristiche e colore. Nella Composizione su fondo rosso il segno, continuo e zigzagato sopra il cerchio del Sole, parte da uno degli spi goli del quadro per fuggire, infine, dalla parte opposta, dopo aver sottolineato, toccandoli, numerosi punti della circonferenza geometrica disegnata da Roberto Crippa. Secci, che ha evoluto in senso 'spaziale' il proprio stile, abbraccia l'area dell'opera 'misurandola', scoprendo le linee di tensione che si accumulano dove figura e colore arrivano a colloquiare. Evidenzia queste linee di frizione ingigantendole, donando loro una forza e una potenza che solo il metal lo riesce a suggerire. E le fa vibrare - quasi che l'energia dell'opera si potesse mutare in scariche elettriche, fatte di bagliori lucenti - fondendo insieme schegge di elementi diversi costretto ti a convivere fianco a fianco.
        Nei lavori di questi anni - dal 1970 al 1972 - l'artista, che considera i metalli come 'impulsi-pensiero capaci di intervenire sopra una materia concitata (ma non ancora quanto lo sarà in seguito ), ha deciso di combattere, a modo suo, il Vuoto sacrale e vincolante della tela, facendo propri alcuni assunti degli spazialisti, anche Secci vuole vincere le "frontiere" bidimensionali del quadro, intende trattare lo spazio reale all'interno della riflessione artistica.  Lo fa mettendo in risalto - con un segno convulso e apparentemente gestuale, ma in realtà progettando accuratamente - i punti di crack dell'opera violentandone i limiti grazie alla velocità.  Il segno è infatti soprattutto veloce, per questo il risultato sembra essere soltanto la traccia di un aeroplano, troppo rapido per essere visto, ma in grado di lasciare un'orma combusta, aggressiva e modernista del suo passaggio. Le impronte che restano sui fondi palpitanti di colore certificano che, precedentemente, ha avuto luogo un folgorante evento, di cui quei segni sono la descrizione, l'ideogramma capace di evocarlo. La velocità del gesto e il pulsante desiderio di trasformazione che riscontra nella materia non possono che indirizzare Secci verso un'idea di mutazione prepotente e immediate.
Questa intuizione,che prenderà in seguito definitivamente corpo nelle serie delle esplosioni delle folgori, produce i lavori esposti nel Marzo del 1972 presso Diarcon Due Arte Contemporanea a Milano.
La velocità del segno, prima "di passaggio" sulla superficie dell'opera, comincia ora a interessarsi della profondità, di una presa di coscienza simultanea di tutto lo spazio del quadro.
Nascono così quelle forme stellari che trasformeranno l'intervento dell'artista n un'analisi meno convulsa e più ragionata della conflittualità tra le forze opposte.

 


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