giovedì 25 marzo 2010

Cronaca da Barcellona P.G. La morte dell'insegnante Vera Maria Sottile. Date alle fiamme 3 auto. Operazione Pozzo 2condanne.

Il tratto autostradale dell’A20, compreso tra i caselli di Falcone e Barcellona, tristemente noto per l’alto tasso di incidenti mortali, ha segnato l’ennesima tappa giudiziaria che verte ancora una volta sulla mancata messa in sicurezza delle barriere laterali di protezione della carreggiata che non risultano a norma di legge. Ieri il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Barcellona, Anna Adamo, ha rinviato a giudizio i vertici dell’A20 in carica nell’estate del 2005, quando nella notte tra il 27 e 28 agosto del 2005 nel tratto in cui l’A20 attraversa il territorio di Terme Vigliatore si verificò l’ennesimo incidente mortale in cui perse la vita una insegnante di Barcellona, Vera Maria Sottile, 37 anni, che viaggiava assieme al marito e ai due figli in tenera età a bordo di una Ford “Focus C Max”. La donna morì sul colpo perché l’auto su cui viaggiava ad una velocità moderata di 110 km orari, si è ribaltata scavalcando subito dopo la barriera laterale e terminando la corsa in posizione capovolta nel fossato adiacente alla sede stradale. Per questa tragedia sono stati rinviati a giudizio, per essere processati il prossimo 20 luglio, l’ex commissario straordinario del Consorzio delle autostrade siciliane, Benedetto Dragotta 68 anni di Carini; il direttore tecnico d’esercizio, Felice Siracusa 62 anni originario di Merì e residente a Messina; il responsabile del settore tecnico, Gaspare Sceusa 54 anni di Barcellona; il dirigente dei servizi di gestione pro tempore, Raffaele Musuraca 70 anni; e il responsabile pro tempore del tratto autostradale Falcone-Barcellona, Carmelo Miano 68 anni, originario di San Filippo del Mela e residente a Barcellona. Tutti devono rispondere di omicidio colposo perché in concorso, ognuno per le sue competenze, sarebbero stati responsabili di avere gestito il tratto autostradale «con barriere laterali aventi altezza inferiore a quanto imposto dalla normativa tecnica di settore». Agli indagati si contesta inoltre di aver omesso la segnalazione e la valutazione dell’istallazione, da parte del Consorzio gestore dell’autostrada, di barriera laterale idonea a contenere il tipo di urto nei limiti della velocità consentita per legge nel tratto autostradale. Assieme ai vertici dell’A20, in carica all’epoca dei fatti, è stato rinviato a giudizio anche il coniuge della donna, Francesco Di Pasquale 43 anni di Barcellona, al quale si contesta di aver perso il controllo della propria vettura perché «colto da colpo di sonno o distrazione della guida». A chiedere il rinvio a giudizio di tutti gli indagati è stato il pubblico ministero Olindo Canali. I familiari della vittima che in vita faceva l’insegnate, il marito, i figli minorenni ed i fratelli, si sono costituiti parte civile con gli avv. Giovanni Mazzù per il marito della vittima, Alessandro Campo, David Bongiovanni, Nunzio Fugazzotto, per tutti gli altri parenti. Le parti civili hanno anche citato in giudizio il responsabile civile, la compagnia assicuratrice rappresentata dall’avv. Domenico Alessandro. Gli imputati invece sono stati difesi dagli avv. Carlo Autru Ryolo, Pustorino, Giovanni Foti. Il giudice ha anche respinto con una articolata ordinanza una richiesta di provvisionale che era stata avanzata da uno dei difensori di parte civile, l’avv. Bongiovanni, perché fondamentalmente ancora non è stata accertata con pienezza la responsabilità dei singoli indagati. Il tragico episodio, all’epoca dei fatti, destò scalpore tra gli abitanti di Barcellona perché la vittima - insegnante - era molto conosciuta in città. La donna, nell’ultimo gesto di altruismo, nelle fasi drammatiche dell’incidente ha protetto con il suo corpo la vita di uno dei figli di pochi mesi. A distanza di quasi cinque anni le condizioni di sicurezza delle di protezione laterali, a cui si aggiunge l’assenza di idonei spartitraffico per impedire l’intrusione dei veicoli nelle carreggiate opposte, resta immutata. I pericoli dell’A20 non sono stati ancora rimossi. Leonardo Orlando

Date alle fiamme tre automobili nella centralissima via Kennedy
Barcellona - Un grave atto incendiario si è verificato nella nottata di ieri, poco dopo le 3, nella centralissima via Kennedy di Barcellona. Nel rogo, di origine dolosa, sono state distrutte ben tre auto, una delle quali di proprietà della “Saipem” del gruppo Eni, parcheggiata davanti all’ingresso dell’edificio al numero civico 19, in cui sono ospitati gli uffici della società delle ex partecipazioni statali, impegnata nel coordinamento dei lavori di completamento della linea del metanodotto che attraversa i Peloritani. Le lingue di fuoco che si sono elevate dal rogo hanno raggiunto e danneggiato l’ingresso della palazzina dove, oltre ai due appartamenti occupati dalla società, vi sono ubicate civili abitazioni. Danneggiate le insegne e le vetrine di tre esercizi commerciali: di elettrodomestici, di calzature e di una agenzia di viaggi. Danni anche alle linee elettriche pubbliche ed a quelle telefoniche. Le fiamme - sulla base di una prima e sommaria ricostruzione - sarebbero state appiccate alla Fiat grande Punto della “Saipem” del gruppo Eni. Dalla prima vettura il fuoco si è rapidamente esteso ad una Volkswagen Polo di proprietà di un parrucchiere e alla Nissan Micra in uso ad una casalinga del luogo. Per spegnere il fuoco che nella notte ha generato panico, soprattutto tra gli abitanti della palazzina, sono dovuti intervenire i vigili del fuoco del distaccamento di Milazzo. Sul posto anche i carabinieri che hanno raccolto le denunce e avviato le indagini. (l.o.)

Mafia ed estorsioni a Barcellona: Gullo e Micale condannati a 5 anni
Due condanne ieri pomeriggio per l’udienza preliminare che s’è tenuta davanti al gup di Messina Giovanni De Marco, dedicata al “braccio armato” della famiglia mafiosa barcellonese e alle sue richieste estorsive, per i due imputati che avevano scelto nelle scorse settimane la strada del giudizio abbreviato. Si tratta del 35enne barcellonese Salvatore Micale, e di Santo Gullo, 46 anni, di Falcone, che sono stati condannati a 5 anni di reclusione con l’accusa di far parte della famiglia mafiosa barcellonese. Per Gullo e Micale l’accusa, rappresentata in questo processo dal sostituto della Dda Giuseppe Verzera e dal collega della Procura di Barcellona Francesco Massara, i due magistrati che all’epoca condussero l’inchiesta insieme ai carabinieri del Ros, aveva chiesto in precedenza la condanna a 6 anni di reclusione. Ieri si sono registrate le arringhe difensive degli avvocati Bernardo Garofalo, Giuseppe Lo Presti e Tommaso Calderone. Poi il gup De Marco si è ritirato in camera di consiglio, e nel primo pomeriggio ha deciso tutto. Per questo troncone dell’operazione antimafia “Pozzo” c’era stato nel corso delle precedenti udienze un “supplemento d’indagine”, in quanto il gup De Marco con un’ordinanza aveva deciso di appronfodire alcuni aspetti sull’appartenenza di Gullo e Micale al gruppo mafioso barcellonese. Aveva deciso infatti il giudice di sentire tra l’altro il collaboratore Emanuele Merenda, limitatamente ai fatti del processo (le sue dichiarazioni, per certi aspetti anche clamorose su scenari e ruoli della famiglia mafiosa barcellonese e sulla guerra di mafia che stava per scatenarsi, sono infatti confluite nell’inchiesta “Pozzo”). Poi aveva disposto l’acquisizione di alcune sentenze o informative di reato di altri processi, come “Icaro” e “Black out”, delle trascrizioni integrali degli interrogatori di Merenda, e anche l’accertamento dei movimenti carcerari sempre di Merenda. Tornando all’udienza di ieri Gullo e Micale erano accusati di aver fatto parte dall’aprile del 2007, con ruoli e funzioni diversi, dell’associazione mafiosa barcellonese riconducibile a Cosa nostra siciliana e operante sul versante tirrenico del Messinese. I due si trovano attualmente in regime di carcere “duro” dopo gli arresti dei carabinieri del Ros che scattarono il 30 gennaio del 2009 a conclusione di un’indagine durata mesi e molto complessa, sugli equilibri criminali delle cosche barcellonesi e dell’hinterland tirrenico. Nel procedimento “Pozzo” erano due le parti civili costituite: il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, che è stato rappresentato dall’avvocato Danilo Di Salvo, e due compagnie assicurative per una delle vittime del “pizzo”, l’imprenditore Vincenzo De Pasquale, che erano rappresentate dall’avvocato Luigi Ragno.

Autore: Nuccio Anselmo

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