Dagherrotipo



Balle

C'è chi dice che la musica è un'ottima pillola per il morale. C'è chi dice che un paio di note ben assemblate possono cucire le ferite d'amore. C'è chi dice che una canzone, ascoltata al buio della propria stanza, riesce a far dimenticare le difficoltà della vita. C'è chi dice che un album, ascoltato al momento giusto, ti dà la carica per ripartire quando le gambe non rispondono più. Balle. La musica amplifica il tuo stato d'animo. Non dà sollievo. Se stai già male, starai peggio.

Questo piccolo sfogo è stato pubblicato dalla rivista write up all'interno del secondo numero, dedicato al binomio musica e ribellione.

Scene d'altri tempi

Lugano è una città a vocazione turistica. Il turista tipico proviene per lo più dalla Germania e dalla Svizzera tedesca. In Svizzera interna (presumo anche in Germania) ogni automobilista è obbligato, nei pressi delle strisce pedonali, a fermarsi. Il pedone ha sempre la precedenza sul traffico motorizzato. C’è solo un’eccezione: il mezzo pubblico. Se sei a piedi devi fare attenzione all’arrivo dei mezzi pubblici loro hanno la precedenza suprema.
Per il resto il pedone può girare tranquillo e beato, sa che se si avvicina alle strisce gialle l’auto in arrivo si ferma, anche se è guidata dal CEO della Novartis.
Quando questi turisti si presentano in Ticino non sanno come comportarsi. Sembrano dei pesci fuor d'acqua. Sanno di essere in Svizzera, ma si vedono sfrecciare ogni sorta di bolide senza la benché minima considerazione per chi va a piedi. Non sono persone dalla fama eccelsa, l'idea più benevola e comune è che siano reattivi come dei gatti di marmo. Tuttavia si può comprendere il loro approccio, piuttosto problematico, con la mandria anarchica su gomma.

Oggi in una strada trafficata del centro ho visto due coppiette di turisti tedeschi che si apprestavano a guadare la strada in una zona senza le strisce. La prima ha portato in salvo le chiappe perché molto decisa nell’affrontare la savana luganese.
La seconda, formata da un ragazzo biondo e da una dolce fanciulla filiforme dai tipici lineamenti nordici, non si è dimostrata altrettanto pronta.
Inizialmente, lui non si è fatto intimorire dal mio arrivo e ha attraversato con decisione, mentre lei è rimasta piuttosto impaurita al suo posto. Il ragazzo a metà corsia si è accorto che nessuno gli teneva la mano, si è girato e ha visto lei ancora titubante sul marciapiede. Ha avuto anch’egli un attimo d’esitazione, è tornato indietro, ha preso la mano di lei, l’ha tranquillizzata, ha aspettato che passassi, e poi si sono incamminati insieme. Hanno attraversato la strada incolumi e felici. Questo senso di protezione mi ha commosso.
Sono scene d'altri tempi.

Musiche prospettiche

Domani sera intorno alle 22.30 Fabio Barbieri condurrà una puntata speciale di Prospettive Musicali sui megacicli di Radio Popolare. Se sui 107.6 sentite radio maria mettetevi l’anima in pace e attaccatevi ad Internet. Se lo streaming vi lascia fuori perché invaso dai contatti, tirate pure qualche madonna e cercate un decoder con parabola. Se però non riuscite nemmeno a trovare l’angolatura esatta per beccare il satellite, allora fatevi un esame di coscienza, forse ve lo state meritando. Per tutti gli altri: prendete una bella cassettina, mettetela nel vostro stereo e schiacciate Rec. Io vi ho avvisati.

50 centimetri da terra

- Ti ho chiamato sette volte, dove sei stato.
- A tirare giù la panza. Devo tenermi in forma. Lo sai che sto cercando una fidanza.
- Voglio scrivere un libro, cosa devo fare?
- I pellegrini sono partiti per Luordes qualche settimana fa, mi spiace.
- Non sto scherzando.
- Nemmeno io.
- Non esistono dei manuali?
- Ce ne sono molti.
- Tu ne hai.
- Alcuni.
- Ti posso dare due corsi di scrittura. Uno è esteso, l’altro condensato. Io ti consiglio di leggere quello lungo. È pure divertente.
- Quante pagine sono.
- Duecentoquaranta.
- Troppe.
- So che non sei mai andata oltre la quarta di copertina di Bastogne, ma come puoi pretendere di scrivere se ti fanno paura duecentoquaranta pagine.
- Ci sono scrittori che leggono poco, guarda Mino Raitano.
- Non è uno scrittore.
- E chi sarebbe l’autore di questi corsi.
- Giulio Mozzi.
- Mai sentito.
- È uno scrittore che di professione corregge i romanzi degli altri.
- Allora potrei chiedergli un parere sulla mia scaletta.
- Non farlo, si arrabbia facilmente.
- Voglio partire dai miei tredici anni e arrivare fino ad oggi.
- Pensi possa interessare a qualcuno?
- Posso metterci del piccante, non so, stile 100 colpi di spazzala.
- Cazzo, lo sapevo.
- Cosa.
- Che andavi a prendere quel libro di merda.
- Ma se ha venduto una marea di copie, e lei ora è ricchissima.
- Ti interessa diventare ricca e famosa?
- Sì.
- Dimenticalo. Con la scrittura non si diventa famosi. Sono altre le professioni che tirano. Potresti fare la badante, la barista, la basista, la buttafuori.
- Come la buttafuori.
- Ho letto un annuncio ieri, ne cercano una in una casa di riposo. Le persone dopo una certa età diventano piuttosto aggressive.
- Caffelatte e veleno di vipera, stamattina?
- No, solo un calice d'assenzio.
- Quando sarà finito me lo correggerai.
- No.
- Perché?
- Non voglio stare in Ticino per i prossimi tre anni.
- E se lo finisco in tre mesi?
- Inizierò a credere nei miracoli.
- Se non vuoi farlo tu, lo chiederò a qualcun altro.
- Non te lo fa nessuno, a meno che non ci sia la possibilità di pubblicarlo.
- Appunto, io lo voglio pubblicare, da Einaudi.
- Su mille manoscritti ne pubblicano uno.
- Sarà il mio.
- Auguri.
- Il mio compleanno è in novembre.
- Lo so, solo che la scrittura rende le persone bruttissime.
- Ma dai, io non sopporto le rughe.
- Non si tratta di rughe, è che dovrai stare al computer per otto ore al giorno, tutti i giorni della settimana. La tua vita acquisterà significato solo se potrà rientrare in una delle tue storie. Chi scrive vive male. Perde il contatto con la realtà, vive nei suoi personaggi. Perderai le amiche, i tuoi non ti riconosceranno più, dovrai cambiare gli occhiali, ti verrà una tendinite ai polsi, ti spunterà una cifosi e soffrirai di stipsi.
- Cos’è?
- Farai fatica sul cesso.
- Ah.
- Sai una cosa, il libro per ora lo lascio riposare, vedo cosa fare.

L’effetto Berlusconi si sente anche in Ticino: l’economia stagna, ma crescono i capelli

È il segno dei tempi.

Il libero mercato

Cercare lavoro è un lavoro. Purtroppo è un lavoro non pagato. È un po’ come fare la casalinga, stesse frustrazioni e medesime ricompense.

È molto faticoso scrivere una lettera di motivazione che catturi l’attenzione del futuro (quanto improbabile) datore di lavoro. Le gocce di sudore scorrono copiose se si vuol redigere un curriculum come dio comanda, e poi bisogna pure pensare alla propria immagine. Non è indice di alta intelligenza sociale andare ad un colloquio in ‘Diesel’ senza un orecchino o senza un enorme tatuaggio in bella evidenza sul bicipite scolpito. Così come se si va in banca sarebbe buona cosa presentarsi con bel vestito gessato, magari con cravatta regimental da bancario-precario.

Se poi la fortuna ti assiste e ti chiamano per un secondo colloquio i problemi si fanno seri. Non solo l’apparenza, ma anche la sostanza: bisogna saper parlare con una buona proprietà di linguaggio (magari in due o tre lingue) dando l’impressione di saperne a mazzi. Naturalmente senza far trasparire la minima emozione, l’agitazione in una situazione di stress non viene vista con clemenza. Il linguaggio del corpo deve essere consono alla situazione. Niente gambe accavallate, niente braccia conserte, niente mani nei capelli e soprattutto, mai, dico mai, toccarsi il naso.

Nei casi in cui si dovessero pure affrontare degli esami stile “questionario dei tre giorni” allora la fantascienza diverrebbe realtà. Cercare di rispondere alle domande senza sbellicarsi dalle risate è in buona sostanza impossibile.

Una persona che cerca lavoro deve fare tutte queste cose, ma uno che il lavoro te lo propone ne fa volentieri a meno. Gli imprenditori fanno un gran parlare di aziende basate sulla conoscenza (o knowledge based come dicono quelli veri), di comunità di pratiche, di piattaforme per la circolazione della conoscenza, di software adattivi e di sistemi intelligenti. Il tutto per essere coerenti con la filosofia e con la mission aziendale (come dicono sempre quelli).

Ma quando mandi una candidatura ad un’azienda che fa della conoscenza il proprio tratto distintivo e ricevi una risposta del genere:

Buon giorno Sig. Capobianco,

con riferimento alla sua candidatura, la preghiamo di contattarci telefonicamente per fissare un'incontro conoscitivo.

Nell'attesa, la salutiamo cordialmente.


ti chiedi davvero: “ma questo mi prende per il culo? Ha scritto due righe ed è riuscito a piazzarci uno strafalcione grammaticale, ma quale conoscenza vuole trasmettere? Non aveva molte possibilità per fare errori eppure c’è riuscito, con una precisione da fare invidia ad un cecchino”.
Secondo voi con che faccia posso andare a questo un’incontro, non sono bravo a nascondere il mio stato d’animo. Forse è meglio rinunciare del tutto, oppure posso andare e dirgli quello che penso di lui e della sua azienda. Mi riguardo Santa Maradona e prendo appunti.

L'Europa centrale è sott'acqua

Sembra l'Apocalisse.
Lo so che il momento non è dei più propizi, però se c'è qualcuno che può, lo faccia.

Cattivi Maestri

Ogni volta che lo vedo agitarsi in televisione, ogni volta che mi capita di leggere qualcosa di suo, ogni volta che assisto ad una sua dissertazione mi chiedo: "Ma quante ne sa?".

La colonna sonora dell'autunno


Premetto: Tender Bottons dei Broadcast l’ho ascoltato solo un paio di volte, per questo motivo il mio giudizio può essere soggetto a repentini capovolgimenti. Cionondimeno, ho la netta sensazione che queste atmosfere scanzonate, ma non banali, saranno la mia costante colonna sonora per i mesi a venire.

Q: un libro stampato nella memoria



Non so se è il libro migliore della produzione letteraria targata Wu Ming. Certo è il libro che più ricordo con piacere e con trasporto emotivo. Un quadro dipinto all’ombra dei conflitti di religione che hanno devastato la Germania nel XVI secolo.

Nei link sulla destra trovate il rimando al sito dei Wu Ming. Al suo interno potete scaricare i loro libri e altre piacevoli amenità.

Vi metto a disposizione direttamente il libro perché sono previdente, so che siete pigri fino al midollo e non sareste mai andati a cercare il testo nel loro sito.

Quest'anno la festa nazionale dell'Unità

Si tiene a Milano.
Ripassate per benino le canzoni, ci si vede colà.

Adoro i nutrizionisti

Che nelle innumerevoli rubriche del Tg2 ci dicono che d’estate si suda molto e quindi è indispensabile bere molta acqua. Che bisogna evitare bibite gasate e cibi grassi. Che è consigliabile mangiare molta frutta e verdura. Che un’alimentazione variata è d’uopo. Che la dieta mediterranea è ancora la migliore. Che ogni tanto un gelato al posto della cena non è una scelta avventata. Che per bambini e anziani non è opportuno uscire nelle ore più calde. Che una passeggiata nel verde durante le ore serali è un toccasana.

Li adoro perché sono i soli che possono permettersi di trattare i telespettatori come una massa di autentici rincoglioniti.

Cos'è il bastard-pop

Scaricate, ascoltate e arrendetevi al genio altrui.

Ci ha lasciati



Grazie di tutto.

Alta fedeltà


Non è ancora momento di classifiche, ma più passano i giorni e più mi convinco che I’m a bird now di Antony and the Johnsons sia uno dei tre migliori dischi del 2005.

Mattina d'agosto


Questa mattina mi sono svegliato con il cuore colmo di felicità. Non ho ricordi sbiaditi e sovrapposti. Sono certo di essere vissuto, almeno per qualche minuto, nella pelle di Emidio Clementi. Possedevo la sua voce, il suo carisma e la sua scrittura emotiva.
Credo di sognare con una certa frequenza e spesso ne traggo beneficio. Ma non è sempre tutto così bello, perché con questi sogni mi accorgo di due cose: la prima è che continuo a cercare soddisfazioni dove mi è impossibile trovarle; la seconda è che sono sempre più sicuro di non appartenere alla mia generazione, la maggior parte dei miei coetanei sogna di essere Flavio Briatore.

I polli siamo noi

che mangiamo ancora carne.

Opinioni

Sulla GMG e sul meeting di CL.

La fine di un amore


Come ogni mattina la sveglia si fa sentire troppo presto. Ho dormito solo qualche ora, ma mi tocca andare in ufficio. Come sempre. Per alleviare lo sconforto metto su You Are Free di Cat Power, la sua voce mi offre un inaspettato appoggio. Quasi un materasso verticale.

Guardo fuori. Mattinata umida e afosa, ci saranno minimo 15 gradi.
Esco di casa verso le sette e mezza. Mi dirigo con passo spedito verso la stazione ferroviaria. Il caldo mi innervosisce. Nelle orecchie le note di Cuckooland di Robert Wyatt. Tra le mani Una questione privata di Fenoglio. Il viaggio dura più di un'ora e la letteratura è un bisogno. Si parte. La meta è ancora molto lontana.

Non riesco a leggere nulla, l'attenzione è subito catturata dalla musica di Wyatt. Ascolto con stupore crescente Insensatez, un pezzo di Jobim rifatto con maestria dal vecchio Robert. Le parole mi inchiodano al sedile senza possibilità di movimento: "Quanto insensibile devo essere sembrata quando lui mi disse che mi amava. Quanto non coinvolta e fredda devo essere sembrata quando me lo disse così sinceramente; perchè deve aver pensato. Mi sono semplicemente voltata e l'ho guardato in un silenzio di ghiaccio. Cosa avrei dovuto dire. Cosa puoi dire quando una storia d'amore è finita? Ora lui se n'è andato e io sono sola con il ricordo del suo ultimo sguardo, vago e triste. Lo vedo ancora, con tutto il suo cuore spezzato in quell'ultimo sguardo. Cosa avrei potuto fare. Cosa puoi fare quando una storia d'amore è finita"?

Soffoco un urlo. Le pareti dello stomaco collassano come se fossero sottovuoto.
Ancora sconvolto dalle parole di quella canzone provo a rifugiarmi nella storia d'amore disegnata da Fenoglio, ma anche questa mi appare straziante.

Arrivo in ufficio e non posso non coinvolgere in questa domanda anche i miei colleghi. Ma cosa si può fare quando una storia d'amore è finita?
Gli sguardi si incrociano leggermente sospesi e imbarazzati. La conclusione non tarda ad arrivare:"Per prima cosa bisogna essere sinceri e dire(si) chiaramente quello che si prova. Poi si può solo aspettare di innamorarsi di nuovo, sperando che sia altrettanto coinvolgente", sentenzia con voce sicura l'unica donna tra noi.

Ma è veramente l'unica strada?

La spirale


Era distesa sul pavimento da qualche minuto. Decisi di uscire da quella stanza per cercare refrigerio e mi versai della vodka in un bicchiere: avevo bisogno di qualcosa di forte. Feci quel gesto tre volte, quasi automaticamente. Il numero tre aveva sempre esercitato su di me un fascino particolare. Non ne conoscevo le ragioni. Quello che sapevo per certo era il motivo per cui avevo deciso di sferrarle quelle tre coltellate.


La spirale di violenza sembra inarrestabile. Percorrere da solo una strada del centro dopo le venti, può diventare l'ultima azione della propria vita. L'odore di piombo e di morte si presenta ai sensi con frequenza preoccupante. Le masse sono in rivolta e le sacche di resistenza seminano terrore ovunque. La tensione sociale è al culmine: gli scioperi non si contano più; le assemblee di studenti e operai sono all'ordine del giorno; gli omicidi di politici, giornalisti, carabinieri non fanno più notizia. Nessuna distinzione. L'unica via è la lotta armata. Questo il messaggio di quei gesti. Trovo queste faccende terribilmente patetiche, non mi interessa cercare un nuovo orizzonte politico, l'unica cosa che mi rallegra è il mio lavoro. Già il mio lavoro. Cinque anni fa sono entrato a far parte della divisione amministrativa di una importante azienda alimentare. Cinque anni impeccabili: nessun giorno di ferie, nessuno di malattia, figuriamoci l'idea di scioperare! Mai una defezione. Per questa mia devozione sono entrato nella lista dei Fedeli alla causa. La causa è quella di rendere la produzione più efficiente e i prezzi più competitivi: “Solo così potremmo, un giorno, sconfiggere la fame nel mondo”, ripeteva in continuazione il nostro redeglispaghetti! Per questo ambìto traguardo ho ricevuto dalle mani del mio diretto superiore una piccola targa a testimonianza del mio impegno.
“Caro Osvaldo lei porterà alto l'onore della nostra azienda anche all'estero”, queste le parole di rito pronunciate senza tradire la benché minima emozione.
Come ogni venerdì sera percorro la strada che separa l'ufficio da casa, passando per via De Gasperi. Abito in un appartamento al quarto piano di un palazzo antico, un bel posto. Decisamente. Mia moglie dice sempre che la sua vita è come un film fermo all'intervallo fra il primo e il secondo tempo: “Solo con una casa tutta nostra la mia vita potrà ripartire”. Non ci faccio caso. La signora Miranda è la proprietaria del negozio di alimentari all'angolo con via Morganti. Mi aspetta come ogni venerdì sera. Sa che faccio la spesa per il fine settimana. Prima di salutarmi la signora ha già riordinato tutti i pacchi di pasta sugli scaffali, sa che a me piace l'ordine. Non sopporto vedere i pacchi di pasta non allineati. A volte mi capita anche di risistemare gli spaghetti già arrotolati sulla forchetta; il mio corpo non accetterebbe spaghiribelli. Compro le solite cose, e come al solito, prima di acquistare l'ammorbidente per il bucato, devo svitare il tappo e sentirne l'odore: “La pulizia è il naturale corollario dell'ordine”, mi ripeteva sempre mia madre. Mi trovo ormai sotto casa, saluto Fausto, il portiere, una vera sicurezza da queste parti, si ricorda tutto, ha una memoria di ferro, custodisce amorevolmente tutti i segreti del palazzo. Si leggono spesso nelle sue espressioni tratti di alterigia. Conosce il valore della sua memoria. Potrebbe ricattare chiunque e noi condomini lo sappiamo. Gli offrirò da bere fino a farlo svenire e, prima di riportalo a casa mi farò confessare tutti i più sordidi segreti, conservati da questa divisa, mi dico.

Nel corridoio di casa il mio sguardo incrocia una borsetta, non mi sembra di ricordare niente di simile. Provo ad aprirla: un pacchetto di sigarette e una spirale. Mia moglie non usa contraccettivi e non fuma da più di dieci anni. Una strana eccitazione mista a curiosità comincia a farsi spazio tra le mie vene. Trovo la porta della camera da letto socchiusa. Entro. La scena mi si presenta davanti come un film amatoriale girato in un casolare di campagna nei dintorni di San Farncisco. Mia moglie muove la testa con vigore, incastrata fra le cosce di una sconosciuta! L'odio investe il mio abituale autocontrollo.

Da quel maledetto venerdì del '77 sono ormai passati 35 anni. Anni disperati. Passati in una stanza grigia tre metri per due, a cercare costantemente il quinto angolo: comeunoscarafaggioimpazzito. Quella è la vita che si fa lì dentro, da scarafaggi impazziti. Accecati dalla mancanza di spazio, dove l'eroina diventa il tuo unico vero materasso.
Mi consegnano i miei effetti personali e mi aprono il portone del carcere, non mi salutano, non hanno simpatia per i tipi come me. Le antipatie in carcere spiccano subito e pesano il doppio. Non risparmiano nessuno e durano fino alla fine. Il mio saluto è tutto per loro. Ripercorro via De Gasperi. Piove a dirotto. Sembra strano ma quando sei fuori ti viene voglia di berla, senza mediazioni tra te e il cielo.
All'angolo di via Morganti niente più negozio, chissà che fine avrà fatto la signora Miranda, mi chiedo. Al suo posto un negozio con piccole locandine di film, non c'e' più nemmeno la porta d'entrata con quel suo suono tanto familiare; solo uno sportello. Proseguo. Con sgradito stupore mi accorgo che il mio vecchio palazzo in stile tardorinascimentale non esite più, perlomeno non come la mia memoria lo ricordava, oggi all'altezza del quarto piano campeggia una scritta luminosa: Multisala Arcobaleno. Entro e trovo altre locandine di film - questa volta a grandezza normale - dai titoli più improbabili: La promozione, La spesa del venerdì, Uxoricidio. Compro il biglietto e decido di entrare. In sala l'atmosfera è glaciale, un solo posto libero. Il film è già quasi verso la fine, si vede un uomo che, in preda ad un raptus di follia, uccide la moglie - con tre coltellate ben assestate nei punti vitali - trovata a letto con un'altra donna. Il carcere sembra prolungare la sua tortura - un'idea che mi ossessiona già da qualche anno.

Esco dalla sala e madido di sudore, urlo al bigliettaio: “Ma qui state proiettando la mia vitaa!!”.
“Ma cosa c'è da urlare così”, replica il bigliettaio appoggiato alla cassa “si calmi! E' da anni ormai che succede la stessa cosa ad ognuno di noi”.
“Che cosa intende dire” rispondo sempre più confuso.
“Ma in che mondo vive! Non lo sa che l'Ufficio per la sicurezza internazionale ha inserito all'interno della spirale del DNA di ognuno di noi, un numero imprecisato di pixel! Così tutti possono gustarsi in prima fila la vita degli altri, attraverso lo sguardo del protagonista di turno”.
“Ma così siamo controllati attimo per attimo!” controbatto quasi senza fiato. “E' vero, ma guardiamo il lato positivo: le proiezioni sono sempre TUTTE ESAURITE”.

FINE

Racconto apparso nella raccolta “Scrittori per caso”. Adattamento radiofonico a cura della Rete Uno della Radio svizzera italiana.

Qui potete ascoltare i racconti con l'adattamento radiofonico.

Colpo gobbo a Locarno: hanno rapito l'italiano

Sarà l’afa soffocante, sarà il caldo torrido, sarà la penuria di notizie durante l’estate o l’alto tasso d’ozono non è dato sapere, ma tant’è, in questi giorni in Ticino si è molto discusso sulla scarsa presenza di film in lingua italiana al Festival del film di Locarno.

La discussione è partita dalle aule della politica per iniziativa di Norman Gobbi persona rispettabile nonché buon amico, che politicamente limita nei ranghi della lega dei ticinesi, con l'abitudine a spararle grosse.

La polemica è a prima vista condivisibile. Di fatto non si vede per quale motivo durante un festival che avviene in un luogo in cui si parla la lingua di Dante non si debbano poter vedere un buon numero di film italiani usufruendo, nel contempo, per quelli esteri, della sottotitolazione. La vessazione nei confronti dell’italiano avviene, non senza polemiche, già da tempo nel campo dell’istruzione dove vengono cancellate cattedre di italianistica, o dove il plurilinguismo e la conseguente tutela delle minoranze linguistiche (valori fondanti della Confederazione) vengono scavalcati in favore dell’inglese.

Tra amici la discussione è stata abbastanza accesa. Chi approva la scelta di Norman e chi la bolla come semplicistica e demagogica. Di certo aprire una discussione in questi termini offre al Nostro grande visibilità, che probabilmente porterà dei frutti durante l’esercizio civico che i cittadini saranno chiamati a compiere in cabina elettorale.

Tuttavia, i problemi concreti, per la direzione artistica del Festival, sono tutt’altro che di facile soluzione.

In primo luogo, i film italiani di qualità sono sempre meno e quelli che ci sono, per ovvie ragioni di visibilità, vanno a Venezia. La Mostra del cinema riesce ad assicurarsi le opere dei migliori registi italiani e non da quest’anno. Per questa ragione il numero di film italiani a Locarno non è mai stato vasto. Ci si deve orientare verso i film dei giovani registi e qui la ricerca è ancora più disperata.

In secondo luogo, ci sono i costi che una produzione dovrebbe affrontare per sottotitolare un film. Secondo le stime di esperti i costi si aggirano intorno agli 8.000 franchi per ogni pellicola. Questi costi non rientrerebbero poiché – a differenza dei sottotitoli in inglese, francese o tedesco – non avrebbero mercato (quello ticinese è troppo esiguo). Infatti, in Italia il doppiaggio è una pessima abitudine difficile da estirpare. Per contro, esiste la possibilità che i costi di sottotitolazione siano supportati dal Festival, ma se non si trova uno sponsor questa idea rimarrà tale.

Da ultimo si deve affrontare il problema dello statuto del Festival che privilegia la lingua francese. D’altronde dalla Francia arrivavano i film migliori. Il cinema a metà Novecento sembrava territorio ad assoluta dominazione francofona, soprattutto per le pellicole “da festival”. Oggi la realtà è molto cambiata.

Al peggio non c'è mai fine

Hanno davvero la faccia come il culo.

Su quattro palchi davanti a quattro gatti


La campagna pubblicitaria è faraonica: pagine intere sui maggiori quotidiani italiani, spot televisivi, spot radiofonici e un sito internet. L’evento è un mega concerto, previsto per il 10 settembre nei pressi di Reggio Emilia, e l’artista in questione è Luciano Ligabue. Ora, definire Ligabue un artista, o quantomeno un musicista di qualità, è francamente impossibile. Da anni propone una musica (che non posso definire rock) per nulla graffiante e del tutto scontata. I testi farebbero inorridire i frequentatori di una sperduta osteria di provincia e il suo stucchevole egocentrismo supera quello di questo signore.

Gli organizzatori si aspettano un’affluenza vicina alle 150.000 presenze, tutte stipate davanti ai quattro pachi sui quali salirà il Liga in compagnia di musicisti sempre diversi. Avete capito bene, quattro palchi. Nemmeno Bono e compagni in preda ad un delirio di onnipotenza sarebbero arrivati a tanto.
Ma sono davvero necessari questi quattro palchi? Probabilmente per il Liga e la casa discografica questa dei palchi è una grande idea, alla quale non rinuncerebbero mai. Allora, visto che questa gente non ha nessuna intenzione di fare un bagno di umiltà, perché non facciamo l’unica cosa in nostro potere? Non andiamo al concerto!! Facciamolo suonare davanti ad un parco deserto!
Con i soldi risparmiati possiamo fare un sacco di altre cose, fra le quali andare a sentire loro oppure noleggiare il DVD di Radiofreccia, un ottimo film, perché, in totale sincerità, fra tutte le cose che ha fatto il Liga quella di musicista è quella che gli viene peggio.

La cultura celtica


Forse stasera, di sicuro domani andrò all'IMF. Concerti, workshop musicali e danze sempre in compagnia di una pinta di Guinness. L’unico rischio è che qualche scienziato consideri la cultura celtica un baluardo da opporre a chissà quale invasione.

Il supermercato dei sogni

Ormai lo sanno tutti, su ebay si può comprare qualsiasi cosa: dalle maglie indossate dai calciatori, ai capelli dei comici canadesi Denis Drolet, fino ai microbi dell’influenza.
Adesso dal supermercato dei sogni è in arrivo un’altra trovata. L’idea è, neanche a dirlo, piuttosto bizzarra. Per tutti i bibliomani udite udite: è possibile comprare le gesta di un personaggio letterario.
Io comincio a mettere da parte del denaro per essere il protagonista del prossimo romanzo di Paolo Nori. Se poi Nori dovesse decidere di tornare alle atmosfere surreali, tipiche dei suoi primi romanzi in cui Learco Ferrari dava limpide dimostrazioni della sua ingenua consapevolezza, me ne rallegrerei, e di molto.

Gli aerei cadono come se piovesse e le panzane vengono a galla

Qualcuno saprà il perché.

La Colonia dei privilegiati

L’affluenza non sembra oceanica, ma i conti sul numero dei partecipanti si faranno alla fine. Per contro, i confronti con Wojtyla si potranno fare durante.
Primo obiettivo: capire quanto il nuovo papa sarà in grado di emulare le capacità comunicative del suo predecessore.
Secondo obiettivo: misurare la portata storica del discorso che il papa farà in occasione dell’incontro con le autorità religiose ebraiche. Il pontefice visiterà la sinagoga bruciata durante la notte dei cristalli.
Terzo obiettivo: capire come riuscirà ad evadere le critiche della comunità protestante germanofona. Una prima osservazione potrebbe essere: “Ma perché offre l’indulgenza plenaria a chi partecipa alla GMG e solo parziale a chi non viene? La chiesa cattolica non si dichiara (per definizione) universale? Non si vuole privilegiare solo una parte dei fedeli (per giunta nella terra di lutero)?”
Una seconda osservazione, che però potrà arrivare dagli ambienti estranei alla chiesa, potrebbe essere: “Non si capisce come mai, dal punto di vista politico, la chiesa si ostini a mantenere l’intendimento di cristianizzare l’Europa senza cercare di comprenderne la complessità”. Dubito i giovani festanti presenti a Colonia si porranno queste domande.

La musica che viene dal profondo


Doveva essere l’autunno del ’83. Ibisco Santini entrò in classe con quella sua camminata desolata, alzò le sopracciglia in segno di saluto, ma non disse niente. Come tutti gli allievi migliori scelse il posto in fondo all’aula, di fianco a me. Lo guardai a singhiozzo. Timidamente, perché i cambiamenti repentini mi scombinavano parecchio. Ibisco era un compagno diverso da tutti gli altri. Aveva occhi neri come ardesia e una cornice di capelli crespi che non dovevano vedere una spazzola da molto tempo. Portava una maglietta nera con al centro una sorta di piccolo polifemo buffo e stilizzato. Fu una cosa difficile stringere amicizia. Successe grazie alla faccia tosta di Tosca, una ragazza tanto attraente quanto logorroica. Ti inondava di parole. Non ti lasciava nemmeno il tempo di mettere ordine nei pensieri, che già ti ricopriva di nuove, insignificanti frasi. Pesava più della Bibbia in tasca ad un comunista. Per questo suo modo di comportarsi Tosca fu soprannominata Bombarda. Mi chiese subito informazioni su Ibisco. Si capiva che ne era attratta. Feci da tramite e i due si scambiarono baci innocenti, ma niente di più.

Da quel momento cominciammo a scambiarci qualche parola. Nacque una vera amicizia, che ricordo ancora oggi come fosse una benedizione venuta dal basso. Per un paio d’anni la mia vita è esistita grazie alla sua. Si andava alle feste, ai concerti, alle manifestazioni, alle assemblee. Sempre attenti a non entrarci troppo. Molto più attratti dall’arte. Dalla sintesi. Dalla musica. Poco dalle parole. Sapevamo come mitigare la noia domenicale. Non avevamo bisogno di altre distrazioni, di altri passatempi. Semplicemente non pensavamo che la noia fosse qualcosa da scacciare, anzi. Ascoltavamo i Throbbling Gristle, alternati, nei giorni di insano ottimismo, dagli Einstürzende Neubauten e di colpo capii il significato di quella sua maglietta nera.

Come spesso capita, la nostra amicizia cambiò con il ritorno in pompa magna di Bombarda, che riuscì, per più di qualche tempo, a prenotare le volontà di Ibisco. Le stava attaccata come il fango sui maiali, non c’era verso di vederlo senza di lei. Così ci frequentammo sempre meno fino a non vederci più. Io cambiai istituto e lui si innamorò sempre di più di Bombarda.

Lo rividi molti anni dopo in biblioteca. Sfogliava un libro di Cesare Lombroso: Gli anarchici. Non so se è un indice di autenticità o meno, ma tra noi sembrava esser passato un secolo. Quasi due estranei. Fu di nuovo un incontro condito da imbarazzi. Per entrambi. Mi disse che la storia con Bombarda era appena finita. Lei non sopportava più la sua endemica pigrizia, diceva che era un perdigiorno buono solo a vincere la gara dei rutti.

“Quest’anno mi sono portato a casa tutti e tre i premi di specialità: il rutto in potenza, il rutto in lunghezza, con il record nazionale di undici secondi, e il rutto con parlata”. Ma il suo entusiasmo svanì quasi subito: “Ho il vago sospetto che Bombarda esca con un tizio, probabilmente il suo maestro di feng shui. Sai, uno di quelli che ti spiega come arredare la casa, poi ti dice che sono i precetti dell’antica scuola della Forma e del Compasso e ti fa con garbo, un salasso di trecento euro”. Non voleva ammetterlo, ma sapeva con certezza che Bombarda stava con un altro. Per tirarlo un po’ su gli dissi che avevo appena acquistato il nuovo cd di Franco Battiato che se voleva potevo lasciarglielo. Certo non Gavin Friday, ma nemmeno Giacomo Rondinella.

Mi guardò esterrefatto. “Non ti ricordi più come la penso? Battiato è un artista che mischia musica barocca, buona solo per gli stolti, con frasi senza senso e senza il dono della semplicità. Cerca solennità ma raccoglie solo banalità. Compone musica secondo una collaudata strategia: vendere molti dischi e far credere di esser un vero artista. Ci riesce, ma per me non è arte. È retorica musicale”.
“Dai, salverai almeno FETUS, POLLUTION e ZA dalla tua gogna?”.
“Forse. Ma ricordati che Battiato ha suonato alla festa di Alleanza Nazionale, e la musica è una questione di atteggiamento”.

Ci sedemmo al bar della biblioteca con un fiume di Vodka Red Bull ad allietare la discussione. Ibisco mi parlò dei suoi viaggi, dei suoi progetti e della sua passione per Gurdjieff: “Vedi” mi disse con determinazione, “l’esperienza musicale se è autentica, si manifesta fisicamente, è un trasferimento di energia che ti impone attenzione e veglia. Ascoltare musica diventa un’esperienza globale che pretende da te un rapporto esclusivo. Non puoi fare altro. Se, mentre ascolti musica la tua vita continua a scorrere, allora sei di fronte ad un’arte dozzinale, ad una musica da supermercato. Mentre la musica di qualità stabilisce con chi l’ascolta un flusso sentimentale. Simile a quello che potresti avere con un bella donna”. Pensai a Bombarda e al suo maestro.

Avevo voglia di stare ad ascoltarlo per ore, anche se quello che diceva poteva sembrare frutto di una fantasia malata messa alla prova dai brindisi costanti.

“In settimana passa da me, sto in via dei Mille. Vicino casa c’è un bel locale dove fanno concerti di ottima qualità. Martedì sera suoneranno gli Offlaga Disco Pax potresti venire a cena, si chiacchiera e si va al concerto in nome dei vecchi tempi”. Mi guardò con sguardo fisso: “Ti faccio sapere”. Si voltò di scatto e prese la via di casa.

Scettico ma ancora carico di emozioni per quell’incontro decisi di fare due passi.

Ho sempre avuto la tendenza a sopravvalutare i sentimenti d’amicizia. Penso sia un vincolo eterno, una cosa da rispettare che non ammette colpi bassi. Eppure non dev’essere un’idea condivisa. Qualcosa mi dice che non rivedrò più Ibisco, e non per mia volontà. La lista delle amicizie perse comincia a farsi sempre più lunga. La lista degli amici a cui poter chiedere qualsiasi cosa, sempre più trasparente.

Arrivato a casa ascoltai tre volte il disco di Battiato. Rimasi colpito dalla musica che usciva dalle casse. Non per la sua bellezza. Non per la sua leggerezza. Mi accorsi come d’incanto che la musica di Battiato pretendeva attenzione, ma non la poteva più ricevere. Mancava qualcosa, o forse avevo capito che il rapporto fra me e Battiato era concluso. Non c’era sincerità. Senza nemmeno rendermene conto mi addormentai come avvolto da una calda coperta di lana. Al mio risveglio si fece largo dentro di me un solo pensiero: “Cambierei volentieri questo cd con la registrazione della gara dei rutti”. Sono un’espressione profonda e sincera. Più dei lavori di Battiato.

Racconto apparso nel numero di febbraio 2005 della rivista Medicine-Show.

Difficile fare i genitori, ma averne due così è proprio una gran sfiga!

Non credo alle mie orecchie. Una coppia di genitori milanesi vuole bocciare la propria figlia per farle cambiare scuola. Finora non ci sono riusciti. Protesteranno davanti a Palazzo Marino e sono pronti a ricorrere al TAR. Chissà se hanno chiesto alla bambina che cosa vorrebbe fare.

Un'abitudine tutta ticinese


La RTSI è una televisione piccola, rigorosa e spesso apprezzata anche all’estero, ma con una tremenda lacuna: non sa produrre programmi di intrattenimento. Non esiste una trasmissione che possa insidiare lo strapotere della spazzatura targata Rai e Mediaset.
Quest’estate i vertici della televisione di Stato hanno deciso di affidare a cinque baldi giovani la conduzione di una trasmissione incentrata sulle vacanze. L’idea va detto, non è nuovissima e la conduzione è piuttosto penosa. È davvero un miracolo sentire un congiuntivo. L’unica che si salva è l’inviata, Clarissa Tami (al centro della foto), che oltre ad essere bella è anche dotata, si capisce che davanti allo schermo sa cosa fare e cosa dire. Per il resto buio completo.
La cosa che però mi dà più fastidio non è la scelta dei videoclip (peraltro pessima) e nemmeno le interviste ai viaggiatori; sono i giochi a premi e più precisamente la cattiva abitudine di intrattenere il telespettatore con una pletora di banalità. Non si può chiedere il nome, la provenienza e basta? No, in TSI si deve sempre chiedere: “Eh, bella giornata oggi cosa farà andrà al Lido?”, “Cosa sta facendo una torta alle verdure?”. Questi falsi intrattenimenti sono insopportabili. I conduttori hanno scritto sulla fronte: “Puoi dirmi quello che vuoi, io questa cosa te la chiedo per politica aziendale, in realtà non me ne frega una beneamata cippa”. Questa è la nostra tv verità.

Quando la gente è generosa

Fate una capatina prima qui e poi qui. L'estate sta per finire e questa musica potrebbe soccorrere il vostro animo nostalgico.

Non perdeteli


Supero le prime perplessità e dopo numerosi ascolti mi decido: l’ultimo album dei Death Cab For Cutie è davvero ben fatto, morbido come pochi. Ben Gibbard è, al solito, inarrivabile. Ascoltatelo! Se poi vi avanza tempo fate una capatina anche da queste parti. Meritano.

La speranza è l’ultima a morire: la guerra di Mladen


Ci siamo incontrati davanti all’Università. Faceva freddo e gli avevo chiesto una maglia in prestito per ripararmi dal vento. Come sempre Njego si è dimostrato premuroso portandomi una gran bella maglia e per giunta nera.
L’idea era di andare in Piazza e di vedere la Guerra di Mario. La rassegna si chiama ‘Le vie dei Pardi’ ed è una sorta di piccolo festival in cui si proiettano le pellicole premiate qui. Succede la stessa cosa anche a Milano e a Roma, ma la cornice è parecchio diversa.
Arriviamo e la gente si è già sdraiata su tutte le sedie come se fossero in offerta, non c’è più un posto libero.
Decidiamo di scendere a Mendrisio, di aspettare Mladen che sale da Varese e di farci due chiacchiere e una birra, addio Guerra di Mario. La birra è davvero buona e la serata si sposta su discussioni che non lasciano indifferenti. Mladen racconta della disavventura capitata alla madre e Njego in un delirio storico-intellettuale ci spiega la provenienza dell’adagio: la speranza è l’ultima a morire. Colpiti, e anche un po’ disgustati da cotanta sapienza gli dico (con la birra che incoraggia le neurocazzate): “Ma non poteva morire pure la speranza!?!”. Entrambi ridono e mi rispondo che la speranza non muore mai. Io penso ad un impeto di malcelato ottimismo. Forse è anche così, ma se loro dicono che la speranza non muore mai c’è da crederci. Sarajevo sembrava proprio la fine di tutto e invece loro sono ancora qua. Comincio a riordinare le mie priorità.

Una notizia attesa


È davvero un colpo al cuore.
La seconda edizione del festival di arte elettronica organizzato dall’associazione nuove proposte culturali è stata annullata. Sulle rive del Ceresio, in un posto incantevole, non si vedranno all’opera Fennesz, Luke Vibret, gli Audiopixel, gli Stantman5 e tanti altri. Peccato. La ragione ufficiale, data dal comune di Lugano, è che il sito non è più sicuro dopo la caduta di alcuni massi dalla parete rocciosa prospiciente. Bisogna pur dire che - in occasione di altre feste avvenute nello stesso luogo - vi sono state molte lamentele da parte dei vicini per i prevedibili schiamazzi notturni. Non sembra peregrina l’idea di pensare che l’annullamento sia stato studiato a tavolino. Due massi piazzati per benino, un tavolino rotto, due telecamere chiamate per confermare il tutto, e la frittata è fatta. I vicini sono accontentati e il quieto vivere è salvo. Niente più feste. Non venite poi a piangere lacrime amare perchè le strutture turistiche ticinesi non si sanno rinnovare, mentre il turismo cambia anno dopo anno.

La cartolina


Questa cartolina l’ho ricevuta ieri mattina. Me l’ha portata in camera mio padre, mentre io mi stavo facendo la barba. Dopo il suo annuncio ho cominciato a rallentare ogni gesto della rasatura, volevo assaporare l’attesa di scoprire chi fosse l’autore del messaggio. Guardandomi allo specchio ho continuato a fare assurde previsioni, ma la mia unica speranza era che quella cartolina fosse stata scritta da lei. Ci siamo sentiti qualche giorno fa – dopo tre mesi di silenzio – e so che in questo momento si trova in vacanza in Puglia. Finisco di radermi e con una certa concitazione nel sangue mi avvicino alla cartolina. Non guardo le foto a fronte. La giro. Non leggo il messaggio. Leggo subito la firma. C’è scritto Nicoletta e non Elisa. In altri momenti avrei gettato dalla finestra quel pezzo di carta, ma ieri non l’ho fatto. Mi si è stampato un sorriso sulla faccia. Ero sinceramente felice di aver ricevuto sue notizie, che sia un desiderio inconscio di sostituire Elisa con Nicoletta?

Quello che non ti aspetti


Mi riprendo con fatica da una fine settimana d'altri tempi. Serata festivaliera a Locarno e un genetliaco (di una splendida trentenne) con gente alquanto strana. La festa di compleanno è in una casa nel centro storico. La cosa incredibile è che entrati in giardino vediamo, imponente alla nostra destra, uno dei tre castelli di Bellinzona, proprio lì, è quasi a tavola con noi. Non avrei mai immaginato di cenare un giorno con uno dei monumenti inseriti nella lista del patrimonio mondiale Unesco.
Se ci fosse stato un violento temporale e una raffica di fulmini non mi sarei sorpreso di vedere il faccione del conte Dracula sulla parete del castello. Io l'avrei pure invitato a mangiare con noi, in fondo non mancava di certo la carne al sangue, per la gioia dei vegetariani.