lunedì 30 agosto 2010

Il muscolo tibiale posteriore - Parte 2: Disfunzione tendinea

Apparso su: A piede libero anno 2010 n.1 Visualizza l'intera rivista in .pdf

Un soggetto che soffre di disfunzione del tendine del tibiale posteriore corre il rischio in futuro di presentarsi presso un ambulatorio podologico per aver acquisito un piede piatto. Con la stessa probabilità però, una sindrome pronatoria è in grado di causare uno stress del tibiale posteriore che degenererà col tempo in una disfunzione vera del tendine. Questo circolo vizioso rende difficile da parte dello specialista riconoscere la causa primaria del malessere del paziente. E’ stata la disfunzione del tendine a causare il piattismo del piede o viceversa? Con quest’ultima parte di trattazione del muscolo non si darà certo una risposta a uno dei dilemmi che ancora divide la comunità scientifica, ma aiuteremo a fare chiarezza sulla patologia del tibiale posteriore, in modo tale da poter ricondurre a ogni caso clinico l’eziologia più probabile.
La disfunzione del muscolo tibiale posteriore (PTTD) è ritenuta la principale causa nello sviluppo della deformità in piattismo del piede nell'adulto. Le persone più colpite da PTTD sono femmine bianche dai 45 ai 65 anni di età, con sovrappeso e ipertensione. Il grado di compromissione funzionale e il disagio del piede variano secondo la gravità dello stress del muscolo, stimata in quattro stadi secondo gli studi approfonditi svolti da poco prima degli anni ’90 e che vedono tuttora rimaneggiare la graduatoria con frequenza. In termini generici possiamo affermare che il primo stadio è caratterizzato dal dolore e gonfiore dell’aspetto mediale della caviglia, senza alterazioni posturali associate.
Il secondo stadio è caratterizzato da debolezza del tendine e difficoltà a completare la fase di stacco del tallone, in associazione a retropiede valgo e deformità in abduzione dell’avampiede. A questo stadio tuttavia il piede è ancora flessibile e correggibile dall’operatore.
Nel terzo stadio il piede piatto presenta una deformità sempre più irreversibile perché rigida. Nel quarto grado, infine, la deformità in valgismo è a carico anche della caviglia, la rigidità articolare è massima, in associazione con una forte degenerazione delle articolazioni periastragaliche e dei legamenti.
Per una trattazione più approfondita dei gradi di PTTD - impossibile in questa sede se non sacrificando tutto lo spazio offerto dalla rivista! - rimandiamo alla classificazione di Bluman et al., ad oggi la più descrittiva e comprensiva in merito.
Ma qual è l’origine della disfunzione del tibiale posteriore? Sebbene sia universalmente ascritta fra le sindromi da stress, la PTTD presenta un’eziologia tutt’oggi sconosciuta. Possiamo però fare una distinzione fra due principali cause, meglio identificabili come condizioni predisponenti la patologia.
La prima è quella anatomica: si è fatto riferimento nello scorso numero alla totale avascolarizzazione tendinea nella zona in cui le fibre del tibiale posteriore scorrono nella puleggia ossea del malleolo tibiale. Questa delicata condizione anatomica potrebbe concorrere nella degenerazione tendinea, soprattutto a seguito di un trauma diretto o di un affaticamento tendineo da errato gesto sportivo (corsa in salita senza preparazione, scatti improvvisi soprattutto nel tennis).
L’altra causa identificabile è quella meccanica: una sindrome da eccesso pronatorio o un’instabilità del piede nel momento filogravitario della deambulazione producono, a seguito delle aumentate forze di reazione del suolo sul margine laterale del piede, un’aumentata spinta in eversione. L’astragalo plantarflette e adduce attorno all’asse della sottoastragalica che si è anormalmente medializzato, il metatarso si slega dal retropiede, il primo raggio non può essere stabilizzato al suolo per la funzione portante del passo. Nel caso di una spinta pronatoria non eccessiva, il tibiale posteriore viene sovraccaricato per riportare il retropiede in inversione, tanto che la ripetizione di questa contrazione può causare uno stress all’origine della PTTD. O ancora, la deviazione in pronazione può non essere recuperabile dal muscolo tibiale posteriore, il quale subisce uno stiramento continuo e una lacerazione delle sue fibre tendinee.
L’insufficienza del tibiale posteriore non è una patologia che riguarda solo il suo tendine. La progressione dal primo stadio ai gradi più evoluti di PTTD è associata dall'anormale postura del piede, indicando una diminuita funzione del tibiale posteriore e un cedimento del supporto offerto dai legamenti del comparto periastragalico mediale del piede. Siccome i muscoli sinergici come il flessore lungo delle dita sono incapaci di compensare adeguatamente il diminuito contributo del tibiale posteriore, la persistenza della posizione anormale contribuisce al cedimento dei legamenti, aumentando col tempo la deformità in piattismo.
Nello specifico, i legamenti compromessi sono:
* tratti superomediale, inferomediale calcaneo-scafoideo e astragalo-calcaneare, tutti componenti del legamento deltoideo, con alti livelli di degenerazione in più del 70% dei soggetti affetti da PTTD;
* complesso della fascia plantare, che mostra tenui segnali di alterazione in circa il 40% dei pazienti e alterazioni più gravi nel 10% dei casi;
* legamento deltoideo antero-superficiale, con gradi di degenerazione nel 30% dei soggetti con PTTD;
* legamento plantare metatarso-cuneiforme, compromesso nel 20 % dei casi;
* legamento plantare scafo-cuneiforme, con piccoli segni di degenerazione con frequenza del 10 %.
Altri legamenti sofferenti possono essere i legamenti plantari lunghi e brevi, il legamento deltoideo profondo e il legamento deltoideo postero-superficiale.

Se gli stadi più evoluti della patologia da stress del tibiale posteriore richiedono l’approccio chirurgico per recuperare un appoggio plantigrado del piede tramite artrodesi, osteotomie del primo cuneiforme, fusione del primo raggio, allungamento dei muscoli peronei e tibiale anteriore, riallineamento del calcagno e perfino protesi di caviglia, è anche vero che soggetti con stadio I e II di PTTD senza una completa rottura del tendine ottengono buoni risultati con un programma riabilitativo associato all’uso di supporti ortesici plantari. La riabilitazione include specifici programmi rivolti al tibiale posteriore, peronei, tibiale anteriore e gastrocnemio mediante esercizi isocinetici, benda elastica, alzate in punta di piedi e camminata sul talloni. Inoltre, come risultato degli avanzamenti nella comprensione della patomeccanica della deformità in piattismo lasso del piede e grazie al miglioramento della qualità delle ortesi, il trattamento podologico assume un ruolo sempre più valido. Lo scopo biomeccanico è ristabilire la corretta deviazione degli assi attorno ai quali avviene la prono-supinazione delle articolazioni podaliche, prima fra tutte la sottoastragalica. Ristabilendo una lateralità dell’asse, infatti, è possibile aumentare il braccio di leva lungo il quale si esprimono le forze di reazione del suolo in favore di una spinta supinatoria. All’atto pratico è utile un plantare avvolgente per il calcagno, che stabilizzi l’arco plantare mediante il contatto solidale della volta al plantare elastico. La stabilizzazione può essere ricercata mediante un riempimento della volta fino a poco prima della testa del primo metatarsale, per continuare il controllo anche durante la fase propulsiva. La calzatura dovrà possedere un tacco di 2-3 centimetri veri in modo tale da compensare una brevità della muscolatura surale che spesso è alla base di una sindrome pronatoria. Per i casi di PTTD più avanzata ma ancora correggibili, possiamo pensare di utilizzare un plantare con un profilo più alto, magari un guscio elastico o semirigido, in modo tale da poter stabilizzare maggiormente il calcagno, controllare la volta mediante rinforzi e stabilizzazioni del margine mediale dell’ortesi. Non è escluso poi l’utilizzo del calco gessato per i casi più evidenti di disfunzione o rottura tibiale, per i quali confezioniamo un dispositivo rivestito di materiale ammortizzante, con lo scopo principale di accomodare la deformità piuttosto che correggerla; secondo quest’ottica potremmo fornire il plantare di un leggero elemento di sostegno per la volta mediale.
Siamo giunti al termine del nostro viaggio nell’approfondimento del tibiale posteriore, un tema che riserva ancora molto spazio allo studio e all’approfondimento nonostante la ristrettezza dell’argomento (un muscolo solo a fronte di altri 656 che compongono l’apparato locomotore umano). Un muscolo importante per la stabilità della volta plantare il cui deficit, che sia causato da una sua disfunzione primaria piuttosto che da un disturbo patomeccanico preesistente, non può mai essere completamente compensato dalla muscolatura sinergica o dal supporto legamentoso. E’ indispensabile quindi che lo specialista sappia gestire tale disfunzione in modo che si eviti il sovraccarico funzionale e che, nelle forme di deformità più avanzate, rivesta un ruolo informativo per il paziente nei riguardi dell’approccio chirurgico necessario.

un paziente di 73 anni con insufficienza del tibiale posteriore, il tratto superomediale calcaneo scafoideo mostra una severa degenerazione

giovedì 26 agosto 2010

Il muscolo tibiale posteriore - Parte 1: Biomeccanica

Apparso su: A piede Libero, anno 2009 n. 4 - visualizza l'intera rivista in .pdf

Quando parliamo di muscolatura cavizzante facciamo riferimento a quei tendini intrinseci ed estrinseci del piede che sono capaci, in fase di contrazione del ventre cui sono collegati e con l’arto in carico, di aumentare l’altezza della volta plantare mediale. Fra questi muscoli annoveriamo l’abduttore dell’alluce e il tibiale anteriore, tessuti sui quali il podologo è abituato ad agire per via propriocettiva quando progetta plantari provvisti di ¼ di sfera per stimolare lo sviluppo della volta in bambini e ragazzi con piedi piatti. In condizioni fisiologiche anche il peroneo lungo è un muscolo cavizzante, perché è in grado di plantarflettere contro il suolo il primo metatarsale e di supinare l’articolazione sottoastragalica, con il risultato di un innalzamento della volta. Un altro muscolo importante nel sostegno  della volta mediale è senza dubbio il tibiale posteriore, che è inoltre in grado di plantarflettere l’articolazione tibio- tarsica e di compiere un’adduzione del piede. In sede di esame clinico il suo tendine può essere palpato agevolmente nel punto in cui passa immediatamente dietro e inferiormente al malleolo mediale, zona in cui viene messo in evidenza con la flessione plantare associata alla supinazione.

ANATOMIA E FISIOLOGIA

Il muscolo tibiale posteriore origina dal labbro inferiore, dalla linea obliqua e dalla faccia posteriore della tibia, dalla parte posteriore della membrana interossea, dalla faccia mediale della fibula e dai setti intermuscolari circostanti. Decorre in direzione distale e in profondità a ridosso della membrana interossea. Il suo tendine corre al di sotto del malleolo tibiale nel solco retro malleolare, e si porta al di sopra del substentaculum tali. Giunto in corrispondenza del tubercolo dello scafoide, il tendine dà tre espansioni: la più robusta e che continua la direzione del tendine si inserisce a livello del tubercolo mediale dello scafoide e sul 1° cuneiforme; quella laterale si dirige sul 2°, 3° cuneiforme e al cuboide; infine il fascio di fibre posteriore si porta verso il substentaculum tali. L’innervazione del muscolo è data dal nervo tibiale, mentre l’attributo di sangue è garantito in maggior parte dall'arteria tibiale posteriore e in minor misura dall’arteria peronea. Gran parte del tendine è ricoperto da un foglietto peritendineo che riduce l’attrito, nel quale i vasi formano una struttura simile a una ragnatela. Dal peritendine essi penetrano nel tessuto del tendine vero e proprio e si anastomizzano con una rete di arteriole non omogenea. Nella regione in cui il tendine passa attorno al malleolo mediale questa rete intratendinea, inizialmente orientata longitudinalmente, si interrompe e il tibiale posteriore risulta essere avascolare nella zona in cui scorre attorno alla puleggia ossea della doccia malleolare (figura sovrastante). Questa piccola precisazione sull’irrorazione del tibiale posteriore ci servirà in seguito, quando descriveremo la patologia di questo muscolo. Grazie alla posizione dei sui capi inserzionali, quando si contrae il tibiale posteriore è capace di avvicinare lo scafoide al substentaculum tali: questa compressione agisce sulla testa dell’astragalo, accomodata fra queste due componenti ossee, la quale è costretta a risalire al di sopra del suo acetabolo, con il risultato di una supinazione di tutta l’articolazione sottoastragalica. Per questo motivo il tibiale posteriore è un muscolo fondamentale nella costituzione della leva rigida podalica che permette il trasferimento di carico durante la deambulazione.

FUNZIONALITÀ DEL MUSCOLO NELLA DEAMBULAZIONE

I modelli di attività fasica dei muscoli suggeriscono che il tibiale posteriore comincia a contrarsi durante il periodo di contatto col suolo subito dopo l’appoggio dell’avampiede a terra, frenando l’eversione del calcagno e ammortizzando lo shock. Ma questo muscolo comincia già ad agire ben prima, cioè non appena il tallone tocca a terra e rotola in plantarflessione verso il suolo, spinto dalle forze di reazione di quest’ultimo. Infatti in qualità di muscolo di origine biossea (tibiale e fibulare) concorre al serraggio della pinza malleolare nella quale si incastra l’astragalo, che viene mano a mano frenato rallentando così tutto l’avampiede, che non sbatte a terra. Tutto ciò avviene in assenza di una vera e propria attività fasica rilevabile nel muscolo tramite elettromiografia, bensì grazie a una sua contrazione eccentrica, ovvero la forza resistiva all’allungamento propria di tutte le fibre muscolari e dei tessuti tendinei. Infatti la contrazione eccentrica di qualsiasi muscolo del corpo è dal 150 al 600% più efficiente di una contrazione concentrica: in sostanza un muscolo è molto più forte nel resistere all’allungamento piuttosto che ad accorciarsi. Se prendiamo in considerazione la struttura pennata e poi semipennata del tibiale posteriore e il suo lungo tendine, deduciamo una grande efficienza di questo muscolo nell’esprimere una forza eccentrica. All’aumentare del carico sull’arto in appoggio, la gamba continua a intraruotare, con il risultato di una pronazione dell’articolazione sottoastragalica. Il tibiale posteriore è il primo dei muscoli della loggia posteriore della gamba ad agire per frenare e poi bloccare questa pronazione fino al contatto col terreno dell’avampiede: il retropiede viene spinto in inversione e il metatarso in eversione, in preparazione della fase portante. Ma prima che questa si compia è necessario stabilizzare la gamba sul piede in carico, la quale procede in avanti per l’accelerazione del tronco. Durante tale periodo il tibiale posteriore assume un altro importante ruolo in qualità di muscolo plantarflessore, che è quello di evitare la caduta in avanti della gamba. Il tibiale posteriore, con assistenza del soleo prima, del flessore lungo delle dita e dell’alluce poi, frena l’avanzare della tibia sul piede. Una volta che la pronazione ASA è stata frenata, l’azione del tibiale posteriore continua per tutto l’appoggio intermedio, permettendo di supinare l’ASA e di extrarotare la gamba. Questa azione viene svolta in concomitanza con il muscolo soleo e il flessore lungo delle dita. Supinazione ed extrarotazione continuano per tutta la durata d’appoggio. Alla fine dell’appoggio intermedio, il tibiale posteriore compie una contrazione sinergica col peroneo lungo in modo tale da comprimere il primo raggio sulla mediotarsica e la mediotarsica sul tarso, costituendo la leva rigida antigravitaria. Infine durante la propulsione il tibiale posteriore agisce nella flessione plantare della tibiotarsica. Nel prossimo numero tratteremo della disfunzione del tibiale posteriore, una delle principali cause di deformità in piattismo del piede nell’adulto, nonché del ruolo del podologo nella cura e nella prevenzione della patologia di questo importante muscolo del piede.