venerdì 9 aprile 2010

La cappella sistina, ascoltando Tom Waits

LA CAPPELLA SISTINA, ASCOLTANDO TOM WAITS

Alessandro Baricco



Il sottotitolo dell’opera da cui è tratto il brano (Barnum) è “Cronache dal Grande Show”.
Barnum raccoglie articoli e recensioni che l’autore ha scritto per una rubrica del quotidiano
“La Stampa”.


La Cappella Sistina, prima di vederla, la senti. Tipo caramella balsamica: la senti nel naso e nelle orecchie.
Ci arrivi da un cunicolo che gira e sale e scende, un cunicolo stretto e basso, con le pareti color ospedale. Tutti in fila, strascicando i piedi. Non ci sono quasi finestre, c’è poca aria. Inesorabile odore di umanità, lascito generoso di centinaia di ascelle e calzini internazionali in pio pellegrinaggio o colto vagabondare. La Cappella Sistina prima di vederla, la senti: odore di palestra, di classe del liceo alla quinta ora, di pullman d’estate. Non che uno si aspetti cori di arcangeli, all’ingresso, ma ti ci devono proprio fare entrare da una specie di scarpiera a forma di corridoio? Quando il naso si abitua, scattano le orecchie. Entri da una porticina da nulla, e prima di vedere alcunché, senti il boato uniforme e continuo di centinaia di persone stipate e sgomitanti che urlano a bassa voce. L’acustica della Cappella restituisce un biblico e febbricitante frastuono. Strana impressione. Non ho grandi esperienze nel settore ma ti vengono subito in mente quei posti tipo lager, o stadio cileno, quelle cose lì, dove una fetta di umanità fa l’anticamera per qualche odioso orrore. Quando d’improvviso si accendono dei lugubri altoparlanti e una voce grida “Attenzione!” quello che ti aspetti è che poi dica: “Le donne si portino sulla sinistra, gli uomini sulla destra”, cose così. Per fortuna, più mitemente, dice di far silenzio e di non scattare fotografie. Il frastuono cala immediatamente di qualche decibel. Sgomitando mi guadagno un metro quadrato vagamente libero. Dato che contro quel casino bisogna pur fare qualcosa mi infilo le cuffiette e attacco il walkman. Baglioni. No. Annie Lennox. No. Paolo Conte. No. Cerco Bruckner, il mite organista che scriveva musica per Dio: dimenticato. Non rimane che Tom Waits. Vada per Tom Waits. Alzo il volume. Alzo gli occhi. L’hanno risciacquata, la Sistina. Ci hanno restituito il technicolor. Hanno tolto qualche pudica braghetta e pulito le crepe. Sembra nuova di pacca. Il Giudizio Finale me lo ricordavo ingoiato da una fuliggine nerastra tipo polmone di fumatore. Ci vedevi poco, in tutto quel nero, e forse il fascino stava anche lì: adesso va di mezzetinte che è un piacere, fa un po’ Laura Ashley, ma almeno vedi, e scopri un sacco di cose, ed è come quando al cinema metti gli occhiali. La parte che a me è sempre piaciuta di più è quella a mezza altezza, dove i corpi salvati e risorti salgono al cielo e quelli condannati vengono ricacciati giù, e tutti galleggiano magicamente nell’aria proprio come gli astronauti della Nasa, quando li facevano vedere alla tivù, in quelle navicelle senza forza di gravità, ce n’era sempre uno che faceva lo scemo e lasciava andare il panino, e il panino cominciava a svolacchiare in giro, fino a che qualcuno lo riacciuffava, e tutti ridevano, e doveva essere un modo per dimenticarsi che stavano come granelli di sabbia spediti a ronzare nell’infinito, soli come cani. Dev’essere colpa di TomWaits: uno dovrebbe pensare altre cose, messo lì a tu per tu con Michelangelo, e con il Giudizio Finale. Ho abbassato Tom Waits, e ho pensato altre cose. Ho pensato quanto micidiale è quella Cappella, a ben pensarci, e senza farsi troppo sviare dalle tinte pastello. Un monumento ossessivo a un totemico e rovinoso incubo: il peccato. Non si esce innocenti, da lì. Centinaia di metri quadrati di immagini ti martellano come irresistibili spot rifilandoti in offerta speciale la più subdola delle merci: il complesso di colpa. Svicoli dal Giudizio Finale e finisci da Adamo ed Eva, la mela, il serpente, il castigo. Cerchi rifugio un po’ più in là e caschi nel Diluvio Universale, altro castigo, spettacolare, una pulizia etnica in grande stile. Perfino quel gesto meraviglioso, Dio e l’uomo, le due dita che si sfiorano, icona impareggiabile, stampata lassù sul soffitto, e per sempre in tutti gli occhi cui è accaduto di vederla, perfino lei ha qualcosa di inquietante, sembra già un castigo anche quello, un castigo preventivo, c’è qualcosa in quel Dio che ci impedisce di vederlo semplicemente buono e padre: ha qualcosa dell’animale in agguato, ha dentro un’inquietudine che lo scompiglia. Non è un Dio felice, quello. È un meccanismo micidiale, a ben pensarci: stai lì con la faccia all’insù, a farti stregare da tutta quella bellezza, oltretutto lavata col Dixan,2 e intanto, senza che te ne accorgi, ti si sta stampando in qualche recesso dell’anima un invisibile strato di senso di colpa, che si sovrappone a quelli che già ti hanno spalmato in anni di cosiddetta educazione, il tutto a edificare, millimetro per millimetro, la catastrofe di una coscienza perennemente in debito, e cronicamente colpevole. Forse è solo perché non c’era il sole, e dai finestroni entrava il grigio di una giornata da schifo. Forse è per colpa di TomWaits. Comunque dalla Sistina sono fuggito con due semplici idee in testa. Prima: la prossima volta che ci vado ci vado alle otto del mattino, perché quella folla è un orrore. Seconda: la prossima volta che nasco ateo, lo faccio in un paese dove quelli che credono in Dio credono in un Dio felice.



ALESSANDRO BARICCO


Alessandro Baricco (Torino, 25 gennaio 1958) è uno scrittore, critico musicale e regista italiano, fra i più noti esponenti della narrativa italiana contemporanea. Dopo la laurea in filosofia, pubblica alcuni saggi di critica musicale (la passione per la musica classica gli è stata trasmessa dai genitori, e la sua cultura in questo campo è frutto del suo studio personale): Il genio in fuga (1988) su Rossini, e L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (1992), sul rapporto tra musica e modernità.Collabora come critico musicale per La Repubblica e sulla pagina culturale per La Stampa. Baricco lavora anche in televisione, nel 1993 come conduttore di L'amore è un dardo, trasmissione di Raitre dedicata alla lirica e nel 1994 come ideatore e conduttore di un programma dedicato alla letteratura dal titolo Pickwick, del leggere e dello scrivere. Nel 1998 cura il programma Totem, delle lezioni sull'amore per la lettura a cui seguirà una tournée nelle piazze italiane. Durante gli anni novanta Baricco si afferma pubblicando i romanzi: Castelli di rabbia (1991), Oceano mare (1993), Seta (1996) che non ha raggiunto il pieno consenso della critica, City (1999), Senza sangue (2002). Nel 1994 esce Novecento. Un monologo, da cui è stato tratto un lavoro teatrale e un film, La leggenda del pianista sull'oceano di Giuseppe Tornatore. Per Feltrinelli pubblica due raccolte degli articoli scritti per la Stampa e Repubblica (Barnum, del 1995, e Barnum 2, del 1998). Scrive anche, nel 1996, un testo teatrale: Davila Roa, andato in scena al Teatro Argentina di Roma e mai pubblicato. Nel 2002 pubblica Next (Feltrinelli), breve saggio sulla globalizzazione. A febbraio 2003 esce Partita spagnola per Dino Audino Editore. Nel 2004 pubblica Omero, Iliade (Feltrinelli) un lavoro sulla traduzione di Maria Grazia Ciani dell'Iliade da cui Baricco trae un reading teatrale.Nel 2005 passa dalla Rizzoli alla casa editrice Fandango di Domenico Procacci, con cui pubblica il romanzo Questa storia. Dopo l'esperienza televisiva ha fondato, insieme ad altri soci, la Scuola Holden a Torino, dove si studiano tecniche della narrazione con uno sguardo multidisciplinare. Nel periodo tra maggio e ottobre del 2006 ha scritto su La Repubblica un "romanzo - saggio a puntate ", I barbari, su quella che lui definisce la 'mutazione' in atto nella civiltà postmoderna. I lettori possono esprimere un commento sul sito internet del giornale. Il saggio è pubblicato con qualche aggiunta nel 2006.
Nel 2007 esce la trasposizione del romanzo Seta. Il film è prodotto da Domenico Procacci della Fandango e il regista è il canadese François Girard. Baricco, al contrario del film di Tornatore, questa volta ha curato personalmente la sceneggiatura. Nell'autunno dello stesso anno, presso l'Auditorium Parco della Musica, va in scena con un nuovo spettacolo, tratto da Moby Dick di Hermann Melville, accompagnato da musiche originali di Nicola Tescari eseguite dalla Roma Tre Orchestra.

BARNUM
Cronache dal grande show


Pubblicato da: Feltrinelliprima edizione: 1995
Barnum è stato il più grande impresario circense della seconda metà dell'Ottocento. La rubrica di Baricco, "Barnum. Lo spettacolo della settimana", che appare su "La Stampa" ogni mercoledì, si trasforma in volume. L'autore avvicina gli eventi culturali, politici, sociali, mondani che sono o che fanno spettacolo. Il volume è accompagnato da una prefazione e da un indice dettagliato e quanto meno insolito: una sorta di sommario dove insieme alle voci di Mike Bongiorno, Pier Paolo Pasolini e Giacomo Puccini ne compaiono altre ispirate alla logicacircense di quanto passa sulla grande pista Barnum.
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