martedì 7 aprile 2009

Cosa fa esattamente lo psicoterapeuta?

Se qualcuno ha una risposta a questa domanda, sarei lieto di leggerla.

Per quanto ne posso capire io, uno psicoterapeuta è un esperto che tramite tecniche sociali - comunicazione verbale e non - indirizza l'assistito verso un cambiamento comportamentale. Molto interessante e dibattuto il meccanismo neuronale attraverso il quale la psicoterapia agisce: mi accontento di pensare che le situazioni sociali che si creano con il terapeuta agiscano sulla plasticità neuronale inducendo lo sviluppo o la regressione di connessioni nervose. Come fanno tutti gli eventi della nostra vita. La presenza di una intenzione dietro questa azione dovrebbe far sì che si ottenga un effetto netto di cambiamento. In altre parole, l'ambiente intorno a noi ci scolpisce come rocce in preda all'erosione, ma uno psicologo, che ha la precisa intenzione di cambiarci in un senso, agisce su questa roccia come uno scultore. Giusto?

Ne dubito.

Nella vita si incontrano molte persone che assumono nei nostri confronti interazioni sociali differenti. A volte alcune di esse hanno intenzioni precise nei nostri riguardi. Vorrebbero che avessimo maggiore iniziativa, che fossimo più miti, o più generosi. A volte sono anche esperti di interazioni sociali, possono essere allenatori sportivi, insegnanti, sacerdoti. Abbiamo mille occasioni di stabilire un'interazione sociale volta al nostro cambiamento. Ma in molte occasioni lo rifiutiamo diradando la frequentazione con le persone che - ci lamentiamo - "non ci accettano".

Lo psicoterapeuta non è proprio una persona che non ci accetta? Se ci accettasse per come siamo, non avrebbe alcun effetto. Anche se non "giudica", egli interviene quando noi stessi non ci accettiamo più. Siamo noi a recarci da lui/lei e pagarlo perchè non ci accetti. Lo facciamo perchè è un esperto e noi gli tributiamo fiducia.
In altri termini, il suo potere viene in larga parte dal ruolo che noi gli attribuiamo. La tecnica c'è (ce ne sono anche troppe), ma è lì la chiave?

Siamo animali sociali, e il ruolo di una persona nella società è fondamentale. Se io mi accordassi con un caro amico affinchè mi faccia da personal trainer dovrei accettare che questi assuma il suo ruolo in pieno e mi rimproveri quando mangio schifezze e non faccio gli esercizi. Questa è una cosa che ai nostri amici non permettiamo, ma la permettiamo a un semi-sconosciuto. Comincio a pensare che sia lo stesso con lo psicologo. Da un lato c'è "l'expert power", un fattore che ha su di noi lo stesso effetto del testimonial nella pubblicità: ci si fida di quello che dice perchè è un esperto. Eppure quello che dice spesso non è altro che quello che altri ci hanno detto, ma non ci avevamo fatto caso. Perchè egli ha qualcosa di speciale? Io credo che la ragione sia piuttosto che in quel momento della nostra vita cerchiamo quel cambiamento, e siamo semplicemente più ricettivi.

Allora? Ha la psicoterapia una qualche utilità, oppure, come io propongo, ciò che conta è la disponibilità del soggetto a mettersi in discussione? Se quest'ultima proposizione fosse vera, allora dovremmo constatare che dove c'è lo psicologo, ma manca la volontà personale, manca anche il miglioramento. E questo è vero.
Resta da dimostrare che il cambiamento è possibile grazie alla sola volontà personale, sfruttando le occasioni che abbiamo sempre, piuttosto che rivolgerci al terapeuta. Credo anche questo sia possibile.

Naturalmente questo può essere più difficile per alcune persone che per altre. E qui entra in gioco l'esperto. Ma allorami chiedo: piuttosto che fare pubblicità alla psicoterapia, perchè non insegnamo a scuola l'arte di cambiare sè stessi sfruttando gli stimoli ambientali? Perchè non insegnamo agli studenti a studiare sfruttando le conoscenze che abbiamo del cervello? Perchè ci affanniamo a imparare molte cose - cosa che sanno fare anche gli animali - invece che imparare ad apprendere??

11 commenti:

Lap(l)aciano ha detto...

Ciao Giulio,

non sono tanto d'accordo; alla fine, lo psicoterapeuta ha (dovrebbe avere) delle competenze in più, che:

1) gli permettano di vedere con più chiarezza i meccanismi che ti fanno agire in una certa maniera poco salutare;
2) gli permettano di elaborare una strategia comportamentale in grado di attivare i cambiamenti di cui parli.

È certo vero che se uno non ha disponibilità a cambiare, non c'è psicologo che tenga. È anche vero che se io ho disponibilità a cambiare, ma non so cosa devo cambiare, non andrò da nessuna parte.

A presto
Stefano

Bluebeardburns ha detto...

Ciao Stefano,

la mia tesi è che la disponibilità al cambiamento sia necessaria in ogni caso, lo psicologo non sempre.

Disturbi di personalità dovuti a danno cerebrale o a perdita di abilità cognitive necessitano un intervento specialistico, come anche le vittime di violenza, guerra etc.

Secondo me hai centrato un punto, e cioè che la tecnica sta più nelle capacità percettive e strategiche che nell'approccio terapeutico. Altrimenti come si spiega che le tecniche e le scuole siano numerose, e molte di esse "funzionino"?
Se questo però fosse vero, allora staremmo parlando di un più generico "capire dov'è il problema e quali sono le strategie per affrontarlo".

La mia conclusione è che sia auspicabile, in luogo di un intervento sempre individuale, senz'altro necessario in alcuni casi, una formazione di massa migliore nell'affrontare i conflitti.

"L'esperto" serve dove l'esperienza è necessaria, non per affrontare le insicurezze della vita quotidiana. Altrimenti, ti disse una volta un tuo prof., si schiacciano sassolini coi bulldozer. Un vasto impiego di tempo, energia e denaro, per poi scoprire che 15 minuti al giorno passati a scrivere le proprie riflessioni su un quaderno portano a un netto e documentabile miglioramento dell'umore (Solano, "La mente e il corpo").

E questo senza neppure menzionare il più potente ansiolitico conosciuto dal genere umano: la preghiera.

Bluebeardburns ha detto...

Anzi diciamo pure così: se togliessimo l'ora di Geografia e l'ora di Religione nelle scuole per sostuirle con, rispettivamente: "Tecniche di apprendimento e comunicazione" e "Educazione all'Amore" sarebbe meglio :)

Del resto io un pochino di Geografia l'ho imparata solo viaggiando, e cambiare il tema dell'ora di Religione non andrebbe che a favore del messaggio cristiano più autentico... :D

ciao ciao

binswangeriano ha detto...

io avanzerei questa altra possibile interpretazione. Lo psicoterapeuta non è qualcuno che, semplicemente, indirizza verso una trasformazione comportamentale, bensì uno che indirizza l'auto-comprensione. In altri termini, ci aiuta a capire alcuni meccanismi.
Poi però distinguerei fra:
- l'intervento della psicoterapia in condizioni fisiche (neurologiche, mediche, chimiche, etc.) "normali"
- l'intervento, relativo e forse inutile, della psicoterapia a fronte di squilibri, malattie, etc. organiche. In questi casi, se c'è sofferenza psicologica, credo serva innanzitutto un farmaco

Bluebeardburns ha detto...

Ciao biswangeriano,

seguo bene il tuo argomento circa l'intervento di autocomprensione operato dallo psicoterapeuta, d'altronde devo dire che la mia prospettiva è esattamente inversa.
Ovvero, almeno una parte di questa autocomprensione può verosimilmente essere insegnata. Si tratta cioè di abilità "propriocettive" che in passato sono state chiamate "saggezza", "sapienza", "autoanalisi".
Non sono sicuro sia sempre necessario un intervento individuale, e credo lo dimostri anche il prendere piede delle terapie di gruppo.
Invece la condizione "organica", con la nomenclatura usata da te, è qualcosa di difficilmente generalizzabile, poichè dipende in parte dal sito della lesione, in parte dal tipo, ecc ecc. Proprio in questo caso mi sembra che il consulto psicologico - eventualmente in senso anche farmaceutico - sia insostuibile.

LongBeardCux ha detto...

Premesso che la "psicoterapia" opera d'elezione nel campo ben preciso dei disturbi mentali, la volontà personale è una condizione direi necessaria ma di solito non sufficiente per curare i disturbi mentali.
Quando la volontà non basta c'è bisogno di un intervento esterno e professionale, in genere di un intervento medico (psichiatrico, ovvero spesso farmacologico) o di un intervento psicologico (in un continuum che va dall "psico" al "comportamentale"). I due interventi non si escludono, e spesso si sposano bene con, oppure necessitano di, un intervento "sociale" (ad es. terapie familiari, ritiri in comunità).

Laddove c'è del disagio psicologico ma manca un vero e proprio disturbo mentale (per intendersi, uno di quelli descritti nel DSM-IV o nell'ICD-10, vedi Wikipedia) ci sono ampi margini di successo della semplice volontà/iniziativa personale. Questo però è il campo d'azione dello psicologo, non dello psichiatra. Cosa fa lo psicologo? Lo scopriremo presto ^^

Bluebeardburns ha detto...

Ottimo! Grazie per l'intervento, Mauriziogato, non vedo l'ora di ottenere risposta alla domanda, come da te riformulata!

ciao

Anonimo ha detto...

ho letto con interesse il tuo articolo e ne ho trovato uno con un titolo analogo ma di taglio diverso.
cosa ne pensi
http://www.psicologiatorino.it/index.php?option=com_content&task=view&id=76&Itemid=29

Bluebeardburns ha detto...

Ciao Anonimo,

ho trovato il tuo link molto utile: avevo bisogno di un discorso sistematico e non troppo difficile da seguire.

Mi sono accorto di recente che un tema persistente nelle mie riflessioni è di natura metodologica: mi chiedo quale sia il campo di applicabilità di certe idee e strumenti. Lo strumento "psicoterapeuta" è uno di questi.

Il tuo link propone molteplici obiettivi, benchè non chiarisca quali siano i confini di validità. Perchè la terapia è dispendiosa. Poniamo ad esempio che io mi rivolga a uno psicoterapeuta per un disagio, ma ciò che cerco in realtà sono valori, oppure un amore. Farei bene a impiegare le mie energie in questo, piuttosto che nella terapia, no?

Perciò mi era piaciuta la distinzione di Mauriziogato tra psicologo e psicoterapeuta. Purtroppo è una distinzione un po' artificiosa, in quanto è difficile - specie per il paziente - stabilire se il suo sia un malessere o un disturbo.

Io penso che un contenuto positivo del mio intervento stia nel fatto che una parte della terapia dipende da noi, perciò sono polemico di fronte all'imperativo:"Accetta!" che mi pare risuoni spesso in certi ambienti intellettuali. Di fatto molto si può ottenere già cercando con costanza supporto sociale oppure assegnando a una persona di fiducia grande attenzione, e anche solo tenendo un diario. Credo anche che l'arte abbia un ruolo fondamentale in questa catarsi di base.

Se poi il disagio persistesse, allora mi rivolgerei a uno psicologo, affibbiando a questi la decisione se sia necessario l'intervento di un terapeuta.

Verosimilmente ci vuole tempo e una lunga ricerca per trovare gli stimoli che fanno al caso nostro. Per questo mi piace l'idea di graduare l'intervento in diversi step, e per questo penso che bisogna educarsi ed educare a trarre il massimo dai mezzi a nostra disposizione.

Anonimo ha detto...

Lo psicoterapeuta non è la persona che ti "sgrida" e ti dice cosa mangiare e cosa no; non è neanche una persona che non ti accetta. Per quello ci sono i genitori, le mogli, e i conoscenti...
Lo psicoterapeuta è colui che, attraverso le tecniche a lui più congeniali (apprese in base alla scuola frequentata, a lui più congeniale), ti aiuta a ripercorrere situazioni messe a tacere, ti aiuta a trovare il bandolo della matassa, attraverso una riappropriazione della storia (come nei casi di DPTS) e una ricollocazione di te stesso nella storia.
Per questo motivo, l'accettazione non c'entra...

A presto
Marzia

Anonimo ha detto...

Lo psicoterapeuta non è la persona che ti "sgrida" e ti dice cosa mangiare e cosa no; non è neanche una persona che non ti accetta. Per quello ci sono i genitori, le mogli, e i conoscenti...
Lo psicoterapeuta è colui che, attraverso le tecniche a lui più congeniali (apprese in base alla scuola frequentata, a lui più congeniale), ti aiuta a ripercorrere situazioni messe a tacere, ti aiuta a trovare il bandolo della matassa, attraverso una riappropriazione della storia (come nei casi di DPTS) e una ricollocazione di te stesso nella storia.
Per questo motivo, l'accettazione non c'entra...

A presto
Marzia