MARCELLO BIAGIOTTI
Marcello Biagiotti nasce a Perugia il 31 luglio 1940. Inizia a dipingere già negli anni giovanili come paesaggista. Frequenta l'Istituto d'Arte "Bernardino di Betto" di Perugia, ai tempi del Maestro Gerardo Dottori, inizialmente nella sezione di Pittura, poi passa alla nuova sezione di Arti Grafiche, diretta dal prof. Pietro Parigi.
Dopo qualche anno viene cercato ed assunto come decoratore dall’allora “Vetreria Umbra”. Cessa gli studi e con il nuovo lavoro si specializza nella decorazione su vetro, insegne pubblicitarie e, in particolare, nella costruzione e restauro di vetrate in piombo.
Negli anni a venire abbandona il paesaggio, alla ricerca di una nuova espressione pittorica più vicina alle sue sensazioni, ed inizia a dipingere in modo originale ciò che lo ha sempre interessato, l’uomo, la società in cui vive e le tante problematiche che ne segnano l’esistenza. Determinante al riguardo sarà l’incontro con l’indimenticabile e stimato critico d’arte perugino Virgilio Coletti, che colloca la sua arte nel filone dei Surrealisti e lo consiglia di intraprendere l'attività professionale. È grazie a lui che nel 1968 allestisce la personale alla galleria ”La Luna” di Perugia.
Comincia a crearsi nel vasto panorama delle arti visive nazionali, fuori dalla sua città e regione, un suo personalissimo spazio espressivo, che per modalità pittoriche e simbolismi tematici, la critica nazionale accosta al surrealismo di Dalì e Tanguy. Sull'onda del crescente consenso di critica e di pubblico, negli anni ’70 partecipa alle più importanti manifestazioni artistiche nazionali ed internazionali, nelle quali si distingue sempre, aggiudicandosi numerosi primi premi.
Nel 1984 Biagiotti sente la necessità ed intravede il momento di sperimentare anche nell’arte della ceramica. Nel suo studio di Via Palestrina, a Perugia, istalla un forno elettrico per ceramica e comincia a frequentare alcuni ceramisti e tornitori che da anni operano a Deruta, per imparare le basi di quest’arte.
Dopo averne acquisito le principali tecniche, egli scavalca rapidamente i limiti dell’artigianato e crea un nuovo modo tutto suo di concepire la ceramica, fatto di creatività nelle forme, originalità nella pittura; realizza quindi personalissime opere ceramiche, pur non rinnegando la matrice classica dei soggetti: è l’arte della ceramica vista da un artista figurativo. Quello che sarebbe potuto essere un punto d’arrivo è invece solo il primo passo verso nuove frontiere creative: si accosta così alla scultura, manipolando all’inizio e a modo suo la terra che tratta nel forno come ceramica classica.
Inizia in questi anni la produzione di sculture: prima ceramica decorata con colori metallici, poi terra refrattaria dai toni del bronzo, una corsa frenetica alla ricerca della fonderia che possa tradurre in dati di fatto la vena creativa del suo idearlo: a poco a poco prendono forma le scultoree figure femminili dei bronzi a cera persa che ancora oggi personalizzano la sua attività artistica.
Sono sculture fuori dell’ordinario, che completano questi anni di maturità artistica ed umana. D’ora in poi non ci sarà più Rassegna Personale o Collettiva cui viene invitato o che gli viene proposta, nella quale non compariranno, oltre alle inquiete ed erotiche opere pittoriche surreali, anche le sculture, infinite storie di una ispirazione che continua ed oltrepassa questi nostri giorni.
Le sue opere di pittura e di scultura sono state battute in asta dalla Galleria e Casa d’Aste “Pace” di Milano, di Gimmi Stefanini, e dalla Casa d’Aste “Meeting Art” di Vercelli.
Oggi le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private in Italia, Iugoslavia, Svizzera, Francia, Germania, Venezuela, Stati Uniti, Turchia e Nuova Zelanda.
La sua arte è visibile dal 1997 nel sito dell’artista. www.biagiotti.it.

MOSTRE E ANTOLOGIA DELLA CRITICA

1968 – Perugia, Galleria “La Luna”.

Scrive Virgilio Coletti nel pieghevole:
È fatale, forse, che di fronte a questi quadri di Marcello Biagiotti, immediato, s’ipotizzi il surrealismo in virtù di quel poco, contenuto in un concetto generico non già per amore di difesa, del resto non necessitante, v’è piuttosto da notare come la visione, l’immaginazione, o la scoperta di un super-reale magico siano, anche storicamente, ormai superati.
In Biagiotti, certo, la metafora oggettiva illustra spesso una condizione personale un sentir "dentro"; ma, si ha da aggiungere, sempre nello stato di una consapevolezza, sollecitata – ecco, l'elemento nuovo - dalla provocazione di fatti, di posizioni, accadimenti umani, sociali, civili. Si è, quindi, in esiti di percezione e di rappresentazione della realtà, spesso tragica, della vita dell'uomo, essere unitario.
Gamma vasta, ma vigilata, di colori e di toni, fondi atmosferici, se siano d'atmosfera, portati con intelligente sagacia e levità di spessori e di luci, si che il volume od i volumi avanzino, o si ribaltino su piani primi e secondi in una costante robustezza di costrutto che sottrae le particolarità dell'aneddoto al più ampio racconto della pagina generosamente e vivacemente segnata. Con questo, l’operazione del dire in via di pittura non è meno fantastica – fantasia come ricerca di una realtà del vero, - né meno vicina, né meno lontana dal tangibile. Non il gioco disinteressato, e nei surrealisti d’osservanza tale fu del pensiero, ma il dramma, anche quale vicenda d’azione, d’ognuno in quanto esiste, ricorda, talora sogna, talaltra teme. E, certo, spera.
Così, l'ideario, oggi, di Marcello Biagiotti, non casuale, non stravagante, non teso allo straordinario. Neppure assurdo, se costui, nella sua giovane ed invidiabile freschezza, cerca proprio un'armonia, e critica, tra le spinte del mondo esterno ed il nascere di un testo intimo che sia aspirazione all'arte ed edificio, misterioso ma aperto, ove l'umanità sta di casa, come uno di quelli che fan da perimetro ad una piazza metafisica, vuota e gremita.

1972 – Bologna, Galleria “Le nuove Muse”.

1974 – Venezia, Galleria "Il Riccio ".

Scrive Marina Dorigo:
Si cimenta in una impegnativa Personale con temi, per il tempo, d’avanguardia: la ricerca dell’io; la droga; l’ecologia. ...Biagiotti interpreta, portandole sulla tela, le sensazioni che l'uomo ha dentro di sé e per far questo si serve di un linguaggio onirico. Durante il suo discorso egli tratta i temi principali che interessano il mondo di oggi, dalla ricerca dell’“io", alla droga, dall'ecologia al dramma dell'uomo dopo il peccato d'origine. Tutto viene trattato con un linguaggio moderno, spregiudicato, tendente a mettere in risalto soprattutto la figura, che appare nitida, intatta anche nel contesto dell'opera dove lo sfacelo degli elementi è il simbolo del nostro sfacelo. Le tele, ombreggiate di colori a volte tenui, a volte violenti, hanno una graffiante incisività che fa pensare.

1974 –Isola Margarita, Caracas, Venezuela, Galleria “Al Tiranno".

1975 – Bologna, Galleria "Trianon".

Scrive Lino Cavallari nel pieghevole:

QUALCHE APPUNTO PER BIAGIOTTI
Le riflessioni di Marcello Biagiotti sul divenire del mondo, espresse pittoricamente secondo un linguaggio surreale, non sono rigorosamente inedite, mi pare, ma nondimeno neppure banali. Dall’esame delle opere del pittore perugino sembra affiorare il rifiuto di tutto ciò che è inerte o cristallizzato mentre, all’opposto, appare attraente l’ipotesi, che già fu di Eraclito, di una perpetua evoluzione, di un continuo cangiamento dell’essenza della realtà. Si tratta di una trasformazione a livello cosmico, beninteso, nella quale la presenza dell’uomo si pone come pura accidentalità.
Biagiotti, che riconduce ogni evento alla volontà creatrice di un Ente, ripropone con evidenza l’eterno inquietante interrogativo sul senso e sulle finalità dei fenomeni che si succedono nella sfera del sensibile senza peraltro offrire alcun apporto consolatorio all’immaginazione, anzi acutizzando la certezza di una perenne sconfitta del pensiero di fronte al mistero invalicabile della creazione e della morte.
Detto questo, in riferimento al piano dei contenuti, c’è da dire che la poetica supernaturalista del giovane pittore appare quanto mai sui generis poiché egli non pare sintetizzare compiutamente tutte le esperienze mentali conscie ed inconscie, come fanno in genere i surrealisti di osservanza, per ricondurle ad una dimensione non logica ma auto-organizzata. Per chiarire il concetto: egli raramente stravolge la realtà, raramente esprime in simboli o situazioni la parte notturna e condannata della coscienza, raramente compie spaesamenti nel dominio delle percezioni: i suoi sono piuttosto trasalimenti, sogni in stato di veglia, suggestioni subliminali che non hanno localizzazione di spazio e di tempo ma potrebbero essere condivise dall’umanità passata e presente non meno che da quella futura.
Le sue immagini cioè paiono essere ammonizioni della brevità d’un lampo trasmesse ad un nostro contemporaneo, che ce le rende note, come per via genetica. I malesseri del pittore, inoltre, non paiono trovare una causa attuale ma con tutta evidenza sembrano legati al dolore stesso del mondo: il Dio della Genesi che veleggia nell’infinito ristabilendo l’ordine nelle cose alla presenza di una umanità residua, e non poi tanto sbigottita, sembra compiere una operazione abitudinaria, cioè ricorrente.
Non è chi non veda in tutto questo una sottile vena di pessimistica ironia che s’innalza e si potenzia allorché Biagiotti con una narcisistica impennata raffigura se stesso, ben curato e pettinato, nel ruolo e nel gesto del Demiurgo.
E qui egli ricrea a suo uso e consumo un altro universo, completo di quella ineffabile creatura che è la donna, una novella Lilith dalle chiome corvine e bene in carne. Quando incrudelisce, invece, il pittore ricorre agli archetipi che hanno messo paura agli infanti di ogni tempo: orchi e mostri vari occhieggianti nel buio della caverna primordiale, membra fitomorfe discerpate da un essere per metà vegetale e per l’altra metà energeticamente umano (ricordi danteschi? Si veda il canto XIII della Divina Commedia, l’orrida selva dei suicidi e l’anima di Pier della Vigna che parla dalla smembratura di un pruno, da cui esce anche sangue). Altro ingrediente caro ai surrealisti da Bosch in poi è l’uovo, presente nella poetica di Biagiotti ed indizio della convinzione del reiterarsi ciclico di ogni cosa.
In definitiva Biagiotti, o meglio quanto egli esprime in pittura, non andrebbe troppo drammatizzato, io penso: si tratta infatti di un pittore visionario, gradevole e solare, che non contrabbanda sofferenze non sentite e pronto a togliersi la mutria non appena si sia capita la funzione e si sia afferrato il tenue humor serpeggiante nelle sue coloratissime tele, dense di riferimenti culturali.

1976 - Città di Castello, Perugia, Galleria "Art 2".

Scrive Luciano Pandolfi Alberici nel pieghevole:
La condizione dell’uomo contemporaneo è segnata dal continuo incalzare di paure, di sensazioni che si accavallano nel nostro inconscio, causando quei continui stress che, a lungo andare, infiacchiscono l’individuo rendendolo impotente a discernere tra la situazione reale ed oggettiva e quella creata dalla “visione”.
Biagiotti, uomo che vive il suo tempo, dopo aver preso coscienza di questo dato di fatto lo ha trasportato nelle sue tele, rivivendolo con una sensibilità e con una capacità del tutto originali. A primo acchito sembrerebbe esserci dato il subitaneo accostamento delle sue tele con il surrealismo; ma poi ci accorgiamo che non è altro che un abbaglio perché di quella corrente pittorica non sono rimasti che lontani ed ormai dimenticati accorgimenti, quali l’uso del colore pulito e terso, reso senza alcuna deviazione, e certe visioni grandiose quasi apocalittiche fanno da sfondo ai suoi "originali" racconti.
Questi si snodano, come si diceva poco sopra, in dicotomia tra oggettività e soggettività che è la vita stessa dell'uomo. Per questo motivo Biagiotti si serve quasi esclusivamente di simboli, perché il soggettivo dell’uomo possa concretizzarsi nella tela senza perdere il suo alone fantastico e la sua continua mutevolezza nel corso del tempo.
Trait d’union tra questi due poli, è l’uomo: non inteso in senso generico e visto nelle sue varianti contingenti, ma l'uomo in assoluto, l'archetipo.
Egli è capace di muoversi in questi contrasti di fondo, determinandone i molteplici aspetti.
Ma sopra l'uomo si erge sempre la luce come ancora di salvezza o come datrice di quell'esistenza quotidianamente minata, contesa, rubata, martoriata anche nelle sue manifestazioni più elementari e più naturali.
Tra l'uomo e la luce si instaura un filo invisibile; ed è in questo equilibrato comporsi di tanti elementi antitetici che Biagiotti sta trovando il momento per esprimere, nella forma migliore, la sua estrema sensibilità, la sua equilibrata riflessione e la capacità di credere ancora nel colore e nelle tele, come momento nuovo, come espressione artistica.

1976 – Verona, Galleria "La Meridiana" di Giuseppe Tedeschi. Catalogo.

Scrive Enrico Varischi:
L'Artista, fermo su posizioni dell'esistenzialismo, da cui artisticamente prende le mosse e ne deduce le ansie, le paure, le angosce del vivere, mediante una tecnica costruttiva ed una tematica capace di elevarsi a ruoli di pura interpretazione induttiva, crea ed elabora, e con metodi a se stanti, una visione apodittica sui temi consueti della società moderna, rifluiti in una serie pregevole e prestigiosa di atteggiamenti umani, nelle sue opere, risaliti nella corrente della proiezione vitale a cui essi soggiacciono, almeno artisticamente parlando.
In altri termini, e per i quali ci si accosta ad una accettazione artistica, soggettiva ma meno iperbolica, si deve dare atto all’artista Biagiotti dei postulati di una metafisica decisamente elaborata con il concorso intellettuale unito al suo raziocinio, e rispondente alla visione umana nella misura con la quale il Nostro entra negli schemi di collocazioni oniriche che non vogliono essere empiriche, estrinsecatisi, sia nell’uomo che nella donna, non importa, là dove il fattore dell’esistenza assume, a priori, l’archetipo artistico degli assiomi interpretativi di nuovi atteggiamenti umani allorché la vita è sollecitata da una qualsiasi tendenza, sociale ben inteso; e per cui il Biagiotti, appunto, la sigla con la sua arte con l’aspetto più confacente a tali stati d’animo e di compartecipazione sociale.
Tendenze, quindi, che non cadono nell’informale, anche se a prima vista l’artista sembra darci una arte astratta, incentrata com’è sui valori indefiniti poiché spuri dalla realtà quotidiana; anzi, tutt’altro, in quanto l’arte del Biagiotti si rivolge ad un pubblico attento e critico sui problemi dell’estemporaneità delle rivolte istintive quotidiane che lo assediano, lo travolgono, in una sfera di ritorni ancestrali e che sono magari dovute, le reazioni, al tipo di società in cui vive l’individuo o gli individui, e per la quale società si determinano condizioni desuete dal comportamento tradizionale dell’essere umano, nell’interpretazione della sua vita, vista esteriormente.
Il colore del Biagiotti non è fine a se stesso, valutato, come è dato da vedere in quel senso appropriato di adoperare la gamma cromatica del rosso, del celeste, del bianco morbidamente accostati fra loro, giustamente per provocare l'emotività sui temi che tratta con la costante attenzione di darci un genere artistico, in arte, ridondante sia pure la drammatica sequenza di altri valori della realtà umana attualmente esposta, con le opere, in questi giorni alla Galleria “La Meridiana” di Verona. Diretta da Tedeschi interprete e quanto mai all’altezza di capire situazioni artistiche inconsuete. Il fatto di avercelo proposto alla nostra attenzione l’artista Biagiotti, ci trova consenzienti sulla collocazione moderna che il Tedeschi ha creduto bene di formulare nella scelta delle opere che debbono ben figurare nel susseguirsi delle manifestazioni artistiche .di prestigio della sua galleria.

1977 – Arezzo, "Centro Culturale Artistico Aretino".

1978 - Perugia, Palazzo dei Priori – Sale del Grifo e del Leone, e Sala di San Severo. Catalogo.

Scrive Mimmo Coletti:
Alla sala del Grifo e del Leone si ripresenta, a buona distanza di tempo dal suo ultimo appuntamento con il pubblico, il perugino Marcello Biagiotti. E lo fa con un progetto ambizioso: quello di offrire in visione una carrellata degli ultimi dieci anni di pittura, di stabilire una panoramica descrittiva di umori e proposte sempre più solide.
Un intento, è bene dire subito, riuscito, perché finalmente è concesso di seguire un iter di ricerca in maniera logica, con periodi (sia pur ristretti) che si succedono, mutamenti di prospettive conseguenti, episodi che si dilatano e si serrano in un comune filo conduttore. Non accade qui come altrove. Quando rassegne antologiche sono ristrette e rinserrate in moduli angusti, magari con isolate opere degli inizi ed una larghissima concessione agli esiti più recenti. Invece il criterio equilibrante è rispettato, pur se venga naturale una certa disponibilità a pezzi degli ultimi due anni, che occupano il luogo centrale dove sono collocate le due sculture antiche.
Dall’insieme una constatazione che suona ad elogio per l’autore: quella che, mutando in qualche modo l’abito esteriore, il concetto informatore di base è rimasto lo stesso dell’avvio. Il che è da intendersi non quale penuria di ideali, ma al contrario come determinazione e volontà di procedere intorno ad assunti prioritari. Che nel caso specifico sono da rinvenire nella constatazione dell’uomo, nella sua solitudine e nella difficoltà di trovare e stabilire rapporti amicali di salda durata e nell’affrontare, si aggiunge, temi e problemi di carattere comune, incognite ed interrogativi che condizionano gli scatti dell’ora attuale. Non a caso lo stesso Biagiotti chiama, la sua, «pittura fantasociologica» e vuole spiegarne le motivazioni, i perni e gli attori coinvolti, loro malgrado, in un ambiente responsabile di creare distorsioni e di generare infine la violenza.
Per far questo (l’accusa di moralista è gratuita e destinata a cadere nel vuoto) Biagiotti ha assunto fin dal primo momento la forma del fantastico, in cui stati onirici surrealisti si mescolano alla rigida fierezza ed all’alogicità del comportamento di cose strappate dalle atmosfere che le sono abituali. Quasi che gli oggetti, le figure, la natura medesima siano scoperti non tanto nella loro momentaneità superficiale ma per il loro valore ermetico ed interno. Significati emblematici, desiderio di evasione ma pure di accusa, dilatate prospettive, bagliori luministici, colore a tratti ammiccante, a volte intenso e severo, diventano parti dell’ordine pittorico di Biagiotti. Si allunga, specie negli esempi di più prossima data, il paesaggio in profondità, dettato da un’intensità primordiale, gli fa eco la congerie di sviluppi di piante antropomorfe, di «invenzioni» e di trovate su un fondo deserto, rarefatto, con ombre lunghe e atemporali come quelle proliferate dagli acrocori lunari sui disseccati crateri.
Derivazioni culturali, forse, si potrebbero rinvenire con esercizio assiduo di pazienza. Ma Biagiotti – e chi ha seguito la sua ascesa ne può far fede – ha costruito lembo dopo lembo questo suo universo. Che ha il diritto di appartenergli completamente.

1981 – Rimini, Forlì, Rassegna Internazionale di Arti Figurative “Malatesta Città di Rimini” - Salone d'Arte Contemporanea. Catalogo.

1981 – Spoleto, Perugia, “Tesio Gallery”, Rassegna “Arte del secondo Novecento tra figurazione e ricerca” - Festival dei Due Mondi, a cura di Carlo Franza. Catalogo.

1981 – Bertinoro, Forlì, Villa Prati "Accademia dei Benigni".

Scrive Renato Lamperini:

UNA LACERAZIONE DELLE OMBRE SULLE EQUIVOCHE APPARENZE QUOTIDIANE
La teoria sulla bellezza e l’armonia proporzionale dell’impronta geometrico-formale sembra sollecitare particolarmente Marcello Biagiotti, il quale sviluppa l’interessante architettura pittorica non come un fenomeno esteriore estetico ma in funzione del rapporto tra i particolari architettonici entro i quali far muovere le figure principali in collegati atteggiamenti, attribuendo una rilevante importanza alle norme ed alle precettistiche che contribuiscono validamente a preparare l’immagine e l’opera d’arte medesima.
Di conseguenza la rappresentazione costruttiva dell’immagine creativa non «presuppone» ma «coesiste» nel processo formativo che la genera, avvalorando, così, le varie componenti formali costitutive in modo che l’opera d’arte si presenta come una struttura concreta nell’insieme e si identifica con uno stile particolarissimo.
L’uso selettivo retroattivo del mezzo espressivo può, quindi, considerarsi già partecipe nella realizzazione dell’opera grazie ad un pronto e sollecito estro creativo il quale vitalizia istantaneamente i momenti intermedi tra i due termini: intuizione-espressione.
Analizzando il fenomeno artistico non è, in effetti, semplice, ma neppure impossibile, cogliere la conformazione non estranea dell’immagine la quale quasi annulla eccezionalmente «l’anteriorità» rispetto all’intuizione-espressione.
In effetti la fluidità formale degli elementi sovrapposti od affiancati, offre la possibilità alle molteplici soluzioni le quali assumono una posizione ben definita negli spazi e negli atteggiamenti con il risultato di poter affermare, in definitiva, il motivo originario e l’intuizione dell’intera opera, chiarendo la relazione intercorrente tra le varie aspirazioni rappresentate.
Il linguaggio espressivo si articola, così, nelle sottigliezze della perizia tecnica degli effetti, in un processo dei diversi elementi che, enucleati dalla poetica di una fervida immaginazione creativa, si dilatano con ritmi e piani alterni in una combinazione perfetta tra fantasia e tecnica.
Ne scaturisce una visione altamente significativa dove le sequenze divengono unità dimensionale, ed ogni elemento si unifica in un’atmosfera suggestiva ed equilibrata di forma.
Non è, dunque, l’elemento che perviene alla funzione ma è la forma nell’insieme ad assumere il fatto fondamentale della tematica-coscienza.
Nell’opera, ovvero, viene instaurandosi il senso positivo-negativo, ossia una dimensione esistenziale la cui progressione costante si articola in un discorso sulla collocazione dell’essere nel suo spazio reale e psicologico, costituito in termini di «tecnologia» ma con la derivazione optical sul piano linguistico che scandisce la problematica contemporanea.
Ed è in questo senso che gli elementi si «attestano» nella situazione del dramma globale, in una configurazione di rottura del silenzio il quale, spesso, sfocia in una irrealtà alternativa.
Il recupero della dimensione sociale, quella irretita e contorta dalla stratificazione del potere, diviene l’essenza dello schema percettistico-sensoriale nella quale si avverte, anche se debolmente, una certa aspirazione fiduciosa che, oltretutto, ridona all’arte un ritrovato senso del gusto ma soprattutto dell’alta funzionalità socio-educativa.
Vorrei concludere questo excursus asserendo che Marcello Biagiotti ha avocato a sé il compito di lacerare le ombre sulle equivoche apparenze quotidiane, sulle deformazioni dell’animo e sulle tensioni delle coscienze con una «aritmetica» della realtà odierna dalla quale far sorgere le «proporzioni» per il futuro.

1983 - La Spezia, 3° Biennale d'Arte "Città di La Spezia", “Cronache e indagine”. Percorsi attraverso la storia e il sistema dell’arte dal ’45 all’83. Catalogo.

1983 – Rimini, Forlì, Galleria Malatestiana, “I quattordici del Solstizio” a cura di Paolo Portoghesi, Presidente della Biennale di Venezia. Catalogo.

1983 – Manciano, Grosseto, “Manciano ‘83”. Catalogo.

Scrive Giancarlo Romiti:

FANTASTICO E REALTÀ NELLA PITTURA DI MARCELLO BIAGIOTTI
Le preoccupazioni che hanno assillato Marcello Biagiotti nel passato, sospingendolo anche verso soluzioni di tipo sperimentale, sono senz’altro cadute, ma non sono affatto cadute le ragioni più profonde che, dentro tali soluzioni, agivano: ragioni di una costante volontà di colloquio con gli uomini dentro il flusso contraddittorio della storia, dentro il dissidio tra le qualità dei sentimenti e della fantasia e quelle della realtà tecnologica. Ora Biagiotti non insegue più le possibilità dei miti neopositivistici, ma non si dimentica dei problemi che essi ci hanno posto e imposto. Solo che tali problemi, oggi, egli non intende più rappresentarli mediante una mimesi sviluppata sui metodi e sulle acquisizioni di una tale realtà bensì attraverso la nostra condizione storico-esistenziale che ne vive e ne patisce i termini anche nelle sue zone più recondite e inesplorate. Non dunque un ritorno al privato, come a prima vista potrebbe sembrare la sua pittura di oggi. Piuttosto una lettura della nostra presenza nelle vicende attuali della storia fatta sui "test" della nostra coscienza, della nostra intimità e delle nostre relazioni. Ecco ci dice Biagiotti, che cosa succede oggi dentro di noi; ecco come oggi ci capita di essere; ecco la nostra brace sotto la cenere, le nostre ferite, le separazioni e gli incontri, i nostri desideri e le illusioni, la spinta a ritrovarci e ad essere solidali. Si può ben capire quindi come la pittura di Biagiotti abbia trovato, o ritrovato, il segreto di levitare nello spazio e di farsi più ricca e sottile, più folta di echi e di risonanze, più carica di allusioni. In essa, il colore acquista una morbida energia evocativa capace di far convivere i dati della memoria e delle percezioni immediate. Si tratta di un colore psicologico e naturalistico insieme, che diventa parte essenziale del traslato espressivo, delle immagini in cui Biagiotti riversa il pathos del suo universo, dei suoi personaggi, dei suoi brani di natura, delle sue luci crepuscolari e delle sue ombre, che salgono dalla terra e invadono, dagli orli della tela, gli interni e i paesaggi. In queste opere non vi sono divagazioni formali, come potevano esserci in passato. C'è invece una concentrazione emozionale e fantastica che si fa linguaggio lirico, filtrato d'ogni residuo estraneo. Per convincersi di ciò basta guardare un quadro come “Angoscia e realtà”, o “E il dramma continua”.
Ma allo stesso modo, potrei citarne altri. Qui, ogni elemento figurativo s’accorda e dispone strettamente all’esito espressivo fuori d’ogni perplessità e perifrasi.
E tuttavia non si avverte nel processo dell’opera quella tendenza alla riduzione stilistica, che è sempre il segno di una violenza estrinseca esercitata sul premere dell’ispirazione. Nell'ordine lirico, in cui ogni componente plastica dell'opera confluisce, qui il rigore è legge della spontaneità, la spontaneità è la legge del rigore. Questa è dunque la sorpresa che i quadri di Biagiotti provocano in chi li guarda, la sorpresa che hanno provocato in me. Una sorpresa che ripaga di tanti sterili esercizi della "pura" intelligenza coltivata oggi per astratta disperazione. Senza clamori e vociferazioni critiche, questa mostra offre così un contributo vero alla rifondazione di un discorso che ha già cominciato a diventare un discorso "centrale".

1984 - Bastia Umbra, Perugia, "Expo" a Umbria Fiere.

1987 – Genova, "Fiera Primavera".

1987 – Perugia, Rocca Paolina, VI Mostra “Mestieri d’Arte – Selezione di Artigianato Umbro". Catalogo.

1987 – Gualdo Tadino, Perugia, Convento della S.S. Annunziata (degli Zoccolanti). Personale di pittura, scultura, grafica e ceramica realizzata in occasione della 1° Mostra Mondiale “Uomini, strumenti, macchine nella Storia delle Telecomunicazioni” – Rassegna di apparecchi storici delle trasmissioni per il cinquantenario della morte di Guglielmo Marconi. Biagiotti realizza anche il bozzetto della cartolina (con l’annullo filatelico) commemorativo dell’evento. Catalogo.

Scrive Claudio Carini, Presidente della Confartigianato di Gualdo Tadino:

NUOVE IDEE PER LA CERAMICA:
Il proporre una ceramica diversa nella città della ceramica potrebbe essere interpretato come una sfida: niente di tutto questo.
Ciò che l’Artista intende presentare è un nuovo modo di concepire le forme, la pittura e la realizzazione, pur non rinnegando la matrice classica dei soggetti. Ed è principalmente l’applicazione delle tecniche di Marcello Biagiotti pittore sull’originalità di Marcello Biagiotti ceramista, l’elemento fondamentale da seguire con la massima attenzione nel visitare questa collezione.
Quindi non sfida ma proposta, rivolta anche e soprattutto agli artigiani di Gualdo Tadino, con l’augurio che se ne possa trarre una collaborazione per dare nuova linfa alla nostra tradizione ceramica.
Scrive Italo Marucci nel pieghevole:

A parte le nuove strade aperte oggi dalla cultura e altri spunti dati dalla società tecnologica, per Biagiotti la natura non si limita al nostro pianeta, o ad un mondo puramente fisico, ma essa con l’infinito abbraccia anche l’invisibile, le cose immaginarie, vissute, sognate e, soprattutto, l’inconscio o l’interiorità stessa dell’artista, che è il centro in cui convergono le immagini intuite o captate, nell’essenza di tutte le cose. Importante è che l’artista senta, che possa scegliere le cose amate, e che si lasci andare con gli occhi e con lo spirito. È chiaro che Biagiotti ama interamente la natura e l'uomo, e pertanto lo considera e lo contempla in ogni aspetto, cercando di dare spesso indicazioni sulle strade da seguire o da cambiare. Marcello Biagiotti ha sentito più o meno consciamente la presenza di un pensiero anticipatore, di una percezione cosmica, come una dimensione espressiva superiore; di un modo di vedere e di sentire più consono alle esigenze di una nuova arte visiva.
Alcune figure che popolano una delle strade che si trovano in un’opera di Biagiotti non sono fantasmi della mente, neanche pretesti per lo svolgimento di un discorso surreale, ma una tragica realtà vissuta giorno per giorno: realtà che ha ispirato ed animato questi volti tristi, queste figure, queste drammatiche composizioni che rappresentano, sia come documento umano che come resa di contenuti spirituali, un risultato conturbante.
Ogni suo quadro assomma figure, forme e oggetti, strade, in una sorta di intarsio nel quale realtà e ideale si fondono, integrandosi a vicenda; e il colore, d'una pacata fredda intensità accresce questo senso di armoniosa compenetrazione, meglio un'inquietudine riflettente una situazione umana tipica del nostro tempo.
D’altronde sono già diversi anni che Marcello Biagiotti ha ottenuto, con l’autonomia del proprio lavoro, anche una assoluta indipendenza artistica: la sua personalità, che potrebbe sotto certi aspetti definirsi surreale, ha però tratto alimento anche da una tradizione metafisica e da una regola umana, dettate entrambe dalle migliori conquiste del nostro novecento, inteso nella sua adesione al senso della forma, della sostanza o del sentimento.
I suoi soggetti sono difficilissimi: il soggetto rende schiavo solo colui che lo teme, che ne resta succubo, che ne subisce i riferimenti letterari o cronistici, o anche le pesanti allusioni psicologiche; chi abolisce il soggetto in fondo ne è vittima. Ma colui che veramente ne fa vivere gli aneliti segreti, che ne estrae l'essenza poetica e la converte in colore, forma, luce, questi ha pienamente attuato la libertà espressiva che si conviene ad un vero artista. Marcello Biagiotti è un artista di questo tipo.
L’arte non possiede accenti epici, né è pregna di significati esteriori; non si compiace di una complessa problematica “a priori”: il che non significa affatto ch’essa manchi di problemi, anzi, essi sono quanto mai ricchi di fermenti. Ma questi ultimi appartengono proprio soltanto alla pittura, si manifestano attraverso la sensibile modulazione del tono, si incantano di fronte agli aspetti ed ai problemi della nostra società. La concitazione stessa in cui Biagiotti immerge le sue figure, isolate o a gruppi, sembra piuttosto alludere ad un riflesso filmico della realtà. Biagiotti discende dagli antichi maestri, ed è per questo un artista scaltrito dal mestiere, ma fervido di fantasia, rigoroso come un designer, astratto come un poeta: dalle cose più umili della realtà quotidiana sa trarre, con metafisico slancio, racconti e storie di una sbalorditiva realtà irreale.

1989 – Perugia, Rocca Paolina, VIII Mostra “Mestieri d’Arte – Selezione di Artigianato Umbro". Catalogo.

1991 – Todi, Perugia, XIV Mostra Nazionale dell’Artigianato. Catalogo.

1993 –Spoleto, Perugia, “Festival dei due Mondi”.

1994 – Piacenza. Per far conoscere le sue opere alla città di Piacenza, viene invitato ad esporre per un intero anno, alla Pinacoteca della città.

1995 – Milano, Galleria della "Fondazione Battaglia".

1995 – Padova, "Fiera d'Arte Padova ‘95". Personale presentata dalla Fondazione Battaglia di Milano. Catalogo.

1995 – Verona, "Euro Art '95". Catalogo.

1996 – Manhattan, New York, Fiera d’Arte al "Javits Convention Center", presentato dalla Galleria “Alba” di Ferrara.

1996 – Vicenza, "Vicenza Arte". Personale presentata dalla Galleria “Alba” di Ferrara. Catalogo.

1997 – Trevi, Perugia, 2° Premio Trevi Flash Art Museum, Giancarlo Politi Editore, a cura di Paolo Nardon. Catalogo.

1998 – Pordenone, "Arte a Pordenone ‘98". Personale presentata dalla Galleria “Arti Figurative” diretta da Carlo Pavanati. Catalogo.

1998 – Sirmione, Brescia, Galleria “Il piccolo San Michele”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta.

1998 – Padova, "Fiera d'Arte Padova". Personale presentata dalla Galleria “Li Art” di Palermo. Catalogo.

1998 – Sovizzo, Vicenza, Galleria “Gaianigo”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta.

1998 – Moncalieri, Torino, Galleria “Cavour” di Cesare Storari. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta.

1998 – Viareggio, Lucca, Galleria “Florj”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta.

1999 Padova, “Fiera d’Arte Padova”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta. Catalogo.

1999 – Cosenza, Galleria “Marano”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta.

2000 – Ancona, Fiera d’Arte “Anconarte”, dove conosce la gallerista Nanà Ciolli, moglie dell’Artista Paolo Frosecchi. Catalogo.

2000 – Gorizia, Galleria “Il Mulino”.

2000 – Perugia, Associazione Culturale “La Postierla”. Personale presentata da Lavinia Castellani Albanese.

2000 – Udine, “Fiera d’arte Udine”. Personale presentata dalla Galleria “Mirò 2” di Perugia. Catalogo.

2001 – Forlì, Fiera d’arte “Contemporanea”. Personale presentata dalla Galleria “Mirò 2” di Perugia. Catalogo.

2001 – Padova, “Fiera d’arte Padova”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta. Catalogo.

2001 - Ponte di Brenta, Padova, Galleria “Tècne” di Antonella Puglierin.

Scrive Giorgio Segato nella monografia:

LO SPAZIO ONIRICO DELLA PITTURA
La pittura di Marcello Biagiotti è racconto fantastico, onirico, simbolico, e sempre di forte risentimento sensuale. Come tutti gli slittamenti sul piano della surrealtà, nasce da una visione introspettiva: non tanto come ricomposizione o memoria del reale, ma come ‘invenzione’, scoperta di una diversa realtà che pure diventa emblematica di tutta l’esperienza esistenziale e delle attese, delle speranze, dei desideri, dei fermenti che appartengono alla psiche, al mondo intimo, dove memoria genetica e memoria personale, anima collettiva e anima individuale costantemente metabolizzano elaborano e trasformano visioni, esperienze, sensazioni, sentimenti, intuizioni, premonizioni, facendo aggallare dal profondo nodi, sequenze, concatenazioni che hanno bisogno di manifestazione in qualche modo liberatoria. La fantasia produce sintesi formali, semplificazioni ed esemplificazioni narrative ricche di suggestioni, di significati ora più espliciti ora più reconditi, di modulazioni metaforiche di ‘viaggi’ e di atmosfere della mente e del cuore, dello sguardo e del sogno. La pittura, fin dalle origini, da sempre si può dire, ha esplorato ed ‘esorcizzato’ l’inquietudine per le altre realtà, per i mondi paralleli, cercando di dare visibilità, ‘maschera’, cioè personalità e carattere alle tensioni erotiche, mistiche, all’energia, al proiettarsi nel viaggio come percorso e come itinerario conoscitivo interiore. Essa è stata spesso, e lo è indubbiamente nell’arte di Biagiotti, specchio dell’anima sofferente e dunque non di rado traduzione di apocalittiche visioni, di conflitti esistenziali, ma anche dei voli delle fantasticherie dell’eros, dell’ascesi esistenziale e spirituale, di una ‘levitazione’ che nelle opere di Biagiotti si fa pensiero come isola - astronave che si stacca dalla terra madre o si offre alla percezione interna su livelli differenti, complessi, resi anche nella costruzione dei piani pittorici, o come esplosione di luce, di energia vitale simboleggiata spesso dalla donna e dal cavallo, o semplicemente dai movimenti di una indefinibile materia/luce atmosferica che prende forma, diventa volto, maschera, pensiero dominante. Non è un caso se in tempi così lontani (1976 e 2001) Biagiotti riprende il tema dei movimenti e mutamenti dell’inconscio che crea maschere, ‘volti’ ed esplora il ‘mosaico’ della memoria, delle conoscenze, degli spazi esistenziali (Era contemporanea: mosaico) che sembrano illuminarsi a intermittenza su ritratti, atmosfere, ricordi d’ambiente urbano o desertico, notturno o d’infuocato tramonto. Elemento distintivo dei suoi soggetti è indubbiamente il corpo, la sensualità del corpo, cioè non proprio come oggetto da contemplare quanto come materia che esprime tensione, energia, possibilità di modulazione, e di modellato anche (significative sono, al proposito, la sua passione per una scultura da plasticatore e le forme fortemente allungate che predilige nella manipolazione della creta e delle cere), come metafora della possibilità/necessità di dare all’uomo identità adeguata al tempo, allo spazio, alla cultura, al tipo di relazioni e al tipo di sensibilità più diffuse o dominanti nel mondo in cui vive, caratterizzato sempre di più da una molteplicità di variazioni, cambiamenti, rimesse in discussione. E in effetti il sentimento che spinge un artista verso il surreale è sempre un sentimento di inadeguatezza della realtà sensibile in rapporto alla ricchezza della realtà intima e delle sue aspettative, così che nascono e crescono il desiderio del viaggio, l’esigenza della scoperta dell’ignoto (inconscio), di nuova misura, di nuova armonia. Viaggiare significa sempre incontrare uno spazio incognito, esplorarlo con gioia, se possibile, o con ansia, ma sempre con aperta curiosità e disponibilità di ricerca e d’incontro con l’altro, con il diverso. L’immediata correlazione tra i viaggi all’esterno e i viaggi nel mondo interiore è il substrato dei quadri di Biagiotti. Ecco allora il tema frequente della ‘genesi’, sia nell’eloquente figura della nascita ‘ab ovo’, sia nell’indugio tematico erotico, nelle soste sulle forme della seduzione, nella levigazione pittorica del nudo femminile che, nella cura meticolosa della definizione della silhouette prolunga memorie di gesti, di contatti, di emozioni. La ‘levitazione’ come perdita di peso e di urgenza del reale è lo spiazzamento del sogno sul piano dell’imponderabile, della risonanza immaginativa, del fervore dei sensi che dilatano la percezione in uno spazio e in un tempo altri, come per evidenziare spaccati di comprensione e di partecipazione e, insieme, l’emergere dell’esperienza vissuta o desiderata come evento individuale e straordinario che si stacca dalla ‘omologazione’, dall’appiattimento e omogeneizzazione operata dai mezzi di comunicazione di massa.
I colori intensi e saturi, per ampie campiture che assorbono l’attenzione e al tempo stesso sollecitano un forte senso di spaesamento e un’inquietudine percettiva di attesa di accadimenti, tra emergenza e profondità, tra appartenenza e distacco, mirano appunto a isolare ancor più la traduzione pittorica dalla normale realtà sensoriale, per indurre a una riflessione tutta verso l’interno, a un ascolto delle molte ‘voci di dentro’ come ulteriore arricchimento della gamma di emozioni visive finalmente liberate dai normali riferimenti logici e oggettivi.
La materia (colore) e lo spazio (collocazione e determinazione delle figure) e stilizzazione simbolica della forma del racconto (campiture, isole, orizzonti) sono dunque caratteri specifici del complesso narrare di Marcello Biagiotti, un narrare intorno all’uomo e alla donna di oggi, che sente il bisogno del contatto diretto con la materia ora nella costruzione di ‘livelli temporali’ di racconto pittorico, oppure nella manipolazione plastica che insiste - quando si libera da certi echi di ironia deco (Primavera) - sulle tensioni e vibrazioni della forma nella luce e sul dialogo interno/esterno, corpo (guscio, veste, modularsi incerto della forma) e anima (spiritualità, trasparenza, slancio energetico e armonioso).
[Marcello Biagiotti. Pittore e Scultore. Opere dal 1971 al 2001]

2001 – Copogna, Macerata, ricostruzione della statua del patrono San Mauro. Dopo i drammatici eventi sismici che nel 1996 – 97 colpiscono Serravalle in Chienti, Copogna e molti altri paesi marchigiani ed umbri, nella ricostruzione di quanto si è perduto per sempre e nel restauro di quello che è stato possibile recuperare, viene dato l’incarico a Biagiotti di ridare forma alla statua di San Mauro, patrono di Copogna, andata completamente distrutta. La piccola comunità del paese si stringe attorno alla nuova realtà della statua, inaugurata alla presenza delle autorità civili e religiose della Regione.

2002 – Lugano, Svizzera, Galleria “Le Lac” di Nanà Ciolli.

2002 – Udine, “Fiera d’arte Udine”. Personale presentata dalla Galleria “Mirò 2” di Perugia. Catalogo.

2002 – Padova, “Fiera d’arte Padova”. Personale presentata dalla gallerista Nuccia Maietta. Catalogo.

2003 – Pordenone, “Arte Pordenone”. Personale presentata dalla Galleria “Mirò 2” di Perugia. Catalogo.

2003 - Montecatini Terme, Pistoia, Galleria “Giorgio Ghelfi”.

Scrive Renato Civello nella monografia:

BIAGIOTTI: SURREALTÀ DEL CONCRETO
L’essere stato proposto all’attenzione del pubblico in una galleria il cui titolare ha percorso con autorità elitaria la storia dell’attività espositiva italiana di almeno un quarantennio è per il perugino Marcello Biagiotti, simbioticamente disposto all’immagine pittorica e a quella volumetrica, occasione di blasonata conferma; di qualità geniche, che sono un a priori svincolato da qualsiasi processo formativo, e di una maturazione passata per il filtro più scrupoloso della filologia espressiva. Così questo mondo fascinoso e spiazzante che evolve dal vissuto verso le misteriose latitudini del sovrasenso è tributario ad un tempo dell’evasione fantastica, che veste di surreale l’originario approccio con il concreto, e della meditata calibratura linguistica.
È un dato positivo, atto a sollevare l’artista da qualsiasi ipotesi di sudditanza, il fatto che non sia facile trovare ascendenze o contestuali riferimenti analogici. E ciò vale per l’uno e l’altro campo operativo.
Come scultore, si tratti di Plastiche diversità, un bronzo del 1993, di Giochi di potere, del ’98, di Vanità, del 2000, o di altri bronzi recenti, come Ascesi, La femmina, Top model, presenti nella mostra attuale, sarebbe del tutto illegittimo il riferimento al filamentarismo giacomettiano: c’è in comune, semmai, con il maestro svizzero, la tendenza ad evitare l’approdo aniconico pur nella deformazione verticalizzata dell’anatomia corporea. E per la pittura, a partire dall’olio E venne la fine, passando attraverso Levitazione di un pensiero e La logica del dominio, per giungere ad Ascesi e Il nucleo della società, non si può chiamare in causa con disinvoltura il surrealismo storico: né le frottages di Ernst, le avventurose allucinazioni di Dalì, o il dualismo di Masson, o gli abissi marini di Tanguy, o i radiogrammi di Man Ray, o gli insospettati “fatti lirici” di Magritte, e così via, hanno molto da spartire con l’autonoma consistenza formale del simbolismo di Marcello Biagiotti.
È indubbio l’impegno speculativo, che insegue l’oltrefrontiera di là dell’impatto consueto con le epifanie sensibili; ma si evince in parallelo, da qualsiasi realizzazione, un culto felicemente ossessivo della “struttura” – stavolta, mi si consenta, in un significato anticrociano, come termine per nulla in contrasto con la poesia, finalizzata ad una connotazione ambigua e fortemente innervata sottratta all’empiria e indotta sugli inesplorati itinerari dell’arcano e dell’inconoscibile. Biagiotti, comunque, è creatore di razza, capace di governare con sicurezza le stesure del pigmento, le luci, le articolazioni cromatico-spaziali, il congegno massivo: si potrebbe addirittura fare a meno, davanti ad opere di assoluta godibilità estetica (e, perché no? anche edonistica), di tentare valutazioni e appropriazioni dialettiche; l’arte vera vive, in fondo, del proprio oggettivo rivelarsi, non ha bisogno di interrogativi congetturanti, che spesso ne impediscono la fruizione incondizionata.
Ma quando tuttavia, come nel caso dei dipinti e delle sculture di Biagiotti, le postulazioni di una problematica esistenziale e gnoseologica sono accompagnate dalla pienezza del consenso d’anima, vale a dire da una calda partecipazione, si può avvertire l’accresciuta incisività e la culturale eloquenza dell’opera. Ecco, allora, un linguaggio scampato all’arbitrio incostruttivo di tanta figurazione contemporanea, una condizione comunicativa certo rutinaria, certo inedita e complessa pur nella congruità della “forma bella”, cara ad Herbart e in genere al positivismi estetico, e però vocata a suscitare durature emozioni.
Un linguaggio per l’uomo, a ben riflettere, e non per i fantasmi. Sono lieto di essermi imbattuto, fra tante devianze e capricci e asettiche “sperimentazioni” senza cuore e senza intelligenza, in un artista dotato di avvertimenti sentimentali e di un intendere estraneo all’aridità della teoresi pura; ma in primo luogo di quella pulitezza, di quel nitore oggi sempre più raro che rende l’opera gradita alla vista. Come non ricordare la “salvezza degli occhi” su cui insisteva il mio grande amico Alfonso Gatto? Un’ambivalenza psicofisica e intellettuale riassunta, infine, nell’opera Storia d’amore della natura e delle sue creature.
[Marcello Biagiotti, Edizioni d’Arte Ghelfi, Verona, 2003]

2003 – Verona, Galleria “Giorgio Ghelfi”.

Scrive Ilaria Giordano nella monografia:

È una maschera di plastico surrealismo la pittura di Marcello Biagiotti, che cambia a seconda delle aurore dai bagliori sregolati e dei vespri di luci riflesse sugli specchi dell’inconscio. L’abbandono di una moralità tediosa esplode nella teatralità che richiama un Pirandello modernissimo: nella confusione della frenesia nascono i mille volti dell’uomo che, affranto, perde il piacere della personale individualità che invece si esprime in nudi opulenti e sensuali di perfetta rotondità; donne onnipresenti nel passato dei ricordi, nelle meraviglie dell’oggi e perché no, al potere del futuro, sono altissime dominatrici di bronzo nella scultura e nelle tele, volutamente scoperte e immediatamente celate nelle allucinazioni oniriche ed indiscrete dell’artista.
La cultura di un teatro esplicito e provocatorio, quello pirandelliano, ricorda il pennello di Biagiotti che è affascinato dal mistero dell’Altrove, da ciò che, malizioso, si nasconde dietro ai risi deformati e amori dell’apparenza, caratteri dell’umorismo scenico e drammatico.
Le teorie freudiane dei sogni, la seduzione dell’incomprensibile che si traduce in analogie di oggetti familiari dalla carica estremamente simbolica, la tanto amata decadenza letteraria dei poeti francesi di fine ‘800, la tentazione lusinghiera della voluttà femminile che per un attimo appare la più amabile meditazione a questo mistero irrisolvibile del buio subconscio vanno in scena sul palco di questi quadri dalle sfumature folli di Dalì, sussurrati all’osservatore dagli scomposti e vivaci monologhi interiori di colori e tinte accese.
Biagiotti è un po’ come Pirandello: pungente amante dell’uomo, non si accontenta della superficie, scava verso l’interiorità più intima dell’Io, in un’indagine grave e abissale che lo inghiottisce e lo inverte subito dopo verso l’ascesi dell’estasi e della veggenza.
[Marcello Biagiotti, Edizioni d’Arte Ghelfi, Verona, 2003]

2003 – Taranto, Galleria “Margherita”. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi.

2003 – Miami Beach, “Art Miami” al Convention Center. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi.

2003 – Padova, Galleria “Ariete”. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi.

2003 - Torri del Benaco, Verona, Residence Bavaria. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi.

2003 – Padova, “Fiera d’arte Padova”. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi. Catalogo.

2004 – Firenze, “Osteria N°1”. Personale presentata dalla gallerista Nanà Ciolli.

2004 – Padova, “Fiera d’arte Padova”. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi. Catalogo.

2005 – Vicenza, “Fiera d’arte Vicenza”. Personale presentata dal gallerista Giorgio Ghelfi. Catalogo.

VITTORIO SGARBI

Il percorso della ricerca pittorica di Marcello Biagiotti è coerente e lineare. Limitando l’analisi alle tappe sperimentali dove è evidente la presenza costante di un tema ricorrente, è possibile rilevare una linea di narrativa visionaria e allusiva. L’alfabeto pittorico di Biagiotti vive evidentemente una stagione regolata da leggi proprie, dove le figure in espansione all’interno di uno spazio assurdo sono le elaborazioni metafisiche di una creatività accesa e intelligente. La concretezza degli elementi che partecipano a una scenografia avvolta nel mistero aumenta ulteriormente il senso di stupore che coglie l’osservatore di fronte a queste opere. Qui in effetti sono presenti interessanti rimandi al surrealismo storico, soprattutto di Dalì e di Tanguy. Biagiotti sa immettere nelle sue raffigurazioni elementi visivi di grande efficacia pittorica, uccelli rapaci ben dipinti e seduttivi, velieri o astronavi di sogno, che evocano fughe verso mondi ideali, mentre la composizione armonica dell’architettura sostiene e giustifica l’invenzione di queste allegorie. Di notevole efficacia la pittura calda che dà corpo agli insiemi e ai tratti paesaggistici. Nelle sequenze che via via si sviluppano lungo la narrazione, lo spazio tende apertamente all’infinito, ed è trascritta in pittura una realtà rivisitata nella trama di un sogno. Sostanzialmente si tratta di strutture armoniche dove prevalgono le linee morbide e arcuate, che parlano audacemente di eventi inattendibili e pure perfettamente familiari nella loro significazione simbolica. Sono relazioni arcane con un universo remoto ma non impossibile, perché non deformato, ma solo reinventato secondo regole creative che si richiamano alla mitologia o alla letteratura fantastica. Non stupisce che Biagiotti, oltre a essere pittore, sia anche scultore, perché la sua tecnica pittorica guarda soprattutto ai rapporti volumetrici e alle implicazioni plastiche dei contrappunti tonali. In un certo modo le sue sculture possono essere considerate come estrapolazioni di elementi pittorici isolati e riportati nella materia bronzea senza soluzione di continuità. In questa trasmutazione tridimensionale nulla va perduto della fascinazione onirica della pittura, a cui se mai si aggiunge il dinamismo del rapporto con lo spazio che esalta l’iconicità. Marcello Biagiotti fa pensare ancora a quel surrealismo teorizzato da André Breton, anche se vanno rimarcate le distanze che separano il suo lavoro da certa retorica legata all’elaborazione psicanalitica dei significati. La mancanza di una realizzazione anatomica precisata conferisce una dimensione metafisica alle figure, le quali talvolta diventano frenetici manichini che giocano la loro espressività sulle torsioni e le spinte verso l’alto. Allo stesso modo parziale è presente la donna, rappresentata da una massa di capelli, dai seni o dalle gambe, e comunque non meno identificabile nella sua nudità tutt’altro che edenica. La costruzione di questi personaggi femminili poggia su un paesaggio illuminato dal rosso fuoco di un tramonto apocalittico o dal giallo solare di un’alba aliena. In queste raffigurazioni si fa più evidente l’esasperazione della simbologia, che gioca di contrasto fra la realtà e il teatro di un altrove che non ci appartiene ancora, ma che comunque riesce a essere codificabile nella sua indubbia valenza utopica. Così se i titoli apposti dall’artista possono anche offrire all’osservatore un suggerimento di significato, tuttavia va detto che la coerenza interna degli assunti visivi basta da sola a fornire la chiave interpretativa di queste narrazioni.
[da I giudizi di Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2005]

2006 – Perugia, Galleria “Artemisia” di Giuseppe Fioroni.

2006 – Padova, “Fiera d’arte Padova”. Personale presentata dalla Galleria “Crispi” di Roma.

2007 – Spello, Perugia, Complesso di Villa Fidelia: Terra di Maestri del ‘900”, Artisti Umbri del Novecento. VI 1980-2000. Mostra organizzata dalla Provincia di Perugia, a cura di Antonio Carlo Ponti. Effe Fabrizio Fabbri Editore. Catalogo.

2008 – Ferrara, Castello Estense, Sale degli Imbarcaderi, “Altrove” – Omaggio a Juan Mirò, a cura di Francesca Mariotti. Catalogo.

PAOLO LEVI

IL PLAUSIBILE E L’IRRAGIONEVOLE
Marcello Biagiotti è artista di situazioni improbabili; pittore
surreale, in quanto costruisce la narrazione come un palcoscenico del
tutto irrazionale, in contrasto con la realtà del quotidiano. Narra
vicende tra l’ironico e il serioso, tra il plausibile e l’irragionevole. Ci si
trova di fronte a sogni portatori di costanti metamorfosi figurali. Sono
viaggi visivi in cui Biagiotti pare calarci entro un misterioso pianeta,
dove lo scenario è formato da esseri umani che si distinguono per
un’attività frenetica, dove il sensuale si sposa all’esistenziale.
Il colore è importante in questi dipinti, dove l’atmosfera tende al
silenzio metafisico. Sono lavori di vivida luce, dove la tonalità nasce da
minuziosi passaggi. Marcello Biagiotti è narratore di vicissitudini
complesse, approfondite con suadente oggettività. Non ripete mai se
stesso: ogni composizione tende a raffigurare il sogno come viaggio
appagante del suo inconscio inquieto.
[Supporto multimediale, ELEDE Editrice, Torino, 2008]

2008 – Perugia, Complesso Monumentale di Santa Giuliana, sede della Scuola Lingue Estere dell’Esercito: “60 anni in Mostra. Franco Venanti”. 46 maestri d’arte contemporanea umbro-toscani. Guerra Edizioni. Catalogo.

2009 – Perugia, CERP (Centro Espositivo Rocca Paolina): “Marcello Biagiotti – Opere 1970-2009”. Mostra antologica di pittura, scultura, grafica e ceramica organizzata dalla Provincia di Perugia, a cura di Antonio Carlo Ponti e Paolo Nardon.
Scrive Pier Luigi Neri, Assessore alle Attività Culturali della Provincia di Perugia nella presentazione:
Marcello Biagiotti, pittore, scultore, ceramista, un artista perugino che è rimasto tra le quinte nel panorama umbro e che, come spesso accade, è più conosciuto e famoso nelle altre regioni d’Italia e all’estero, che non qui.
Questa mostra, da un lato restituisce alla sua opera il luogo e il merito che gli spettano, dall’altro rappresenta per la Provincia di Perugia l’occasione per patrocinare un’esposizione di alto livello sia per il suo indiscusso talento sia per l’esperienza maturata.
In questo periodo nel quale sembra riemergere l’importanza dello stile figurativo, la creatività onirica e surreale di Marcello Biagiotti ci porta per mano attraverso il lungo, e anche sofferto, viaggio delle emozioni dell’inconscio per ricomporre il mosaico delle cose non dette.
L’aspettiamo per esporre le sue opere future.


2010 – Castiglione del Lago (PG). Personale di pittura e scultura a Palazzo della Corgna – Comune di Castiglione del Lago. Scrive Donatella Porzi, Assessore alle Attività culturali della Provincia di Perugia:
Il favore con il quale sono state accolte le opere di Marcello Biagiotti durante la personale che l'artista ha tenuto l'anno scorso al Cerp è proseguito in una serie di conferme del consenso e dell'apprezzamento per la sua produzione nel corso delle lezioni che il maestro ha svolto nelle scuole primarie e secondarie. La Provincia di Perugia, che ha seguito e stimolato un percorso così originale e dialettico fra l'arte e il suo insegnamento, saluta con particolare partecipazione il nuovo appuntamento espositivo di Biagiotti proprio perché avverte che, nel corso di questo ciclo didattico, la personalità dell'artista e le sue stesse opere si sono indubbiamente arricchite di qualcosa, di un valore che riporta agli occhi sgranati ed emozionati di giovani energie. Dal punto di vista dell'estetica e della critica d'arte propriamente dette, tale valore potrà anche avere un peso molto relativo, stare nell'ombra di un quadro esistenziale, rimanere memoria viva di partecipazione e poco più. Ma “poco più” non è, se il contatto diretto con le reazioni alle sue opere ha posto Biagiotti nella condizione di ripercorrere tratti del suo percorso fantastico, segmenti della sua costruzione poetica, momenti dello sviluppo di un'anima vigorosa e generosa. Certo, sono tratti della personalità del pittore che appartengono a una cronologia abbastanza lontana, che giustifica obiettivamente il fatto che sono stati dimenticati. Però, il loro tornare alla superficie – e questa è l'ulteriore ricchezza fornita dal rapporto didattico – avviene non nel segno del recupero di una nostalgia, ma nella dimensione dell'archetipo, del tassello originario, della fulminazione creativa diventata solo in seguito razionale mestiere d'artista. Gli studenti con i quali Biagiotti si è intrattenuto dopo la mostra al Cerp sono stati i testimoni più credibili dell'immersione nella propria storia che il pittore non può non avere fatto. Così egli arriva al nuovo appuntamento espositivo con qualcosa che prima non aveva, e non aveva mai avuto: la testimonianza del proprio “sé” originario, la riapertura di qualche velo sull'irrazionale fremito di giovinezza che ha preceduto la scena della creazione artistica. I testimoni più adulti possono essere, talvolta, meno pronti a gettare lo sguardo sulla motivazione originaria, però poi, a differenza degli studenti delle primarie e delle secondarie, riescono a dire cose che i bambini non sanno esprimere. Il compito di un “maestro”, come Biagiotti ha voluto testimoniare a sua volta, è proprio questo: equilibrare in sé – e un po' anche per se stesso – la pulsione immediata, quasi istintuale, dei ragazzi e la coscienza degli adulti, del loro linguaggio, di fronte a un'opera d'arte. Quest'opera di riunificazione non può non avere lasciato sui quadri un'impronta nuova, una mano leggera di colore, un semplice “ritocco” immateriale di adesione alla vita e alle sue radici. Così questa non sarà una “nuova mostra”, ma una “mostra nuova” e, come tale, sarà stata da sempre nelle intenzioni e negli strumenti di lavoro di Biagiotti. Chissà? Forse il lavoro di Marcello Biagiotti è stato, da sempre, uno spargere le proprie radici così lontano nell'universo che per provare a guardarle insieme occorre farsi prendere per mano da un bambino, che solo vede benissimo davanti a sé le scie degli archetipi.

2014 – Verona, Palaexpo, “1a Biennale della Creatività”, inaugurata da Vittorio Sgarbi.
2014 – Roma, Università La Sapienza. Esposizione Triennale di Arti Visive, a cura di Daniele Radini Tedeschi. Con testi di Achille Bonito Oliva e Sergio Rossi. Scrive Sergio Rossi in TILTESTETICA: Nel capitolo introduttivo di un mio recente volume ho avanzato questa lapidaria considerazione: L’arte siamo noi. Noi come creatori di nuove opere e noi come coloro che ricevono le opere del passato e le trasmettono, modificandole, alle generazioni future, lasciando anche una traccia tangibile di noi stessi: e quanto più questa “presenza” è individuabile e sofferta, cioè quanto più l’artista sa permeare i suoi lavori dei propri conflitti interiori, fino ad identificarsi completamente con gli oggetti creati, tanto più la sua produzione ci appare significativa. E ho aggiunto che ormai dipingere una figura umana, una natura morta o un paesaggio è attuale quanto esporre una istallazione piena di sassi o carta straccia. Così come un dipinto completamente astratto può esprimere una profonda ribellione contro la società contemporanea almeno quanto un’opera di forma e contenuto realistici. L’arte vive del resto del suo indissolubile rapporto tra mente e mano, tra lavoro e intelletto. Pertanto la vera distinzione non può più porsi tra artisti figurativi e artisti astratti o concettuali, ma tra coloro che sanno usare insieme la mente e la mano, qualsiasi tipo di arte facciano e coloro che non sanno farlo. Così come non vi è alcuna incompatibilità o dualismo tra razionalità e fantasia ed entrambi questi elementi sono necessari per la perfetta riuscita di un’opera d’arte. Questa premessa mi sembra necessaria per parlare di Marcello Biagiotti, il noto e affermato artista perugino formatosi alla scuola di Gerardo Dottori: pittore, scultore, esperto nelle tecniche del vetro e della ceramica, insomma artifex nel senso più pieno e autentico del termine, che ha iniziato il suo percorso come paesaggista per poi orientarsi verso un’arte più visionaria e direi “umanista”, nel senso che sono gli uomini e le donne, i loro sogni, i loro incubi, le loro aspirazioni i veri protagonisti della sua ricca e poliedrica produzione, che ora cercherò di sintetizzare, non prima però di aver accennato alla indubbia matrice surrealista del nostro autore. Come è noto il Surrealismo ebbe come principale teorico André Breton che partì per le sue analisi dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Freud (1899) e decise di fondare un nuovo movimento estetico in cui il sogno e l’inconscio avessero un ruolo fondamentale, come accade appunto per il nostro artista. Incominciamo ad esempio da uno dei suoi dipinti a mio parere più emblematici, Sangue d’artista, che ci riporta certo alle atmosfere di Dalì e Tanguy, ma rivisitate in chiave prettamente italiana, e non solo perché il surrealismo di Biagiotti si nutre, oltre che dei nomi prima citati anche di de’ Chirico e Savinio, ma soprattutto perché i suoi colori lividi e starei per dire acidi, con i verdi, gli arancione, gli azzurri che quasi si inseguono sulla tela rimandano addirittura a quello che io considero il primo capolavoro surrealista della storia della pittura e cioè la sublime Deposizione di Volterra di Rosso Fiorentino. In Biagiotti però quelle montagne che si spaccano stagliandosi contro un cielo giallo e sembrano quasi sanguinare sono altresì visioni fantastiche che per i loro colori ci ricordano, importante reminiscenza cinematografica, alcuni capolavori di Michelangelo Antonioni, e in particolare “Deserto rosso” e “Zabriskie Point”; mentre per venire ad una filmografia più recente, lo Steven Sorderberg di “Traffic” e “Magic Mike”, con quel modo tutto particolare di filtrare le immagini come attraverso una lente onirica, per l’appunto. E queste citazioni cinematografiche non sono casuali perché il movimento surrealista cui Biagiotti si ispira è il primo movimento universale dove pittura, poesia, teatro, fotografia e cinema hanno tutti la stessa dignità estetica. Del resto, come osservava Virgilio Coletti «è fatale... che di fronte a questi quadri s’ ipotizzi il surrealismo...ma v’è piuttosto da notare come la visione, l’immaginazione, o la scoperta di un super-reale magico siano, anche storicamente, ormai superati. In Biagiotti, certo, la metafora oggettiva illustra spesso una condizione personale un sentir “dentro”; ma, si ha da aggiungere, sempre nello stato di una consapevolezza, sollecitata- ecco, l’elemento nuovo - dalla provocazione di fatti, di posizioni, accadimenti umani, sociali, civili. Si è, quindi, in esiti di percezione e di rappresentazione della realtà, spesso tragica, della vita dell’uomo». Ma le stralunate figure del nostro potrebbero mutarsi all’improvviso in un quadro di Bosch e somigliare piuttosto agli alambicchi e all’athanor del mago alchimista. Alambicchi dunque, o forse figure infernali che popolano i gironi danteschi, perché certe sue opere sembrano popolate dal mondo dolente dei reprobi e dei dannati che poi altro non è che questo mondo così come noi lo conosciamo, nelle sue ferite e nelle sue bellezze. Continuando con l’analisi dei dipinti di Biagiotti, in Equilibrio precario il fondo della tela da giallo diventa rosso e viola livido contro cui si stagliano splendidi nudi di donna che danzano in equilibrio precario, per l’appunto. Mentre in Coscienze, un frate vestito di rosso e visto di spalle si inginocchia davanti a manichini quasi trasparenti e ad alberi che sembrano quelli di una giostra infantile; ed ecco il blu di Destino fatale, dove fluttuano figure come racchiuse in un acquario; o ancora una Modella inquietante e sensuale come Sharon Stone in “Basic istint”; o il drammatico amplesso di Per non dimenticare l’amore. Il ritmo compositivo si fa invece più sereno in Nostalgia dove una ragazza pensosa col cappello rosso si affaccia sul vuoto con alle spalle un cielo blu che forse è un mare dove compaiono isole perdute e alberi che sembrano piuttosto enormi dolciumi di marzapane. Ma Biagiotti, come si diceva, è anche un valente scultore, specie nella difficilissima tecnica del bronzo, e qui le sue figure sinuose e filiformi ci riportano ancora a Dalì ma ancor più a Giacometti, un Giacometti però meno ascetico e più sensuale e barocco, perché ancora una volta la matrice italiana del nostro prevale sulle pur decisive influenze del Novecento europeo. Ulteriori precedenti dell’arte di Biagiotti si potrebbero rinvenire nelle statuette allungate di uno dei portali di Chartres, il centrale Royal – facciata occidentale del palazzo gotico, in cui le figure ieratiche, simboleggianti l’antico testamento, trasmettono una spiritualità intensa. Nella produzione di Biagiotti anziché statuette votive a prendere la scena è sempre la figura della donna, rappresentante di bellezza e maternità. Nell’opera “In cima alla rupe” e “Giochi di potere” il soggetto femminile si erge in tutta la sua maestosità circondata da piccole figure dalle fattezze indefinite che le fanno da corteo. È come se Biagiotti arrivasse a una divinizzazione dell’immagine femminile, unica ad avere la proprietà di dare la vita. Concludiamo con una piccola nota su alcune opere dell’artista rivolte al tema dell’alienazione umana e atte a sottolineare la perdita di autenticità nella società contemporanea, si vedano “La maschera e il volto”, “Di fronte all’inconscio”, “L’io” e in scultura l’opera “Le vesti dell’anima”. In tale ultima produzione Biagiotti dismette le vesti dell’artista per assumere la figura di “filosofo d’arte”.

2015 – Cannara (PG). Personale di pittura e scultura al Museo Civico.

2018 – Perugia, Palazzo Cesaroni, Regione Umbria – Assemblea legislativa. Personale di pittura e scultura organizzata dalla Regione dell’Umbria, Assemblea legislativa. Scrive Donatella Porzi, Presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Umbria nella presentazione della monografia: Marcello Biagiotti e la sua opera sono l’emblema, la prova di quanto la nostra Umbria, regione piccola dal punto di vista geografico, possa essere invece un territorio grande per talenti e arte. La nascita e la crescita artistica di Biagiotti si deve proprio alla fertilità dell’Umbria, e di Perugia in particolare, da sempre all’avanguardia nell’intercettare sensazioni e tendenze. Ed è così che Marcello Biagiotti, allievo di Gerardo Dottori, formatosi all’Istituto d’Arte Bernardino di Betto di Perugia, è diventato un esponente di punta dell’arte umbra. Un’arte in continua evoluzione, la sua, ma che i critici hanno definito “surrealista”. Un’opera che non perde di vista la realtà e le sue origini ma che gradualmente si astrae dal reale, attraverso un graduale sfaldamento del dimensionale. Il tutto coronato da un gioco di luce che attinge a piene mani dalla grande poliedricità di Biagiotti che è anche scultore ed esperto delle tecniche di vetro e ceramica. Un vero padrone della tecnica e dell’arte che è in grado di catapultarci in una dimensione onirica. Biagiotti è dunque il ‘Virgilio” che ci conduce nel suo mondo, dove fanno la parte del leone il corpo e la sua sensualità, all’interno di spazi che assumono il significato di esposizioni creative arcane e immaginarie. L’aver voluto la mostra di Marcello Biagiotti a Palazzo Cesaroni, la sede dell’Assemblea legislativa regionale e la casa di tutti gli umbri, è il giusto riconoscimento ad un artista di fama, le cui opere hanno raccolto successo in tutto il mondo, ma che in Umbria è probabilmente rimasto troppo dietro le quinte. Sono certa che le sue opere sapranno arricchire la nostra sede con tutta la personalità, la classe e il carisma che caratterizzano Biagiotti.

Scrive Antonio Carlo Ponti nella monografia:

Ho steso corde da campanile a
campanile; ghirlande da finestra
a finestra; catene d’oro da stella
a stella, e danzo.
ARTHUR RIMBAUD, Illuminazioni

CIÒ CHE È REALE È SURREALE
Se l’arte del dipingere è l’arte del rappresentare immagini ispirate da forme della realtà visibile – ed è difficile negarlo anche in un’epoca aniconica qual è l’attuale, perché un Sacco di Alberto Burri è pur sempre un tessuto sdrucito investito da pigmenti, che sono in natura, o un Taglio di Lucio Fontana è pur sempre una ferita, che è in natura, e Merda d’Artista di Piero Manzoni è pur sempre un barattolo, che è reale -, non solo, ma anche dal mondo del fantastico, dell’onirico e dell’irreale, e del visionario, la pittura di Marcello Biagiotti, per taluni rétro, ha tutti i diritti di cittadinanza, ben oltre le colonne d’Ercole dell’astratto-informale.
La pittura di Marcello Biagiotti, che è un vero pittore, non è che un laboratorio di luce, dove traduce sulla tela il suo (leonardesco) discorso mentale, approdando alla realtà che non è di questo mondo, che è una sorta di supermondo, un mondo creato da cui distillare sogni, passioni, sfrenatezze, voli, illusioni.
La pittura surrealista – di questo si tratta – è costantemente in equilibrio tra imitazione e ispirazione, fra realismo e suo superamento. Ma nel caso di Biagiotti se c’è l’inconscio che preme, che forza il disegno e le cromìe, che detta storie e cavilli rappresentativi, manca l’automatismo e l’improvvisazione, o almeno sono come dietro le quinte, anche se, a leggere correttamente i suoi quadri, l’”onnipotenza del sogno” e “il gioco disinteressato del pensiero” (capisaldi del Manifeste du Surréalisme di André Breton, 1930) sono reperibili, anzi sono manifestamente al centro, e negli immediati dintorni, della pittura di cui sto discorrendo: ben dipinta, ed è un ossimoro con cui bisogna fare i conti, garbata, gradevole, ricca di iperboli e di simbologie, di bellezza e di verità, nella quale convivono in pace i miti (Itaca, fantascienza, Icaro, fantasy, Narciso, Circe, Penelope) e riti (fecondazione, imperio, conquista, ricerca, iniziazione, 2001 di Kubrick e 2001 delle Torri Gemelle), e il racconto che si fa storia, sia pur minima, di una condizione umana, assolutamente moderna nella sua tradizione.
E condizione privilegiata della pittura (e della musica) che, come diceva il cardinale Paleotti, “abbraccia universalmente tutte le sorti delle persone”, al contrario della poesia che è scritta per menti “intelligenti”. E, al tempo stesso, “non è altro che un inganno de l’occhio certamente” (come afferma Marco Boschini ne La carta del navegar pitoresco), non in senso stretto però, insomma del trompe-l’oeil, ma in quello dell’illusione, perché nulla di quel che è dipinto in realtà esiste e nulla di quel che si dipinge è nella realtà effettuale. Nell’ordine delle cose, de rerum natura.
Nella pittura piacevole e nel contempo profonda di Marcello Biagiotti, ove insistono fattori di rischio, uno è l’illustrazione, ossia la cronaca delle linee e dei colori che si fanno moda o struttura effimera, ma esso è come sconfitto dall’onestà del pittore di lungo corso, coerente e virtuoso, che conosce limiti ma pure potenzialità virtuosistiche, progetti compiuti e svaghi o licenze ludiche.
Perché la pittura dell’artista perugino, che è pittura-pittura, non è poesia muta, come filosofeggiava Orazio, o cieca come voleva Leonardo, ovvero lo è, inutile negarlo, ma è anche parlante, così ricca di trame narrative, di messaggi e di intrecci, di ironie feconde, di scatti nell’empireo delle idee, dei vaneggiamenti fertili, degli approdi mirabili.
Basti sfogliare il repertorio di quadri allineati nel libro, una delle possibili serie ma qui rigorosamente dalla sua collezione, per capire Biagiotti e il suo mondo e per carpire i segreti della sua pittura.
Nelle fiere d’un tempo non mancavano i mercanti che decantavano la merce con un reboante: “Senza trucco e senza inganno” e aggiungevano un invito: “Venite donne!” cui era difficile resistere.
Oggi gli imbonitori declamano dagli schermi – mi veniva di scrivere scherni – televisivi, e non vendono - mi veniva di scrivere svendono – solo arte ma politica e morale e gusto. E questa “amara” riflessione mi è venuta nel leggere di mostre, interessanti etologicamente, di dipinti del cavallo Cholla, che dipinge con il pennello stretto fra i denti (come numerosi pittori e pittrici disabili), in questo seguitando gli esperimenti di Desmond Morris con le tele degli scimpanzé.
Guardando Marcello Biagiotti, le sue complesse e liriche composizioni (fatte di supporto, stesure, segni, disegno, colore, cornice), si sa dove il pittore va a parare. Non c’è trucco e non c’è inganno.
Egli si accontenta di raccontare ora un sogno, ora una speranza, ora un incubo, ora una poesia, ora un amore, ora un narcisismo, ora un rimbaudiano déroulement de sens. Si va dunque dall’Antenata del 1970, sorta di incunabolo della sua stamperia mentale, miniatura di una creatura, ritrattino affettuoso e commosso, alla visione “apocalittica” di Sangue d’Artista, 2009, - e si noti l’a maiuscola insolita in un pittore schivo com’è lui – dove si concentrano l’io e la mano artigiani, l’odore e il sudore della pittura fatta nello studio, la concezione della cronaca e la stesura della storia, il commento morale e la rabbia civile, il mondo perduto dell’innocenza primigenia, la stoltezza del mercato dell’arte e di certe biennali sparse per ogni dove, la gioia di dipingere libero da condizionamenti e da tirannie di sedicenti critici-soloni, di cui dà un ritratto ridicolo, involontariamente parodico, sul piano della drammaturgia cinematografica, ma verosimile, il recente film Colpo d’occhio di Sergio Rubini.
Sangue d’Artista riassume, in una perfetta sintesi hegeliana, la caduta degli dèi e la morte dell’arte, il buco nero in cui s’inabissano i sogni di gloria e l’aurea mediocritas, i capolavori che nessuno vedrà mai, le mani tese verso il passato e la proiezione nel futuro delle illusioni infrante. Un pittore che dipinge una tragedia, mantenendo la misura della dignità è degno di encomio. E Marcello Biagiotti è tale, nella sua equilibrata vicenda artistica, sa di essere un pittore di tradizione votato alla figura, perfino all’illustrazione, coerente e onesto, narratore di iperstorie fantastiche e di icarici voli nei cieli dell’immaginazione, anche, perché no, con della cera nelle ali.
So per certo che il libro, questo, piacerà. E piacerà la mostra dei quadri di Marcello Biagiotti. Ma a chi? Non certo a chi dell’arte e della pittura ha un’idea monolitica, terroristicamente antifigurale. Ma neppure, ne sono certo, a chi ancora dice, di fronte a un blu di Yves Klein: “Ma questo lo fa meglio la mia bambina che va alla scuola materna”.
Piacerà a chi, nel quadro, non vuole vedere una realtà soltanto del faber, ma anche di sé lettore, il migliore dei mondi possibili, insomma, sopra l’orizzonte del quotidiano ma non del tutto oltre il percepibile, l’invisibile. Diciamo, banalizzando, una via mediana.
Ecco che, allora, davanti a Era contemporanea: mosaico, 1979, dieci anni prima della caduta del Muro di Berlino e trent’anni fa, un lunghissimo e brevissimo tratto del “secolo breve”, le prospettive e i piani intrecciati, la congerie di elementi e di tappe esistenziali si sostengono l’un l’altro, compreso un autoironico autoritratto, giovanile, tanto per datare il quadro nell’ordine del calendario, si comprende la poetica e insieme il senso della sua pittura.
Ecco che, allora, davanti ad Anno 1989, del 1989, i piani si danno su supporti stratificati, aggettanti, a separare gli elementi simbolici dell’opera, unificazione geopolitica della Terra, delle follie del potere degenerato, dell’impero planetario da “guerre stellari”. Piazza Tien an Men si attesta accanto alla caduta, s’è visto, del Muro di Berlino; l’umanità, le bandiere stracciate, si accalcano in una specie di medievale Nave dei Folli; così la pittura fa il suo mestiere fino in fondo, il suo esempio essendo non solo quello di confortare ma pure di denunciare, d’immettere il caos nell’ordine.
Ecco, allora, un che di femminismo maschile maturo, pur nella rappresentazione seduttiva di donne belle come top model, dalle gambe tornite e disperatamente sexy, nelle sue tele. Biagiotti ama dipingere la bellezza per nulla androgina della donna; ama l’Elena omerica, che la poetessa Edith Sitwell definì “il desiderio del mondo” (come leggo nel, come al solito splendido, romanzo Il professore di desiderio dell’inarrivabile Philip Roth).
Ed Elena, l’Elena di Marcello Biagiotti, compare folgorante e piena di stupendo appeal, ora dissipata e ora malinconica, ora nuda e ora discinta, sempre meravigliosamente, carnalmente presente nei paesaggi onirici e fantasy dei quadri; assente solo quando egli si distende nel ricordare e “imitare” e citare i conterranei futuristi Gerardo Dottori e Alessandro Bruschetti, quadri che sono consapevoli e raffinati omaggi al paesaggio umbro, fatto di acque e di colline, di serenità naturale, di sconfinate raggiere di luce.
Ho intitolato questa premessa (parafrasando il celeberrimo “assioma” di Georg Wilhelm Friedrich Hegel:”Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale”), Ciò che è reale è surreale, perché la realtà che ci illudiamo di vedere, o guardare, o osservare non esiste. È un simulacro della mente, un inganno dell’occhio, un trucco dell’anima. Un immenso ossimoro. Una iperbole sesquipedale, un gioco infinito.
Nella realtà noi siamo i nostri sogni. Il cuore vale più del nostro cervello? Il naufrago di un’isola deserta, prendi Robinson Crusoe prima d’incontrare Venerdì, se non avesse la testa, se non s’industriasse oltre ogni limite, non riuscirebbe a sopravvivere alla natura, ma è il cuore che gli dà la forza contro la resa, la speranza contro la disperazione.
Il mondo creato da Biagiotti è un iperuranio nel quale il pittore soffre, si diverte, racconta, si confessa, si arma, conquista e prende atto.
Un paesaggio con figure ora d’incanto ora di violenza, dove si dipana la volontà e il sogno della pittura. Oltre l’orizzonte della realtà.
[Marcello Biagiotti. Opere 1970-2009. Guerra Edizioni, Perugia, 2009]

Scrive Paolo Nardon nella monografia:

MARCELLO BIAGIOTTI O DEL SURREALE
Prima di tutto bisogna dire che Biagiotti non è un surrealista, di certo la sua pittura è surreale. È pur vero che il surrealismo trova la sua ascendenza diretta nel termine “surreale”, ma il surrealismo e gli artisti che parteciparono a questo movimento sono caratterizzati da una storia personale e da singolarità estetiche che eccedono ogni possibile semplificazione critica o storiografica. Pur non essendo questa la sede per operare complessi distinguo va detto che il surrealismo è un’arte del passato, con una sua forte carica rivoluzionaria frutto del suo tempo. Gli artisti che ne hanno fatto parte, a loro volta, sono individualità talmente potenti da mal sopportare la sottomissione alle regole imposte dai vari Manifesti surrealisti, ma soprattutto il fondamentalismo del suo pur autorevole profeta (André Breton). Insomma, definire Biagiotti un surrealista risulta vagamente anacronistico e peraltro sbagliato. Non si può negare che nel lavoro dell’artista siano rintracciabili vaghe reminiscenze delle opere di Salvador Dalì, di Mirò e di altri surrealisti, ma volendo potremmo, meno forzosamente aggiornare la lista delle analogie con altre fonti d’ispirazione più vicine in senso cronologico, geografico e stilistico. A ben vedere, infatti, sarebbe possibile individuare nelle opere di Biagiotti un elogio dell’aeropittura futurista di Dottori o anche vaghe affinità col futuro lavoro del pittore americano Mark Kostabi. Tuttavia, ogni volta che il lavoro dell’artista mostra dei punti di congiunzione con quello altrui, tali collegamenti rappresentano soltanto vaghi moventi critici, talora pretestuosi che impediscono di cogliere appieno il libero dispiegarsi della sua personale visione dell’arte.
La pittura di Biagiotti è surreale dunque, piuttosto che surrealista. Per meglio supportare questa affermazione ci affideremo al dizionario, cercando di esprimere al meglio il motivo per cui questo termine si attaglia così bene alla sua opera. Nel Dizionario Hoepli della lingua italiana di Aldo Gabrielli alla voce surreale leggiamo: “Che supera la dimensione del reale” e ancora: “Che è capace di evocare immagini e suggestioni fantastiche, rivelando il lato più profondo della psiche umana”.
Questa definizione evidentemente ben si accorda alle atmosfere oniriche e suggestive tipiche del lavoro di Biagiotti; volendo forzare la mano nel gioco delle affinità, varrebbe la pena tentare una sorta di esperimento linguistico, ragionando proprio sui sinonimi del termine surreale e sulle vaste implicazioni critiche che tali raffronti sono in grado di produrre. Tra i termini più strettamente affini a surreale troviamo rispettivamente: fiabesco, pittoresco, irreale, magico, seducente, fantastico, onirico. Naturalmente il gioco delle aggettivazioni è aperto e dà adito ad una serie ulteriore di aggiunte e rimandi incontrollabile; volendo limitarci a questa lista, peraltro abbastanza lunga, osserviamo come ognuno di questi termini sia utilizzabile singolarmente o più complessivamente per il lavoro di Biagiotti. La sua opera è di fatto fiabesca e pittoresca, tanto quanto fantastica e onirica.
Di primo acchito ciò che colpisce di più nei suoi quadri, ma anche nelle sue sculture è appunto l’atmosfera onirica e sognante. In molte delle sue opere troviamo evocata una terra astratta e lontana; un paesaggio postatomico in cui regnano colori vividi e profondi, animati dall’uso sapiente della sfumatura. Non ci sono Soli nelle sue galassie del sogno, per questo probabilmente non si riesce ad immaginare un’alba o un tramonto ma solo un tempo sospeso sotto cieli dal colore intenso; gli abitatori di questi luoghi surreali e onirici non hanno quasi mai volto né sesso, né qualsivoglia altra connotazione che li renda umani o riconoscibili; non di rado sono accompagnati da personaggi incappucciati e invisibili. In altri quadri invece le atmosfere dense di colori scuri e improbabili sono abitate da personaggi ben definiti e iperrealistici, quasi sempre sensuali figure di donna, delle quali talvolta emergono dallo sfondo solo alcuni particolari, resi con una rara maestria pittorica e per questo capaci di amplificare la loro forza di suggestione. L’elemento, se così si può dire, unificante di tutta l’opera di Biagiotti è la sospensione (surreale?) delle cose e delle persone, sottoposte ad uno strano effetto di levitazione, che è in grado, ad esempio, di tenere sollevate intere montagne, architetture escheriane, oggetti e persone; non potrebbe essere altrimenti, perché in quelle visioni oniriche il magnetismo della pittura sembra soggiogare la gravità, rendendo tutto astratto, eppure presente e ben delineato, plastico e angoloso. Per chi conosce la sua opera, è facile ritrovare materializzato lo stesso sogno che anima la pittura anche nelle sue sculture. I temi sono gli stessi, le figure, generalmente di donna, sono fuse nel bronzo, esse hanno un aspetto vagamente manierista tanto sono serpentinate e sensuali, il loro sguardo sognante sembra riproporre la stessa nostalgia di galassie lontane che cogliamo nelle pitture da cui sembrano tratta a forza... Insieme alle donne inquiete e sensuali spesso affollano lo spazio plastico anche i consueti personaggi senza volto. Talvolta sono le dimensioni differenti rispetto alle figure di donna a variare il senso complessivo della rappresentazione, minuscoli o svettanti quegli alieni sono come delle stalagmiti sinuose che si attardano nel tentativo di acquisire un’espressione se non un corpo; sono delle forme gregarie (e dai titoli si comprende facilmente) la cui anonimità è il giusto corollario al manifestarsi della sensualità della donna padrona, sia essa una top model o un’ape regina non fa differenza, di fatto è la sua presenza magnetica e potente, che conferisce espressività all’insieme attraverso un gioco di proporzioni ed equilibri che rendono manifesti rapporti di forza plastici e simbolici.
Un altro elemento degno di nota del lavoro di Biagiotti è la reiterazione del tema che si attua attraverso un alfabeto di segni prestabiliti che vengono dispiegati dall’artista in opzioni sempre differenti, per cui la reiterazione del segno è come un filo che l’artista tesse dinamicamente al fine di creare trame complesse e astratte. Lo si può notare in ognuna delle sue opere, nei bronzi e più variamente nei dipinti. dove i caratteristici alberi cerchio lisci e sinuosi formano rade foreste geometriche. Altre presenze costanti sono rispettivamente degli strani rapaci, gabbiani minacciosi, cavalli imbizzarriti e vascelli fantasma. Sono presenze spesso inquietanti, i sinistri abitatori dei suoi paesaggi alieni e misteriosi. Quelle immagini, perlopiù fuori contesto, invadono il quadro con effetti stranianti e maestosi, come succede ad esempio con la fantastica locomotiva in tralice del quadro Panta Rei del 2003. dove appunto il divenire eracliteo della macchina, col suo scorrere allusivo viene in qualche modo negato dalla mancanza di rotaie che la rendono, una specie di deus ex machina della sospensione, una divinità sospesa o un’astronave. Altrove, con lo stesso effetto straniante appare un Galeone, una specie di Olandese Volante, costretto ad una attesa vana, perduto nello spazio sidereo invece che nell’oceano (vedi: Fantastico pensiero del 1999). Per Biagiotti il gioco dei contrasti tra l’eterno fluire e la sospensione è fortemente esasperato, lo si può vedere chiaramente nei suoi ostentati omaggi alle aeropitture di Dottori, dove l’elogio della velocità e del dinamismo futurista vengono piegati ad un’immobilità forzata che annulla il movimento senza portare detrimento all’opera, al contrario conferendole una specie di enfasi differente, per cui sono il colore e la forma nella loro fissità a essere valorizzate. In questo senso occorre osservare anche come l’utilizzo del colore si distacchi da quello tipico di Dottori, di fatto, l’uso di colori acidi e improbabili è una peculiarità di Biagiotti capace di produrre un’opera del tutto personale attraverso la sottile metamorfosi di cui tutte le sue fonti d’ispirazione sono oggetto.
Anche i crop, quelli che in Italia vengono più comunemente definiti cerchi nel grano o agroglifi non fanno altro che ribadire il carattere fiabesco, ma anche magico-sacrale (e surreale) di larga parte delle sue rappresentazioni. Non sono dopotutto i suoi uomini senza volto e i suoi fantasmi incappucciati come distinte progenie che abitano i luoghi atopici delle sue galassie colorate e assenti? Non sono tutti i suoi quadri luoghi possibili del mistero dell’arte? Volendo elaborare più compiutamente questo concetto varrebbe la pena domandarsi ancora se quegli spazi astratti reiteratamente evocati da Biagiotti non siano proprio i luoghi in cui l’arte prende corpo in figure fantasmatiche e aliene come altrettante metafore dell’immaginario artistico. A rimarcare questa ipotesi ci sono le rappresentazioni di quadri e sculture che l’artista dipinge all’interno dei suoi quadri, come a dimostrare che quelle pitture e quelle sculture, elevate a potenza pittorica hanno finalmente trovato l’ambiente a loro più congeniale diventando esse stesse altrettante abitatrici del surreale. In fondo nei quadri niente è davvero animato, nemmeno le sue figure più realistiche. Questo Biagiotti lo sa; è ben consapevole che la pittura ha senso solo nell’assenza di spazio e di tempo, lui non fa altro che esasperare questo concetto nelle sue rappresentazioni, dove è l’evocazione del luogo proprio dell’arte e del suo tempo sospeso, a consentire alle immagini di farsi animare dagli sguardi sedotti dei suoi spettatori.
[Marcello Biagiotti. Opere 1970-2009. Guerra Edizioni, Perugia, 2009]

PREMI

1975 e 1976 - Per la sua attività artistica, di espressione e tecnica, viene insignito a Roma in Campidoglio (Sala Protomoteca) del Premio "Marc' Aurelio" per le Arti Figurative.

1981 – 2° Premio - PREMIO NAZIONALE "Mastro d'Oro", Città di Fabriano

1981 – 2° Premio – PREMIO NAZIONALE “Caramanico”, Città di Caramanico Terme.

1982 – 1° Premio - PREMIO NAZIONALE "Mastro d'Oro", Città di Fabriano (lì conosce il Maestro Tono Zancanaro). La Commissione giudicatrice, composta da William Tode, Attilio Moroni, Rettore dell’università di Macerata e Carlo Alberto Senigagliesi, Preside, gli assegna il premio con la seguente motivazione:”Il linguaggio espressivo si articola nelle sottigliezze della perizia tecnica degli effetti, in un processo di diversi elementi che enucleati dalla poetica e di una fervida immaginazione creativa, si dilatano con ritmi e piani alterni in una combinazione perfetta tra fantasia e tecnica. Ne scaturisce una visione altamente significativa dove le sequenze divengono unità dimensionale ed ogni elemento si unifica in un’atmosfera suggestiva ed equilibratura di forma”.

1982 - 1° Premio - Premio Nazionale "Città di Casapulla", Caserta.

1983 - 1° Premio - Premio Nazionale "Città di Cave", Roma.

1983 - 1° Premio - Premio Internazionale "Città di Colleferro", Roma.

1984 - 1° Premio - Premio Internazionale "Luigi Vanvitelli", Città di Caserta. Il presidente e fondatore della rassegna Pietro Farina e la Commissione gli assegnano il premio con la seguente motivazione: “Disegno lineare e pulito; pur nella difficile esecuzione di un tema sospeso tra il reale ed il surreale, dove il reale è rappresentato dalle figure umane ed il surreale dalla sintesi e dalle architetture anche sospese”.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Quotidiani e Periodici

Il Gazzettino Veneto, Venezia
Galleria Veneta, Venezia
Il Resto del Carlino, Bologna
Artis, Brescia
La Nazione, Perugia
Praxis Artistica, Editrice Omega Arte 1981-1982, Rimini
Corriere dell’Umbria, Perugia
Arte, mensile di arte, cultura, informazione. Editoriale Giorgio Mondatori 1999, Milano
Suturando, Edizioni Suturando di Guido Prayer 2001, Perugia
Senza Titolo, Periodico di informazione d’arte e design, Gruppo Invest Editore 2003, Bari.

Hanno scritto di Marcello Biagiotti:

Enrico Buda, Lino Cavallari, Renato Civello, Mimmo Coletti, Virgilio Coletti, Marina Dorigo, Ilaria Giordano, Renato Lamperini, Paolo Levi, Italo Marucci, Paolo Nardon, Luciano Pandolfi Alberici, Antonio Carlo Ponti, Rosanna Ricci, Giancarlo Romiti, Giorgio Segato, Vittorio Sgarbi, Enrico Varischi.

Cataloghi


Artisti 74, Umbria e Marche, allegato n.8 al n. 42 di  Bolaffiarte 1974, Torino.

Annuario Arte Base, Arte Base Program Editrice 1976, Torino

Pittori Italiani Contemporanei, Il Centauro 1978, La Spezia.

Salone D’arte Contemporanea ’81 “Malatesta città di Rimini” Rassegna Internazionale di arti figurative e mostra mercato,Editrice Omega Arte 1981, Rimini.

Mastro d’oro 1982, Jesi.

Pittura e Scultura Oggi, Panepinto Editore 1983, La Spezia.

Premio Nazionale “Città di Legnago” per le arti figurative/Trofeo “La Barca d’oro” Sedicesima Edizione, 1983, Legnago.

3° Biennale d’arte “Città della Spezia”, Ente Biennale d’Arte 1983, La Spezia.

L'élite-selezione Arte italiana, Editrice L’Elite 1994, Varese.

Arte Oggi, Cidac Editore srl 1995, Cervia.

Arte Moderna e Contemporanea, Galleria d’arte Pace 1999, Milano

Annuario Comed Anni 2000 – 2001 – 2002 – 2003 - 2004 – 2005, Edizioni Comed, Milano.

Maestri della pittura e scultura contemporanea, Edizioni d’arte Ghelfi 2004, Verona.

I Giudizi di Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondadori  2005, Milano.

Terra di Maestri, Artisti Umbri del Novecento, VI 1980-2000, Effe Fabrizio Fabbri Editore 2007, Perugia.

60 Anni in Mostra, Franco Venanti. 46 Maestri d’Arte Contemporanea Umbri e Toscani, Guerra Edizioni 2008, Perugia.

Arte Moderna. Gli Artisti Italiani dal primo Novecento a oggi, Editoriale Giorgio Mondadori 2008, Milano.

Opere dell’arte moderna e contemporanea, Casa d’aste Meeting Art 2008, Vercelli.

Selezioni d’arte 2/2008, ELEDE Editrice 2008, Torino.

Catalogo degli Scultori Italiani 2009-2010, Editoriale Giorgio Mondadori 2008, Milano.

Marcello Biagiotti Pittore e scultore
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