Francesco Franco
Gianni Rodari e Bruno Munari. I cinque libri: racconti e disegni brevi

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Introduzione
Filastrocche in cielo e in terra e Favole al telefono
Il libro degli errori
Il rispetto delle convenzioni negli anni Settanta
Il gioco degli alberi di Rodari e Munari
Immagini


 

§ II. Filastrocche in cielo e in terra e Favole al telefono

I. Introduzione

Gianni Rodari, già da giovane, è un attento osservatore delle arti visive e dei nuovi fenomeni dell'arte contemporanea.
Fin dal 1938-40, apprezza gli artisti che espongono alla Galleria del Milione di Milano,1 dove Bruno Munari espone in due collettive negli anni Trenta e in una personale nel 19402. È probabile, quindi, che dal '40 conosca il lavoro di Munari, che in questi anni inizia a partecipare a molte riunioni dell'Einaudi, nelle quali decide le copertine e la grafica di molte collane e volumi.3 Non ho trovato una traccia di un incontro a viso aperto fra i due negli anni Quaranta o Cinquanta, ma appena Rodari inizia a pubblicare con Einaudi, nel 1960, i disegni di Munari accompagnano diversi libri, tra il '60 e il '66.4
Munari, infatti, racconta di aver conosciuto Rodari attraverso Giulio Einaudi, che gli chiese di illustrare un suo libro5. Si tratta di Filastrocche in cielo e in terra, del 1960, una data che sembra segnare il primo incontro personale fra i due: non è solo l'inizio di un rapporto lavorativo, ma di un'amicizia,6 come scrive il designer.
La scelta dell'Einaudi di ripubblicare nel 1993, in un unico volume, cinque libri di Rodari illustrati da Munari, apparsi fra il 1960 e il 1980,7 fornisce al lettore, ancora oggi dopo numerose ristampe, un'occasione di comparazione diretta fra opere scritte e illustrate in anni diversi, in un'edizione dalle eccellenti qualità grafiche e di impaginato. Si viene a creare, in parte, una "nuova" opera, derivante dalla raccolta di pregevoli lavori dispersi in vari libri,8 quasi un'edizione d'arte, economica e ad ampia tiratura.
La produzione di Rodari si avvale spesso di forme poetiche. Non si tratta però di poesie per bambini, ma di "giocattoli poetici",9 di frammenti narrativi in versi. A volte, fra i racconti, c'è un gioco continuo di richiami di contenuti e personaggi. Sono storie che si costruiscono, spesso, attraverso il frammento, "a salti" tra un testo e un altro, all'interno delle singole raccolte.
Le modalità delle illustrazioni di Munari sembrano sostanzialmente simili in tutta la letteratura rodariana: pochi e rapidi segni, un riferimento sempre marginale al contenuto globale del testo, soffermandosi quasi sempre su una singola immagine, senza mai fornire un'illustrazione ampia di una vicenda narrata. Propriamente non si dovrebbe parlare di illustrazioni, ma di disegni, ispirati solo da un rapido spunto narrativo, a volte anche marginale rispetto all'intreccio del racconto.
Nella sua lunga e varia attività di designer Munari sa quando deve limitare il suo intervento, quando deve agire con moderazione, in relazione al risultato che vuole ottenere. Nel caso delle illustrazioni a queste opere di Rodari non rischia di distrarre il lettore dal narrato, ma lo aiuta a "completare" o a reinterpretare le immagini, spesso frammentarie, che provengono dal testo.
È un lavoro subordinato, non alla letteratura, ma alla funzione dell'opera di un altro autore. Munari conosce bene le regole della comunicazione: evita che i suoi disegni possano disturbare la lettura come un "rumore di fondo" e, contemporaneamente, sfugge anche al procedimento retorico e (a volte) noioso dell'illustrazione che rappresenta realisticamente il narrato letterario. Munari segue però da vicino i procedimenti generativi delle immagini di Rodari: l'interpretazione metaforica della realtà e l'interpretazione letterale della metafora; lo scambio di una lettera con un'altra in una parola che, mutando, produce una realtà paradossale; l'uso delle convenzioni per mostrare l'assurdità, l'inutilità e la produttività fantastica dell'infrazione a esse; lo scontro tra elementi appartenenti a mondi differenti, a ordini logici solo apparentemente inconciliabili (fantasia e matematica, umorismo e semiotica); il sillogismo impiegato a fini umoristici, per mostrare una certa "assurdità razionale" della logica, la differenza fra la logica del linguaggio e il buon senso quotidiano (in chiave comica).
In sintesi, Rodari opera smontando tutto ciò su cui il suo sguardo si posa e Munari lo segue in modo spesso analogo nei meccanismi generativi, ma differente nei risultati finali. Certamente "brevità" e "rapidità" sono caratteristiche che hanno in comune. Entrambi sono veloci, a scrivere e a disegnare. In loro il frammento si ripete con infinite variazioni, senza perdere quasi mai d'interesse o annoiare. Possedendo un metodo operativo consolidato possono applicarsi poco in ogni lavoro, lasciando comunque il segno del loro stile. C'è una "firma" quasi in ogni immagine letteraria o disegnativa che producono, una traccia che il fruitore riconosce sempre meglio man mano che si avvicina al loro mondo. Più si leggono e si guardano i lavori dei due artisti e più si entra in contatto con la loro visione del mondo: il poco può far molto. È una massima che condividono entrambi, insieme al loro pubblico, invitato continuamente a pensare che l'arte e la letteratura non sono (sempre) "cose serie", ma vanno "prese in giro", letteralmente, girandovi intorno. Occupandosi di piccole cose, ogni giorno, non si ha la consapevolezza che si stia lavorando a qualcosa di più grande, che emergerà interamente solo col tempo, per accumulazione di piccoli gesti e pensieri quotidiani.
Non sono tesi alla creazione del capolavoro, ma a una ricerca della qualità estetica del frammento, che può passare anche attraverso numerose prove, rimpasti di materia, di cui si può seguire la traccia in vari esperimenti. La creazione in entrambi è sempre un esperimento, provvisorio e ripetibile, sempre differente (anche lievemente) ma con le stesse costanti.
Nelle prime due opere pubblicate ne I cinque libri (Filastrocche in cielo e in terra e Favole al telefono) l'elemento dominante è il colore, assente nelle ultime tre: Il libro degli errori, C'era due volte il barone Lamberto (più un romanzo breve che un racconto) e Il gioco dei quattro cantoni, una raccolta di racconti contenente testi più lunghi rispetto a quelli molto brevi delle prime due.
Quando lo scritto è abbastanza lungo Munari usa solo il tratto nero per l'illustrazione, quando è breve il colore: più la narrazione è ricca di elementi e più il disegno è leggero. Munari interviene dove rimane un vuoto bianco nella pagina, dove il testo breve termina, lasciando uno spazio, tra scrittura e margine, che può essere riempito. Quando il testo è a tutta pagina, come ne La torta in cielo10 e ne Il gioco dei quattro cantoni, i disegni appaiono, discretamente, senza avvicinarsi troppo alla stampa, nell'ampio spazio vuoto a essi riservato, mai colorati, senza alcun gioco d'interazione tra scrittura e tratti grafici.
Certamente l'edizione einaudiana del '93 de I cinque libri ha il pregio di rivelare non solo le nuances dei pastelli, ma anche le peculiarità del tratto che, a seconda della pressione sulla carta, rivela una micro texture più o meno fitta, più o meno regolare. Grazie all'estrema cura nella riproduzione tipografica, è possibile una fruizione formalmente ed esteticamente corretta dei disegni di Munari, che consente anche una ricezione "emozionale" dei pastelli colorati.

 

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II. Filastrocche in cielo e in terra e Favole al telefono

La vivace cromia è sempre presente nei disegni, anche quando Rodari non fa alcun riferimento diretto ai colori. Nel brevissimo racconto in rima Il mercante di diametri (nell'ambito della raccolta Filastrocche in cielo e in terra) un cerchio diventa un "mercante di diametri":

«andava per i mercati / a vendere diametri sigillati. / A chi ne comprava tre / dava in omaggio / un raggio. / Tutto questo succedeva / in un paese nebbioso, / dove anche un raggio di cerchio / sembra tanto luminoso.»11

L'aspetto della luminosità interessa Munari, che illustra il raccontino (meno di trenta parole) con dieci rapidi segni, tutti di colori diversi e brillanti, eccetto il cerchio nero.
Certamente, nelle prime tre raccolte, attraverso forme linguistiche sincopate, anafore e sillogismi, i testi suggeriscono a Munari (illustratore e primo lettore) una rappresentazione frammentaria delle immagini, che molto spesso si susseguono l'una nell'altra:

«Per fare un tavolo / ci vuole il legno, / per fare il legno / ci vuole l'albero, per fare l'albero / ci vuole il seme, / per fare il seme / ci vuole il frutto, / per fare il frutto / ci vuole il fiore: / per fare un tavolo / ci vuole un fiore.»12

Sotto questo breve testo, fra centinaia di illustrazioni di Munari alla letteratura rodariana, è presente l'unico disegno in cui quasi tutte le immagini verbali (ad eccezione del frutto) vengono "tradotte" graficamente.
Munari, però, non segue diacronicamente i passaggi fra un'immagine e l'altra, ma le condensa tutte in una, evidenziando il contenuto dell'ultima frase, la più importante, dopo i due punti: «per fare un tavolo ci vuole un fiore". Cioè, il fiore, in sintesi, "crea» il tavolo.13
L'intero ciclo della natura in pochissime parole, un'immagine rapida e poetica che Munari condensa e fa risaltare: un grande fiore arancione e giallo, con un piccolo tavolo blu nel centro; un grosso seme nero sotto di esso e una pianta verde sopra. Rodari utilizza la linearità del linguaggio scritto, la sua possibilità sillogistica, che Munari traduce, rispettando il testo, con il linguaggio (tipicamente informatico) dell'insiemistica. I vari elementi non derivano l'uno dall'altro, ma sono, contemporaneamente, l'uno nell'altro.
Nel procedimento di lettura, mentre si prosegue verso la fine del testo, i primi elementi si allontanano un po' dalla nostra attenzione cognitiva, per far posto ai nuovi, finché il sillogismo si conclude, unendo il termine «tavolo», primo della serie, con l'ultimo «fiore». Nel disegno di Munari, invece, «albero», «tavolo» e «seme» sono tutti, parimenti, nel fiore. In questo modo riesce a spostare l'attenzione dal movimento di derivazione "a catena" dei vari elementi al loro aspetto cromatico. Il fiore, primo termine d'origine del micro/macrocosmo di Rodari, al quale si è potuto risalire partendo dal tavolo è, non a caso, in uno scontro cromatico con quest'ultimo: arancione-blu.
In sintesi, tutto il processo di creazione, dal fiore al tavolo, è incentrato, per Rodari, sul "moto rettilineo" di elementi fisici, come in una corsa a staffetta. In Munari, invece, tutt'al più il moto è centripeto e il passaggio dell'attenzione visiva si svolge prima fra colori che tra forme.
L'importanza dell'articolo indeterminativo «un» nel testo sembra essere recepita da Munari, che disegna "un" tavolo qualunque, fatto di due segni verticali paralleli su cui si posa un altro tratto orizzontale (non rappresenta "il" tavolo, come dicono molti bambini che sbagliano a recitare il testo a memoria): è un elemento che sta per "tutti" i tavoli del mondo, qualunque sia il mestiere o la professione che vi si svolge sopra.
Le illustrazioni ai brevi testi di Filastrocche in cielo e in terra, sono composte per lo più con pochi segni che, anche quando formano una figura, restano sempre nettamente separati fra loro, grazie agli stacchi frequenti del pastello dal foglio e alle differenze tonali. «C'è una regola cinese che dice: quando l'immagine è presente, è inutile che l'artista la finisca».14
Anche in Favole al telefono le modalità compositive dei disegni di Munari sono molto simili a Filastrocche in cielo e in terra. Anche se qui i testi dello scrittore hanno una scrittura interamente in prosa, l'illustratore non muta sostanzialmente l'interpretazione della vicenda narrata, attraverso le sue immagini fugacemente disegnate. Lo scrittore, infatti, nella breve nota che precede la raccolta, dice che le favole sono state raccontate dal ragionier Bianchi di Varese, un agente di commercio che tutte le sere telefonava alla figlia per narrarle una nuova favola, spesso molto breve, perché non poteva permettersi telefonate più lunghe.15
In un'intervista Munari racconta che i suoi lavori sono «disegni inconsci»16, come quelli che si fanno distrattamente parlando al telefono con una persona.
I disegni di Munari, però, non sembrano essere "automatici" o "inconsci", non provengono da una lettura distratta delle immagini di Rodari, anche se si soffermano su pochi elementi, isolati dalla breve narrazione. Non sono "scarabocchi", ma studiate "semplificazioni", con una funzione "ideografica", come mi ha fatto notare Claudio Zambianchi.17
I disegni di Favole al telefono sintetizzano con pochi tratti l'immagine letteraria o una parte di essa. Molte volte hanno un carattere più decorativo che illustrativo, ma senza mai abbandonare un collegamento con la singola storia. Se Munari si "distrae" è solo per un attimo.

 

§ IV. Il rispetto delle convenzioni negli anni Settanta Torna al sommario dell'articolo

III. Il libro degli errori

Ne Il libro degli errori i disegni in nero hanno un tratto più continuo (rispetto alle illustrazioni delle precedenti raccolte), che definisce frequentemente immagini di metamorfosi, le quali seguono, più da vicino, i nuclei narrativi dello scrittore. La trasformazione fra elementi appartenenti al regno vegetale, animale (l'umano compreso) e minerale è ricorrente.
In una storiella a filastrocca un "però", per la mancanza di un accento, viene scambiato per un "pero" da un contadino: Munari rappresenta una vera e propria metamorfosi fra la parola "però" e l'albero "pero"18. Non è Dafne che si trasforma in arbusto, ma sono le lettere del vocabolo, sulle quali compaiono le venature del legno, a mettere radici nel terreno, a produrre i primi ramoscelli con foglie, che spuntano anche dall'accento del "Pero-però".
L'ortografia sbagliata modifica le cose che stanno dietro alle parole. In termini linguistici: il significante sbagliato produce un significato diverso dal consueto, che non ha contatti col referente del reale e arriva a reinventarlo. L'errore è produttivo per l'illustratore, che può creare nuovi fantastici organismi e oggetti di varia natura, ma anche per lo scolaro lettore, che può visualizzare tutta la mostruosità fantastica derivante da un piccolo segno tralasciato (o aggiunto) per distrazione o per ignoranza.
Grazie alla narrazione (spesso rimata) e alle illustrazioni di questi raccontini, il bambino visualizza la grandiosità di un microscopico errore linguistico: impara, attraverso una modalità giocosamente semiotica, che il linguaggio può cambiare il mondo, che scrivere o dire una cosa in un modo leggermente diverso può voler dire affermare completamente un'altra cosa (esistente o meno).
Rodari qui, ancora più che altrove, "corregge il mondo",19 insegna, in modo divertente, a non fare errori.
Ride un po' anche il linguista, il filosofo del linguaggio che legge queste storielle e vi si trova dentro, come protagonista, senza che nessuno l'abbia avvertito prima: il professor Tullio De Mauro si riconosce nel personaggio del professor Grammaticus,20 che compare in molti raccontini a far la parte del difensore della lingua italiana (non "itagliana") e dell'ortografia.21 Rodari conosce De Mauro22 e i suoi saggi. Ci sono alcuni tratti in comune fra i due: il desiderio di insegnare anche attraverso scherzi linguistici e raccontini divertenti (non rari nelle lezioni universitarie di De Mauro); un certo umorismo, raffinato e demenziale, basato sugli equivoci del linguaggio, con toni petroliniani.23
Un giorno, uno studente timido, rendendosi conto di parlare con un linguista di fama mondiale e trovandosi in soggezione, si rivolge al professor De Mauro dicendo (senza sapere di essere davanti al professor Grammaticus): «Mi scusi, sto tremando come un bambino». Il professore, dopo un attimo di perplessità, risponde: «Ma i babbuini non tremano!».
Potrebbe partire da questo episodio, realmente accaduto,24, una storiella da inserire ne Il libro degli errori, un testo che il professor De Mauro-Grammaticus ben conosce. La facile assimilazione di una "m" alla "b" che segue, l'inserimento di una "u" fra consonante e vocale, forse, hanno come precedente alcuni passi di Paolo Villaggio,25 in cui c'è un simile equivoco bambina/babbuina. Nei testi di Rodari, Grammaticus, a volte, fa le sue veci, comparendo in luogo del linguista che l'autore sarebbe stato (e in parte è stato con Grammatica della fantasia) se, «per caso», non avesse iniziato a scrivere per bambini.26 De Mauro scrive:

«Rodari amava la nettezza, amava la logica, amava la grammatica. L'amava tanto che voleva offrire continuamente a tutti la possibilità di cambiare, di costruire modi nuovi di organizzazione, non di disorganizzazione, nuove grammatiche, non antigrammatiche. [...] Era uno che dimostrava continuamente che è possibile amare le grammatiche, a patto che si sappia costruirle, si sappia passare da una grammatica all'altra, si sappia viverle non come una costrizione, ma come una scelta di coerenza, di regolarità, sostituibile con altre scelte, quando serva e quando piaccia.»27

Grammaticus, in varie storie, è alle prese con i compiti dei suoi scolari, ma anche con le «péccore» dei sardi, con il «vaporeto» dei veneti (che con una sola "t" rischia di affondare), con l'«oglio» dell'insalata e con una scritta su un «negozzio» (come direbbero i romani) per una svendita di «NOBILI PER UFFICIO», nel racconto La strada sbagliata.28 In questa breve storia il professor Grammaticus-De Mauro si rivela pienamente come alter ego di Rodari, dicendo:

«Ecco dove sono finite le glorie dell'aristocrazia: un conte è diventato un tavolino, una duchessa si è ridotta a fare da scrivania. E naturalmente ci sarà [...] il barone portatelefono e via discorrendo. Ma in fondo, non è mica un male: c'è qualcosa di più nobile del lavoro?»29

È Rodari che moralizza la storia servendosi di Grammaticus. La sua serietà professorale, che si scontra con l'assurdità di un mondo pieno di errori, fa sorridere per contrasto, ma non trova rappresentazione nelle illustrazioni, spesso dedicate, come s'è visto, all'effetto di metamorfosi dell'errore e sempre prive di qualunque riferimento morale. Anche sotto il testo appena citato non è Grammaticus ad essere rappresentato nel disegno, ma il "barone portatelefono", con tratti lineari tanto raffinati da esprimere pienamente tutto il suo portamento nobiliare e "mobiliare" insieme. È aristocratico il modo in cui il telefono si appoggia sulla sua testa calva, anzi, sembra derivare da essa; è chic e ridicolo il suo portamento, espresso attraverso la rigida postura facciale. Rodari scrive di un barone e Munari sembra disegnare più un maggiordomo, con colletto e papillon, lineamenti e baffi sottili.
Qui il disegno di Munari si volge verso la vignetta, come nel disegno che compare sotto al testo Il serpente bidone:30 sembra un pitone che ha ingoiato un cestino dei rifiuti. È un essere fantastico che non fuoriesce da un cestino come i normali serpenti richiamati dal loro incantatore: al contrario, è il cestino che è dentro di lui. Si potrebbe mettere insieme un piccolo bestiario fantastico raccogliendo tutti gli strani animali di Rodari illustrati da Munari.
Rodari conosce Jorge Luis Borges, insieme al quale pubblica alcune satiriche "poesie lapidarie" sulla rivista «Il Caffè» nel numero di giugno del 1961.31 La rivista si apre con alcuni brani di Borges tratti dal suo Manuale di zoologia fantastica, tradotti per la prima volta in italiano.32
Nel '62, due anni prima dell'uscita de Il libro degli errori (con le illustrazioni di Munari), l'Einaudi traduce interamente e pubblica in Italia il testo di Borges Manuale di zoologia fantastica,33 in cui compaiono decine di animali fantastici di varia provenienza letteraria (orientale, occidentale, mitologica, onirica). Il tema della "trasformazione" è presente fortemente nei testi pubblicati sul «Caffè», sia in quelli di Borges sia in quelli di Rodari (un suo brano si intitola proprio Trasformazione), ma anche nei due libri Manuale di zoologia fantastica e Il libro degli errori. Al giovanissimo lettore de Il libro degli errori accade, probabilmente, qualcosa di simile a quel che racconta Borges a proposito del bambino che scopre lo zoo:

«Un bambino, lo portano per la prima volta al giardino zoologico. Questo bambino sarà chiunque di noi o, inversamente, noi siamo stati questo bambino e ce ne siamo dimenticati. Nel giardino, in quel terribile giardino, il bambino vede animali viventi che mai aveva visto [...]. Vede per la prima volta la sfrenata varietà del regno animale. E questo spettacolo, che potrebbe allarmarlo o terrorizzarlo, gli piace; tanto gli piace che andare al giardino zoologico è, o può sembrare, un divertimento infantile. Come spiegare questo fatto comune e misterioso insieme?»34

Il lettore-bambino (chiunque di noi è stato questo bambino e lo ha dimenticato, come dice Borges) ha paura davanti al "bestiario" degli animali sbagliati di Rodari (disegnati da Munari), che appaiono in forme strane e sconosciute?

«Se andrete a Firenze / vedrete certamente / quel povero ane / di cui parla la gente. / E' un cane senza testa, / povera bestia. / [...] La testa, si dice, gliel'hanno mangiata... / (La «c» per i fiorentini / è pietanza prelibata).»35


Al bambino «questo spettacolo, che potrebbe allarmarlo o terrorizzarlo, gli piace»36. Certo può anche spaventare, ma il disegno di Munari opera contro lo spavento, raffigurando, subito sotto il titolo, prima del componimento, un cane fumettistico, con la testa tratteggiata: non un «povero ane senza testa», come scrive Rodari nelle prime righe, ma un "animale disegnato" la cui testa è sparita per un difetto di pronuncia dei fiorentini. Munari opera con quel tipo di tratteggio che si trova, per convenzione, nelle carte geografiche, per indicare i territori sommersi, che esistono, ma non si vedono.
Rodari non vuole che gli errori si trasformino in orrori: l'errore per lui non è mai mostruoso, e non serve piangerci sopra:

«Se si mettessero insieme le lagrime versate nei cinque continenti per colpa dell'ortografia, si otterrebbe una cascata da sfruttare per la produzione dell'energia elettrica. Ma io trovo che sarebbe un'energia troppo costosa.
Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa.»37

Gli errori mostruosi sono nel mondo degli adulti, anche nella nostra tradizione favolistica, che presenta una formica stacanovista e un po' avara, che lascia morire di fame la cicala:

«Ho visto una formica / in un giorno freddo e triste / donare alla cicala / metà delle sue provviste.
Tutto cambia: le nuvole, / le favole, le persone… / La formica si fa generosa... / È una rivoluzione.»38

Un cane senza testa è certamente meno diseducativo di una formica egoista, che non fa nulla per evitare la morte di una cicala, ma anche il testo di Rodari Il povero ane, come quello di La Fontaine, fa un po' paura.
Se Il libro degli errori, come afferma lo scrittore, è dedicato ai padri, alle madri e ai maestri di scuola39, non è solo perché è un libro "per ragazzi", ma perché è un libro che devono leggere tutti coloro che sbagliano (non solo la grammatica) o ignorano anche le più piccole cose.
Si deve correre il rischio di restare un po' turbati per soddisfare la curiosità e la conoscenza, come scrive Borges:

«possiamo sostenere che i bambini bruscamente portati al giardino zoologico soffriranno, vent'anni dopo, di nevrosi; e in verità, come non c'è bambino che non abbia scoperto il giardino zoologico, così non c'è adulto che non sia, esaminato bene, nevrotico.»40

Questa "nevrosi" non è psicopatologica, è fisiologica e costituzionale a ogni adulto che da bambino ha scoperto il mondo:

«Possiamo anche affermare che il bambino è, per definizione, uno scopritore, e che scoprire il cammello non è più strano che scoprire lo specchio, o l'acqua, o le scale.»41

La scoperta dell'assurdo, dell'errore, è presente anche nel testo di Rodari, che "sbagliando le storie,"42 "sbaglia" anche gli animali che ne sono protagonisti. Lo zoo fantastico di Borges prende i suoi animali dalla mitologia, dalla letteratura, quello di Rodari dalla fantasia, dal paradosso, dall'errore linguistico che produce una situazione fantastica.
Il ane (il cane dei Fiorentini) senza testa non può abbaiare,43 così come l'acua (senza "q") non bagna44. Munari sceglie il tratteggio per rappresentare questi due elementi, offrendo solo un piccolissimo spunto illustrativo che può aiutare a far entrare il lettore in un mondo di cui può essere piacevole scoprire le caratteristiche, prima di correggere l'errore.
Quella di Rodari de Il libro degli errori è una mitologia personale, che costituisce l'esempio per l'invenzione, o la scoperta, di tutte le mitologie possibili (che si possono raccontare e disegnare).

 

§ V. Il gioco degli alberi di Rodari e Munari Torna al sommario dell'articolo

IV. Il rispetto delle convenzioni negli anni Settanta

Molto diverso da Il libro degli errori è Il gioco dei quattro cantoni. È una raccolta di vari racconti,45 in cui le illustrazioni di Munari decorano la pagina, più che interpretare i testi, rappresentando in bianco e nero e in grigio-argento sempre quattro tipi di alberi, a varie grandezze, tagliati in vari modi dal margine della pagina.
Sono narrazioni brevi, non in rima (con l'eccezione della prima frase in alcuni), in cui Munari non si dedica all'illustrazione di situazioni fantastiche, come mucche che mangiano l'arcobaleno (il cui manto si tinge di vari colori) e fanno latte blu.46 Non sono racconti per bambini, ma "per adulti" (o tutt'al più per ragazzi), in cui domina l'assurdo, il paradosso, l'ironia sul mondo, sul raccontare stesso, e una moderata infrazione alle convenzioni sociali che impongono di non parlare di alcuni argomenti.
In Un amore a Verona la cerimonia di matrimonio fra un giovane di nome Romano e una gallina termina con un finale "escrementizio" (per usare un termine dello scrittore). È una materia narrativa censurata spesso dai racconti pubblicati destinati alle scuole:

«Con determinazione la faraona va ad installarsi nel piatto del giovane Romano e vi depone quella cosina, quella cosetta che una volta per non ricorrere alle parolacce, chiamavano "l'ha fatta". E a questo punto, chi sa perché, applaudirono solo alcune femministe.»47

Un finale "escrementizio" ed ermetico.
Il termine "gallina" (genere in cui rientra la faraona) è usato, insieme a "pollastra", per indicare una donna "appetibile", nell'ambito di un linguaggio maschilista, soprattutto del nord Italia. Alla fine della novella, dopo aver raccontato di una gallina che, tacendo, "acconsente" ai desideri di possesso dell'uomo che la chiede in moglie, le femministe applaudono, probabilmente, per l'atto di defecazione, liberatorio e vendicativo, che la donna-gallina compie nei confronti dell'uomo, proprio nel suo piatto. Rodari esprime il proposito di scrivere un racconto con materia "fecale" già sei anni prima della pubblicazione di Un amore a Verona, in Grammatica della fantasia.
Lo scrittore sa che nella vita di un bambino «c'è un periodo in cui è quasi indispensabile inventare per lui e con lui storie di "cacca", di vasetti e affini».48 Rodari dichiara di averlo fatto in privato, ma, in un libro per adulti come Grammatica della fantasia, si chiede: «quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola "merda"?».49

«Quella parte dell'opinione pubblica che rispetta i "tabù" fa presto ad accusare di oscenità, a far intervenire le autorità scolastiche, a sventolare il codice penale.
[…] Se non fossi anch'io, come tutti quanti, più o meno succube delle convenzioni, avrei compreso quelle canzoni "escrementizie" nelle mie raccolte di filastrocche.»50

Queste parole vengono pubblicate nel 1973 in un capitoletto di Grammatica della fantasia intitolato Storie «tabù», nove anni dopo la prima pubblicazione a puntate nel «Corriere dei Piccoli» del racconto La torta in cielo (1964), che parla solo di pace, dolci e cioccolata. In Favole al telefono del 1962 compare un re Mida che, per essere liberato dal suo problema aurifero, deve trascorrere alcune ore senza toccare nulla per evitare di trasformare ogni cosa in "cacca di mucca".51 Ma le vere storie "escrementizie", quelle fondate interamente su una tematica fecale, restano per Rodari solo nell'ambito della letteratura orale e l'urgenza umanitaria di dare torte a tutti, al posto delle bombe atomiche, ha la precedenza sulla liberazione dalle convenzioni sociali perbeniste. Certo in una storia della raccolta Novelle fatte a macchina del 1973 compare un coccodrillo esperto in "cacca di gatti", al quiz di Mike Bongiorno52, ma la tematica escrementizia è ancora puramente accessoria.
La "materia fecale", invece, è spesso protagonista delle storie che racconta nelle classi elementari che incontra di persona, sul finire degli anni Settanta.53 Lo scrittore sembra sentirsi in colpa54 di non poter scrivere queste storielle allegre ed educative che, infrangendo il "tabù", aiutano il bambino (che a volte ne è ossessionato) a superarlo attraverso un riso liberatorio. Rodari non vuole rischiare di subire denunce per oscenità, corruzione di minore e simili55 («Non amava la polemica, anche se gli piaceva essere provocatorio»56). Spesso si permette di raccontare oralmente molto più di quanto scrive, non senza assicurarsi (un po' scherzosamente) la complicità dei bambini: «non dite a nessuno della storia che vi ho raccontato e, se trovate le finali, me le spedite»57. Una storia indecente, ora trascritta e pubblicata, viene raccontata da Rodari più volte, in tre giorni trascorsi fra alcune classi elementari della provincia di Ascoli Piceno.
Lo scrittore dice agli scolari di dover ancora scrivere «il libro della cacca»;58 poi racconta la storia di un bambino che, usando il vasino per le sue funzioni, provoca enormi prodigi (vincite al gioco, eredità) in relazione al colore delle feci prodotte. Tutti gli adulti cercano di controllare la cromia fecale, attraverso l'alimentazione, per trarne profitti.59 Ma Rodari, non sapendo come far finire la storia, chiede ai bambini di aiutarlo:

«Rodari: È bella o brutta? [...] Ma la storia non è un po' disgustosa con tutta quella cacca gialla, viola, rosa?
Bambino: No, è una cosa naturale.»60

Prende avvio da qui un "botta e risposta" esilarante, fra Rodari e i bambini della scuola di Borgo Solestà che l'aiutano a continuare la storia, senza alcun tabù d'espressione e di contenuti, da parte di tutti.61
Il raccontino orale Una storia indecente infrange alcuni tabù sociali che negli anni Settanta ancora circondano l'infanzia. È un progetto (mai condiviso con Munari) che Rodari non porterà a compimento per iscritto, neanche ne Il gioco dei quattro cantoni, suo ultimo libro, composto da racconti scritti negli stessi mesi in cui cerca di inventare storie escrementizie con i bambini delle elementari.

 

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V. Il gioco degli alberi di Rodari e Munari

Il gioco dei quattro cantoni è una raccolta di racconti che non sembrano legati da tematiche precise, ad eccezione di una ricorrente presenza, spesso marginale, degli alberi, legata al tema della metamorfosi (presente già ne Il libro degli errori).
I disegni di Munari che compaiono nella raccolta, rappresentano due Pini marittimi, un Tiglio, un Cedro del Libano e una Magnolia, alberi del giardino della villetta della maestra Santoni (protagonista del racconto Il gioco dei quattro cantoni) che ogni giorno vede cambiare, inspiegabilmente, la loro posizione. Sono stati scelti per illustrare il racconto che dà il titolo alla raccolta, ma compaiono anche accanto ai testi in cui non c'è alcun riferimento al mondo vegetale: si mettono a giocare ai "quattro cantoni" nel rettangolo delle pagine del libro indipendentemente da ciò che viene raccontato a fianco di essi.
Il tema prevalente dello scrittore sembra essere la "metamorfosi", quello dell'illustratore lo "scambio di posizione" (senza il passaggio di una forma in un'altra).
Verso la fine del racconto, osservando gli alberi, gli animali e le pietre, la maestra si rende conto che una specie di "gioco dei quattro cantoni" sta avvenendo tra i regni della natura:

«Il regno minerale trapassa nel vegetale, questo diventa animale, quest'ultimo si umanizza e agli uomini non rimane, come sta in effetti accadendo, che occupare il mondo delle pietre e dei cristalli. Si verifica qualcosa di paragonabile a un universale gioco dei quattro cantoni. Il cosmo rivela, con tutto il rispetto, la sua sostanza ludica [...].»62

Chi partecipa al gioco dei quattro cantoni, nella realtà, cambia posizione, ma rimane se stesso. Rodari, invece, descrive delle metamorfosi. Munari, autore di tante metamorfosi, disegnate accanto ai testi rodariani de Il libro degli errori, qui entra nel gioco narrativo senza alcuna ibridazione grafica fra vegetale, animale, umano o minerale, riproponendo continuamente gli stessi cinque alberi in diverse grandezze fra le pagine del libro. Gli alberi si spostano continuamente, ma ognuno resta se stesso, nella sua individualità di specie e nell'appartenenza esclusiva al regno vegetale:

«Nel libro c'erano anche altre storie, ma io ho scelto solo questa che del resto dà il titolo alla raccolta.
Ho disegnato i cinque alberi molto verosimilmente, riconoscibili, non in modo stilizzato, proprio da manuale di botanica; poi li ho fatti ingrandire, rimpicciolire, in modo da dare loro una prospettiva e li ho sparsi per tutto il libro, perché, essendo alberi che si muovevano, entravano anche nelle altre novelle.»63

Oltre il racconto il gioco continua nel "panta rei" del mondo e gli alberi di Munari continuano a muoversi fra le pagine degli altri racconti, di diverso argomento. Nelle poetiche artistiche di Rodari e Munari è forse dominante il motivo della trasformazione (del mondo, delle forme, del linguaggio), nel tempo e nello spazio, in una ciclicità continua. Il racconto Il gioco dei quattro cantoni non si conclude con un punto, ma con una virgola, dopo la quale, a capo, oltre un ampio spazio bianco, i cinque alberi, stampati in grigio chiaro, evanescenti, ricompaiono in fila, pronti a continuare il loro gioco, per sempre, al di là della pagina, oltre il libro e oltre la morte dello scrittore, pochi giorni dopo aver consegnato all'editore il dattiloscritto.64
Il gioco dei quattro cantoni è stato giocato molte volte da Munari, con i suoi alberi bonsai nei loro vasi, che realmente possono prendere l'uno il posto dell'altro, alla ricerca della posizione esteticamente migliore, in costante mutamento. «L'albero per lui era "l'esplosione lentissima di un seme"»65, un organismo adulto che continua sempre a cambiare, che conserva in sé la potenzialità della continua rinascita (si veda il testo di Rodari, illustrato da Munari, Che cosa ci vuole). L'albero bonsai è come l'arte, una forma naturale e artificiale insieme, natura e cultura, hobby e lavoro, yin e yang (in ognuno dei due termini opposti si trova, in una certa misura, parte del suo opposto):

«Non faccio molta differenza fra lavoro e hobby. Forse potrei dire che coltivare i bonsai e farli [...] potrebbe essere un hobby, però anche realizzare delle opere d'arte è bello come coltivare i bonsai.»66

Nell'albero (non solo bonsai) e nella natura Munari vede se stesso e la sua arte. La coltivazione dei bonsai non ha una finalità produttiva, è un modo di conoscere una materia vivente. In quest'arte botanica l'artista crea le sue forme, scolpisce la natura "dal vero" e sul vero. Operando direttamente sull'albero, uno degli elementi principali del paesaggio, Munari "entra" nel paesaggio, nella natura, fino a disegnare le nervature di ogni foglia, utilizzando molto spesso il microcosmo come modello d'invenzione disegnativa.
L'artista, come Rodari (che impiega i suoi guadagni e la liquidazione della moglie per la sua villa nel bosco di Manziana,67) si proietta fortemente nella natura fino a sentirsi natura.
«Gli uomini e gli alberi sono amici»,68 è un messaggio inviato da un esploratore, narratore in prima persona, che impara il linguaggio "mimico" degli alberi e riesce a comunicare con loro. Si sente chiaramente, dietro il personaggio, la voce forte e semplice dello scrittore.
Forse uno strano protagonista del racconto Una vita per l'etologia di Rodari, il professor Bergman, è vagamente ispirato alla figura di Munari: come lui si diverte a dare nomi buffi ai piccoli animali,69 è amante dell'osservazione minuta della natura e dell'arte, considerata come un fenomeno naturale, ed è, inoltre, un attento studioso degli alberi. La conoscenza naturalistica di Munari si forma su testi scientifici di mineralogia e botanica, letture utili per capire la "regola" sottesa a una forma naturale, per capire Come costruire un albero (titolo di un suo libro in edizione giapponese.70)
Il gioco dei quattro cantoni è l'ultimo lavoro che vede Munari impegnato nell'illustrare un'opera di Rodari. Tuttavia il loro "rapporto", fatto non di frequentazioni, ma di analogie di pensiero e di modalità creative, non si interrompe con la morte dello scrittore (14 aprile 1980). Lo spirito giocoso rodariano permane nei lavori di Munari per tutta la vita.71.

 

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VI. Immagini

Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 4 Figura 5

 

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2007

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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