“Sonno a Venezia”. Millard Meiss e l’interpretazione iconologica del mito

di Jennifer Cooke

Crepuscoli dottorali, n. 1 (pdf integrale)

Abstract

Lo storico dell’arte americano Millard Meiss (1904-1975) studiò lo sviluppo e la ricorrenza delle figure dormienti nell’arte rinascimentale veneziana nel saggio Sleep in Venice (1964, 1966), avanzando al contempo il proprio contributo teorico – basato sulla combinazione di analisi formale e approccio iconologico. Le fonti dell’interpretazione delle mitiche fanciulle dormienti si potrebbero individuare nella Scuola di Warburg – in particolare nella ricerca sul mito condotta da Frizt Saxl – e nella fondamentale opera coeva di Panofsky sulle rinascenze nell’arte occidentale. Quindi, la fortuna critica dell’affascinante articolo di Meiss è strettamente legata al maggiore consenso incontrato dalla sua indagine sull’interazione di forma e contenuto.

American art historian Millard Meiss (1904-1975) studied the development and recurrence of slumbering figures in Venetian Renaissance art in the essay Sleep in Venice (1964, 1966), yet setting forth his theoretical contribution – based on the combination of formal analysis and iconological approach. The sources of his interpretation of mythical sleeping maidens could be traced back to the Warburg school – namely to Fritz Saxl’s research on myth – and to Panofsky’s coeval seminal work on the renascences in Western art. Therefore, the critical fortune of Meiss’ fascinating article is closely related to the wider acceptance of his investigation on the interplay of form and content.

An eternal book
Whence I may copy many a lovely saying
About the leaves, and flowers – about the playing
Of nymphs in woods, and fountains; and the shade
Keeping a silence round a sleeping maid.

John Keats, Sleep and Poetry (1816)[1]

A partire dalla ninfa dionisiaca ‘inseguita’ da Warburg, proseguendo con gli studi di Wind, Saxl e Panosfky nella generazione successiva, si potrebbe concludere che l’interpretazione del mito nel corso della storia dell’arte rappresentò un ideale campo di analisi per gli studi di carattere iconologico – declinato nelle sue varianti metodologiche.

In linea con questa impostazione critica, Millard Meiss (1904-1975)[2] – da alcuni definito il «Panofsky americano»[3] – erede della tradizione iconografica e iconologica panofskiana negli Stati Uniti, fece alcune “incursioni” in ambito mitologico, sebbene quale studioso di Trecento e Quattrocento italiano e franco-fiammingo si sia occupato eminentemente di arte sacra[4].

Il contributo più significativo di Meiss sul mito fu Sleep in Venice, che nacque come intervento al XXI Congresso Internazionale di Storia dell’Arte di Bonn del 1964 in una versione ridotta e che trovò una veste più estesa come articolo pochi anni dopo[5].

Appare, dunque, utile analizzare l’apporto teorico di questo intervento e il suo riannodare percorsi di ricerca ormai classici della scuola iconologica, segnatamente saxliana, e al contempo una loro originale rielaborazione, seguendo la fortuna di questo saggio in ambito non solo americano in parallelo alla ricezione del metodo iconologico[6].

Lo studio di Meiss intendeva comprendere la fortuna quasi esclusivamente veneta che il tema della donna nuda addormentata ebbe, a partire dal 1500, soffermandosi in particolare sull’esempio emblematico della Venere di Dresda di Giorgione[7], per la quale Meiss osservò l’originalità rispetto ai modelli classici[8].

L’estraneità dei Toscani a questo tema era dimostrata dai due esempi fiorentini – Venere e Marte di Botticelli (Londra, National Gallery) e la versione di Piero di Cosimo (Berlino, Staatlichen Museen) – citati da Meiss, da alcuni ritenuti precedenti di Giorgione[9], i quali non raggiungevano la totale fusione del corpo con il paesaggio ottenuta dagli artisti veneti[10].

Secondo il nostro, Giorgione avrebbe potuto prendere a modello la xilografia della Naiade-Venere con satiri della Hypnerotomachia Poliphili,in cui una naiade nuda addormentata era avvicinata da un satiro[11]. Il mito di Arianna era “sopravvissuto” attraverso tutto il Medioevo: in questo caso, però, Meiss propendeva per l’identificazione con Venere, seguendo un’interpretazione non fedele all’antico ma che ebbe un enorme successo in ambito veneto, nonché un forte impatto nella tradizione occidentale[12]. Si crearono così due filoni iconografici: la figura nuda dormiente isolata e la fanciulla avvicinata e ‘svelata’ da satiri. L’autore seguitò a indicare numerosi riferimenti in disegni e incisioni di ambito o di derivazione giorgionesca, per arrivare all’Arianna di Tiziano nei Baccanali e a numerosi dipinti successivi[13]. Le opere con Venere e Amore, sebbene avessero una connotazione in parte erotica, tendevano a esaltare l’amore spirituale in accordo con le idee filosofiche del tempo, mentre quelle con Venere svelata dai satiri l’aspetto più carnale. Meiss passò in rassegna alcuni gruppi di opere legate ai questi temi e si soffermò su alcuni celebri dipinti come il Festino degli Dei di Giovanni Bellini e l’affascinante Apollo dormiente di Lorenzo Lotto, un’allegoria – secondo l’autore – della decadenza delle arti nel Medioevo o del loro declino sotto un mecenate rivale[14]. Nel Medioevo il sonno aveva assunto un significato negativo, sicché le figure dormienti erano simbolo di decadenza morale, ma, al contempo, era visto come la condizione favorevole per il diretto contatto con il soprannaturale. A questa concezione fece in seguito appello il pensiero ficiniano e neo-platonico e se ne potevano trovare riflessi letterari nella Vita Nuova di Dante o nel Decamerone di Boccaccio[15]. L’affezione veneziana per il tema del sonno fu trasposta anche nelle raffigurazioni religiose: quando si iniziarono a collocare gli episodi religiosi su sfondi paesaggistici, questi si popolarono di figurine dormienti, perlopiù pastori, di cui vi sono alcuni esempi nei dipinti di Giovanni Bellini[16]. In connessione con l’associazione degli antichi del sonno alla morte, si diffuse nella pittura veneta l’iconografia del Bambino addormentato tra le braccia della Madonna quale allusione alla Passione e la nudità del Bambino confermerebbe la fusione con il tema mitologico[17].

Sintomaticamente, Sleep in Venice era pubblicato nel volume degli Atti dedicato alla teoria artistica, accanto ai contributi critici di William S. Heckscher e Otto Pächt[18]. Conferire al proprio saggio un carattere di esemplarità metodologica fu sicuramente un obiettivo primario di Meiss, al fine di dimostrare la necessaria integrazione di forma e contenuto nell’analisi storico-artistica[19].

L’arricchimento della lettura iconologica panofskiana con lo studio dello stile fu il contributo teorico più originale di Meiss e, significativamente, questo intervento (nella sua versione più estesa) fu incluso nella raccolta di scritti The Painter’s Choice composta da «studies of the relation of form, subject, and meaning» – finalizzati al superamento della sola lettura iconografica[20].

Di conseguenza, come è evidente dallo scritto in esame, il Rinascimento divenne il periodo di applicazione del metodo meissiano in quanto l’artista iniziò a guadagnare una propria indipendenza e a interagire nell’elaborazione del programma iconografico[21]. Infatti, la ricorrenza di alcuni soggetti in determinate epoche e scuole sarebbe, secondo lo studioso, determinata da una particolare propensione dello stile a quel tema[22]. Il presupposto di tale teoria sarebbe l’ammissione della libertà dell’artista nell’invenzione, sfera generalmente di competenza dell’ideatore del programma iconografico, testimoniata – come riportato da Meiss – in quell’arco di tempo a Venezia dalle fonti epistolari di Giovanni Bellini; inoltre, la controversia sull’interpretazione dei soggetti delle opere di Giorgione indicherebbe proprio tale spazio per l’ideazione da parte dell’artista[23].

Si potrebbe, dunque, cogliere un riflesso del dibattito intorno all’intenzionalità dell’atto creativo, a partire dal quale si era consumata la “svolta americana” di Panofsky: la critica d’oltreoceano, infatti, aveva sollevato numerose perplessità nei confronti della dimensione inconscia con cui l’artista infondeva nell’opera i valori simbolici[24]. Lo studioso tedesco – attraverso la riflessione sul disguised symbolism degli anni Cinquanta[25] – era giunto in Meaning in the Visual Arts a una concezione più razionale di opera d’arte come sintomo culturale in relazione a un simbolismo convenzionale cui l’artista faceva consapevolmente riferimento[26].

Il terzo elemento dell’approccio adottato da Meiss, ovvero lo studio del contesto storico[27] – di cui Pittura a Firenze e Siena dopo la Morte Nera fu il più celebre esempio[28], in questo saggio non figurò come analisi socio-politica quanto come ricostruzione di un pensiero filosofico a partire dalle opere letterarie[29].

Se da un lato il tema della Venere/ninfa richiamava alla mente il filone di studi warburghiani, Meiss percorse tuttavia una strada diversa da Warburg, allorché si concentrò sulla ninfa addormentata piuttosto che su quella agitata dal movimento dionisiaco[30]. Lo studioso, infatti, sosteneva che Venezia fosse il «locus classicus» della figura dormiente, tanto quanto Firenze lo era di quella in lotta e movimento; i rispettivi caratteri, inoltre, trovavano secondo Meiss una precisa corrispondenza stilistica: il colore veneziano contrapposto al disegno fiorentino[31].

L’approccio warburghiano aveva fatto ufficialmente il suo ingresso nella critica americana con il celebre saggio Classical Mythology in Medieval Art pubblicato da Panofsky e Saxl nel 1933 sulle pagine del «Metropolitan Museum Studies»[32]. La “sopravvivenza” del mito nell’arte medievale fu quindi percepita dall’ambiente americano quale campo d’indagine per eccellenza della scuola iconologica[33]. Lo scritto del 1933, oltre a costituire una prima teorizzazione di quello che Panofsky in seguitò denominò “principio di disgiunzione”[34], si differenziò dal Nachleben di Aby Warburg, in quanto i due autori intesero indagare la sopravvivenza dell’antico principalmente nell’arte medievale – ambito maggiormente trascurato dalla prospettiva burckhardtiana dello studioso di Amburgo[35].

Negli anni Cinquanta, com’è noto, Panofsky tornò sul problema della persistenza della cultura classica in una serie di conferenze tenute a Uppsala e confluite nel volume Renaissance and Renascences in Western Art del 1960, risollevando in tal modo il dibattito critico intorno al rapporto di forma e contenuto proprio negli anni in cui lo affrontò Meiss[36].

Contemporaneamente, in quegli anni nel panorama critico internazionale ci fu un certo interesse per gli studi sulla pittura veneziana nel Rinascimento, preparando così il terreno all’intervento di Meiss[37]. Il più significativo di questi era un articolo di Otto Kurz del 1953, in cui lo studioso identificò una fonte letteraria del Quattrocento per il tema della ninfa dormiente – con particolare riferimento però alla pittura di Lucas Cranach[38]. Vi era inoltre un precedente esplicitamente citato da Meiss in apertura del suo saggio: Kenneth Clark in The Nude aveva per primo trattato questo tema iconografico, seppur in termini di ‘forma ideale’[39]. Clark nel suo saggio sul nudo dedicò due capitoli a Venere in cui osservava, analogamente a Meiss, che la Venere rinascimentale ebbe uno sviluppo eminentemente veneziano e giorgionesco; in particolare, ritenne Giorgione l’inventore del nudo e la Venere di Dresda rimase un prototipo per tutti gli artisti successivi[40].

Inoltre, si potrebbe considerare lo studio sulla Venere addormentata una versione mitologica dell’approccio critico adottato nel saggio del 1936 sulla Madonna dell’Umiltà e, analogamente, una meditazione – certo più tarda e più rielaborata – sul tema del typus panofskiano[41]. La teoria del tipo era stata avanzata da Panofsky in due saggi della fase giovanile: Imago Pietatis (1927) e Hercules am Scheidewege (1930)[42]. Il typus – definito come una elemento in cui «un particolare contenuto si è fuso con una particolare forma, in una visibile unità»– consentiva, infatti, il superamento della contrapposizione tra forma e contenuto. In questo schema grande importanza aveva, poi, l’intenzionalità creativa dell’artista, il quale avrebbe dovuto scegliere se seguire la tradizione o introdurre novità stilistiche o iconografiche[43]. Dunque, anche nel saggio del 1936 Meiss aveva analizzato l’origine e l’evoluzione di un tipo iconografico ponendo la sua fortuna in relazione con una scuola pittorica particolare[44].

Invece, il primo riferimento al problema iconologico della figura dormiente era apparso in un contributo del 1954, in cui Meiss offriva una lettura simbolica dell’uovo di struzzo al centro della pala di Montefeltro di Piero della Francesca[45]. Il Bambino addormentato tra le braccia della Vergine era letto da una parte come prefigurazione della Pietà[46]. Già allora Meiss rimarcò la predilezione precipuamente veneta per le figure addormentate culminante nelle Veneri di Giorgione e Tiziano, rispecchiando forse uno specifico gusto e un particolare ambito culturale. Secondo lo studioso, infine, sulla base delle fonti letterarie, il senso di serenità e pace del sonno non faceva necessariamente riferimento alla morte, ma vi erano molteplici significati a esso connessi[47].

A partire dagli anni Settanta altri studiosi tornarono sull’argomento, un segno della fortuna di Sleep in Venice,sostanzialmente accogliendo le conclusioni di Meiss[48]. Tali studi sull’iconografia di dipinti veneti del Cinquecento erano probabilmente stimolati anche dalla pubblicazione nel 1969 del saggio di Panofsky Problems in Titian, Mostly Iconographic[49].

Infine, in ambito italiano, si ricorda che le opere di Giorgione si prestarono all’interpretazione dei primi saggi iconologici di Calvesi[50]. Nell’articolo del 1962 sulla Tempesta decodificata come Ritrovamento di Mosé, Calvesi studiò il rapporto dell’artista con la cultura filosofica rinascimentale[51], tema in seguito approfondito e applicato ad altre opere del corpus dell’artista, nell’intervento del 1970 sull’ermetismo di Giorgione[52]. Francesco Gandolfo nel 1978 pubblicò la propria tesi di laurea dedicata alla lettura in chiave iconologica del sogno nel Cinquecento, in cui fece riferimento al saggio di Meiss[53]. A sua volta, un paio d’anni dopo, Sleep in Venice fu nuovamente citato da Augusto Gentili[54]– uno storico dell’arte attento all’approccio iconologico – a dimostrazione che «le vicende della pittura veneziana del Cinquecento erano legate a filo doppio con quelle dell’iconologia»[55].


[1] Citato in E. Wind, Bellini’s Feast of the Gods. A Study in Venetian Humanism, Harvard University Press, Harvard MA 1948, p. 58. 

[2] Per un profilo biografico di Millard Meiss: Aa. Vv., Millard Meiss 1904-1975, in “Revue de l’Art”, 28, 1975, pp. 86-87; Aa.Vv., Millard Meiss, 1904-1975: Memorial Service, Princeton University Chapel, November 8, 1975; H.B.J. Maginnis, Millard Meiss (25th March 1904 – 12th June 1975), in “The Burlington Magazine”, CXVII, 869, 1975, pp. 544-547; J. Pope-Hennessy, Dr Millard Meiss: A Distinguished Art Historian, in “The Times”, 25 giugno 1975, p. 16; U. Procacci, Millard Meiss. In Memoriam, in “Prospettiva”, 2, 1975, pp. 53-54; R.W. Lee, Millard Meiss 1904-1975, in “Yearbook. American Philosophical Society”, 1976, pp. 95-100; R.W. Lee, J. Pope-Hennessy, MILLARD MEISS: In Memoriam, in “The Art Bulletin”, XXXV, 3, 1976, pp. 261-262; C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto. Per una storia del pensiero iconologico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, pp. 128, 143-144; G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET, Torino 1995, pp. 303-306, 324-325.

[3] G. Previtali, Introduzione, in G. Kubler, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p. XI.

[4] Il primo intervento fu un contributo in cui assegnava un cofanetto del Louvre recante Venere e le Tre Grazie sul coperchio a Giovanni di Paolo. In quest’occasione Meiss, tuttavia, offrì poche indicazioni sul soggetto (limitandosi a identificare le tre fanciulle ai piedi di Venere come le Tre Grazie), mentre maggiore centralità aveva l’analisi stilistica dell’opera. cfr. M. Meiss, The Earliest Work of Giovanni di Paolo, in “Art in America”, XXIV, 4, 1936, pp. 137-143, in particolare p. 138. L’attribuzione è oggi accettata dalla critica, cfr. Aa. Vv., Il gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d’arte, Centro Di, Firenze 1982, pp. 359-360; La pittura senese nel Rinascimento, 1420-1500, catalogo della mostra di New York (The Metropolitan Museum of Art, 20 dicembre 1988 – 19 marzo 1989), a cura di K. Christiansen, L.B. Kanter, C.B. Strehlke, Silvana Editoriale, Milano 1989, p. 182.

[5] M. Meiss, Sleep in Venice, in Stil und Überlieferung in der Kunst des Abendlandes, Akten des 21. Internationalen Kongress für Kunstgeschichte in Bonn 1964, 3 voll., Verlag Gebr. Mann, Berlin 1967, vol. III,pp. 271-279; Id., Sleep in Venice: Ancient Myths and Renaissance Proclivities, in “Proceedings of the American Philosophical Society”, CX, 5, 1966, pp. 348-382, ried. in Id., The Painter’s Choice: Problems in the Interpretation of Renaissance Art, Harper & Row Publishers, New York 1976, pp. 212-239 (ove altrimenti indicato, nel testo ogni riferimento è relativo a quest’ultima edizione).

[6] Accanto agli apprezzamenti, ci furono anche delle voci critiche nei confronti dello studio di Meiss, cfr. E.H. Ramsden, The Painter’s Choice, in “Apollo”, CVI, 188, 1977, pp. 322-323, in particolare p. 323: «The last of these [chapters], a comparative study of the ways in which Sleep is represented in Venetian Renaissance art consists, in fact, in little more than a citation of examples, which, when illustrated and viewed in succession, can perhaps best be described as presenting a spectacle more comic than edifying». Ancorché non citato, il contributo di Meiss era un precedente fondamentale per l’articolo dell’americana Madlyn Millner Kahr sulla Ragazza assopita di Vermeer, cfr. M. Millner Kahr, Vermeer’s “Girl Asleep”: A Moral Emblem, in “Metropolitan Museum Journal”, VI, 1972, pp. 115-132.

[7] Meiss entrò brevemente nel problema degli interventi di Tiziano nell’opera, affermando di essere scettico rispetto alle proposte della critica di estendere il ruolo di Tiziano nell’esecuzione del dipinto, cfr. M. Meiss, Sleep in Venice… cit, p. 230, nota 3. Per una bibliografia sull’opera: C. Gamba, La Venere di Giorgione rintegrata, in “Dedalo”, IX, 1928-1929, pp. 205-209; H. Posse, Die Rekonstruktion der ‘Venus’ mit dem Cupido von Giorgione, in “Jahrbuch der preussischen Kunstsammlungen”, LII, 1931, pp. 29-35; G.M. Richter, Landscape Motifs in Giorgione’s Venus, in “The Burlington Magazine”, LXIII, 368, 1933, pp. 211-213, 216-219, 223; Id., The Problem of the Noli Me Tangere, in “The Burlington Magazine”, LXV, 376, 1934, pp. 4, 8-11, 16; L. Justi, Giorgione, 2 voll., Dietrich Reimer Verlag, Berlin 19362, vol. I, pp. 205-222; K. Oettinger, Die wahre Giorgione-Venus, in “Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen in Wien, XIII, 1944, pp. 113-139; T. Pignatti, Giorgione, Electa, Milano 19782, pp. 111-112; J. Anderson, Giorgione, Titian and the Sleeping Venus, in Tiziano e Venezia, Atti del Convegno Internazionale di studi (Venezia 1976), Neri Pozza, Vicenza 1980, pp. 337-342; M. Fleischer, F. Mairinger, Der Amor der Akademiegalerie in Wien, in Aa. Vv., Die Kunst und ihre Erhaltung. R. R. Straub zum 70. Geburtstag, Wernersche Verlagsgesellschaft, Worms 1990, pp. 148-168; M. Giebe, “Venere dormiente”, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister, in Tiziano: Amor Sacro e Amor Profano, catalogo della mostra di Roma (Palazzo delle Esposizioni, 22 marzo – 22 maggio 1995), a cura di M.G. Bernardini, Electa, Milano 1995,pp. 369-385, J. Anderson, Giorgione. Peintre de la “Brièveté Poétique”, Lagune, Paris 1996, pp. 307-308.

[8] M. Meiss, Sleep in Venice… cit., p. 213.

[9] Ivi, p. 214: «Though Venus is nude and has been cited as the source of Giorgione’s the gulf is very wide indeed».

[10] Ibid.: «In Tuscany, furthermore, recumbent nude female figures evoked little interest, Venuses included. […] This closeness of body and nature, of flesh and flowers, is foreign to Tuscany and, indeed, to the classical world».

[11] Il rapporto tra il dipinto di Giorgione e la xilografia del Sogno di Polifilo era stato in precedenza rimarcato da Frizt Saxl in una lezione tenuta all’Istituto Warburg nel 1935 e successivamente da Luigi Stefanini – il quale però si soffermò maggiormente sulla Tempesta, cfr. F. Saxl, Tiziano e Pietro Aretino, in Id., La storia delle immagini, Bari 1982 (ed. or. Id., A Heritage of Images: A Selection of Lectures, Penguin Books, Harmondsworth 1970, pp. 71-87), pp. 105-118, in particolare p. 107; L. Stefanini, La Tempesta di Giorgione e la Hypnerotomachia di F. Colonna, in Id., Arte e critica, Casa Editrice Giuseppe Principato, Milano – Messina 1942, pp. 249-267, in particolare pp. 255-256.

[12] M. Meiss, Sleep in Venice… cit., pp. 215-216: «This conflation in the Hypnerotomachia of Venus, a fountain nymph and an episode of discovery by satyrs, is, form the classical point of view, nonsense. The image struck nonetheless a responsive chord in Venice; it quickly became one of the most popular and respected of “ancient mythologies”. Few confusions, or perhaps deliberate combinations, have had as great an effect upon the Western iconographic tradition».

[13] Ivi, pp. 217-218.

[14] Ivi, pp. 219-223. cfr. G. Didi-Huberman, Ninfa moderna. Saggio sul panneggio caduto, Milano 2004 (ed. or. Id., Ninfa moderna: essai sur le drape tombé, Gallimard, Paris 2002), p. 123.

[15] M. Meiss, Sleep in Venice… cit., p. 224-225: «They understood it as a form of vacatio, which predisposed the soul to contemplation and to communication with the divine. These ideas, familiar to Bernardo and Pietro Bembo and other humanists of the Veneto, may not be directly reflected in the subjects we are considering but, like ancient conceptions of sleep, they are based on a positive evaluation of it».

[16] Ivi, p. 226.

[17] Ivi, p. 228: «This delicate fusion of the human and the divine, characteristic of the Renaissance, defines a precise analysis, but it is quite possible to say that the vacation of Apollo confounds the Muses and the arts».

[18] W.S. Heckscher, The Genesis of Iconology, in Stil und Überlieferung… cit., vol. III, pp. 239-262; O. Pächt, Künstlerische Originalität und ikonographische Erneuerung, in Ivi, pp. 262-271. cfr. R. Klein, La forma e l’intellegibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna, Einaudi, Torino 1975 (ed. or. Id., La forme et l’intelligible, Editions Gallimard, Paris 1970), pp. 242-243.

[19] L’attenzione per la componente stilistica dell’opera discendeva dalla prima formazione nel filone della connoisseurship americana accanto al maestro Richard Offner (1889-1965), elemento che non venne meno anche dopo la “svolta” iconologica. Su Richard Offner: H.R. Hope, Richard Offner (1879-1965), in “The Art Journal”, XXV, 1, 1965, p. 54; J. White, Obituary. Richard Offner, in “The Burlington Magazine”, CVIII, 758, 1966, pp. 262-263; B. Cole, Richard Offner and Modern Trecento Scholarship, in R. Offner, Studies in Florentine Painting. The Fourteenth Century, Junius Press, New York 1972; A. Ladis, Richard Offner: The Unmaking of a Connoisseur, in Id. (a cura di), A Discerning Eye. Essays on Early Italian Painting by Richard Offner, The Pennsylviania State University Press, University Park PA 1998, pp. 3-19; G. Bazin, Storia della storia dell’arte. Da Vasari ai nostri giorni, Guida Editori, Napoli 1993 (ed. or. Id., Histoire de l’histoire de l’art de Vasari à nos jours, Michel, Paris 1986), p. 519; H.B.J. Maginnis, Richard Offner and the Ineffable: A Problem in Connoisseurship, in C.H. Smyth, P.M. Lukehart, The Early Years… cit., pp. 133-144; G.C. Sciolla, La critica d’arte del Novecento, UTET, Torino 1995, pp. 148, 303-304.

[20] M. Meiss, The Painter’s Choice… cit., pp. VII-VIII: «Thus these papers attempt to give a larger role to style and to the imagination of the single artist than they were allowed in some preceding iconographic and iconologic studies».

[21] Ivi, p. IX.

[22] M. Meiss, Sleep in Venice cit., p. 279: «It may be illuminating sometimes to speculate about the iconographic consequences of “form”. More often we consider the reverse – the form given to a partly preconceived subject. Not infrequently, however, as in the present instance, we can recognize the prior appearance of a style with which a subject, adopted later, seems particularly concordant». La riflessione metodologica fu meno articolata nell’elaborazione successiva dell’articolo (1966), probabilmente in quanto la sede del Congresso fu un’occasione ideale per tali osservazioni.

[23] Ibid.: «Interpretations of the effect of form upon subject are more delicate and riskier than others, because they were rarely made by the artists themselves or their contemporaries, and written evidence therefore is lacking».

[24] Panofsky nei Studies in Iconology del 1939 così definì il significato intrinseco dell’opera d’arte: «quei principi interni che evidenziano l’atteggiamento fondamentale di una nazione, di un’epoca di una classe, di una convinzione religiosa o filosofica: principi che una singola personalità inconsapevolmente qualifica e condensa in una singola opera», in E. Panofsky, Studi di iconologia: i temi umanistici nell’arte del Rinascimento, Einaudi, Torino 1962 (ed. or. Id., Studies in Iconology: Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, Oxford University Press, New York 1939), p. 7.

Per la critica americana e Panofsky: H.W. Janson, Erwin Panofsky, Studies in Iconology: Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, in “The Art Bulletin”, XXII, 3, 1940, pp. 174-175; J. Lipman, Erwin Panofsky, Studies in Iconology: Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, in “Art in America”, XXVIII, 4, 1940, pp. 177-179; W. Stechow, Erwin Panofsky. Studies in Iconology: Humanistic Themes in the Art of the Renaissance, in “The Burlington Magazine”, LXXVIII, 454, 1941, p. 33; F.H. Taylor, Babel’s Tower: The Dilemma of the Modern Museum, Columbia University Press, New York 1945; C. Gilbert, On Subject and Not-Subject in Italian Renaissance Pictures, in “The Art Bulletin”, XXXIV, 3, 1952, p. 202.

Sul concetto di intenzione Gombrich nel 1972 scriveva: «È davvero all’intenzione che l’iconologo è anzitutto interessato? È ormai un po’ di moda negarlo, soprattutto da quando si è scoperto l’inconscio e il suo ruolo nell’arte sembra aver minato alla base la nozione, abbastanza semplice e diretta, di intenzione. Però vorrei qui obiettare che né il tribunale vero e proprio, né quello della critica potrebbero continuare a funzionare se noi realmente abbandonassimo la nozione di un significato voluto», in E.H. Gombrich, Immagini simboliche. Studi sull’arte nel rinascimento, Einaudi, Torino 1978 (ed. or. Id., Symbolic Images. Studies in the Art of the Renaissance, Phaidon Press, London 1979), p. 7.

[25] E. Panofsky, Early Netherlandish Painting. Its Origins and Character, Harvard University Press, Cambridge MA 1953. cfr. C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto… cit, p. 117.

[26] E. Panofsky, Meaning in the Visual Arts. Papers in and on Art History, Doubleday, Garden City NY 1955 (ed. it. Id., Il significato nelle arti visive, Einaudi, Torino 1962). cfr. E. Castelnuovo, M. Ghelardi, 97 Battle Road, in E. Panofsky, Il significato… cit., Torino 19962, pp. XVII-XXXVIII, in particolare pp. XXXI-XXXII.

[27] G.C. Sciolla, La critica d’arte… cit., p. 304: «In quel periodo, infatti, si afferma in alcuni centri di ricerca statunitensi un nuovo modo di fare storia dell’arte che, insoddisfatto di un’impostazione formalista e filologica tendeva a collegare e a spiegare i fatti figurativi con il contesto storico e culturale in cui questi eventi si avverano».

[28] M. Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death: The Arts, Religion and Society in the Mid-fourteenth Century, Princeton University Press, Princeton NJ 1951 (ed. it. Id., Pittura a Firenze e Siena dopo la Morte Nera. Arte, religione e società alla metà del Trecento, Einaudi, Torino 1982).

[29] Id., Sleep in Venice… cit., p. 229: «The trend in Venetian art we have been describing had deep roots, and its ramifications are subtler and more extensive than our brief account has shown. It is linked no doubt with peculiarities of Venetian history and Venetian culture. It was sustained by the Arcadian ideal in Venetian literature. The epithet initially applied to the city’s peaceful political policy and then to the republic itself – La Serenissima – clearly does not possess political connotations alone. No more compelling image of peace and serenity has ever been conceived than Giorgione’s Venus». Anche Wittkower, pochi anni prima, aveva letto l’arte di Giorgione alla luce dello sviluppo della letteratura arcadica e pastorale, cfr. R. Wittkower, L’Arcadia e il Giorgionismo, in V. Branca (a cura di), Umanesimo europeo e Umanesimo veneziano, Sansoni, Firenze 1963, pp. 473-484.

[30] D. Cohn, Et in Arcadia Ego, in E. Panofsky, Hercule à la croisée des chemins et autres matériaux figuratifs de l’Antiquité dans l’art plus récent, Flammarion, Paris 1999, p. 9: «Dès 1893, dans son étude sur Sandro Botticelli, Aby Warburg démontrait que le “motif du mouvement” qui insuffle une vie aux personnages du Printemps et de la Naissance de Vénus était un emprunt à l’antique auquel les artistes de la Renaissance avaient eu recours pour traduire leur propre excitation, leur élan intérieur. […] Panofsky fait d’ailleurs un emploi systématique de ce motif du mouvement, devenu dans le cercle du Warburg le critère même de la survivance de l’antique à la Renaissance».

[31] M. Meiss, Sleep in Venice… cit., p. 229: «Though the question is delicate, these choices do seem to correspond to choices made by both centers in the realm of form. It is not only Florentine painting that shows us that line and disegno have an affinity for action. The still figure, on the other hand, is more congenial to an art in which color and light move».

[32] E. Panofsky, F. Saxl, Classical Mythology in Medieval Art,in “Metropolitan Museum Studies”, IV, 1933, pp. 228-280. cfr. la recente traduzione italiana: Eidem, Mitologia classica nell’arte medievale, C. Cieri Via (a cura di), Aragno, Torino 1999.

[33] W.E. Kleinbauer, T.P. Slavens, Research Guide to the History of Western Art, American Library Association, Chicago 1982, p. 78: «With the “Classical Mythology” paper, which is more iconographical than iconological, the Warburgian interest in the surviving of paganism made its entry into American humanistic scholarship». E. Panofsky, F. Saxl, Classical Mythology… cit., p. 229: «In the present essay it will be our endeavor, while examining a single problem, to demonstrate the methods of research developed by Aby Warburg and his followers».

[34] E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, Feltrinelli, Milano 1971 (ed. or. Id., Renaissance and Renascences in Western Art, Almqvist & Wiksell, Stockholm 1960), p. 105: «Ogni volta che nel maturo e tardo Medio Evo un’opera d’arte prende in prestito uno schema da un modello classico, a questo schema si attribuisce quasi sempre un significato non classico, solitamente cristiano; ogni volta che nel maturo e tardo Medio Evo un’opera d’arte prende in prestito un tema dalla poesia, dalla leggenda, dalla storia o dalla mitologia del mondo classico, questo tema è senza eccezioni rappresentato secondo uno schema formale non classico, solitamente contemporaneo».

[35] C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto… cit., p. 78.

[36] E. Panofsky, Rinascimento e rinascenze… cit.; cfr. C.Cieri Via, Nei dettagli nascosto… cit., p. 132: «Riprendendo le osservazioni avanzate nel saggio del 1933 Erwin Panofsky analizza dettagliatamente il problema della continuità della forma rispetto al contenuto classico da una parte e dall’altra della interpretatio cristiana, che più spesso si può rilevare nella tradizione e nella trasmissione dei testi in rapporto al significato delle immagini e alla loro forma».

[37] Cfr. E.H. Gombrich, Hypnerotomachiana, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XIV, 1-2, 1951, pp. 119-125; Id., Renaissance Artistic Theory and the Development of Landscape Painting, in “Gazette des Beaux-Arts”, CXV, VI, 41, 1953, pp. 335-360 [ried. in Id. (a cura di), Essays in Honour of Hans Tietze, 1880-1954, Gazette des Beaux-Arts, New York 1958, pp. 117-142]; E. Tietze-Conrat, Titian as a Landscape Painter, in “Gazette des Beaux-Arts”, XCVII, VI, 45, 1955, pp. 11-20; H. Tietze, An Early Version of Titian’s Danae. An Analysis of Titian’s Replicas, in “Arte Veneta”, 8, 1954, pp. 199-208.

[38] O. Kurz, Huius Nympha Loci: A pseudo-classical inscription and a drawing by Dürer, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XVI, 3-4, 1953, pp. 171-177. Cfr. anche D. Wuttke, Zu Huius nympha loci, in “Arcadia”, III, 3, 1968, pp. 306-307.

[39] K. Clark, The Nude: A Study of Ideal Art, Murray, London 1956 (ed. it. Id., Il Nudo. Uno studio della forma ideale, Neri Pozza, Vicenza 1995). Per un recente studio critico sull’opera cfr. J.-P. Stonard, Art History Reviewed IX: Kenneth Clark’s “The Nude: A Study of Ideal Art, 1956, in “The Burlington Magazine”, CLII, 1286, 2010, pp. 317-321. Cfr. anche U. Weisstein, Kenneth Clark, The Nude: A Study in Ideal Form, in “College Art Journal”, XVI, 4, 1957, pp. 360-362; L.D. Ettlinger, The Nude in Art, in “The Burlington Magazine”, XCIX, 655, 1957, pp. 348-349.

[40] K. Clark, Il Nudo… cit., pp. 117-119.

[41] M. Meiss, The Madonna of Humility, in “The Art Bulletin”, XVIII, 4, 1936, pp. 435-464. Analogamente, quell’articolo nacque come intervento al XIV Congresso Internazionale di Storia dell’Arte di Berna del 1936.

[42] E. Panofsky, Imago Pietatis, in Festschrift für Max J. Friedländer zum 60. Geburtstage, Seemann, Leipzig 1927, pp. 261-308 (trad. it. in “Imago Pietatis” e altri scritti, Il Segnalibro Editore, Torino 1998, pp. 59-107); Id., Hercules am Scheidewege und andere antike Bildstoffe in der neuen Kunst, B.G. Teubner, Leipzig – Berlin 1930.

[43] Id., “Imago Pietatis”… cit., p. 104.

[44] M. Meiss, The Madonna of Humility cit., p. 435: «The popularity of the subject would seem to invite an inquiry into its content, the place and date of its origin, and the general tendencies which were factors in its creation».

[45] M. Meiss, “Ovum Struthionis”, Symbol and Allusion in Piero della Francesca’s Montefeltro Altarpiece, in D. Miller (a cura di), Studies in Art and Literature for Belle da Costa Greene, Princeton University Press, Princeton N.J. 1954, pp. 92-101.

[46] Ivi, p. 98: «It was apparently introduced in Italian painting around 1400, at a moment then of a widely diffused taste for lyric expression. […] Is it not probable that the delicate sentiment, the idyllic mood of much of the art of the time inhere also in the relaxed slumber of the Child, and are an essential reason for its representation?».

[47] Ivi, p. 99: «All of this proves then that for the late Middle Ages and the early Renaissance the figure of the sleeping Child had a considerable range of meaning. At times it was primarily lyrical, at others funereal. Occasionally it alluded to redemption and to that problem with which the Quattrocento was so greatly occupied, the relationship, or rather the coexistence, of the human and the divine». Gizella Firestone nel 1942 aveva pubblicato uno studio sull’iconografia del Bambino dormiente come prefigurazione della Passione, un motivo che aveva origine alla fine del XIV secolo in ambito veneziano e che rimase un tipo essenzialmente proprio all’arte dell’Italia settentrionale, cfr. G. Firestone, The Sleeeping Christ-Child in the Renaissance, in “Marsyas”, II, 1942, pp. 43-62. Si noti, inoltre, che la stessa Firestone ringraziò Offner, Karl L.H. Lehmann ed Edgar Wind per i suggerimenti nella stesura dell’articolo, facendo riferimento così allo stesso orizzonte critico di Meiss. Successivamente Creighton Gilbert negò ogni allusione alla Passione, citando la Regola di governo di cura familiare di Giovanni De Dominici quale fonte per comprendere l’uso didattico dell’immagine, pur ammettendone l’effettivo richiamo nella Pala di Brera: C. Gilbert, On Subject and Not-Subject in Italian Renaissance Pictures, in “The Art Bulletin”, XXXIV, 3, 1952, pp. 202-217, in particolare p. 207.

[48] Cfr. H. Murutes, Personifications of Laughter and Drunken Sleep in Titian’s ‘Andrians’, in “The Burlington Magazine”, CXV, 845, 1973, pp. 518-525; S. Howard, Covert References in the Dresden Venus and its Kin: Observations on the Mutation and Retrieval of Types, in Actas del XXIII Congreso Internacional de Historia del Arte: España entre el Mediterraneo y el Atlantico, atti del convegno di Granada 1973, 3 voll., Universidad de Granada departamento de historia del arte, Granada 1978, vol. III, pp. 533-551; E.B. MacDougall, The Sleeping Nymph: Origins of a Humanist Fountain Type, in “The Art Bulletin”, LVII, 3, 1975, pp. 357-365; P.P. Bober, The Coryciana and the Nymph Corycia, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, XL, 1977, pp. 223-239; J. Anderson, Giorgione, Titian and the Sleeping Venus, in Tiziano e Venezia, atti del convegno di studi di Venezia (27 settembre – 1 ottobre 1976), Neri Pozza Editore, Vicenza 1980, pp. 337-342; R. Goffen, Renaissance Dreams, in “Renaissance Quarterly”, XL, 4, 1987, pp. 682-706; P. Emison, Asleep in the Grass of Arcady: Giulio Campagnola’s Dreamer, in “Renaissance Quarterly”, XV, 2, 1992, pp. 271-292; Y. Hackenbroch, An Early-Renaissance Cameo “Sleep in Venice”, in M. Boskovits (a cura di), Studi di storia dell’arte in onore di Mina Gregori, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1994, pp. 92-95; J. Anderson, Giorgione. Peintre de la “Brièveté Poétique”, Lagune, Paris 1996, pp. 217-222.

[49] E. Panofsky, Problems in Titian, Mostly Iconographic, Phaidon, London 1969 (ed. it. Id., Tiziano. Problemi di iconografia, Marsilio, Venezia 1992). Lo stesso Meiss rimandò a questo saggio, cfr. M. Meiss, Sleep in Venice… cit., p. 219. A sua volta, era citato da Panofsky, cfr. E. Panofsky, Tiziano… cit., p. 191.

[50] C. Cieri Via, Nei dettagli nascosto… cit., p. 196. In quegli anni, anche Eugenio Battisti propose una lettura iconologica della Tempesta, che si prospettava come un’apertura metodologica rispetto al panorama critico italiano, cfr. E. Battisti, Un’antica interpretazione della «Tempesta», in “Emporium”, CXXVI, 1957, pp. 195-201, ried. in Id., Rinascimento e Barocco, Einaudi, Torino 1960, pp. 146-156, in particolare p. 146: «Questo disinteresse, naturalmente, è anch’esso un atteggiamento critico, si cui forse L. Venturi è il più esplicito rappresentante».

[51] M. Calvesi, La Tempesta di Giorgione come Ritrovamento di Mosé, in “Commentari”, XIII, n.s., 3-4, 1962, pp. 226-255. Calvesi affermò di avere fatto le prime osservazioni sul tema nel 1955 in occasione della mostra Giorgione e i Giorgioneschi (Venezia, Palazzo Ducale, 11 giugno – 23 ottobre 1955), ma di essersi “astenuto” dall’esporre le proprie tesi nel convegno veneziano dello stesso anno, cui, peraltro, partecipò anche Meiss, cfr. Ivi, p. 230.

[52] Id., La ‘morte di bacio’. Saggio sull’ermetismo di Giorgione, in “Storia dell’Arte”, 7-8, 1970, pp. 179-233. Calvesi aveva fatto qualche considerazione preliminare sul questo tema in un intervento precedente: Id., A noir (Melancolia I), in “Storia dell’Arte”, 1-2, 1969, pp. 37-96, in particolare pp. 95-96.

[53] F. Gandolfo, Il “Dolce Tempo”. Mistica, Ermetismo e Sogno nel Cinquecento, Bulzoni Editore, Roma 1978, p. 92. Si veda la significativa prefazione al volume, in cui Eugenio Battisti commentò: «Uno studio come questo giunge tardivamente alla stampa: più di dieci anni, che si debbono considerare una grave perdita culturale per tutti. Inoltre esso giunge isolato, invitandomi a fare altre riflessioni, questa volta spiacevoli. Le ricerche su fonti letterarie dirette sono molto rare nell’ambito della storia dell’arte, che se da un lato vanta una rinnovata corsa agli archivi per ricavarne notizie di cronaca, cioè date, documenti di commissioni e pagamenti, dall’altro vede ridursi di numero e di motivazione, anche a causa della perdita di conoscenza del greco, del latino, dell’italiano e del tedesco antichi, gli operatori capaci di compiere spogli larghi e sistematici, quali le strutture bibliografiche moderne agevolano, anzi impongono. Inoltre, l’iconologia, come ogni disciplina giunta alla decadenza, si nutre di se stessa: negli Stati Uniti di note di precedenti articoli in Art Bulletin, in Italia di continui e confusi riferimenti a fonti secondarie, arraffate alla meglio, sulla base di suggestioni acritiche, come denota l’eccezionale successo degli scritti sull’alchimia di Jung» (Ivi, pp. 12-13). Cfr. anche G. Lovatti, Francesco Gandolfo, Il ‘dolce tempo’ : mistica, ermetismo e Sogno nel Cinquecento, in “Arte Cristiana”, LXVII, 1979, p. 292.

[54] A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Feltrinelli, Milano 1980, p. 69: «La coincidenza iconografica del motivo della ninfa con il tipo della Venere dormiente in un paesaggio – dove l’esempio principe resta ovviamente la Venere di Dresda – trova allora puntuale riscontro sul piano dei significati, come elogio della forza generativa d’amore nel quadro della fecondità di natura». Il saggio di Meiss era infatti citato in nota a queste righe, cfr. Ivi, nota 17, p. 205.

[55] A. Gentili, Tiziano, Panofsky e l’iconologia in Italia, in E. Panofsky, Tiziano: Problemi di iconografia, Marsilio, Venezia 1992, pp. XV-XLI, in particolare p. XXVI.

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