modalità d'esame

per tutti gli studenti che dovranno sostenere l'esame di
Filosofia del Linguaggio mod.B a.a. 2009/2010


si rende noto che

-Il numero di battute dei propri elaborati dovrà essere compreso tra 14000 e 16000

-Bisognerà postare i propri lavori 14 giorni prima dell'appello scelto per sostenere l'esame

l'indirizzo e-mail a cui chiedere l'autorizzazione per postare è:
foucaultbarthes0910@gmail.com

per non avere problemi con le autorizzazioni si invita gli studenti ad utilizzare un indirizzo gmail per inoltrare le proprie richieste
Gli studenti che hanno usato il proprio account @mondoailati.unical.it per postare su altri blog relativi agli esami di Informatica, sono pregati di creare COMUNQUE un nuovo account

Programma d'esame

cicli: 07 e precedenti
A partire dalla sessione di giugno 2010 il programma d'esame consiste nello studio di:
-M.P. Pozzato, Semiotica del testo, Carocci
-Barthes, Variazioni sulla scrittura-Il piacere del testo, Einaudi
-Foucault, Ordine del discorso
e nella stesura di un elaborato da postare sul blog

venerdì 2 luglio 2010

Il piacere della poesia: tra immaginario e significanza.

Esistono un luogo e un tempo di lettura in tutti i testi. Esistono elementi pregnanti che caratterizzano la stesura definitiva di questa rete intricata di parole e di frasi. Infine esiste l’acutezza di uno scrittore, immerso in e con tutti i suoi sensi in un mondo di follia e delicatezza che rapisce il lettore nel viaggio avventuroso della propria individualità.

Il cammino inizia con le riflessioni di Roland Barthes, secondo il quale il testo, per essere un oggetto di piacere, deve accostare alla sua pura espressione formale una certa materialità, abolendo la falsa contrapposizione da sempre esistente tra vita pratica e vita contemplativa. Ciò di cui si parla in questa sede è un tipo particolare di testo, nel quale ciò che conta è la vita stessa delle parole nel loro stretto rapporto di significazione con l’oggetto materiale, sensuale. Un testo in cui la suddetta scissione trasmuta in piani espressivi che talvolta si confondono con piani del contenuto. Un testo chiamato Poesia.

Il testo viene delineato da Barthes come un “oggetto feticcio” che desidera e al contempo sceglie il lettore. Questo “feticcio” antepone il lettore attraverso tutta una serie intricata di schermi invisibili quali il vocabolario, i riferimenti e, nel caso della poesia, anche gli artifici dati dalle figure retoriche. Eppure, dietro questa fitta rete di cavilli selettivi, c’è sempre lui, l’autore, l’abile e machiavellico artifex, che costruisce un “mondo possibile” (nell’accezione aristotelica del termine); mondo che non è mera copia del reale ma uno strano oggetto ancora più coerente e significativo della realtà stessa.

Alla base della Poetica aristotelica, vi è un principio di universalizzazione. Quando si parla di universalizzazione, non si intende affatto una tipizzazione; ovvero ridurre le singole personalità a degli standard in cui tutti possono riconoscersi. Universalizzare significa scegliere i tratti significativi di un carattere per dargli, così, un senso totalizzante: farlo diventare rappresentativo di intere classi di individui. Ed è solo quando questa operazione riesce in pieno che il lettore può abbandonare la propria identità ed entrare in quella dei personaggi. La lettura è vista dunque come “identificazione nell’altro” ed implica allo stesso tempo la messa a fuoco della propria identità. Noi costruiamo il nostro io sempre in rapporto agli altri.

Come istituzione l’autore è morto: la sua persona civile, passionale, biografica, è scomparsa; spossessata. Ma nel testo, in qualche modo, il lettore desidera l’autore: ha bisogno della sua figura (che non è né la sua rappresentazione né la sua proiezione) come lui ha bisogno di quella del fruitore. (Barthes, p.27)

La poesia è dunque anche il racconto di un’identità nel quale si insinua l’occhio e il pensiero di un lettore che, tramite processi di universalizzazione fornitigli dal poeta, riesce ad attivare altrettanti processi di rappresentazione a partire dal testo dato.

Ma la poesia, ovviamente, non è solo questo. Bisogna ricorrere anche ad altri elementi oltre a quelli già elencati in precedenza. Sicuramente ce ne sono molti, così come molteplici possono essere le relazioni tra parola e immagine all’interno del contesto culturale, emotivo e sociale entro il quale si fa strada l’agire interpretativo del lettore.

Così per come accade nel testo inteso nella sua accezione più generale, sul piacere del testo poetico non è possibile alcuna tesi che indichi attraverso quali strutture un lettore di poesia tragga piacere da ciò che legge. Si potrebbe attuare una distribuzione della lingua in una forma particolare, una sequenza di rotture o collisioni tra le parole, una creazione di messaggi che vengano a modellarsi in frasi meticolosamente organizzate; senza però essere “così pure” da prendersi per esempi di grammatica. Ma così facendo, forse, si ricadrebbe nel godimento. Il piacere del testo è irriducibile al suo funzionamento grammaticale. Ma nell’ordine discorsivo del testo poetico questa “grammaticità” è tuttavia necessaria. La poesia è anche quello. Quindi è anche godimento? E’ bene considerare, però, che il piacere del testo, come sottolinea Barthes, è quando il corpo va dietro alle proprie idee poiché il corpo (bisogno fisiologico) non ha le stesse idee dell’individuo (entità psicologica). E’ anche vero che è nell’enunciazione e non nel susseguirsi degli enunciati (in tal caso dei versi) che bisognerebbe cercare la “crepa fra i due bordi”, la sua “volontà di godimento”. La poesia può essere (e sicuramente lo è) un testo di piacere nel momento in cui essa soddisfa, appaga, dà euforia e al contempo deriva dalla cultura ed è legata ad una pratica confortevole della lettura. Ma essa è anche un testo di godimento, in quanto il testo poetico è il più delle volte estremamente perverso e il suo estremo vuoto, mobile ed imprevedibile definisce il godimento nel lettore. Ma non può essere solo questo. Perché? Perché un’altra parola chiave della poesia è l’ emozione: un turbamento, un’immagine di mancamento, qualcosa di perverso sotto una facciata benpensante e contraddice alla regola generale che vuol dare al godimento una figura fissa. Allo stesso tempo, la poesia costituisce proprio l’emblema della natura asociale del piacere e della perpetua ricerca dell’individualità del lettore. Lo scrittore, il poeta, l’artista, in questo caso, è un medium.

Per concludere quanto è stato detto finora, la parola viene sì recepita come unità singola, monade magica, espressione e strumento del pensiero (Barthes); ma anche come infra tra corporeità e idealità. L’immaginario si prefigura come una facoltà propria della coscienza, anche se coscientemente può attingere ad elementi emergenti dall’inconscio. Nell’arte e, nello specifico, nella poesia, l’immaginario può essere usato in due modi:

  • in funzione di un obiettivo, come fanno Dante ed Omero, i quali raccontano per immagini una certa vicenda (reale o fantastica) per dire altro ed andare oltre il racconto stesso;
  • oppure tramite il proponimento di un’immagine, lasciando che il messaggio sia elaborato dal fruitore, come accade per esempio per il racconto di un individuo che sogna. E’ il caso di certe poetiche del ‘900.

Nel caso particolare del sogno, esso permette, sostiene, detiene, mette in piena luce una finezza estrema di sentimenti morali e, talvolta, persino metafisici. Il sogno fa parlare tutto ciò che è estraneo all’individuo stesso, ma solo consciamente. I due aspetti dell’immaginario non sono esclusivi ma compresenti in ogni testo di poesia, con maggiore caratterizzazione ora dell’uno ora dell’altro (Lucini).

Facendo riferimento alla distinzione tra raffigurazione e rappresentazione operata da Barthes, ci si rende conto che, quando si parla di testo poetico non si può che richiamare la natura intrinsecamente rappresentazionale di questo. La rappresentazione, in quanto “raffigurazione intralciata”, ingombrata da altri sensi oltre che da quello del desiderio, si prefigura come verosimiglianza del reale. Parlando della poesia e, nel caso specifico, del poeta o dello scrittore di poesia, egli descrive una certa realtà e lo fa in un certo modo perché non potrebbe farlo altrimenti. Dunque gli aspetti di verosimiglianza rappresentano soltanto quelli che in qualche modo egli condivide con una visione comune del mondo, che non per questo è più vera della sua visione (deformata, distorta, assurda, trasfigurata); tuttavia tali aspetti sono soltanto un imput per il lettore che ben presto si allontanerà da questi per seguire e ritrovare la sua individualità .

Ogni volta che cerco di “analizzare” un testo che mi ha dato del piacere, non è la mia “soggettività” che ritrovo, ma il mio “individuo”, il dato che fa il mio corpo separato dagli altri corpi e gli appropria la sua sofferenza o il suo piacere: è il mio corpo di godimento quello che ritrovo. (Barthes, p.61)

L’immaginario quindi parte dai sensi per poi ritrovarsi nella psiche dell’individuo tramite rapporti associativi di parole e immagini. Ma è chiaro che l’immaginario non è di per sé opera d’arte. E’ impossibile costruire un’immagine senza che, in qualche modo, un significato l’accompagni (intenzionale dell’autore o “trovato” dal fruitore). Infatti il significato è già esistente, dal momento che esiste un autore che si accinge a creare un’opera d’arte. E’ quel tipo di operazione (mentale) che può catalogarsi come intenzione. Se, da parte dello scrittore, questa intenzione viene a mancare, la poesia o qualsiasi tipo di opera d’arte non la crea l’artifex, ma chi la trova dentro quello che questi scrive (Lucini).

Eppure l’immaginario talvolta viene ad essere un agglomerato selettivo di reti inconsce nelle quali rimangono imbrigliate le forme già presenti nel testo. Ma in che modo?

In Omero, ad esempio, è notevole la particolarità di alcune forme aggettivali ricorrenti, ad esempio: il pelago “sonoro”, la dea “dalle bianche braccia”, o l’aggettivo “orrendo” riferito alle armature degli Achei, l’attributo “azzurrino” riferito allo sguardo di alcuni dèi come Giove e soprattutto Minerva. Queste attribuzioni ricorrenti, non solo hanno una caratteristica fortemente evocativa, ma in qualche modo vogliono accreditarsi come caratteristiche tipiche del personaggio o dell’oggetto descritto. Nell’essere “sonoro” del mare si ripercuote il moto perpetuo e vitale delle onde, il rispetto dell’uomo greco per la magnificenza e per la potenza del mare. “Sonoro” è quasi onomatopeico della risacca che si rifrange sulla spiaggia, è un aggettivo mobile, musicale, dotato di forza, essenza del sublime e mistero. Ed è necessaria una singola parola, un aggettivo, per dire tutto questo del mare e al contempo offrire un’idea del rapporto dell’uomo greco con il mare. Certo è che la critica assume un ruolo importante nell’interpretazione di un testo e l’immaginario si scatena anche con l’attributo “azzurrino” riferito agli occhi di Minerva. E, in ogni caso, ciò che sollecita l’immaginario del lettore è domandarsi il perché della scelta di taluni aggettivi specifici per un particolare tratto riconoscitivo. E’ proprio questa particolarità dell’aggettivo, che incuriosisce.

Si è già detto come immaginario e significato in un testo non siano necessariamente legati. Nella poesia, però, questi due elementi sono necessari all’interno dell’interpretazione del testo. Questo accade perché, come si è visto, l’immaginario non fa il testo poetico e tuttavia non basta l’attribuzione di significato ad una sequenza di parole perché si possa parlare di poesia. E’ proprio in questo “dubbio metodico di attribuzione” che bisogna inserire quella che Barthes chiama “significanza”.

Che cos’è la significanza? E’ il senso in quanto prodotto sensualmente. (Barthes, p.60)

La ricerca di una teoria che tenti di individuare un soggetto materialista ha portato a varie conclusioni a seconda delle fasi di sviluppo che si è scelto di prendere in considerazione.

Ad esempio, la ripresa di una via psicologica per cui vi è una critica nei confronti delle illusioni di cui si circonda il soggetto immaginario, può condurre ad una vertiginosa scissione del soggetto. Inoltre, l’abbandono di una visione più individualistica può condurre alla generalizzazione del soggetto stesso. Questo, però, non vuol dire operare una collettivizzazione di questo, operarne una massificazione. Tuttavia queste due strade divergenti hanno fatto in modo che si ponesse un terzo problema collegato ad una terza, possibile soluzione: l’interpretazione.

Non si ha il diritto di domandare chi è dunque che interpreta? E’ l’interpretazione stessa, forma della volontà di potenza, che esiste (non come essere, ma come un processo, un divenire), in quanto passione. (Nietzsche)

E’ questo elemento a far sì che il soggetto torni ad essere visto come tale, nella sua individualità materiale, in quel gioco di finzione necessario ad attuare un processo di riconoscimento e di interiorizzazione del testo. E’ tutto ciò che caratterizza un lettore di testi, soprattutto se poetici. Però, questa finzione che permette al lettore di abbandonare per un attimo la propria identità per entrare ad essere una parte di quella dei personaggi, implica il principio aristotelico dell’ universalizzazione (trattato in principio); ciò vuol dire che il senso totalizzante che si costruisce all’interno del rapporto lettore- testo, implica un’individualizzazione del soggetto e questo non collide con quanto detto prima circa il pericolo di massificazione del soggetto fruitore.

Secondo il concetto di significanza trattato da Michaelle Riffaterre, si ha che in un testo letterario ogni singola parola interagisce con le altre in un determinato contesto per determinarne l’ effetto di senso. Per Barthes, invece, si è già specificato come la significanza faccia comunque riferimento al senso in quanto prodotto sensuale. Da qui tutti quei discorsi sulla finzione e sull’individuazione- individualizzazione del lettore all’interno del testo stesso. Ancora secondo Riffaterre, l'unità di senso del testo non sarebbe data dalle singole parole ma da tutto il testo. Nel caso particolare della poesia questa affermazione si rivela presto traballante.

Infatti, l’effetto di senso dato dalle singole parole in un determinato contesto è presente, esiste; ma non nella maniera indicata da Riffaterre. Si possono considerare in poesia (e solo nel discorso poetico) parole che hanno valenza autonoma e autoreferenziale. Ad esempio, un verso composto da una singola parola racchiude in sé un significato molto più “sensibile” e “sentito” di quanto invece non possa dare un verso costituito da una proposizione compiuta che sta al posto di quella parola. L’effetto non sarebbe lo stesso.

E’ opportuno sottolineare, però, che in ogni caso la parola all’interno di un verso poetico ha doppia valenza: essa infatti è dotata di una forza propria, a sé stante che permette al lettore di interiorizzarla conferendole un significato e al contempo è “ordinata” in una scala gerarchica di parole “scelte” dall’autore al fine di un conferimento di senso ( sempre da parte del lettore) in relazione a tutte le altre parole e/o frasi che compongono il testo. Ed è solo in virtù dell’unione di questi due “valori della parola” che si costituisce il “senso totalizzante” espresso dal concetto del linguaggio letterario di Riffaterre.

Forniamo un esempio di quanto detto fin ora e prendiamo in considerazione una poesia di Giuseppe Ungaretti (credo che la Poesia Ermetica sia una delle forme più adatte per dimostrare questa tesi) :

G: Ungaretti, Soldati

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.

Come si può notare, a prescindere dalle numerosissime analisi testuali che sono state effettuate sulla poesia, la scelta dell’autore è ricaduta su particolari parole che sono caratterizzate da quella doppia valenza referenziale di cui si è parlato prima. In particolare, la parola “foglie” deve essere considerata in relazione al resto delle parole presenti nel testo, le stesse che contribuiscono a formare il contesto poetico. Ma la parola “foglie” possiede già in sé il senso di fragilità e caducità propria del senso che l’ Ungaretti vuole esprimere con il suo componimento, nella metafora che egli sceglie in rapporto ai soldati sul campo di guerra. La caducità delle foglie è rapportata alla caducità della vita e così la foglia assume il valore di “metafora della vita”. Anche se proviamo a considerare la singola parola “foglie” come elemento in cui scorre linfa (vitale) ci accorgiamo di un senso profondo che caratterizza il termine stesso. Ma l’unica cosa che ci permette di operare tali considerazioni è il contesto in cui viene inserita tale parola. Per meglio dire, la “metafora della vita” così come l’abbiamo chiamata qui, è vista come tale ed ha un senso solo in rapporto al contesto formato dalle altre parole e, in senso più stretto, ha un senso solo in virtù del fatto stesso che ciò che la contiene è una poesia. In effetti, per un verso, la parola “foglie” ha già un suo significato ma questo è reso più evidente se ricollegato all’immagine dei caduti o dei soldati che stanno ancora combattendo in guerra. Questo lo si capisce se e solo se relazioniamo la parola con il contesto di appartenenza, distaccandoci dal considerarla a sé stante, con tutte le interpretazioni semiologiche e, perché no, psicologiche che da essa derivano.

Testo vuol dire Tessuto; ma laddove fin qui si è sempre preso questo tessuto come un prodotto, un velo già fatto dietro al quale, più o meno nascosto, sta il senso (la verità). (Barthes, p. 63)

Nella nozione di significanza proposta dagli autori che abbiamo trattato non può ovviamente essere escluso l’autore. E’ in un certo senso vero che il senso prodotto sensualmente appartiene in gran parte alla decodifica da parte del lettore ma è anche vero che quello stesso lettore non sarebbe in grado di dare un senso al testo senza un contesto fornitogli dall’autore. Contesto che, talvolta viene a crearsi all’interno del testo stesso. Ci viene qui in aiuto Michel Foucault, per il quale l’autore è principio di raggruppamento dei discorsi, unità di origine dei loro significati. E’ importante sottolineare che l’autore sceglie le parole che avranno la funzione di comporre un’opera che rimarrà nel corso del tempo invariata ed appartenente al tempo in cui è stata scritta e propone nella quotidianità altre parole, che invece cadranno. L’autore che ritroviamo nel testo limita il discorso alla sua individualità cercando di dare coerenza alle infinite possibilità del linguaggio. E’ lo stesso autore che ritroviamo all’interno della poesia nelle più svariate sfaccettature della sua individualità. Tra il testo dell’autore e la propria individualità l’occhio del lettore si insinua al fine di trarre piacere, interponendosi tra ciò che è il mondo dell’autore e ciò che è il testo. Qui i versi, le parole, i suoni, le metafore, costituiscono il sottile spiraglio di senso proiettato da una porta lasciata volutamente socchiusa in un’ intenzionalità atta a dischiudersi in un piacere nell’ infra tra i due mondi.

Silvia Russo



Nessun commento:

Posta un commento