FORME DELLA
MEDITAZIONE LAICA IN OCCIDENTE
di Franco Zambelloni
Indiscutibilmente
il punto d'avvio della meditazione occidentale può essere
rintracciato nel motto delfico "Conosci te stesso", fatto
proprio da Socrate. La ricerca della Verità diviene, con
Socrate, in primo luogo ricerca della verità di sé,
dentro di sé.
Fiatone esprime
con una metafora il cambiamento radicale che deve precedere e rendere
possibile la meditazione: la ricerca della verità è
un rovesciamento dello sguardo (Repubblica,VIl, 514a - 519d).
Il processo conoscitivo si rovescia dunque dall'esterno all'interno.
E un ripiegare in se stessi, una "discesa nell'abisso",
per usare espressioni di Baudelaire e di Nietzsche.
Questa "conversione", nel senso etimologico, è
sintetizzata nella celebre sentenza di Sant'Agostino: "Noli
foras ire: in te ipsum redi.
In intcriore homine habitat veritas".
Due procedimenti, dunque, stanno alla base della meditazione occidentale:
il ripiegare in se stessi volgendo verso l'interno lo sguardo dell'anima,
e la solitudine come condizione preliminare della conversione dello
sguardo.
La solitudine può essere raccomandata in varie forme, ma
lo è sempre: Seneca raccomanda a Lucilio: "Devi fuggire
i molti, i pochi, perfino il singolo" (Epistulae, X); gli ordini
monastici esaltano la solitudine meditativa, la "Beata soli-ludo,
sola beatitudo" come la definiva San Nilo Abate; per Cartesio
la via della conoscenza è applicarsi allo studio con lo "spirito
libero da ogni cura", essendosi "procurato un riposo sicuro
in una pacifica solitudine" (Descartes, Meditationes, I).
Storicamente,
occorre però dire che questo scavo inferiore ha avuto due
esiti differenti.
L'uno di tipo religioso: la discesa nel profondo di sé come
scoperta del Dio che è in noi (Sant'Agostino e, più
drammaticamente, Pascal).
L'altro, di tipo laico: ed è quest'ultimo che seguiremo qui.
Dal socratismo
iniziale discende comunque, per entrambi gli indirizzi, la pratica
dell'introspezione e dell'esame di coscienza.
Questo porta
alla separazione del soggetto dall'oggettività del mondo.
L'abitudine a separare, nella riflessione, il soggetto e l'oggetto
- o piuttosto, l'abitudine a risolvere l'oggettività del
mondo nella soggettività della coscienza - ha contribuito
non poco allo sviluppo della scienza e della tecnologia occidentali:
favorendo l'astrazione della materialità delle cose, ha agevolato
quei processi di pensiero che, specie nel Seicento, hanno consentito
di trascrivere la realtà dei fenomeni nell'astrazione del
linguaggio matematico.
Il mondo, in altri termini, è diventato per noi un linguaggio
(Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus), o meglio il sistema
dei linguaggi che noi usiamo per disciogliere il mondo nella soggettività
della coscienza.
Non è certo un caso che il modello insuperato - in età
moderna - del procedi-
mento meditativo sia dato da Cartesio, nella cui opera si consacrano
insieme la scoperta del soggetto pensante - della res cogitans -
e della geometria analitica come linguaggio matematico in grado
di descrivere il mondo.
Con Cartesio si afferma dunque il primato del soggetto sull'oggetto.
Le Meditationes de prima philosophia mostrano con chiarezza l'idea
del metodo che si viene affermando.
Il procedimento è rigorosamente razionale, il dubbio metodico
come via di accesso alla conoscenza conduce a una verità
assiomatica, apodittica, "moregeometrico demonstrata".
È estremamente significativo che il documento più
bello di una meditazione moderna sia anche un modello di razionalità
scientifica.
Occorrerà
anche notare che l'estraneità al mondo, ottenuta attraverso
questa riduzione dell'oggetto al soggetto, ne ha consentito il dominio:
noi dobbiamo probabilmente anche al soggettivismo moderno e cartesiano
lo sviluppo della scienza e della tecnologia occidentali.
Ma è
inevitabile provare un certo imbarazzo tracciando delle categorie
così nette.
La cultura occidentale è estremamente complessa e multiforme,
ed è ovvio che anche la pratica meditativa lo sia.
Di fatto, in età moderna e contemporanea, occorrerà
distinguere almeno due diverse forme fondamentali di meditazione.
L'una è
quella che riprende e prosegue la meditazione razionalistica cartesiana
(che si prolunga, ad es.
, in Husserl e nella fenomenologia del primo Sartre e di Merleau-Ponty;
e, a mio avviso, da origine anche alla psicologia del profondo di
Freud).
Come è chiaro in Husserl, la meditazione tende a cogliere
non l'oggetto mondano, ma il significato intenzionale che la coscienza
conferisce all'oggetto.
Il mondo, ancora una volta, si riduce al soggetto o alla serie degli
atti intenzionali che assor-bono il mondo nell'io e lo rendono significativo
per la coscienza.
L'altra via
della meditazione è quella che invece privilegia altre forme
di analisi della coscienza: meno razionalistiche, infra-logi-che,
e non di rado classificate o liquidate come "irrazionalistiche".
L'intuizione - un concetto assai vago, perché scarsamente
definibile in termini concettuali e certo non riducibile alla ciarle
cartesiana -diventa l'atto conoscitivo per eccellenza: questa modalità
conoscitiva emerge nel Rousseau delle Rèveries d'un promeneur
soli-taire e percorre la tradizione francese fino al Bergson dell'Evolution
créatrice e al Bachelard di L'eau et les réves, La
poetique de la réverie o La fiamme d'une chandellc).
La quinta Réverie di Rousseau mostra bene che nell'atto intuitivo
i confini tra soggetto e oggetto si vanno facendo sfocati e indefiniti:
una sorta di dilatazione della coscienza, sostanzialmente di tipo
mistico,
consente all'anima rousseauiana di fondersi con il mondo e con l'infinito:
si opera così una sorta di Einfuhlung, di immedesi-mazione
con la Natura, che sarà poi variamente ripresa e sempre cara
alla poetica romantica, da Novalis a Rimbaud a Baudelaire a Ralph
Waldo Emerson.
.
.
Vi sono Frammenti di Novalis che riescono illuminanti al riguardo:
"Capiremo il mondo quando capiremo noi stessi, perché
esso e noi siamo metà integranti.
Noi siamo figli di Dio, germi divini.
Ungiamo saremo ciò che è nostro Padre" (fr.
1700).
"Noi siamo in rapporti con tutte le parti dell'universo, come
pure con l'avvenire e col passato.
Dipende soltanto dalla dirczione e dalla durata della nostra attenzione
quale rapporto vogliamo sviluppare di preferenza, quale debba diventare
per noi il più importante ed efficace" (fr.
1703); "Noi siamo contemporaneamente nella natura e fuori di
essa" (fr.
1708).
È,
in fondo, la nostalgia della natura, che riemerge in questa forma
alternativa e antagonista di introspezione: quasi una reazione e
un rigetto di quel primato della coscienza che, nella tradizione
cartesiana, consente l'assoggettamento razionalistico del mondo
ma causa anche l'isolamento del soggetto e il suo esilio dalla natura.
È la nostalgia che si esprime nell'Hyperion di Hòlderlin:
"La beata unità, l'essere nell'unico senso della parola,
è per noi perduto.
E abbiamo dovuto perderlo per poi agognare a riconquistarlo [.
.
.
].
Siamo venuti in dissidio con la natura, e ciò che una volta,
come è da credere, era Uno, recalcitra ora, e alterna signoria
e servitù da entrambe le parti.
Spesso è per noi come se il mondo fosse tulio e noi nulla,
spesso però anche come se noi fossimo tutto e il mondo nulla
[.
.
.
].
Porre fine a quell'eterno conflitto fra noi e il mondo, riconquistare
la pace di tutte le pad [.
.
.
] , unirci con la natura a un tutto infinito, questo è lo
scopo di ogni nostro tendere.
" (Prefazione ali''Hyperion, 1793-94).
L'Occidente
si mostra dunque scisso, nelle sue forme della meditazione, così
come è scisso e talvolta schizofrenico nei suoi atteggiamenti
verso la natura e l'ambiente.
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