Inizio - Attualità »
Presentazione »
Approfondimenti »
Notizie archiviate »
Notiziari »
Arretrati »
Selezione in PDF »
Articoli vari»
Testimonianze »
Riflessioni »
Testi audio »
Libri »
Questionario »
Scrivici »
Approfondimenti



Invidia, motore dell'Olocausto

Claudio Guidi

BERLINO - Da quasi settant'anni gli storici di tutto il mondo si arrovellano per cercare di capire come sia potuto accadere che un paese civilissimo come la Germania, patria di geni del pensiero e della musica come Goethe, Hegel, Bach e Beethoven, sia potuta scendere ad un livello di barbarie tanto abietto da mettere in atto lo sterminio di sei milioni di ebrei.
   Una risposta convincente arriva adesso dal libro dello storico berlinese Götz Aly, "Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Uguaglianza, invidia e razzismo", Editore S. Fischer, che con 336 documentatissime pagine suscita l'entusiasmo incondizionato della stampa tedesca. Aly prende in esame la storia tedesca dal 1800 al 1933 e giunge alla conclusione che il motore principale dell'antisemitismo germanico è stato il Neid, l'invidia verso gli ebrei, che in Germania si erano emancipati socialmente e politicamente dopo la conquista napoleonica. Lo storico spiega che "appena conquistata la libertà per l'esercizio delle varie professioni, gli ebrei avevano ingranato la marcia più alta. Nel 1900 i ragazzi ebrei berlinesi con la maturità in tasca erano dieci volte più numerosi di quelli di religione cristiana, a Francoforte gli ebrei pagavano quattro volte più tasse dei protestanti e otto volte di più dei cattolici".
   Animati da un forte desiderio di scalata sociale, i cittadini di religione ebraica avevano puntato soprattutto sull'istruzione dei loro figli, con il risultato che questi, a dispetto del fatto che la loro comunità costituiva l'1% della popolazione, si ritrovavano enormemente più rappresentati nelle università e nell'esercizio delle professioni liberali rispetto ai cittadini di fede cristiana. Lo storico sottolinea che, sentendosi penalizzati da una situazione del genere, i tedeschi avevano cominciato a nutrire quel risentimento che si trasformò in odio e che venne poi abilmente sfruttato dai nazisti. Già nel 1912 il sociologo Werner Sombart scriveva che gli ebrei erano in media "molto più intelligenti e attivi di noi", con la conseguente richiesta di espellerli dalle università, altrimenti "tutte le cattedre finirebbero per essere occupate da ebrei".
   Aly spiega che fra le cause maggiori dell'antisemitismo in Germania figura un "complesso di inferiorità" di larghissimi strati della popolazione, sfociato poi in un'invidia senza freni. Un'invidia provocata da "una sensazione di debolezza, mancanza di intelligenza economica della maggioranza dei cristiani tedeschi nei riguardi degli ebrei, che invece si lanciavano con grande dinamismo verso la modernità". Da qui la fuga nell'associazionismo, non solo di tipo privato, ma anche politico, con il risultato che il desiderio di uguaglianza ad ogni costo contro chi aveva più successo, sostenuto e propagato anche dal nascente movimento operaio, ha finito senza volerlo per fornire munizioni ideologiche all'antisemitismo. "Su questa base", scrive Aly, "sono sorte le premesse politiche per i crimini di massa del XX Secolo e, pur con tutte le sue peculiarità, anche per l'Olocausto".
   Non è un caso che lo stesso August Bebel, cofondatore del partito socialdemocratico tedesco, parlava dell'antisemitismo come del "socialismo degli imbecilli". Nella sua voluminosa ricerca lo storico berlinese presenta rivelazioni abbastanza sensazionali di personalità del movimento democratico, che alla metà dell'Ottocento manifestavano opinioni fortemente antisemite, elemento finora sottaciuto dalla storiografia tedesca moderna.
   L'esempio più clamoroso è quello del poeta democratico August Heinrich Hoffmann von Fallersleben, autore dei versi del Lied der Deutschen, l'attuale inno nazionale tedesco, che nel 1840 scriveva questo terribile verso contro il popolo di Israele: "Ci hai rubato la nostra patria tedesca da sotto i piedi". Per non parlare del poeta romantico Achim von Arnim, fondatore dell'associazione patriottica Deutsche Tischgesellschaft, la tavolata tedesca, chiamata a "difendersi con ogni forza da filistei ed ebrei, per poter crescere nel bene".
   Non faceva eccezione nemmeno lo storico marxista Franz Mehring, quando nel quotidiano del partito socialdemocratico Vorwärts, avanti, scriveva che i piccoli-borghesi economicamente rovinati potevano trovare "nell'insegnamento antisemita un istruttivo corso propedeutico verso la socialdemocrazia", con il risultato che presto "antisemitismo e socialismo" avrebbero fatto fronte comune contro il liberalismo borghese.
   La tesi di Aly è che "l'odio per gli ebrei si è formato e diffuso nell'Ottocento in tutti i ceti sociali e non permette di distinguere tra tedeschi buoni e cattivi, poiché anche tra chi nel 1848 propugnava la rivoluzione democratica gli antisemiti si sprecavano". L'allarmante conclusione del libro è che l'invidia dei perdenti per i gruppi sociali più abili continua ad essere presente come una mina vagante. "Un evento, simile nella sua struttura all'Olocausto, può sempre ripetersi", scrive Aly. Per questo "non bisogna credere che gli antisemiti di ieri siano persone tanto diverse da quelle di oggi".

(Il Secolo XIX, 18 agosto 2011)