I miei saggi

L'”ADDIO AI MONTI” DI ALESSANDRO MANZONI: LA RIRICA DELL’EMIGRANTE DI IERI E DI OGGI

“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.”

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Il 2011 è stato un anno segnato da eventi radicali, tra i quali le ingenti migrazioni di persone dal Nordafrica verso l’Europa; in particolare, i continui approdi all’isola di Lampedusa di numerose imbarcazioni provenienti dalla Tunisia, e i tragici naufragi avvenuti lungo il tragitto, hanno riempito le nostre cronache nella prima metà dell’anno. L’“Addio monti” di Alessandro Manzoni, una delle pagine più grandiose della letteratura mondiale, ci offre proprio l’occasione di affrontare con profondità d’animo il tema dei flussi migratori e della carica drammatica che essi si portano dietro. Questo stupendo brano, infatti, unisce tutta la potenza del suo alto lirismo e della sua carica emotiva con l’eterna attualità di una tematica che ci scuote e colpisce.

L’“Addio ai monti” è la parte conclusiva del capitolo ottavo de “I promessi sposi”, capolavoro di assoluta bellezza nel patrimonio culturale dell’umanità. La scena di riferimento è quella in cui Renzo e Lucia, seguendo il piano di fra Cristoforo,  scappano dal loro paese su una barca che salpa verso l’Adda, al fine di sottrarsi ai malefici intenti di Don Rodrigo. Nello specifico, il celebre brano riferisce i pensieri accorati di Lucia che, piangendo silenziosa stando seduta nel fondo dell’imbarcazione, osserva assorta il luogo natio allontanarsi sempre più.

Nell’attacco, Lucia rivolge il suo triste addio agli elementi salienti del caro paesaggio (i monti del lecchese, i torrenti e i villaggi che li percorrono), paragonati ad altrettanti soggetti viventi (i familiari, le loro voci, le pecore che pascolano). Poi, dentro di sé prende in considerazione coloro che emigrano per scelta volontaria, spinti dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. Il monologo interiore della protagonista si fa addolorato quando l’attenzione viene riportata su chi, come ella stessa, si trova costretta a fuggire dal proprio paese per cause di forza maggiore, senza fini che vadano oltre la pura salvezza personale e senza certezze di rientro. Per queste persone la felicità era già lì, nei posti e nelle case a cui si sentono emotivamente legate, e non avrebbero mai sfiorato l’idea di andarla a cercare altrove. Il testo si chiude proponendo quello che è il fine ultimo dell’opera manzoniana: il concetto secondo il quale la fede nella Provvidenza divina consente di tollerare e superare anche le più gravi tragedie, tiene accesa la speranza di risoluzione dei guai e dà il conforto di sapere che, se proprio dovesse andare male, si sarà ricompensati almeno nella vita ultraterrena.

In questo passo dall’enorme valore letterario, “don Lisander” utilizza un taglio nettamente poetico, innalzando il tenore della scrittura rispetto al resto del capitolo, attraverso l’ingresso diretto nella mente di Lucia e il ricorso ad un linguaggio mirato che ben ne descrive i pensieri, i sentimenti e le vive emozioni. Il tono diviene commovente e solenne nei punti in cui Lucia saluta una per una le cose amate, punti segnati dall’anafora data dalla scansione della parola “Addio!”. Questa crescita d’intensità della malinconia è interrotta a metà dall’immagine dell’emigrante che si prefigura di rientrare al “campicello” del suo paese per comprarsi la “casuccia” desiderata, termini questi che trasmettono un senso di tenerezza e sdrammatizzano il discorso. L’afflizione riprende di nuovo, per poi stemperarsi con le considerazioni di carattere religioso sul vivere in nome di Dio (l’animo fattosi sereno “cantando le lodi del Signore”) e sul matrimonio che benedice e santifica l’amore, idee che introducono alla distensione finale comunicata dalla fiducia in grandi gioie al termine della sofferenza.

L’“Addio monti” è stato composto dal Manzoni nella prima metà dell’Ottocento, ed è ambientato nel 1628 sulle acque nei pressi di Lecco; ciò nonostante, come si è detto, questo brano ha il pregio di trattare tematiche universali, valide in ogni contesto storico-geografico. Esso stimola una riflessione sul tema delle migrazioni, mettendo sotto la lente di ingrandimento ciò che una persona può provare nel malinconico momento in cui avviene il distacco dalla terra natia, emozioni che si fanno ovviamente più forti tanto più l’esodo viene subito o imposto, come nell’estremo caso dell’esilio. In particolar modo, la parte in cui l’autore si immedesima in colui che dalla campagna giunge in città, descrivendone bene la sensazione di disagio e soffocamento, ci conduce al tema delle ripercussioni psicologiche connesse al fenomeno dell’urbanizzazione, problematica rilevante sino a non molto tempo fa e manifestatasi prepotentemente proprio nel secolo in cui il Manzoni scriveva. Considerando invece gli eventi più recenti, l’“Addio monti” si presta facilmente ad essere rapportato ai pensieri e ai sentimenti degli emigranti dalla Tunisia all’inizio del loro lungo e disumano viaggio verso una vita decente, scappando da povertà e violenze. Ognuna di quelle persone disperate, ammassate a bordo di precari gommoni in balia del Mediterraneo, guardando le coste del proprio Paese farsi lontane deve aver provato sensazioni non lontane da quelle di Lucia ne “I promessi sposi”. Immagino che nelle loro menti siano passate analoghe ombre cupe, e nei loro cuori simili lampi di sgomento, amplificati dal fatto angosciante di non aver nemmeno la certezza di vedere il termine del viaggio senza finire inghiottiti dai gelidi flutti del mare. Anche loro avranno vissuto l’afflizione di lasciare parenti e amici, ambienti e situazioni familiari in cambio di un destino ignoto…Ancora, il passaggio de “I promessi sposi” su cui è incentrato questo articolo propone il concetto sempre valido della speranza in qualcosa che permetta di scavalcare ogni sorta di ostacolo. Per Lucia è la fede in Dio, così come credo la stessa cosa sia valsa per molti dei migranti nordafricani, ma qualsiasi persona che abbandona il luogo d’origine per un altro sconosciuto deve per forza aggrapparsi ad un qualche appiglio per mitigare le difficoltà, sia esso il solo proposito di conseguire un obiettivo o di realizzare un sogno.

La bellezza dell’“Addio monti”, oltre che nella profondità e nella vivacità dello stile e del linguaggio, così curati da creare una forte empatia con il personaggio e la situazione che vive, sta proprio nella sorprendente applicabilità di tematiche e messaggi importanti ad ogni luogo ed epoca, come del resto avviene per l’intero romanzo che lo contiene, sempiterno ed indimenticabile.

5 pensieri riguardo “L'”ADDIO AI MONTI” DI ALESSANDRO MANZONI: LA RIRICA DELL’EMIGRANTE DI IERI E DI OGGI

  1. Hai fatto un pezzo veramente bello, nato dalla tua capacità di accostare l’Addio Monti al dramma dei migranti, che sembrerebbe, a posteriori, scontato ma che a me , ad esempio, che pur conosco molto bene il brano non è mai venuto in mente.

  2. Ciao, la mia professoressa mi aveva dato proprio questo tema da svolgere, se non altro avrò da dove prendere spunto, complimenti davvero ben scritto, inoltre ci fa riflettere molto. Grazie 🙂

  3. da sempre collego questo bellissimo ‘addio monti’ al mio piccolo paese di una valle bergamasca, troppi addi ci son stati e troppi contnuano a esserci. vivo il dramma ogni giorno. grazie

  4. Complimenti! Non avevo mai riflettuto più di tanto sulla questione degli immigranti ma leggendo questo, per scrivere un tema sull’addio monti, mi si sono aperti gli occhi! è scritto benissimo e in una maniera semplice ma diretta.

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