Grazie per la disponibilità mi dici un po’ la tua esperienza e cosa ti ha portato a fare il mediatore?

Ho iniziato del tutto casualmente ad occuparmi di metodi negoziali di gestione dei conflitti ed a studiare le tecniche di negoziazione nel 2003, dopo una decennale esperienza come avvocato, dapprima processualista, poi sempre più “contrattualista”. Da lì a poco ho cominciato ad occuparmi anche di mediazione nei settori civile, commerciale, sociale e culturale, da intendersi come attività di negoziazione assistita da un terzo puramente facilitatore. Negli anni successivi, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, è stato avviato in Italia il primo sistema di conciliazione in materia civile e commerciale gestito da organismi iscritti al Registro presso il Ministero di Giustizia e mi sono perciò anche accreditata come Conciliatore presso alcune Camere di Commercio, cominciando a praticare la mediazione, sia come mediatore sia come avvocato in mediazione. Praticando la mediazione mi sono resa conto che la formazione del mediatore è un tassello fondamentale per svolgere questa professione al meglio e che a tal fine non è sufficiente la sola formazione giuridica. Nel 2007 ho perciò frequentato un Master in procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie (ADR) presso l’Università di Siena. Certamente il mio profondo interesse per la mediazione ed i metodi negoziali in genere è legato alla possibilità di andare oltre gli aspetti meramente giuridici delle controversie, arricchendo così notevolmente la mia esperienza di “esperto” di gestione dei conflitti che, solo come avvocato, sentivo essere limitata.

Quale è secondo te l’ambiente (fisico) ideale per svolgere una mediazione?

Una stanza luminosa, con colori caldi e accoglienti, sufficientemente isolata dall’esterno, intendo non rumorosa, tranquilla, che trasmetta cioè una sensazione di pace e di positività, non di formalità. Il tavolo dovrebbe possibilmente essere di forma rotonda o ovale, ma non troppo grande perché le parti non siano troppo distanti tra loro, ovviamente salvi i casi di mediazioni multiparti. Poiché per natura sono “minimalista”, preferirei anche una stanza con non troppi oggetti, quadri e libri, che potrebbero appesantire e distrarre.

Ti siedi sempre nello stesso posto, o lasci la libertà alle parti di sedersi dove preferiscono per poi decidere dove metterti?

Nei limiti delle strutture a disposizione e del numero dei partecipanti, decido volta per volta come far sedere le parti intorno al tavolo. Desidero che le parti si sentano sempre a proprio agio e questo vuol dire dare loro una prima scelta di massima, salvo poi indirizzarle in senso diverso, ma sempre con modalità non autoritarie, a sedersi nel modo che ritengo più consono all’ambiente, alle persone e alla specifica controversia. Io mi siedo comunque per ultima, dopo che loro si sono accomodate.

Come mai hai scelto tale modalità?

La disposizione fisica favorisce un dialogo sereno e favorisce anche la costruzione di un clima accogliente, perciò penso che debba essere curata “caso per caso”. Inoltre, sono per carattere e per formazione una mediatrice facilitativa e desidero che siano le parti le prime e vere protagoniste della mediazione. Intervengo più o meno incisivamente solo quando mi rendo conto che esse da sole non riescono a superare gli stalli di comunicazione o negoziali esistenti o che le loro scelte, istintive o ragionate che siano, sono controproducenti per l’esplorazione delle effettive possibilità di accordo.

Come ti  prepari per affrontare una mediazione?

La fase della preparazione, in Italia, è sempre stata ed è trascurata moltissimo, sia a livello normativo che nella pratica. In realtà penso che sarebbe opportuno che il mediatore venisse maggiormente coinvolto in questa fase, invece che lasciare che essa sia gestita del tutto soltanto dalle parti e dalla segreteria degli organismi, come avviene nella maggioranza dei casi. Consapevole del fatto che la preparazione è una fase importantissima per una negoziazione efficace, anche se il mediatore è un facilitatore della negoziazione altrui, mi preparo al massimo delle mie possibilità per avere prima un po’ di familiarità, un “senso” della mediazione in questione, e poter così seguire meglio la negoziazione delle parti anche in termini di mera comprensione degli eventi e delle questioni sul tavolo. Ciò, in pratica, vuol dire leggere i documenti depositati e preparare una mia check-list di aspetti da approfondire: fatti, posizioni, una prima idea dei possibili interessi in gioco, degli aspetti relativi alla comunicazione ed anche delle alternative delle parti fuori dal negoziato (Maan e Paan), così come delle questioni legali sottese, anche se queste andranno poi gestite da e con gli avvocati nel corso del procedimento. Allo stesso tempo penso però che sia molto importante che la mia preparazione a monte, cioè l’idea di massima che posso essermi fatta della controversia, non giunga a condizionare, poi, lo svolgimento dell’incontro. Finita la fase di preparazione, perciò, accantono il mio stesso “pre-giudizio” e mi concentro al meglio su quello che accade effettivamente nell’incontro e sulla negoziazione delle parti. Da ultimo, curo molto il contenuto, il tono e la comunicazione non verbale del discorso introduttivo: i cinque minuti iniziali del monologo del mediatore in cui si comunicano, in tutti i sensi, quelle che gli anglosassoni definiscono le “ground rules” dell’incontro ed in cui si gettano le basi perché il lavoro sia impostato in modo da avere maggiori probabilità di successo.

Come e quando individui la strategia come mediatore? Come, se accade, la modifichi in corso d’opera?

Prima dell’incontro la strategia è, in linea di massima, quella “classica” (sessione congiunta iniziale, sessioni riservate, sessione congiunta finale): le eventuali modifiche avvengono in corso d’opera, a seconda delle personalità, o meglio degli stili negoziali, delle parti presenti e dei legali, che il mediatore deve saper “leggere” per regolarsi di conseguenza su come procedere. Ovviamente le modifiche della strategia sono dovute anche a eventuali specifiche questioni inerenti il caso concreto. In sintesi, occorre davvero “saper navigare a vista”, per usare un’espressione a me molto cara.

(continua)