Grazie per la disponibilità, mi dici un po’ la tua esperienza e cosa ti ha portato a fare il mediatore?

Ringrazio io per  avermi coinvolto in questa interessante iniziativa,  e spero di non deludere il lettore.

Devo confessare però, di aver iniziato in modo del tutto casuale  ad interessarmi di mediazione, anzi di conciliazione, perché  prima del d.lgs. 28/2010, si parlava di  procedure di conciliazione e non di mediazione civile.

M ricordo bene che rimasi colpito, molti anni “or sono”,   dalla pubblicità che un noto organismo di mediazione faceva settimanalmente su Guida al Diritto ( una rivista di aggiornamento giuridico ), con la quale si  illustravano le opportunità offerte dalle procedure di  adr ( alternative dispute resolution ).

Era la prima volta che leggevo questo acronimo, e mi sono subito incuriosito.

Nello stesso periodo l’ Ordine degli Avvocati di Roma, cercava volontari per costituire ed implementare la Camera di Conciliazione che si stava creando insieme al  Comune di Roma,  deputata, come lo è a tutt’oggi, a risolvere stragiudizialmente le controversie tra il cittadino e l’ente pubblico.

Collaboravo già con l’Ordine di Roma in diverse commissioni di studio, e mi proposero di dare una mano anche in questo nuovo progetto. ( debbo dire  che non c’era questo grosso numero di colleghi disposti a fare volontariato, e tutti, me compreso, guardavano a questa Camera di Conciliazione con una certa diffidenza).

Quando entrò in vigore la normativa sul conciliatore societario, si organizzò, sempre nell’ambito della Camera di Conciliazione, un corso di formazione per acquisire il titolo , al quale partecipai come discente, e  per la prima volta ( parliamo ormai del 2003 ) presi davvero contatto con la mediazione secondo l’esperienza anglosassone. Ne rimasi letteralmente affascinato.

Ancora oggi,  nei corsi di formazione per mediatori nei quali sono chiamato ad insegnare, continuo  ad utilizzare il concetto  espresso dal  mio  primo professore,  e che mi è rimasto  ben chiaro  in tutti questi anni  :  “ spiegate alle parti in lite che  CON – VINCERE  significa VINCERE INSIEME”.

Il resto della mia storia potete leggerla nel breve curriculum, riassumendo credo nella mediazione e faccio il  mediatore, perché ho potuto toccare con mano, in quasi dieci anni di esperienza ed oltre 100  pratiche svolte, che semplicemente… funziona!

Quale è secondo te l’ambiente (fisico) ideale per svolgere una mediazione?

La dottrina è concorde nel ritenere utile, se non necessario un ambiente comodo, ampio e luminoso,  dove le persone possano sentirsi a loro agio anche dal punto di vista fisico, e certamente non mi permetto di contestare persone ben più esperte e qualificate di me.

Diciamo che una stanza con un bel tavolo rettangolare, meglio ovale ( pare che gli angoli stimolino l’aggressività),   ma non troppo grande per evitare che i partecipanti siano costretti ad  urlare per sentirsi,  e delle sedie decenti possono andare bene.

Per la mediazione all’italiana, visto lo scetticismo di molti colleghi avvocati , che vengono molto spesso con supponenza, attuerei ed attuo dei correttivi.

Sappiamo che il “setting” ideale dovrebbe essere mediatore sul lato corto, e parti sui lati lunghi, ma percependo il bisogno in questa prima fase applicativa di conferire maggiore autorevolezza possibile alla procedura, preferisco l’impostazione ad aula di tribunale, o a cattedra se preferite : mediatore dalla parte lunga del tavolo, e le parti affiancate sul lato lungo opposto.

Sono un convinto fautore della mediazione facilitativa pura, ma forse in Italia è ancora troppo prematura da proporre, e può essere quindi utile sistemarsi con modalità alle quali le parti sono più abituate ( quella del tribunale o della cattedra scolastica ). Suggerisco insomma di proporre i contenuti nuovi della mediazione civile,  in  un contenitore vecchio.

La stanza dell’Organismo dove di solito opero con maggiore frequenza è  strutturata proprio come appena descritto, una vera e propria cattedra con le parti sedute dall’altra parte.

Ti siedi sempre nello stesso posto, o lasci la libertà alle parti di sedersi dove preferiscono per poi decidere dove metterti?

Certamente mi siedo sempre al  “posto del giudice” , cerco di mettere gli avvocati in mezzo con ai lati i propri assistiti, per evitare che trascendano durante le discussioni e siano troppo a contatto fisico, di solito gli avvocati possono essere molto cattivi con le parole, ma difficilmente alzano le mani, cosa che non posso escludere in sconosciuti che fino a 5 minuti prima magari litigavano a sangue.

Debbo dire però che, sentendomi scientificamente un po’ in colpa per questo modo di propormi nel tavolo, contrario ad ogni teoria del setting in mediazione,  non insisto  se le parti spontaneamente si sistemano in altro modo, o preferiscono altre sistemazioni, va bene l’autorevolezza ma senza esagerare.

Come mai hai scelto tale modalità?

Dicevo poco prima, che sento la necessità di far percepire  alle parti, e soprattutto ai colleghi avvocati, che non siamo li a perdere tempo o a fare due chiacchere, ma per risolvere un problema,  per svolgere una attività seria che può essere anche impegnativa,  ma che deve terminare in modo utile per tutti.

Ribadisco, che il clima di sfiducia sull’istituto, o se preferiamo,  la attuale scarsa conoscenza di questa procedura, mi induce a propormi in maniera classica, potremmo parlare di “ italian job setting ”  oppure  “spaghetti  setting “, se proprio vogliamo classificarlo con una immagine suggestiva.

La mia preferenza per questa modalità di sistemazione, si è cementata negli anni,  durante la mia esperienza come conciliatore del Comune di Roma:

avevamo due aule diverse, una con lo scranno addirittura rialzato su una pedana  e le parti sedute di fronte, una con il classico tavolo da riunioni.

Ebbene quando sedevo sullo “ scranno ”, le parti e anche i funzionari del Comune, anche se già pratichi di mediazione, ascoltavano il discorso introduttivo ed i miei suggerimenti, con maggiore attenzione e rispetto.  Quando operavo nel tavolo da riunione, avevo più difficoltà a svolgere il  mio ruolo.

Non so se dalla mia esperienza si possa trarre una regola valida per tutti, questo è quello che ho rilevato io negli anni, e ancora di più quando la mediazione è divenuta obbligatoria, ed il fastidio dei colleghi avvocati si è reso più manifesto.

Come ti prepari per affrontare una mediazione?

Concedetemi un’altra citazione, William URY sostiene che per affrontare una mediazione  al meglio ( sia come neutrale,  sia come parte ) bisogna prepararsi, prepararsi e poi prepararsi.

Nel concreto, studio il fascicolo qualche giorno prima dell’incontro, e cerco di fare una telefonata preventiva alle parti per prendere un primo contatto, per  cercare di capire a grandi linee chi troverò nella stanza da li a qualche giorno, e soprattutto per capire se hanno considerato di dedicare tempo sufficiente a questo primo incontro, altrimenti, se scopro che le parti ritenevano di sbrigarsela in 5 minuti, vedo di operare un rinvio. ( l’idea non è mia, ma è ripresa  dal modello in quattro fasi elaborato dai prof.ri  D’URSO e DE PALO, per ADR Center ).

Mi piacerebbe arrivare “ virgin mind”, ma la mia esperienza di avvocato, e di  processualista, non mi permette di non fare valutazioni tra me e me, circa la fondatezza delle pretese, e la ragionevolezza delle richieste ( alcune davvero giuridicamente assurde), questo è un mio punto debole, che spero di riuscire ad abbandonare il prima possibile.

Un paio di idee preventive, su come si potrebbe concludere l’incontro cerco di farmele, per essere pronto nel  caso in cui dovessi trovare una impasse iniziale, totale ed assoluta, e allora potrebbe  essere necessario che inizi io una sorta di “ brainstorming”  in solitaria, tanto per rompere il ghiaccio.

Di solito però le mie idee preventive, le annullo quasi subito e le cancello dalla mia memoria, quando le parti espongono il loro punto di vista. Preferisco cominciare da li.

Come e quando individui la strategia come mediatore? Come, se accade, la modifichi in corso d’opera?

La strategia che uso, è sempre la stessa  grosso modo, faccio esporre il caso e il loro punto di vista prima all’Avvocato della parte istante e alla parte istante, poi all’Avvocato della parte aderente e all’aderente.

Mentre parlano, pur facendomi vedere molto attento alle loro esposizioni, preparo un foglio con due colonne, da una lato metto le parole e i punti chiave esposti dall’istante, dall’altra quanto espresso dalla parte aderente.

Quasi sempre espongono un punto in cui sono d’accordo, senza neanche essersene accorti, faccio notare a tutti visivamente questa coincidenza,  e dimostro così in un nanosecondo, che la distanza tra le parti non è assoluta, come magari ritenevano solo due minuti prima, l’effetto spiazzante e positivo è garantito.

Da quanto esce dal discorso iniziale, cerco di buttare giù un insieme di punti unitari e invito le parti a lavorarci sopra, il classico brainstorming insomma.

Può succedere che una delle parti sia piuttosto rancorosa, o senta proprio bisogno di sfogarsi qualche minuto, in questo caso, lascio campo libero il più possibile, invitandola però a sfogarsi con me, e pregando l’altra parte di ascoltare in silenzio, usando una frase ormai standard : “ pazienti 5 minuti, in fondo questo incontro deve anche servire a dirsi tutto quanto, in altre sedi non si avrebbe il coraggio di dire, oppure non potreste farlo, sarete d’accordo che la sincerità è essenziale sempre, poi ovviamente anche lei potrà rispondere per le rime”

(continua)