Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“…FINE”
di Marco Androni e Giulio Vallone - 2aI


Nella storia dell’uomo è facilmente riscontrabile il tentativo costante di comprendere la fine, così come il desiderio di raggiungere un fine o un obiettivo.
Infatti nelle opere di grandi artisti o nelle leggi scientifiche si ritrova evidentemente l’abitudine di concentrarsi sul concetto di “fine”.
Alla cultura antica ad esempio era caro uno schema di pensiero detto “teoria ciclica” o “dell’eterno ritorno” secondo cui qualsiasi cosa ha un proprio inizio, uno sviluppo e sempre ed inevitabilmente una fine.
Questo modo di pensare, riconducibile al mondo greco, ebbe anche successivamente importanti sostenitori quali l’italiano Giambatttista Vico o l’illuminista francese Voltaire, entrambi vissuti nel Settecento.
Anche in ambito biologico esiste una teoria molto simile a quella ciclica, infatti si dice che un qualunque organismo che nasce e cresce debba poi sicuramente decadere e dunque morire. Allo stesso modo in epoca medievale l’uomo ha prestato attenzione alla ricerca della fine.
In particolare, una forte spiritualità ha motivato la ricerca di un destino finale.
Ciò è riscontrabile soprattutto in opere artistiche quali “il ritratto del Cristo di Spoleto” o “il Cristo ligneo” di Cimabue, che vanno interpretate in chiave escatologica, cioè legate ad un fine ultimo.
Diversamente dai casi già citati, in ambito letterario gli scrittori compongono solitamente le loro opere non concentrandosi sulla fine ma piuttosto su un obiettivo preciso e dunque su un fine.
Esso può variare e ne esistono diversi come ad esempio quello didascalico, ossia di insegnare. Manzoni è un classico esempio di autore che scrive con un intento, poiché compone la sua opera “Promessi sposi” con obiettivi ben specifici.
Egli inoltre non si limita ad un unico scopo, ma dal suo romanzo emergono molti fini: infatti oltre a quello edonistico, ossia di dilettare l’interlocutore, è presente nell’ opera quello di denunciare l’apparato giuridico e legislativo seicentesco.
Manzoni inoltre mira alla fruizione di nozioni intrinseche allo svolgimento del racconto; lega, quindi, al fine edonistico il fine didascalico menzionato in precedenza.
Dunque come si è detto non compone in modo disattento, ma si prefigge anzi una o più idee che cerca di trasmettere con il proprio romanzo.
In poesia, invece, famosi poeti si concentrano essenzialmente sul termine della vita e dai loro versi si desume evidentemente l’importanza che danno alla caducità dell’esistenza.
Petrarca ad esempio scrive sonetti e canzoni sull’amore, con il quale cerca di alleviare lievemente la sua preoccupazione costante,
Egli però è assillato da un profondo senso di inquietudine e lo testimonia quando, ormai giunto verso la fine della vita, analizza quel senso della caducità che lo accompagna e ne indica le origini in una lunghissima lettera all’amico di giovinezza Filippo di Cabassole.
Una svolta sostanziale, in contrasto con le mentalità presentate, si ha invece quando l’uomo, non riuscendo a raggiungere il proprio obiettivo di trovare e comprendere la fine, ha pensato di affermare un altro concetto ben diverso: “l’infinito”, ciò che non ha una fine.
La percezione dell’infinito comunque è prettamente teorica, non esistente nella realtà; è legata all’algebra e alla geometria oppure a grandezze non misurabili come l’universo che si ritiene sia in continua espansione.
Insomma, nel corso della storia furono molti gli eruditi pensatori o letterari che esplicitarono un’accezione del termine “fine”, ma nessuna di esse è universale, comune ad ogni linea di pensiero.
Quindi ne consegue che questa parola da sola non significa alcunché ma assume una determinata connotazione a seconda del contesto storico, dell’ambito letterario o dell’argomento in cui essa è celata.


 

 

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