LOCALITA' BARESI - RONCOBELLO (BG)

EDIFICIO DEL TORCHIO E MULINO

INTERVENTO DI RESTAURO CONSERVATIVO

RELAZIONE STORICA





Indice

 

Opifici brembani.............................................................................................................................. 3

 

Baresi nell’evoluzione economica brembana tra il 1596 e il 1770..................................... 8

 

Baresi nell’Ottocento.................................................................................................................. 15

 

Regesto storico dell’edificio del torchio e mulino di Baresi............................................... 17

 

Fondo notarile di Bergamo......................................................................................................... 23

 

Appendice: Scoperte storiche sugli antichi edifici di torchio e mulino della contrada Oro-Dentro di Baresi ................................................................................................ 24

 

Bibliografia..................................................................................................................................... 28

 

 

 


 

Opifici brembani

 

 

«Oggi il fiume Brembo, con gli impianti idroelettrici, dà molta più energia rispetto al passato, ma questa non rappresenta più quella risorsa “locale” che ha caratterizzato l’economia della Valle dal XII al XIX secolo» [1] .

 

 

L’economia a cui Gritti si riferisce era basata, fino all’industrializzazione ottocentesca, su un sistema di opifici che si estendeva per tutto il corso del fiume Brembo e che da una parte garantiva la sussistenza alle singole comunità e dall’altra, grazie ai prodotti offerti, consentiva alle comunità stesse di effettuare scambi commerciali.

 

Gli opifici riguardavano mulini, torchi, fucine ed altri edifici simili. Essi dipendevano dal fiume, le cui acque furono addomesticate mediante opere di canalizzazione. «La canalizzazione delle acque  allo scopo di creare i salti per la produzione della forza idraulica, fu derivata direttamente dal fiume con una serie di “prese” e di ritorni lungo tutto il suo corso dalla Carona a Ponte S.Pietro, e dai corsi d’acqua affluenti» [2] . 

Accanto a questi canali sorgevano gli opifici.

Luigi Angelini, in una descrizione generale delle vallate bergamasche, riferiva: «Elementi caratteristici delle vallate alpine furono per secoli gli edifici costruiti a fianco dei fiumi e dei torrenti perché l’acqua incanalata divenisse, coll’impulso dato a ruote di differente misura, forza motrice per lavori di varia attività. Nacquero così nelle vallate le seghe per taglio di legnami, i mulini per la macina di cereali con le mole circolari, i magli per la lavorazione del ferro grezzo, le fucine per la rifinitura di oggetti e attrezzi metallici, i torni per l’allestimento di legni foggiati per usi diversi. Sorsero così le prime costruzioni veramente caratteristiche che, pur conservando un’unità di funzionamento, assunsero forme quasi sempre varie e di aspetto pittorico, conferendo particolare attrattiva al paesaggio montano» [3] .

 

Sebbene queste aree fossero così attrezzate ed organizzate per garantirne in larga misura l’autosufficienza, sarebbe errato pensare che fossero chiuse verso l’esterno; al contrario, la Valle  Brembana, fino all’Unità d’Italia [4] , era una realtà caratterizzata da una spiccata vivacità economica e culturale.

 

Ad esempio, essendo la produzione agraria, dei prodotti del pascolo e dei terreni coltivi in fondo-valle, sempre stata insufficiente al fabbisogno della popolazione locale, gli abitanti della Valle seppero trovare, nello sfruttamento delle risorse naturali offerte dai minerali di ferro, dai legnami dei boschi e dalla capacità di organizzazione del lavoro in vista dell’ottenimento di prodotti finiti dalla lavorazione del ferro e dei filati, le condizioni di sopravvivenza e di sviluppo [5] .

A partire dal Medio Evo in questa regione la struttura della proprietà dei forni, delle fucine e delle miniere divise in numerose parti, aveva creato una sorta di azionariato diffuso. «Le parti, o carati, in cui erano divisi i forni erano chiamati rispettivamente “capi” e “masse”. Secondo questo sistema la proprietà era divisa in parti e per diventare proprietario era sufficiente comprarne una parte con un atto notarile, esattamente come nelle moderne società per azioni. I soci delle compagnie minerarie ricevevano una quantità di minerale che era proporzionale alla parte da essi posseduta. Scopo della costituzione di queste società era il creare un capitale sufficiente ad intraprendere uno scavo minerario, estremamente costoso e scarsamente remunerativo nella sua fase iniziale» [6] . Tuttavia nel corso del secolo XIX questo sistema entrò in crisi. Infatti «secondo questo sistema di proprietà, ciascun socio, o un suo procuratore, aveva il diritto di far funzionare il forno durante alcuni giorni nell’ambito di una campagna del forno stesso, in proporzione alla parte posseduta. Di conseguenza la ghisa prodotta in questo modo non era di qualità uniforme. Inoltre è scontato che quando un altoforno appartiene a più persone assai difficile introdurre innovazioni, per non parlare di sperimentazioni» [7] .

 

Dal lavoro di estrazione veniva ricavato il materiale ferroso, con cui erano forgiati e battuti diversi manufatti. Gli oggetti prodotti consistevano soprattutto in attrezzi rurali, infatti «a differenza della vicina Val Seriana, in Val Brembana non vi erano fabbriche di armi o di prodotti metallurgici finiti ad eccezione delle fucine da chiodi e da chiavi. La maggior parte delle fucine della valle era infatti impegnata nell’affinaggio della ghisa e nella sua trasformazione in semilavorati (reggia, tondino, quadro di vario spessore, vergella, moietta ecc.) che venivano poi avviati ad altre fucine site in pianura e alle fabbriche d’armi» [8] .

 

Le stesse maestranze locali, esperte soprattutto nella lavorazione del ferro, costituivano una forza lavoro molto richiesta anche all’estero.

A tal proposito Riceputi scrive: «Per diversi secoli, in molte parti d’Italia, i bergamaschi furono conosciuti soprattutto per la loro specializzazione  nella lavorazione del ferro. Già al Trecento risalgono alcuni documenti da cui risulta la costituzione di piccole società da parte di artigiani della Val Brembana e della Valsassina per l’installazione di fucine in Toscana, nel Veneto e nel Regno di Sicilia. Ma è soprattutto nel Cinquecento e nel Seicento che la migrazione in Italia e in Europa di questi maestri del ferro assume dimensioni di notevole rilievo, anche in conseguenza delle guerre che si susseguivano senza sosta con relativo aumento della richiesta di armi. A fare luce su questa realtà un contributo fondamentale è quello fornitoci da uno studio di C.C. e M. Tizzoni intorno a 159 atti notarili d’ingaggio stipulati tra il Cinquecento ed il Seicento, riguardanti appunto lavoratori bergamaschi provenienti quasi esclusivamente da paesi d’oltre Goggia: Lenna, Piazza Brembana, Bordogna, Baresi, Fondra, Branzi e Carona. […]. Al suo culmine,  era talmente consistente questa emigrazione che nel 1622, per la penuria di operai specializzati nei forni del suo territorio, la Repubblica di Venezia decretò addirittura la condanna a morte per le maestranze che avessero tentato di emigrare» [9] .

Le destinazioni di questi emigranti erano le più svariate: «Si andava nelle altre province della Lombardia e in Savoia. E poi in Friuli, in Toscana (Massa Marittima, Follonica, Cecina, Campiglia Marittima), in Lazio (Cerveteri, Nettuno, Sambuca), in Calabria (Stilo), in Corsica (Ajaccio), in Francia (Val d’Isère), in Svizzera, in Austria (Tshagguns), e fino in Polonia» [10] .

 

 

Per quanto riguarda il panorama culturale è da rilevare che l’analfabetismo nei secoli XVI e XVII, «bisogna osservare che la maggior parte dei testimoni degli atti notarili firmava di proprio pugno; inoltre ricorderemo che nel 1568 venne istituita una scuola femminile ad Averara, che nel 1678 tra gli oggetti rubati in una casa di Alagna Valsesia vi era anche un vocabolario di latino – che evidentemente era qualcosa che un ladro reputava utile sottrarre – ed infine in tutta l’area alpina vi era una grande tradizione pittorica (ad esempio Tanzio da Varallo, Pietro da Cemmo, i Baschenis di Valtorta, ecc.)» [11] .

 

La vivacità culturale offre un altro esempio importante durante gli anni della  Rivoluzione Francese.

Infatti il 21 aprile 1794 venne alzato a Baresi un albero della libertà, il primo piantato in territorio veneto. Esso costituiva il segno tangibile dell’adesione ai principi giacobini e rivoluzionari da parte di una comunità, anche se, per quanto riguarda l’esempio di Baresi, il gesto è da circoscrivere all’iniziativa e alla responsabilità di due cugini Gervasoni [12] .

 


Baresi nell’evoluzione economica brembana tra il 1596 e il 1770

 

 

Il 1596 corrisponde alla data in cui il capitano Zuane Da Lezze espose la relazione al Senato veneto.

Il 1770 è la l’anno della pubblicazione dei dati dell’Anagrafe Veneta [13] .

Nella relazione del Da Lezze si ricava come l’Oltre la Goggia, cioè l’area geografica a cui Baresi appartiene, sia la zona più popolata della Valle; in particolare Baresi nel 1596 conta 787 anime [14] .

 

Dai dati dell’Anagrafe Veneta si desumono i movimenti della popolazione che, confrontati con la Relazione del Da Lezze, denunciano un aumento della popolazione pari al 16% con un incremento di 4989 anime, che riequilibra la perdita generazionale causata dalla peste [15] del 1630.

Tuttavia la zona d’Oltre la Goggia, costituisce un’eccezione perdendo 785 unità e, con esse, il primato demografico.

 

L’allevamento e la pastorizia nell’arco di 150 anni muta radicalmente.

In particolare, tra le date segnalate si registra un cambiamento molto significativo per quanto riguarda l’allevamento e la pastorizia.

Se, infatti, nel 1596 sono registrati 4000 bovini, nel 1770 il loro numero cala fino a contarne soltanto 818 unità.

Tendenza inversa per gli ovini il cui numero sale da 0 a 3182.

 

Il confronto tra il tipo ed il numero degli edifici di lavoro evidenzia il quadro dell’economia e gli spostamenti delle attività in atto. Per edificio s’intende “macchinario”; ossia all’interno dello stesso muro perimetrale è possibile la compresenza, ad esempio, di un torchio e un mulino: in questo caso il riferimento è a due edifici.

Nella zona Oltre la Goggia sono presenti ben 8 peste; il numero delle peste nell’asta del Brembo è 17  ed il numero in tutta la Valle è 20. Questo significa che gran parte delle granaglie consumate nella Valle erano pestate principalmente nella zona Oltre la Goggia.

Diversi sono i dati inerenti  alla macinazione del grano: di questo servizio ogni zona della Valle è riccamente servita.

Nella relazione di Zuane Da Lezze, nell’area Oltre la Goggia, non si segnala la presenza di macine-torchi: ciò significa che il torchio originario del mulino di Baresi è necessariamente successivo al 1596.

Nel 1596 di forni per il ferro in Valle Brembana se ne contano 4: sono 2 Oltre la Goggia e 2 in Valtorta; pertanto, come già mostrato per le peste, emerge l’importanza economica dell’area nei confronti di tutta la Valle.

Inoltre delle 17 fucine presenti nell’asta del Brembo, 9 sono Oltre la Goggia, 6 nella Valle Brembana Superiore e 2 nella Inferiore. Nel 1770 la zona di Baresi raggiunge il monopolio assoluto per le fucine con 3 edifici.

 

Nel 1596 le segherie di legname sono 5 Oltre la Goggia, 8 in Valle Brembana Superiore e 4 in Valle Vrembana Inferiore. Nel 1770 si registra un aumento diffuso di edifici che raggiungono il numero rispettivamente di 11, 10 e 7, sancendo il primato alla zona di Baresi.

 


 

Tab.1 – Valle Brembana: “Il fiume e il lavoro”, da Zuane Da Lezze. Elaborazione di Pietro Gritti, 1991.

Gritti  Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.145.

 


 

Tab.2 – Valle Brembana: “Il fiume e il lavoro”, “Anagrafe Veneta 1766/1770”. Elaborazione di Pietro Gritti, 1991.

Gritti  Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.146.

 

Tab.3 – Valle Brembana: “Il fiume e il lavoro”, “Anagrafe Veneta 1766/1770”. Elaborazione di Pietro Gritti, 1991. Gritti  Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.147.

 


 

 

Fig. 1- La suddivisione delle aree della Valle Brembana in riferimento alla Provincia di Bergamo.


 

 

Fig. 2 - La suddivisione delle aree della Valle Brembana in riferimento alla Provincia di Bergamo. Dettaglio.

 


Baresi nell’Ottocento

 

 

Nel corso dell’Ottocento, le vicende di Baresi sono le medesime di quelle di molte comunità della Valle Brembana.

 

Come già accennato precedentemente, il secolo XIX fu drammatico per la Valle Brembana e agli eventi partecipò naturalmente anche l’Oltre la Goggia e, con essa, Baresi.

Riceputi scrive: «Le condizioni  di vita delle popolazioni subiscono in questo secolo un notevole peggioramento e ciò a causa in un primo luogo dell’esplosione demografica che porta la popolazione dai 24500 abitanti del 1821 agli oltre 41500 del 1901. Vale a dire una moltiplicazione delle bocche da sfamare, a fronte di un quadro economico stagnante e del tutto inadeguato a soddisfare i nuovi bisogni. […]. Memorabile è rimasta la carestia che travagliò gli anni dal 1815 al 1817» [16] .

Una dimostrazione di come anche Baresi partecipa alle vicende della Valle è deducibile dall’andamento demografico: 230 abitanti nel 1819 [17] , 271 [18] (oppure 244 [19] ) nel 1861, per poi ridursi a 234 nel 1901 [20] .

 

Nel 1860, anno in cui viene redatto un rapporto segreto dal Governatore piemontese Stefano Centurione, la situazione sembra ancora più grave: «Il maggior prodotto consiste nella legna il cui smercio è assai diminuito con sensibilissimo danno di quelle popolazioni, per il decadimento dell’industria serica e delle ferriere» [21] ; il commento investe tutte le attività svolte a Baresi.

 

Tuttavia, la grande innovazione che nel corso del XIX investe la Valle, è la creazione di una rete stradale. Già al termine del 1827 la strada principale della Valle era «percorribile da ogni tipo di carri a due e quattro ruote. La larghezza minima fu portata e 3,5 m (salvo alcune strettoie nei centri abitati) e i tratti a maggior pendenza furono notevolmente addolciti» [22] .


 

Regesto storico dell’edificio del torchio e mulino di Baresi

 

 

1615

Il documento più antico che assicura l’esistenza di uno dei primi macchinari per la torchiatura (torchio) e per la macinatura (mulino) risale al 1615: in esso viene riportato, senza tuttavia precisarne la data, che il mulino ed il torchio esistevano già da tempo.

Naturalmente gli esemplari di allora non sono i macchinari visibili oggi. Infatti, data l’enorme mole di lavoro che gli impianti dovevano sostenere, nel corso degli anni molte parti ormai obsolete furono sostituite o modificate. La testimonianza di questa evoluzione è visibile, all’interno dell’edificio, nell’impiego di alcune vecchie macine come pavimentazione.  

Il mulino, a macine orizzontali, sfruttava la forza idraulica ed il torchio era messo in funzione dalla forza umana: una persona, camminando all’interno di una ruota verticale, generava il movimento.

Cfr.: Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.80.

 

1630

Sebbene il documento del 1615 non riporti l’esistenza di un macchinario da pesta, vi è notizia che un simile impianto funzionò varie volte con lo scopo di triturare avena per l’alimentazione del borgo o della famiglia Gervasoni durante il periodo drammatico della carestia e della pestilenza descritte dal Manzoni negli anni compresi tra il 1625 e il 1635.

E’ molto probabile che la pesta occupasse la zona all’interno dell’edificio in cui oggi rimangono i resti dimessi della macina verticale.

Quindi già dalla prima metà del XVII secolo un mulino, un torchio ed una pesta operavano contemporaneamente a Baresi.

Cfr.: Pesenti Giuseppe, Scoperte storiche sugli antichi edifici di torchio e mulino della contrada Oro-Dentro di Baresi, Quaderni Brembani, Corponovo Editrice.

 

1672

Data che compare incisa sulla trave del torchio.

 

1673

Data a caratteri rossi dipinta sulla facciata dell’edificio del mulino in prossimità dell’affresco raffigurante una Madonna con Bambino.

 

1674

Data che compare incisa sulla trave del mulino.

 

1677

Su un supporto in legno del torchio compare la scritta 1677.

 

1700

Nei primi anni del XVIII secolo Salvatore Gervasoni fu Carlo accese un mutuo con la fabbriceria della chiesa parrocchiale di Baresi per poter ingrandire i macchinari del mulino, della pesta e del torchio. In questo periodo il meccanismo del torchio venne mutato e, in luogo dell’originario sistema sfruttante la forza umana, venne creato un nuovo impianto azionato da una ruota mossa dall’acqua della roggia. Salvatore Gervasoni operò anche un intervento per una sistemazione migliore della roggia in modo da ottenere una cascata d’acqua più alta e, con essa, più forza a disposizione.

Questo corrispose alla trasformazione dell’impianto della pesta preesistente in fucina o maglio. Non è possibile stabilire con certezza per quanti anni il maglio rimase in funzione, ma già nel 1786, in un documento notarile compare, accanto a mulino e torchio, la parola pesta.

Cfr.: Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.80.

 

1760

Prima del 1800, quando le miniere di ferro dell’alta Valle Brembana a nord di Carona producevano ancora discrete quantità di ferro, la pesta in questione risultava essere una fucina o maglio dove si lavorava il ferro per costruire e vendere vari attrezzi di lavoro per l’agricoltura, come zappe, vanghe picconi, martelli, rastrelli, falci asce e altri simili.

Questa attività si svolgeva in modo contemporaneo con quella del torchio e del mulino ed erano gestite rispettivamente da tre fratelli Gervasoni. Il più anziano di loro, su cui cadeva la responsabilità dell’intero complesso, si chiamava Giacomo.

Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.80.

 

1783

Data che compare incisa sulla pila che sostiene le trave del torchio.

 

1786

Il 12/4/1786 si registrava, presso il notaio Giacomo Sonetti di Baresi, che veniva lasciato il mulino, il torchio e la pesta a Benedetto Gervasoni, fratello di Antonio e Giacomo.

Notaio Bonetti Giacomo fu Giovan Giacomio di Baresi, atto del 12/4/1786, cartella 12106.

 

1807

Nel 1807 Gervasoni Benedetto fu Giacomo risultava proprietario di tre macchinari: il torchio, il mulino ed una pesta, tutti azionati dalla stessa roggia. La pesta permetteva di macinare frumento, miglio, granoturco ed avena, ma attraverso un metodo a percussione e non a sfregamento tra pietre levigate.

Essa rappresentava il modo di triturare le granaglie che si usava di norma nei secoli precedenti, durante il medioevo, quando queste attività erano svolte manualmente, non essendo ancora stata introdotta la tecnica dello sfruttamento della forza dell’acqua in caduta libera.

Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.79.

 

1817

Si conferma nell’area la presenza di ambienti per la lavorazione del ferro. Nel documento redatto dal notaio Piacezzi, l’ufficiale parla di chiodarola  andante.

Notaio Piacezzi Mario Recuperato fu Bortolo di Bordogna, del 3/3/18717, cartella 11742

 

1845

Nella mappa del catasto austriaco l’edificio del mulino era suddiviso in due proprietà: mulino e torchio. Da questo momento cessa di esistere dai registri la pesta.

 

1853

Giacomo Gervasoni visse per quasi tutto il secolo XIX  ed a lui risultano intestati al momento della nascita del catasto austriaco, nel 1853, due edifici che sulla mappa di quel periodo appaiono adiacenti e ed azionati dall’acqua della medesima roggia. Il fatto che sulla carta compaiano due edifici in luogo di uno è spiegato dal fatto che la carta ha voluto mostrare come all’interno dell’edificio si svolgessero due funzioni: la torchiatura e la macinatura.

Cfr.: Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.79.

 

1926

L’attività del torchio cessava nel 1926 in seguito all’intervento dell’autorità finanziaria, che pretendeva impossibili precisazioni sulla quantità di olio spremuto annualmente. Il proprietario di allora, Carlo Gervasoni, venne recluso per due giorni nella caserma dell’autorità finanziaria di Bergamo per aver “espresso considerazioni personali sul governo”. Memorie di Giulio Gervasoni, nipote di Carlo, raccolte da Antonio Tarenghi il 8 Novembre 2003.

La testimonianza è avvalorata dal sigillo apposto dai finanzieri.

 

1935

Gli attuali proprietari Gervasoni sono i discendenti diretti, e in parte indiretti, di Gervasoni Domenico, Camillo, Giovanna e Maria Luigia, fratelli e sorelle, i quali avevano ereditato i due edifici nel 1935.

Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.79.

 

1935

Carlo Gervasoni, figlio di Giacomo, tra la fine del secolo XIX e il 1935 aveva potenziato notevolmente l’attività di torchiatura che consisteva nello schiacciare noci per trarne olio.

Il mulino invece produceva farina bianca di frumento e miglio e farina gialla da granoturco per tutta la zona di Bordogna.

Frumento e granoturco giungevano sino a Baresi a dorso di mulo provenendo di norma dalla pianura o dalla bassa Valle Brembana.

Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.79.

 

1995

«Troppo limitate e ripide erano le piane coltive che un tempo ospitavano vite e cereali; testimonianza viva è la presenza a Baresi di un vecchio mulino con macina ancora funzionante», Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995.

 

 


Fondo notarile di Bergamo

 

Notaio Mocchi Bernardino fu Tommaso di Piazza Brembana, atto del 4/9/1881, cartella 13658.

 

Notaio Piacezzi Mario Recuperato fu Bortolo di Bordogna, atti del 11/1/1817, del 3/3/18717, del 2/4/1817, cartella 11742; atti del 18/5/1814, del 1/4/1815, cartella 11741.

 

Notaio Calvi Toletti Antonio fu Domenico di Moio de Calvi, atto  del 14/9/1791, cartella 9970.

 

Notaio Bonetti Giacomo fu Giovan Giacomio di Baresi, atto del 12/4/1786, cartella 12106; atto del 16/3/1772, cartella 12101; atto del 17/3/1759, cartella 12097.

 

Notaio Beltramelli Gaspare fu Carlo Antonio di Moio de Calvi, atto del 26/2/1770, cartella 12444.

 

Notaio Damiani Giuseppe fu Giovan Battista di Zogno, atto del 1/6/1756, cartella 8343.

 

Notaio Ambrosioni Giovan Giuseppe fu Simone di Branzi, atti del 26/5/1757, del 22/12/1757, cartella 9911.

 

Notaio Camozzi Giovan Maria fu Carlo di Bordogna, atto del 2/5/1741, cartella 5496.

 

 


Appendice: Scoperte storiche sugli antichi edifici di torchio e mulino della contrada Oro-Dentro di Baresi [23]

 

Il torchio e il mulino in questione sono alloggiati in un unico edificio a più corpi, vicino al torrente denominato Valsecca, e risultavano funzionanti, sia pure in modo intermittente, fino a pochi anni dopo la seconda guerra mondiale mentre erano pienamente attivi prima della medesima guerra. 

Gli attuali proprietari Gervasoni sono i discendenti diretti, e in parte indiretti, di Gervasoni Domenico, Camillo, Giovanna, Maria e Luigia, fratelli e sorelle, i quali avevano ereditato i due edifici nel 1935 alla morte del loro padre Carlo. Questi fratelli e sorelle si suddivisero in seguito definitivamente nel 1942. 

Gervasoni Carlo, unico proprietario in quel periodo, tra la fine del XIX secolo e il 1935 aveva potenziato notevolmente l'attività di torchiatura che consisteva principalmente nello schiacciare noci per trarne olio e raspe di uva per ricavarne acquavite sia pure in misura più limitata e occasionale. Il mulino invece produceva farina bianca da frumento e miglio e farina gialla da granoturco per tutta la zona di Bordogna e Roncobello. Frumento e granoturco giungevano sino a Baresi a dorso di mulo provenienti di norma dalla pianura o dalla bassa Valle Brembana, ma a volte anche dalla media valle Seriana attraverso il passo Branchino. Può essere utile ricordare che il granoturco, originario delle Americhe nonostante il suo nome, giunse nella nostra valle per la prima volta attorno al 1630 e che a questa data risale l’uso, diventato tradizione assai radicata in tutto il Bergamasco, della polenta.

Il padre di Carlo Gervasoni, Giacomo, visse per quasi tutto il corso del secolo XIX  ed a lui risultano intestati al momento della nascita del catasto austriaco, nel 1853, i due edifici che sulle mappe di quel periodo appaiono adiacenti ed azionati dall'acqua della medesima roggia o seriosa, come allora si diceva nei documenti notarili. 

Nel 1807 il nonno di Giacomo, Gervasoni Benedetto Antonio fu Giacomo, risultava proprietario di tre opifici: il torchio, il mulino ed un edificio da pesta adiacente ai primi due e sempre azionato dalla stessa roggia. Anche la pesta permetteva di macinare  frumento, miglio, granoturco e avena attraverso però un metodo di percussione e non di sfregamento tra pietre levigate come avviene per il mulino.

Essa rappresentava il modo di triturare le granaglie che si usava di norma molti secoli prima, in pieno Medioevo, quando queste attività erano svolte a mano per mezzo di un pestello di pietra non essendo stata ancora introdotta la tecnica dello sfruttamento della forza dell'acqua in caduta libera. La frantumazione dell'avena serviva per preparare un impasto da dare, in modo occasionale, come cibo supplementare agli animali ma non di rado esso veniva consumato anche dagli uomini quando il frumento e il granoturco scarseggiavano. Vi è notizia che la pesta di Baresi-Oro Dentro funzionò varie volte con questo scopo specie durante il periodo veramente drammatico della carestia e della pestilenza descritte dal Manzoni, nel suo noto romanzo, negli anni compresi tra il 1625 e il 1635.

 

Prima del XIX secolo, quando le miniere di ferro dell'alta valle Brembana a nord di Carona producevano ancora discrete quantità di ferro, la pesta in questione risultava essere invece una fucina o maglio dove si lavorava il ferro per costruire e vendere vari attrezzi di lavoro per l'agricoltura: zappe, vanghe, badili, picconi, martelli, rastrelli, falci, asce e altri simili. Questa attività si svolgeva in modo contemporaneo con quelle del torchio e del mulino ed erano gestite rispettivamente da tre fratelli sempre della famiglia Gervasoni. Il più anziano di loro su cui cadeva la responsabilità dell'intero complesso si chiamava Giacomo ed era il padre di Benedetto Antonio già citato. 

 

Tutto ciò accadeva attorno al 1760. Il periodo che va dal 1710 al 1780 circa deve essere considerato il migliore dal punto di vista della quantità di lavoro e del rendimento di questa azienda famigliare che si avvaleva anche di alcuni operai ed era nota in tutta l’alta Valle Brembana. Il minerale di ferro scendeva da Carona a Branzi e poi giù a Isola di Fondra, da dove, per mezzo di una mulattiera in sostanza pianeggiante e ancora esistente sulla sinistra orografica di quel ramo del Brembo, giungeva a Bordogna e a Baresi. Nei primi anni del 1700 un antenato di Giacomo, Gervasoni Salvatore fu Carlo, accese un mutuo con la Fabbriceria della chiesa parrocchiale di Baresi per poter ingrandire i tre opifici e soprattutto per dare una sistemazione migliore alla roggia in modo da ottenere una cascata d'acqua più alta di prima con lo scopo di avere più forza a disposizione. Ciò corrisponde alla trasformazione dell’antico e preesistente mulino in fucina o maglio. A c

 

Prima del XVIII secolo le notizie si fanno frammentarie. Non esiste più il maglio ma solo il torchio ed il mulino e comunque essi risultano di proprietà ancora di antenati dei Gervasoni indicati, sempre nati e residenti nella contrada Oro Dentro, facente parte dell’antico comune di Baresi. Il documento ufficiale più antico che assicura l'esistenza del torchio e del mulino in questa località risale al 1615. In esso si dice che il torchio ed il mulino esistono già da tempo, tramandatisi di generazione in generazione sempre all’interno della famiglia Gervasoni, ma non si precisa da quando. Perciò si deve concludere ragionevolmente che la loro origine è comunque assai più antica. 

 

Durante il corso del 1700 e del 1800 la storia degli opifici Gervasoni si intreccia con quella di altri due: un mulino ed una segheria, sempre ad acqua, posti circa 200 metri più a valle del torchio ed alimentati da un prolungamento della medesima seriola o roggia. Sul finire del 1800 questi edifici risultano di proprietà rispettivamente di Milesi Vincenzo fu Giovanni di Bordogna e di Bonetti Gaetano fu Giusto di Baresi, contrada di Oro Fuori. Tuttavia il Milesi ed il Bonetti avevano acquisito questi immobili in parte per compravendita e in parte per via ereditaria, attraverso le mogli, da alcuni Gervasoni pure della contrada di Oro Fuori che risultavano imparentati a quell'epoca con i Gervasoni proprietari del torchio come risulta dal catasto austriaco e prima ancora da quello napoleonico. In secoli precedenti è molto probabile dunque che fosse un'unica famiglia Gervasoni ad essere proprietaria di tutti questi immobili, una famiglia che godeva di grande prestigio e considerazione in tutt

Anche questo secondo mulino e la segheria risultano molto antichi poichè i documenti che certificano la loro esistenza e affermano che essi esistono già da parecchio tempo (ab immemorabile) risalgono ai primissimi anni del 1700.

 


Bibliografia

 

Angelini Luigi, Arte minore bergamasca, III edizione ampliata, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1974.

 

Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995.

 

Gritti  Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, pp.135-158.

 

Pagani  Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994.

 

Pesenti Giuseppe, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano – Alta Valle Brembana – Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p.79-80.

 

Pesenti Giuseppe, Scoperte storiche sugli antichi edifici di torchio e mulino della contrada Oro-Dentro di Baresi, Quaderni Brembani, Corponovo Editrice, 2002.

 

Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997.

 

Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997.

 

 



[1] Gritti Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.135.

 

[2] Gritti Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.136.

 

[3] Angelini Luigi, Arte minore bergamasca, III edizione ampliata, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1974, p.199.

 

[4] Dalla seconda metà dell’Ottocento, l’economia brembana entrò in crisi. Infatti «la nascita dei nuovi stati nazionali, che esercitavano un effettivo controllo sul territorio, non solo rese più difficile, od anche impedì, lo spostamento di persone tra le valli, ma anche pose termine ad una serie di attività esercitate sino ad allora in completa libertà fiscale; infine le prime attività industriali attrassero la mano d’opera dalle montagne alle città della pianura». Cfr: Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997, p.20.

 

[5] Cfr.: Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997.

 

[6] Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997, p.24.

 

[7] Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997, p.25.

 

[8] Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997, p.27.

 

[9] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, pp.110-111.

 

[10] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p111.

 

[11] Tizzoni Marco, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta ed Averara dal XV al XVII secolo,  Fonti per lo studio del territorio bergamasco. XIV. Provincia di Bergamo, Bergamo 1997, p.19.

 

[12] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, pp.193-195.

 

[13] Per i dati, le tabelle e i commenti cfr: Gritti  Pietro, L’uso delle acque: magli, molini e industrie dai paesi di testata a Ponte S.Pietro, in Pagani Lelio (a cura di), Il fiume Brembo. Beni culturali e ambientali nell’area brembana. Atti del corso Zogno - Ponte S.Pietro, novembre  – dicembre 1991, Contributi allo studio del territorio bergamasco. XI. Provincia di Bergamo, Assessorato Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, p.144 e segg.

 

[14] Cfr.:  Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995, p.16.

 

[15] Dal manoscritto di Lorenzo Ghirardelli “Il Memorando Contagio seguito in Bergamo 1630” si legge: «Baresi: Vivi masch. 22, femm. 28 – Morti masch. 16, femm. 16». Cfr.:  Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995, pp.16-17.

[16] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p.213.

 

[17] Nel Dizionario Odeporico della Provincia di Bergamo redatto da Maironi Da Ponte (1819) si legge: «Baresi non ha più di duecentotrenta abitanti»; cfr.: Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995, p.18.

 

[18] Nella collana “La Patria” curata da Straforello (1861), un’opera volta a far conoscere la nuova Italia, si legge: «Baresi (271 ab.)»; cfr.:  Cavadini Giovanni, Roncobello, s.n., s.l. 1995, p.20.

 

[19] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p.276.

 

[20] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p.276.

 

[21] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p.228.

 

[22] Riceputi Felice, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico «Alta Valle Brembana», Corponovo Editrice, 1997, p.252.

[23] Il testo integrale del documento è consultabile in: Pesenti Giuseppe, Scoperte storiche sugli antichi edifici di torchio e mulino della contrada Oro-Dentro di Baresi, Quaderni Brembani, Corponovo Editrice, 2002.