Il Trentino, il Ciso, Pojer, Cesconi e i Dolomitici per una due giorni indimenticabile

Che cosa rappresenta il vino, aldilà dei suoi tecnicismi e a prescindere da come ognuno di noi interpreta le mille sfaccettature organolettiche?

È certamente passione, banalmente magia e più profondamente vita, in ogni suo più recondito aspetto.

È vita vera, quella che ho vissuto nella due giorni trentina appena trascorsa ed è una cosa che mi mancava da tempo. Niente vino da capire a tutti i costi, nessun difetto al quale dare un nome e nessun super esperto da mandare a raccogliere le viole. Leggerezza.

Alle 8 di sabato mattina, puntuale come una Poiana sulla preda, Max Cochetti è venuto a prelevarmi al punto d’incontro prestabilito.

Dopo aver preso le misure con la guida di Max e avergli suggerito qualche cambiata, arriviamo a Faedo da Mario Pojer. Un discreto caldo e un sole velato da qualche nube e l’umidità crescente, non hanno avuto la meglio sui baffi di Mario.

Pojer osserva un problema, lo studia e trova inesorabilmente il modo di risolverlo. La sua cantina è una vera e propria fucina d’idee concrete: ottimizzazione dell’uso dell’energia votata al risparmio sensato, come l’acqua di una fonte per raffreddare, o quella calda della distilleria per scaldare. Nei suoi vini tutto il sapere di anni di continue e mirate sperimentazioni nelle quali nulla è lasciato al caso, neppure i coperchi di una pentola. Tecnica reale e non stregoneria. Grande Mario!

Nel pomeriggio ci siamo spostati poco più a sud, da un amico che è stato davvero un piacere trovare: Lorenzo Cesconi, che con la sua famiglia rappresenta da sempre -e più che bene- la Trento del vino. I vini dei Cesconi li ho sempre trovati estremamente appaganti, e le cose che ho avuto la fortuna di degustare sabato in cantina determinano, senza dubbio alcuno, l’ulteriore crescita qualitativa e identificativa dell’azienda. Come il Trento Doc, che dopo due giorni in frigorifero a bottiglia scolma, mi ha stupito e ingolosito ancora di più!

Giusto il tempo di una doccia e poi nuovamente in cantina da Mario per un aperitivo d’eccezione, con un paio di bottiglie della sua Cuvée sboccate rispettivamente nel 1999 e nel 2001 che vi assicuro, impeccabili in ogni aspetto.

La serata è continuata in quota a casa di Mario e con un parterre d’eccezione, con Mauro Fermariello, Lorenzo e Max, Davide Mingiardi con moglie e nanetto, Laura Sbalchiero (è a lei che dobbiamo l’organizzazione ineccepibile di questa due giorni), Fulvio Mattivi e poi, direttamente da Udine e in un impeccabile abito grigio, Giorgio Grai. Chiunque ami il vino, non può non sapere che Grai è uno di quelli che hanno contribuito a fare la storia e il risorgimento del vino italiano nel post metanolo. Da subito ha richiamato un mio atteggiamento perché stavo smanettando col telefono e me la sono cavata con una battuta: nervi saldi. Poi la conversazione è maturata e siamo finiti a parlare di sistemi agricoli (prima che vinicoli) mettendo a confronto Francia e Italia, di come l’agricoltura transalpina abbia valore mentre quella italiana è con un cappio al collo, del costo della terra… è stato davvero un grande piacere poter discutere con lui.

La cena è stata un continuo susseguirsi di cose straordinarie a cominciare da Carmela, la moglie di Mario, che ha preparato, seguito e servito ogni cosa che ha accompagnato il vino che Pojer ha scelto per noi. Già, perché il cibo è stato ottimo ma pur sempre un contorno ai vini, tra i quali una verticale di Trebbiano di Edoardo Valentini con un ’78 sopra gli scudi, una magnum di Val dei Preti di Correggia del ’95 e tanta altra roba di elevatissimo livello, come un bianco spagnolo del ’87 e un Riesling del ’66 portato -e fatto- da Grai. Una serata indimenticabile, di quelle che ti restano impresse a calce nella memoria.

Il giorno successivo si è arricchito della presenza di altri amici e persone che stimo come Marco Andreani, Manuel Vega, Michele Mamoli, Fiorenzo Sartore, Marco De Tomasi e altri che ho avuto l’occasione di conoscere o di rivedere solo per pochi istanti. L’unico rammarico è stato quello di non aver riconosciuto e conosciuto gli altri presenti tra la folla. La giornata è iniziata trascinandomi alla vigna del “Ciso”, il progetto che vede coinvolte una dozzina di aziende che hanno deciso di gestire un vigneto con piante secolari di Lambrusco a foglia frastagliata. I Dolomitici vinificano quest’uva nella cantina di Elisabetta Foradori e ne estrapolano un vino perfetto per le merende in compagnia, per la primavera e per il pane con salame. Non certo un vino banale, ma l’espressione di una cultura contadina passata, che è un piacere ritrovare in tanta leggerezza. Poi ci siamo spostati a Castel Noarna -che rappresenta esattamente il castello che ogni bambino sogna- dove oltre alla presentazione del Ciso, i vignaioli hanno messo in degustazione la loro produzione e addirittura alcuni campioni da vasca. Non ho voglia di entrare in merito dei vini (sono certo poi che ne scriveranno altri), perché tutto ciò che stava intorno a quelle bottiglie, ha rappresentato il valore aggiunto di questo splendido e nobile progetto e delle persone che ne fanno parte.

Grazie a tutti.


9 risposte a "Il Trentino, il Ciso, Pojer, Cesconi e i Dolomitici per una due giorni indimenticabile"

  1. Gio, l’assenza del genere femminile, o comunque la presenza in numero ridotto, mi fa preoccupare. stai bene?? E non rispondere che le presenti erano di qualità che già lo so. 🙂

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