giovedì 25 febbraio 2010

LE PARABOLE

Gesù inizia la sua vita pubblica a trent'anni ed inizia la sua missione in mezzo alla gente. Deve annunciare il regno di Dio al popolo ma è difficile annunciare: gli ebrei e la gente dell'epoca, erano persone concrete e Gesù doveva rivolgersi loro con degli esempi concreti. Inoltre Gesù aveva la necessità di essere seguito solo da chi gli voleva veramente bene, e non per convenienza. Gesù quindi parla in Parabole. Perché:

Per rendere concreto un concetto astratto come il Regno di Dio;
Perché solo chi aveva fede e lo seguiva per l'amore alla sua parola, potesse capirlo


Ma innanzi tutto: che cosa è una parabola?
Una parabola è un racconto fantastico (non reale) che racchiude in se un insegnamento molto importante per chi l'ascolta. Le parabole venivano inventate da Gesù contestualizzando i racconti al tempo in cui Egli viveva. Non è un caso, infatti, che molte delle sue parabole hanno come protagonista la terra (la parabola del seminatore, ad esempio) oppure le pecore (il buon pastore, la pecorella smarrita). Questo è dovuto al fatto che al tempo in cui viveva Gesù l'economia del popolo era basata esclusivamente sull'agricoltura e l'allevamento. Quale modo migliore per parlare alla gente?

Le parabole sono presenti nei quattro Vangeli, contenuti nella Bibbia. Alcune parabole hanno un significato molto profondo, e fanno riflettere sulla propria vita di cristiani.








Spesso le parabole non sono comprese neanche dagli apostoli di Gesù. In molti casi è Pietro, a nome di tutti i suoi amici, a chiedere al Maestro spiegazioni sulle parabole. E lui molte volte le spiega con parole molto semplici, facendo capire ai discepoli che lui deve parlare in parabole perché non a tutti è dato il dono di comprendere il regno di Dio.





LA PARABOLA DELLA PECORELLA SMARRITA

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 4-7)
Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta". Vi dico che così ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.

Prima di analizzare la parabola è bene guardare il contesto. Gesù viene provocato prima di dire questa parabola. I farisei erano lontani da Gesù mentre egli parlava alle folle. Loro lo accusavano, perché parlava e mangiava insieme ai pubblicani (che erano persone che riscuotevano le tasse, ma spesso rubavano, chiedendo più di quanto dovevano riscuotere) e i peccatori (persone famose per il loro stato di peccato, di disordine morale). A questa provocazione Gesù risponde con una parabola, la parabola della pecorella smarrita.

Gesù, con questa parabola, vuole dare un segno importante alla folla e ai farisei. Ci sta dicendo che tutti siamo figli di Dio, anche chi fa peccato. Nelle righe finali della parabola, infatti, Gesù dice che in cielo ci sarà più gioia per un peccatore convertito che per novantanove già sante.

Le pecorelle della parabola siamo noi. Ci sono pecorelle che ascoltano il padrone e fa tutto ciò che egli ordina: stanno in fila e non si allontanano. Queste pecore sono quei cristiani che non hanno bisogno di conversione, quelle persone che già sono buone e che devono continuare a coltivare la loro amicizia con Dio, continuandolo ad ascoltare e fare ciò che lui vuole per la nostra salvezza.


Ci sono poi altre pecorelle che non ascoltano il pastore e si allontanano. Si allontanano credendo di essere abbastanza autonome da poter continuare la loro vita anche senza il pastore. Ma poi ecco che si allontanano così tanto che si perdono. E il pastore? Egli non è vendicativo: è subito pronto a chiudere le novantanove pecore nell'ovile e a cercare quella che si è perduta, anche a costo della sua stessa vita. E non riposerà fino a quando non l'avrà trovata.
E quando l'avrà trovata? La sgriderà e la metterà in punizione? No. La metterà sulle spalle e la porterà nell'ovile. E poi farà festa, perché è contento che quella pecora non è andata perduta ma è ritornata all'ovile.

Ed ecco che da questo esempio fa il riferimento al Paradiso, a come si comporterà Dio con le sue anime (le pecorelle). Lui è il Pastore, il Buon Pastore, quello che ha dato la sua vita per la salvezza di tante pecorelle. E la sua vita l'ha data morendo in croce. In cielo (l'ovile della parabola) ci sarà una grande festa per ogni pecorella che si era allontanata dall'ovile ma che poi vi è ritornata seguendo l'insegnamento del Maestro, di Gesù. Per cui Gesù non doveva stare vicino a chi già conosceva Dio e ci stava in armonia: Gesù è venuto per i peccatori. È il medico dell'anima e dal medico non ci va chi sta bene, ma chi sta male ed ha bisogno di essere guarito.

Gesù ha raccontato anche una parabola che, a mio avviso, è importante per capire bene quella della pecorella smarrita: la parabola del buon pastore. Leggiamo questo passo del Vangelo:

Io sono il buon pastore... le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano (Gv 10:11, 27-28)

In realtà questa sopra non è proprio una parabola, ma è un'autodefinizione. Gesù si definisce Pastore. Chi è il pastore? Il pastore è una persona che guida un gregge di pecore, ed esse lo seguono e si fidano di lui. Gesù non dice semplicemente di essere un pastore. Non è un pastore qualsiasi, lui è il buon pastore. È il pastore buono, quello che si prende cura di noi con i suoi insegnamenti. E noi, sue pecore, riconosciamo la sua voce, come le pecore riconoscono la voce del proprio pastore.

Alla luce di questa frase è più facile capire la parabola della pecorella smarrita con tutto il suo significato pieno di amore per noi. Possiamo riassumere brevemente in pochi punti il messaggio della parabola:

  • Il pastore della parabola è Gesù
  • Gesù ci ama così tanto da dare la sua vita per noi
  • Noi siamo il suo gregge, le sue pecore.
  • Se uno di noi non segue più Gesù, egli non viene abbandonato. Ma Gesù da buon pastore che è lo chiamerà e lo cercherà fino alla fine.


LA PARABOLA DEL SEMINATORE

Gesù nella sua vita non ha parlato solo di pecore. Un'altra parabola molto bella e significativa per noi e per la nostra fede è senz'altro la parabola del seminatore. Leggiamo questo tratto del Vangelo:

Dal Vangelo di Matteo (Mt 13, 1-9)

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose in parabole.
E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda»

E chi meglio del Maestro può spiegare la sua parabola? Nessuno. Ecco infatti i versetti successivi, quando gli apostoli che non capirono la parabola chiesero al maestro il significato.




Dal Vangelo di Matteo (Mt 13,18-23)
Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta».

È ben chiaro che il Seme di cui parla Gesù non è un seme di fagiolo o una mela. No! Il seme che Gesù rende protagonista in questa parabola è senza dubbio la sua parola, la parola che annuncia il regno di Dio.
La parola di Dio è una parola allegra. Inoltre Dio ci ama e da noi può volere solo il bene.

Il terreno invece è dove il Seme viene piantato. Se il seme è la parola di Dio allora il terreno sono le persone che ascoltano la parola di Dio. La parabola mette in evidenzia vari tipi di terreno:

  1. La strada: Un seme che cade sulla strada non ha possibilità di mettere le radici e quindi di poter fare frutto. Quando cade sulla strada il seme viene calpestato dalle persone che camminano, oppure divorato dagli uccelli che passano. Questo terreno rappresenta quelle persone che ascoltano la parola di Dio ma non la comprendono. Su di loro fa lo stesso effetto che una palla elastica fa sulla strada. Vi rimbalza su senza tuttavia rimanervi. E la parola di Dio fa lo stesso percorso. La tocca ma tuttavia non entra nel cuore e quindi non fruttifica.
  2. I Sassi: Il seme che cade sui sassi subito germoglia. Tuttavia non ha radice e appena il sole è un po' più caldo capiterà che la pianta verrà bruciata. Che tipo di terreno è questo? Quali persone rappresenta? Rappresenta quelle persone che appena ascoltano la parola di Dio la comprendono e subito si mettono all'opera (subito infatti cresce la pianta). Tuttavia la prima difficoltà che questa persona incontrerà nel mettere in pratica questa parola, la farà scoraggiare e la sua fede brucerà come viene arsa dal sole la piantina senza radici.
  3. Le spine: Le spine sono lì a rappresentare le difficoltà della nostra vita. Una pianta che cresce tra le spine prima o poi verrà soffocata da esse, e la pianta seccherà. La parola di Dio ci arriva e subito ci mettiamo all'opera perché siamo entusiasti di questo messaggio. Tuttavia il pensiero che la gente si fa di noi (ad esempio i nostri amici quando ci dicono: cosa ci vai a fare a messa? Stai qui a giocare con noi che è più interessante), le preoccupazioni che questa parola può portare ci soffocano e fanno morire il seme che c'è in noi.
  4. La terra buona: Il seme che cade nella terra buona cosa fa? Germoglia e fa crescere una pianta che darà tanti frutti. Questo terreno sono quelle persone che ascoltano la parola di Dio, la mettono in pratica e la fanno fruttificare nella vita quotidiana. Non si fanno soffocare dalle preoccupazioni, non temono di perdere niente, perché il Signore da noi può volere solo il bene più assoluto. Ci ama, e sicuramente non vuole il male da noi.
I numeri anche hanno un significato. Il 100, il 60, il 30. Hanno un significato, specie nel contesto di questa parabola. Sono percentuali. Indicano le percentuali di raccolto sul seminato. Il 100 indica indubbiamente la pienezza, pienezza che si raggiunge solo seguendo l'insegnamento di Gesù sempre, anche quando può sembrare difficile per noi. Il 60 indica non la pienezza ma un qualcosa comunque di sufficiente, mentre il 30 indica qualcosa di scarso (una resa del 30% su un raccolto non è certo la resa migliore).

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