Munch e Il
Grido
di Simona
Regolo
PREFAZIONE
Edvard Munch, pittore visionario,
nonché uno dei massimi esponenti del Decadentismo, visse tra
l'Ottocento ed il Novecento (1863-1944).
La sua vita, purtroppo feconda di
tragedie familiari, non lo aveva di certo aiutato ad avere una
visione della realtà rosea e tramite i suoi quadri da sempre
cerca di esorcizzare la morte attraverso la sua
rappresentazione. La Norvegia, così gelida e come lui stesso a
volte la definisce "triste" aveva ispirato, se non dominato il
colore delle sue opere: violento, feroce, carico, intenso e
acuto come il dolore che accompagnerà l'animo del pittore fino
alla fine dei suoi giorni.
Ma Munch è altresì un innovatore
capace di rinnovare e variare l'arte attraverso il passaggio di
una pittura di natura impressionistica ad una più ardita e, se
vogliamo, anche sfrontata ed empia come si può notare
nell'opera "Madonna" (nessuno prima di lui aveva osato
raffigurare la Vergine nuda come se fosse una prostituta, ma al
di là della prima impressione ci accorgiamo di quanto sia
sensuale, estremamente femminile ed erotica quella donna che
socchiude gli occhi dimenticandoci dell'aspetto
blasfemo).
"La natura è l'opposto dell'arte.
Un'opera d'arte proviene dirretamente dall'interiorità
dell'uomo.
… La natura è il mezzo, non il
fine. Se necessario raggiungere qualcosa cambiando la natura,
bisogna farlo.
… L'arte è il sangue del cuore
umano."
Attratto dai temi dell'angoscia e
della morte, della sofferenza e della solitudine, primitivo e
allo stesso tempo raffinato, selvaggio ed infantile; questo
artista sensibile al linguaggio naturalista di Oslo e
all'Impressionismo, vicino alla poetica simbolista, ai nabis
come ai fauves ma soltanto in funzione della liberazione e del
rinnovamento del proprio linguaggio espressivo rispetto alla
tradizione, questo pittore dalla scrittura approssimativa e
disinvolta, dagli accostamenti cromatici più inattesi e
stridenti, dai procedimenti tecnici quanto meno insoliti, ha
saputo conferire alla sua opera una forza evocatice tale da
superare le convenzioni e i condizionamenti dell'epoca,
proiettandola nella modernità.
La pittura di Munch nasce come
necessità di approfondimento e chiarimento della propria vita,
fonte principale della sua esperienza immaginativa. Dipingere
significa per lui sondare gli aspetti segreti dell'animo
umano.
"In generale l'arte nasce dal
desiderio dell'individuo di rivelarsi all'altro. Io non credo
in un'arte che non nasce da una forza, spinta dal desiderio di
un essere di aprire il suo cuore. Ogni forma d'arte, di
leteratura, di musica deve nascere nel sangue del nostro
cuore".
IL
GRIDO
Nell'opera
"Il Grido", che risale al 1893, ogni residuo di realismo
viene completamente dismesso, la natura e i colori
esistono in funzione della percezione interiore, ogni
cosa diventa specchio dell'anima.
Tutto si riferisce alla perdita di equilibrio dalle linee che
ondeggiano pericolosamente, sul punto di essere quasi
risucchiate da un vortice, al ponte che sembra scivolare verso
l'osservatore. La raffigurazione diventa emblema del dolore
universale. La creatura che si volta in primo piano, sbarra gli
occhi e porta le mani alle orecchie per non udire un urlo che è
al contempo suo e del mondo circostante, non è uno dei numerosi
autoritratti dell'artista, bensì l'immagine di ogni essere
umano, senza sesso, senza razza, senza età, ridotto ai minimi
termini, completamente esangue, tanto che il corpo stesso
ondeggia.
La forza della visione è potenziata dalla scelta di far
tagliare l'inquadratura dal margine inferiore del supporto,
annullando così ogni mediazione tra il mondo dipinto e quello
reale.
ANALISI
VISIVA
FOTO 1:
Il punto di fuga è al di fuori del quadro per dare l'idea di un
qualcosa che si espande, che si allontana e si potrae verso
l'esterno.
FOTO 2:
Solamente il viso spettrale della creatura è posizionato al
centro dell'opera, tutto il resto è in movimento, perfino il
suo corpo ondeggia, segno di un mancato equilibrio.
FOTO 3:
L'opera è cromaticamente ripartita in tre settori: nel settore
1 c'è la prevalenza di colori caldi come rosso, giallo ed
arancione; nel settore 2 ci sono i neri, i verdi ed i blu cioè
colori freddi;
nel settore 3 c'è un mix di colori caldi e freddi. Questa
molteciplicità cromatica ha l'effetto di confondere l'occhio
dell'osservatore e di valorizzare soltanto la figura
centrale.
CRITICA
G.Bruno (Edvard Munch, 1986)
Nessun artista del secolo scorso ha vissuto fino in fondo con
eguale consapevolezza la crisi della coscienza e della cultura
occidentale: tale consapevolezza è poi la condanna che ha
dannato l'arte del nostro secolo. In Munch la tragicità e la
dissoluzione della propria vita si fondono e si combinano con
la tragicità e la dissoluzione della propria opera. Proprio
questa consapevolezza ha consentito all'artista di presentarsi
nel nuovo secolo tra i protagonisti di una nuova, desolata
visione. La grande stagione simbolista di Munch è storia del
secolo scorso, e accoglie, negli estremi espressivi della sua
drammatica visione, quella fiducia nell'immaginario che il
nuovo secolo negherà definitivamente all'artista. Sorta di
speculum mundi, traduce nel mistero delle immagini il mistero
della vita.
E. di Stefano (Munch, 1994)
Come Kafka, anche Munch non cessa mai di sentirsi
misteriosamente colpevole, perseguitato dai propri spettri.
E nei suoi quadri non farà altro che "scrivere" e "riscrivere"
la sua vita: un'autobiografia dell'anima per immagini, o meglio
un'autonomia delle catastrofi dell' Io, imprudente
nell'intensità, provocante nei mezzi. Chi guarda sbatte contro
quell'ansia e vi riconosce la propria: non vi è dubbio che, tra
i pittori, Edvard Munch è colui che, più di ogni altro, ha
saputo dare volto alla psiche moderna.
O.S. Bjerke (Edward Munch, l'opera come testo, 2001)
Il modo di rappresentare di Munch, dove il dramma si consuma in
uno spazio limitato e saturo, dove i singoli elementi, come per
esempio gli oggetti o i colori di un interno,
forniscono le chiavi per interpretare sia la situazione sia i
personaggi, facendo così da cassa di risonanza ai loro pensieri
e alla loro vita affettiva, è fortemente affine ai drammi di
Ibsen. La concezione dello spazio di Munch si rivela spesso
identica a quella del dramma naturalistico: uno spazio piccolo
e definito al quale è stata tolta una parete per permettere di
sbirciare dentro e dove, come spettatori, siamo messi a stretto
contatto con gli eventi.
G. Cortenova (L'io e gli altri, in Munch, 2001)
L'opera di Munch è pervasa da uno strato di permanente
conflittualità, che altera la visione e la trasforma in
allarme, teatro di uno squilibrio mai risolto, di una
personalità che trascende la cronaca delle umane vicende ma ne
contrassegna il destino esistenziale. La pittura di Munch si
iscrive peraltro nell'ordine della sconfitta, nella sua
sconfinata ineluttabilità, relativa sia alla vicenda umana sia
all'utopia dell'arte.
F. D'Amico (Oltre l'impressionismo. Le radici del moderno,
2001)
L'amore, la malattia, la follia, la solitudine,
l'incomunicabilità, la morte sono fin dall'inizio gli "angeli
neri" che gli premono l'esistenza: ad essi egli dedicherà le
sue immagini.
Si aggiunge che dall'ossessiva ricerca di Munch su queste che
riteneva le poche nostre ineludibili verità, nasce l'unitarietà
della sua opera, che è davvero minacciosa e tragica come quel
Grido assordante e inascoltato che darà il titolo al dipinto
suo rimasto più celebre. Qui risiede la "forma" di Munch: nel
sottrarre ad ogni sua occasione figurativa la curiosità
inoffensiva dell'aneddoto; e nel donarle invece la perentoria
assolutezza e l'ansia misteriosa
dell'eterno.
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