Le emozioni e il desiderio dell’uomo

(La nostra visione psicologica)

L’uomo che non conosce i propri desideri è destinato a ripetere cento volte gli stessi errori. Ma non li chiama errori, li chiama soluzioni. Quest’uomo continua a riproporre gli stessi schemi senza vedere le alternative. Non sa trovare la propria avventura, non coglie le possibilità che gli passano accanto, e gli mancano le parole giuste dette al momento giusto.

Il vero problema non sono tanto i desideri insoddisfatti, quanto i desideri che non abbiamo saputo ammettere e comprendere. In parte per mancanza di coraggio, in parte per mancanza di una sensibilità adeguata.

Quando parliamo di desiderio, pensiamo al luogo più intimo della psiche e alle emozioni che vi hanno dimora.

L’emotività rivendica per sé stessa un grado di realtà più profondo della ragione e più antico delle cose.


Nostro scopo è quello di studiare gli articoli scientifici sulle emozioni e di costruire una narrativa per consegnare il sapere delle emozioni alla persona.


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L’emozione più importante è probabilmente l’interesse; in uno scritto precedente l’abbiamo chiamata anche voglia-di-fare. Quando l’interesse è compromesso, la vita perde attrattiva. Lo si vede bene nel caso delle persone depresse. Comprendere come tenere vivo l’interesse è quasi come trovare la formula della felicità.

Lo psicologo che ha insistito molto sul ruolo dell’interesse è Carroll Izard. Izard concepisce le emozioni come un flusso continuo alla base dell’attività cosciente, ed assegna all’interesse un ruolo particolare nell’attivare l’organismo in combinazione con altre emozioni.

Izard ha anche suggerito un parallelo fra le emozioni di base ed i gusti fondamentali. La combinazione del dolce del salato dell’amaro e dell’aspro può generare un’infinita varietà di sapori. In modo simile, la combinazione delle emozioni di base può dar luogo ad una vasta gamma di sensazioni affettive.

Il punto di vista di Izard è molto simile a quello di Jaak Panksepp, il fondatore delle neuroscienze affettive. Le neuroscienze affettive di Panksepp individuano sette sistemi emotivi fondamentali: interesse, paura, rabbia, sessualità, cura, pena della solitudine e gioco. Il quadro concettuale sviluppato da Panksepp costituisce il nostro punto di riferimento.

Nel linguaggio di Panksepp, all’interesse corrisponde il sistema emotivo della RICERCA (in inglese SEEKING). Panksepp impiega il termine “RICERCA” perché gli animali mossi da questo sistema emotivo antichissimo si impegnano in intense esplorazioni dell’ambiente in cui si trovano.

La comprensione del malessere è propedeutica alla comprensione del benessere, ed è questo che ci ha spinto ad interessarci alla depressione. Lo studio della depressione aiuta a comprendere come funzionano le emozioni. Nella visione di Panksepp lo stato depressivo corrisponde ad uno stato cronico di bassa attività dell’interesse. Tale punto di vista trova corrispondenza sia nel DSM (che è una sorta di “catalogo ufficiale” delle patologie mentali) sia in ambito psicoanalitico.

Il dolore della solitudine può facilmente sfociare nel pianto, e se il pianto non ha successo nel richiamare l’aiuto di qualcuno, può subentrare uno stato di inattività imparentato con la depressione. La riflessione su questo tema rende più chiaro il legame fra la patologia depressiva e una vita sociale deteriorata.


PER APPROFONDIRE: “LA DEPRESSIONE E IL PIANTO”


Nell’ambito dei disturbi dell’affettività vi sono due grandi famiglie: la depressione e i disturbi dell’ansia. Fra questi, i disturbi depressivi formano una famiglia relativamente unitaria, caratterizzata da un calo dell’interesse verso il mondo. La famiglia dei disturbi dell’ansia invece, è al suo interno suddivisa in una serie di disturbi qualitativamente ben distinti l’uno dall’altro. Vi sono per esempio l’ansia generalizzata, il disturbo da stress post traumatico, le fobie specifiche, le fobie sociali e gli attacchi di panico. Ciascuno di questi disturbi possiede un profilo caratteristico, e riceve un contributo specifico dai diversi sistemi emotivi, in particolare dalla paura e dalla pena della solitudine.


PER APPROFONDIRE: “ANSIA E DEPRESSIONE: RELAZIONE E DIFFERENZE”


Gli attacchi di panico sono normalmente collocati fra i disturbi dell’ansia, e vengono quindi associati all’emozione fondamentale della paura. Secondo Panksepp invece, gli attacchi di panico avrebbero un legame particolare con la pena della solitudine, e sarebbero quindi imparentati con i disturbi depressivi. Non è un caso che la co-occorrenza degli attacchi di panico e della depressione sia molto elevata, e che alcuni farmaci attivi contro la depressione siano attivi anche contro gli attacchi di panico.


LEGGI ANCHE: “DEPRESSIONE ED ATTACCHI DI PANICO: UNA RADICE IN COMUNE?”


Lo stress è un fenomeno di cui tutti possiamo facilmente fare esperienza, ma, quando si tenta di darne una spiegazione soddisfacente, si incontrano delle difficoltà non indifferenti. Panksepp adotta l’ipotesi per cui lo stress prototipale corrisponda allo stress dell’abbandono e quindi all’azione della pena della solitudine. Ponendoci nella scia di Panksepp, abbiamo provato a descrivere lo stress come un modo di gestire il coinvolgimento nel mondo, e la depressione come un caso di interruzione di tale coinvolgimento.


LEGGI ANCHE: “LO STRESS E LA DEPRESSIONE”


La depressione consiste anzitutto in una mancanza d’interesse verso il mondo, e sembra trovare una delle sue cause fondamentali nelle situazioni di solitudine e di abbandono. A partire da tali premesse è naturale pensare ad un lavoro contro la depressione fondata su due strategie parallele. La prima consiste nel coltivare le sorgenti interiori di interesse. La seconda nell’alimentare la dimensione relazionale. Abbiamo provato a descrivere brevemente queste due strategie nel nostro libro “Come combattere la depressione. 30 pagine di informazione”.

La depressione è una patologia che può svilupparsi indipendentemente dall’emozione della rabbia, ma la rabbia può contribuire alla strutturazione dei casi di depressione più gravi. Specialmente se la rabbia si dirige verso noi stessi. Abbiamo approfondito questo tema nell’articolo La relazione fra rabbia e depressione.

La rabbia è un’emozione che solitamente si attiva quando riconosciamo intorno a noi un’intenzione ostile. La rabbia è presente nell’essere umano fin dai primi mesi di vita, e inizia a creare difficoltà ai genitori intorno ai due anni di età del bambino. Nell’articolo dedicato alla rabbia nei bambini abbiamo raccolto le indicazioni utili ad affrontare questa situazione, a volte molto problematica.

La rabbia si può manifestare in situazioni competitive, come sull’ambiente di lavoro, ma anche nell’ambito delle situazioni più intime, come nella relazione col partner. Qui la rabbia si origina dalla fiducia che concediamo alla persona amata. Ci aspettiamo dall’altro la comprensione delle nostre esigenze, ed anche dei piccoli gesti mancati possono diventare motivo di disappunto.


PER APPROFONDIRE: “LA RABBIA VERSO IL PARTNER: IL RUOLO DELICATO DEL DESIDERIO”


Fare i conti con la propria rabbia e con la rabbia degli altri può essere una tappa importante nello sviluppo della persona. Una presentazione più completa dei nostri articoli sulla rabbia si trova nell’articolo guida: La psicologia della rabbia.

Il gioco è un’altra delle emozioni a cui la nostra eredità biologica ci predispone naturalmente. La ricerca condotta da Jaak Panksepp è particolarmente significativa al riguardo. Panksepp si concentra in particolare sul gioco di lotta fra animali, e nel corso degli anni ottanta ha eseguito degli esperimenti molto importanti sui ratti (i ratti sono animali che giocano molto, al contrario dei topi, che giocano poco). In questi esperimenti veniva rimossa la maggior parte della corteccia cerebrale e si continuava ad osservare il comportamento del gioco di lotta. Ciò dimostrava che il comportamento del gioco non era dovuto ad una forma di elaborazione cognitiva, ma era da ricondurre a strutture più profonde del sistema nervoso.1

Tornando al mondo degli esseri umani, nel dire gioco pensiamo almeno a due immagini: la prima è quella dei bambini che si rincorrono a vicenda a turni alterni, l’altra è quella dei bambini che nel gioco di fantasia trasformano la scopa in un cavallo da cavalcare. Nella letteratura sul gioco si trovano spesso degli autori che magnificano il gioco come una fonte di gioia e di apprendimento per l’essere umano. Il problema è che manca ancora una descrizione psicologica soddisfacente di cosa sia il gioco. Noi abbiamo iniziato una ricerca che ci ha portato finora a leggere una grande quantità di scritti sul gioco. Al momento l’approccio che troviamo più soddisfacente è quello dello psicoanalista inglese Donald Winnicott. Lo abbiamo descritto in dettaglio nell’articolo “Gioco e Realtà” di Donald Winnicott: una sintesi teorica. Una descrizione più ampia della nostra ricerca sul gioco si trova nell’articolo guida: La psicologia del gioco: una ricerca in corso.

Tra gli altri articoli presenti sul sito e che vorremmo ricordare ve ne sono alcuni dedicati alla visione di importanti studiosi delle emozioni, spesso posti in comparazione con la posizione di Panksepp.

Klaus Scherer ha sviluppato un approccio in cui è importante il processo di valutazione degli eventi. Tale processo può essere facilmente ricondotto alla definizione di sistema emotivo data da Panksepp. Scherer muove delle obiezioni alle teorie delle emozioni di base, ma il suo pensiero può essere riconciliato con quello di Panksepp se ricordiamo come quest’ultimo non ritenga che le emozioni di base siano dei sistemi immutabili e completamente definiti biologicamente. Al contrario, Panksepp sottolinea esplicitamente la grande varietà di sfumature emotive che si possono originare dall’interazione fra emozioni di base e sfera cognitiva.

Robert Plutchik ha una visione delle emozioni prettamente evoluzionistica. Questo va molto d’accordo col punto di vista di Panksepp, che però aggiunge all’inquadramento concettuale evoluzionistico un ricchissimo bagaglio di informazione legata all’anatomia e al funzionamento biochimico del cervello.

Paul Ekman è famoso per aver individuato le stesse espressioni facciali delle emozioni in culture differenti. La teoria di Panksepp si pone come una naturale estensione della visione di Ekman, in quanto è in grado di gettare luce sui meccanismi che generano le espressioni facciali studiate da Ekman.

Il lavoro di Edward Tronick ci offre alcune idee molto preziose per comprendere la relazione emotiva fra la madre ed il bambino. Ad esempio: “La madre e il bambino si trovano in uno stato di sintonia altalenante. La proprietà fondamentale su cui porre l’attenzione non è la capacità di restare sempre in sintonia, bensì la capacità di recuperare la sintonia e di ripristinare la relazione dopo che queste sono state interrotte.”

Daniel Goleman non è propriamente un ricercatore o un teorico, potremmo dire che è piuttosto un divulgatore. Nondimeno ha rivestito un ruolo significativo nel rendere popolare il concetto di Intelligenza Emotiva (introdotto inizialmente da Salovey e Mayer) con il suo libro omonimo del 1995.

Molti dei concetti descritti da Goleman rimangono validi a distanza di diversi anni dalla pubblicazione del suo libro intelligenza emotiva, ma vi sono diversi punti in cui il suo punto di vista si discosta da quello di Panksepp. In particolare, nella visione di Goleman le emozioni sembrano rimanere una fonte di possibili problemi che la ragione può tenere sotto controllo. Leggendo Panksepp, invece, le emozioni vengono collocate ad un livello gerarchico, per cosí dire, più importante della ragione. E il discorso delle emozioni non è più dominato dalla necessità di tenere sotto controllo l’emotività negativa. Il focus viene a posizionarsi piuttosto sulle grandi possibilità offerte dalle emozioni positive come la cura ed il gioco.

Stanislas Dehaene non si occupa precisamente di emozioni, ma nel suo lavoro troviamo un approfondimento molto interessante sul modo in cui il pensiero cosciente emerge dagli strati inconsci della mente. Potremmo considerare il lavoro di Dehaene come più spostato sul lato cognitivo e focalizzato sulla corteccia cerebrale, là dove Panksepp si concentra sulla parte più antica del cervello. Per questo l’approccio di Dehaene si pone come complementare a quello di Panksepp.

La riflessione sul passaggio dagli strati dell’inconscio agli strati coscienti dell’attività mentale è un punto molto importante per chi aspira alla consapevolezza emotiva. Si tratta di lavorare molto sulla memoria a breve termine, ed è un tema che si sposa a perfezione con molti concetti elaborati nell’ambito della meditazione mindfulness.

Ultimo ma non ultimo, vorrei ricordare che l’ecosistema emotivo in cui viviamo non è un dato di fatto immutabile nel tempo. Ci siamo arrivati con un lungo percorso storico che prende le mosse dalle condizioni di vita tipiche dei cacciatori raccoglitori dei tempi preistorici. Questi ultimi vivevano probabilmente degli equilibri emotivi molto diversi da quelli a cui noi siamo abituati oggi. Soffermarci su questa diversità può alimentare uno sguardo nuovo con cui osservare incuriositi le nostre giornate. L’articolo in cui ne parliamo è questo: Il matriarcato e la casa delle donne.


1Panksepp, Jaak, et al. “Effects of neonatal decortication on the social play of juvenile rats.” Physiology & Behavior 56.3 (1994): 429-443.