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Un gruppo di persone albine all'incontro di Albinismo.eu 2011
Un gruppo di persone albine all'incontro di Albinismo.eu 2011

Mai incontrato una persona albina? Vi pongo questa domanda per una vicenda che mi è capitata qualche settimana fa quando via mail mi giunse la richiesta, da parte dello staff del portale web Albinismo (il 7 luglio a Roma la convention nazionale), per scrivere la presentazione di un libro proprio su questo tema. Mi incuriosì, forse perché qualche giorno prima avevo letto la notizia che a Palermo da una coppia di colore era nato un figlio bianco albino. Decisi di contattarli. Ma cosa sapevo in realtà su queste persone? Poco o pochissimo l’ammetto. Sapevo vagamente che era causato da un’anomalia genetica, che questa mutazione porta alla scarsa produzione di melanina e quindi a pelle bianchissima e capelli biondo cenere se non bianchi e a forti difficoltà visive che da ignorante consideravo il vero handicap. Ma non era così.

Poteva l’essere troppo bianchi portare a forme di isolamento da parte della società? Forse in società tribali africane, ma – pensavo – non in Italia. Qualche forma di isolamento persiste, soprattutto tra le persone meno acculturate», spiega Isabella Macchiarulo del portale Albinismo.eu, «certo l’handicap visivo preclude molte strade, anche lavorative, ma ne lascia aperte molte altre, comunque  oggi la diagnosi precoce dell’anomalia, permette digestire fin dall’inizio alcuni problemi». Così perso nelle mie riflessioni, mi faccio convincere a leggere il libro.

La bozza del libro arriva via mail e comincio a sfogliarlo, leggendo da principio i curriculum vitae degli autori, tutti medici affermati ed esperti della materia. Chiamo Maria Cristina Patrosso, genetista responsabile del progetto Diagnosi differenziale di albinismo oculare ed oculocutaneo nella popolazione italiana presso la Struttura di genetica medica e di Oculistica pediatrica del Niguarda Ca’ Granda, che mi spiega che «Il paziente albino ha due problematiche importanti: da un lato la sua pelle è priva di melanina e quindi più esposta ai raggi del sole dannosi per la pelle – l’incidenza del tumore della pelle (in particolare il carcinoma squamocellulare) è più elevata nel corso degli anni rispetto alla media nazionale – dall’altro la traslucenza iridea porta a un visus molto ridotto». Che tradotto significa una vista ridotta al lumicino.

Non procedo oltre nelle spiegazioni scientifiche che lascio agli esperti e ad altre sezioni del giornale, ma torno all’indice del libro e lo scorro alla ricerca – deformazione professionale da quando lavoro ad Ok Salute e Benessere – di ciò che più mi affascina: le storie delle persone.

Becero voyerismo? No intima consapevolezza che una malattia porta con sé mille rivoli di umanità. E sono quelli di cui sono “ghiotto”. Ed ecco, che tra le pagine del libro, incontro Vincenzo che con immensa semplicità racconta la storia della sua infanzia in Sicilia, del suo primo anno di scuola, in cui non conoscendo la sue difficoltà visive la maestra lo mise in ultima fila (con il risultato delle bocciatura). «A quel tempo soffrivo moltissimo», confessa Vincenzo, «a undici anni iniziai a tingermi i capelli con il consenso della mia famiglia. Consenso che alimentava sempre più complessi e fantasmi: non doveva esserci ricrescita bianca e la tinta la rifacevo anche solo dopo venti giorni dall’ultima. Mi tingevo anche le sopracciglia». Un gesto, a mio avviso, sintomatico della sensazione di sentirsi diversi e poco accettati dalla società. Una sensazione che si legge chiara nel racconto di una donna, una mamma vecchio stile, così preferisce firmarsi, che racconta «ai miei tempi gli albini sembravano provenire da un altro pianeta: sguardi insistenti e risolini erano all’ordine del giorno».

Sembrano storie di anni fa, ma non è così. Silvana, madre di una bimba di 7 anni spiega cosa significa essere madri di una bimba albina nel XXI secolo: «all’inizio è stata dura e a volte lo è ancora… quando portavo Ilenia (la figlia di 7 anni , n.d.r.) nel passeggino tentavo incosciamente di nasconderla dagli sguardi altrui per non sentire le cattiverie delle persone. Adesso so che è ignoranza, ma all’epoca per me erano cattiverie e facevano male, molto male…». E torno a chiedermi perché un mondo come il nostro non sia in grado di vedere la diversità come una ricchezza… e rubando la battuta a Isabella vi mando un candido saluto.

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10 luglio 2012 | 10:49

Sono albina e svolgo attività come psicoterapeuta. Nel mio lavoro promuovere il processo di autonomia è l’obiettivo principale. E’ un PROCESSO, l’autonomia, un CAMMINO, faticoso, “doloroso”ed anche molto ricco di soddisfazioni. L’autonomia, per una persona con un handicap, rappresenta un bel traguardo! Ciò dovrebbe essere vero e ricercato anche e soprattutto, dai genitori della persona portatrice dell’handicap. Dalla mia esperienza, aimè, non è sempre così!
I motivi sono vari, molteplici, tutti con un loro peculiare significato sia conscio che inconscio.
Dare la possibilità ad un bambino albino di conoscere di “quale razza sia”, cioè in cosa realmente consiste la sua diversità genetica, oggi, così come in futuro, gli sarà di grande AUSILIO per gestire al meglio la sua diversità, rendendolo consapevole di poter riuscire nella vita e così crearsi LA SUA PARTICOLARE AUTONOMIA.Perchè :”la cosa migliore che possiamo fare è quella di imparare a conoscere la nostra soggettività, ad accettarla ed espanderla, piuttosto che cercare disastrose imitazioni e paragoni” (M.Novellino).
Il regalo più bello che un genitore può fare a suo figlio (in questo caso albino o non) è aiutarlo a staccarsi da sè, consapevole che non vivrà in eterno! Vedo troppi genitori iperprotettivi, spaventati, che celano, più o meno consapevolmente, dietro un’attenzione ed una cura del figlio, devastanti sensi di colpa e paure di abbandono.
La mia è una riflessione nata dall’osservazione e dall’esperienza personale e professionale, proprio in virtù del fatto che sono sia”dentro” che “fuori” da questa anomalia genetica di nome albinismo.
Laura

24 giugno 2012 | 22:05

Tutto quanto qui ho letto mi rende partecipe. Condivido!! Conosco Bomprezzi, in quanto sono fondatrice del Gruppo di poesia/prosa disabili e non presso l’Associazione VIS – Volontari per l’Inclusione Sociale, di Milano. Ho scritto a Imprudente, conosco i suoi libri; mio figlio Enrico Carlo, poeta disabile, utilizzò numerosi Alfabetieri, giocava con le lettere e le parole.

24 giugno 2012 | 11:58

AA.VV., Chiari per natura – l’albinismo: una diversità vivibile – conoscere aiuta a comprendere – condividere aiuta a crescere (in italiano), Galassia Arte, 2012.
Consigliatomi da un amico lo giro anche a voi.
Buona domenica.MG

Franco Bomprezzi 24 giugno 2012 | 13:19

Grazie!! Questa è la comunità in viaggio degli Invisibili…

23 giugno 2012 | 16:05

La diversità nell’uguaglianza? la chiamerei più “La differenza”! E la “differenza” è bella!

23 giugno 2012 | 07:21

erano gli anni 60 ed avevo 7/8 anni, a quei tempi era di moda tingersi i capelli color platino e per la strada la gente chiedeva a mia madre quale parrucchiere mi avesse tinto i capelli di un colore bianco “cosi bello”. Io non capivo ero piccola. La vita mi ha riservato difficoltà soprattutto a scuola quando dovevo copiare le equazioni di matematica dalla lavagna, che disastro
A 27 anni ho avuto un tumore della pelle ed ho sopportato 5 anni di chemio.
Nonostante tutto ciò con la forza di volontà e l’aiuto immenso che mi ha dato la mia famiglia sono una moglie e madre felicissima. Mi occupo di turismo ed ho una posizione manageriale di grande responsabilità-
Sorrido alle persone albime che incontro perchè vorrei dire loro che al mondo di oggi dove si vede di tutto chi si accorge più se sei albino.

Simone Fanti 23 giugno 2012 | 10:49

Grazie per la sua testimonianza che può dar forza a chi invece si sconta con la diffidenza.

23 giugno 2012 | 00:14

chiedete a mio figlio di descrivergli la sua compagna di classe M. e vi dirà che è marrone scuro(la bimba è etiope) mentre il suo amico K è un marrone diverso più chiaro (è filippino), R. ha i capelli rossissimi e il suo amico G. della montagna è bianco coi capelli bianchi e gioca all’ombra. Come ha ragione la ragazza che dice che negare la diversità è discriminazione: se io ignorassi la disabilità di qualcuno gli creerei più problemi che altro, ma quello che serve è accogliere l’altro per come è marrone scuro, bianchissimo, o ipovedente down è fatto così.
io vivo così l’albinismo di G. non si gioca al sole con lui e non gli si mostrano piccoli oggetti lontani ma G. è G.

22 giugno 2012 | 21:58

Non siamo forse tutti diversi l’uno dall’altra?
Persino due gemelli omozigoti sono diversi!!!
Conoscere l’altro è un’atto d’amore anche verso se stessi…….
A me piace la parola diversità. A me piacciono le parole conoscenza,scoperta,curiosità,reciprocità,rispetto,pari dignità.
ANCHE IO SONO DIVERSA!
Scusate se ho volutamente estendere il termine diversità all’essere umano,trascurando forse l’aspetto della disabilità. Ma la diversità è così parte di noi che forse non ce ne accorgiamo…e molte volte viaggia- nello stesso treno su binarsi diversi-nel senso che siamo tutti -uno,nessuno e centomila- Maria G.

22 giugno 2012 | 21:50

Ops!, Fanti ha fatto bene a farmelo notare … svista da “albina”. Isa

Simone Fanti 23 giugno 2012 | 10:51

Oppure non chiarezza nello scrivere… svista “da giornalista” 😉

22 giugno 2012 | 19:39

sono la mamma di Federica parzialmente albina e viviamo a Ischia,devo dire che e’ fortunata anzi fortunatissima perche’ ha un carattere forte,conosce la sua patologia vive una vita normalissima,mi rammarico quando le persone la osservano come se fosse di un’altro pianeta o quando al mare gli altri bambini la indicano perche’ porta una muta per stare in spiaggia,c’e’ chi negli anni,perfetti sconosciuti,si sono avvicinati per dare la loro “magica ricetta”,noi gli sorridiamo e li ringraziamo.Qualche anno fa in montagna ho incontrato una signora di Bari con il suo bambino totalmente albino,con problemi psicologici,a suo dire dovuti dalla cattiveria a cui era sottoposto costantemente suo figlio,che rabbia…non prevedo il futuro ma spero che nostra figlia mantenga il suo spirito alto e la sicurezza che la caratterizza.

22 giugno 2012 | 19:10

Leggendo i vostri post, noto che, in linea di massima tutti si accomunano nell’affermare che gli albini (questo è il caso) non sono diversi dagli altri e che non c’è nulla che giustifichi il considerarli tali. Io, da albina vi chiedo (provocatoriamente): negare la diversità non è forse atto discriminatorio? Nell’articolo si parla di discriminazione verso la diversità. La soluzione però non è negare la diversità.
Perchè si ritiene tanto necessario UNIFORMARSI, dover fare una vita NORMALE e ritenersi UGUALI agli altri?
Io sono diversa, è un dato di fatto, ma non è il mio albinismo a dirlo. Chi lo conferma con prepotenza sono il carattere, le esperienze, le attitudini le capacità e perchè no, le inettitudini.
Alcuni di voi confondono, a mio avviso, la diversità con l’inclusione. Il papà di cui si parla in un post, ad esempio non è uguale agli altri, ha semplicemente avuto a disposizione gli strumenti e le opportunità per condurre una vita inclusiva nel contesto sociale in cui vive. Questo è ciò ce si dovrebbe realizzare.
Questa confusione forse nasce dal fatto che, il sentirsi inclusi, fa star bene e ci fa sentire al pari degli altri.
Noi siamo uguali (o almeno dovremmo esserlo) solo di fronte alla legge e alle regole sociali, ma nella sostanza siamo diversi.
L’inclusione, scolastica, sociale e lavorativa si realizza con l’educazione alla diversità che significa proprio saperla accettare, e saper rimuovere quegli ostacoli che impediscono alla diversità stessa di realizzarsi. Il parlarne costituisce il punto di partenza di un’atto formativo che può e deve realizzasi a scuola e nel sociale. Isa

Simone Fanti 22 giugno 2012 | 20:37

Cara Isa nel testo, come può leggere, io non parlo di discriminazione ma di isolamento. Faccio mia la sua provocazione : perché è necessario uniformarsi? Perché non di riesce a considerare la diversità come una ricchezza?