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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONTRO LE LEUCEMIE - ONLUS SEZIONE PROVINCIALE DI TREVISO Periodico semestrale dell’AIL Treviso - Anno XV - n.2 (Dicembre 2008) Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB TV In caso di mancato recapito restituire all’ufficio di Treviso CPO detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa


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Sommario Teresa Pelos trevigiana dell’anno

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Quando la speranza nasce da un scommessa fatta nel buio (M. Gottardi)

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AIL Treviso e ULSS 9 insieme per l’assistenza domiciliare Gli amici dell’AIL

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Il volontariato fa bene al cuore (Una volontaria AIL) Le nuove speranze dell’AIL

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Filo diretto con il medico Il farmaco: dalla ricerca alla cura (P. Bonvini)

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L’ impatto psico-sociale dell’assistenza sui familiari di pazienti oncologici (A. Tammaro) Il trapianto di cellule staminali periferiche nella malattie autoimmuni (P. Stefani)

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AIL Treviso e ULSS 9 insieme per la ricerca: tre progetti per non dimenticare (T. Pelos)

Ricordiamo i nostri amici

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Il racconto. Una vita sotto il campanile (A. Da Dalt)

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AIL NOTIZIE - Periodico dell’Associazione Italiana contro le Leucemie ONLUS - Sezione Provinciale di Treviso (Iscritto al n. 923 del registro stampa del Tribunale di Treviso il 4 febbraio 1994). Presidente Mariotto Pelos Teresa - sede operativa: via Zoppè, 37 - 31020 S. Fior (TV) Tel. e Fax 0438/777415 - per la corrispondenza AIL Associazione Italiana contro le Leucemie ONLUS - C.P. 45 - S. Fior (TV) - Direttore responsabile Giovanni Dan - Redazione e impaginazione a cura di Gianfranco Dal Mas - Stampa: GRAFICHE V. BERNARDI s.r.l. - Pieve di Soligo (Tv) Per eventuali donazioni a favore dell’AIL Treviso:

CCP n° 13278312 Bonifico: BANCA DELLA MARCA CREDITO COOPERATIVO IBAN IT 07 V 07084 61880 T20990040050

www.ailtreviso.it ailtreviso@ailtreviso.it redazione@ailtreviso.it In copertina “AIL Natale 2008”, la nostra Associazione nella fantasia di Manuela Venerandi.

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Teresa Pelos “TREVIGIANA DELL’ANNO” Un referendum lanciato dal quotidiano Corriere del Veneto e dal canale televisivo Rete Veneta ha eletto la nostra presidente personaggio femminile simbolo del 20072008. Attraverso migliaia di voti via e-mail e sms, lettori e telespettatori hanno ricordato ed apprezzato il suo impegno nel volontariato. La cerimonia di premiazione è stata per la signora Teresa l’occasione per ripercorrere la storia della nostra Associazione e per fare il punto sul volontariato nella nostra Provincia. La presidente dell’AIL ha dedicato il riconoscimento a tutte le mamme che, come lei, hanno perso un figlio.

Sono più di 23 anni ormai che Teresa Pelos è accanto a quanti sono colpiti dalla leucemia e da altre malattie maligne. Se, partita dal nulla, l’AIL Treviso è diventata una grande associazione, lo si deve a questa piccolagrande donna, che ha saputo coinvolgere in questo progetto tanti amici. Il segreto di tanto successo sta nel fascino esercitato dalla sua capacità di donare, la grande attenzione ai malati e alle loro famiglie, il coraggio e la sicurezza con cui scende in campo e si muove nel dedalo delle difficoltà, la disponibilità che non conosce limiti. Dopo averlo fortemente voluto, è riuscita a realizzare il suo grande sogno: la Divisione di Ematologia ed un Day-Hospital per la cura delle patologie onco-ematologiche presso l’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso. A tali strutture sono collegati un modernissimo laboratorio di Citogenetica ed uno di Biologia Molecolare, anche questi interamente finanziati dall’AIL Treviso. Ma l’AIL Treviso è fondamentalmente colei che alla associazione dedica 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana. Instancabile, perché ogni cerimonia di inaugurazione di una nuova struttura è per lei l’occasione per parlare del prossimo progetto. Ed il nuovo progetto (ambizioso come sempre) sarà la realizzazione di una nuova Casa AIL nei pressi dell’ospedale Ca’ Foncello

per malati e familiari. Per questo ha coinvolto ancora una volta la nazionale Cantanti che gareggerà a breve allo stadio “Tenni” di Treviso contro la Nazionale Piloti. Sempre in silenzio e senza clamori. Ma la sua attività la porta, inevitabilmente, spesso alla ribalta. Così, nonostante il suo carattere schivo, la vediamo sempre più di frequente accanto a vip e personaggi dello spettacolo, nelle manifestazioni il cui ricavato va alla sua Associazione, a parlare dell’impegno e delle finalità dell’AIL. Il 7 aprile 2003, in una cerimonia al Quirinale, il Presidente Ciampi le ha conferito la medaglia d’oro per il suo impegno nella Sanità ed il 2 giugno ha ricevuto il distintivo di Commendatore della Repubblica Italiana. Nel maggio 2006 ha poi ricevuto il premio “donna dell’anno” da parte del CIF (Comitato Italiano Femminile). Il recente riconoscimento “donna dell’anno della Provincia di Treviso”, ci ha fatto piacere, significa che Teresa è conosciuta anche fuori dai corridoi dell’Ematologia. Il resto, noi che la conosciamo, ci ha lasciato nella più totale indifferenza. Ringraziamo Rete Veneta e Corriere del Veneto: la loro iniziativa ha contribuito al dare visibilità alla nostra Associazione. dlmgfr

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L’AIL E LA RICERCA… Ovvero quando la speranza nasce da una scommessa fatta nel buio

L’Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma (AIL), sezione di Treviso, è diventata negli anni un “caso di interesse nazionale” per il grande numero di iniziative finanziate e realizzate. Nata e cresciuta per volontà del suo presidente, Teresa Pelos, è oggi un punto di riferimento per chiunque si trovi a combattere malattie onco-ematologiche. L’obiettivo che guida l’associazione, a livello nazionale, è aiutare i malati ed i loro familiari durante la malattia. Ciò che distingue la sezione di Treviso è la capacità di osservare il “mondo” dei pazienti da ogni angolatura. Questo rende ragione dell’ampio spettro di attività cui si dedica: donazione di ingenti finanziamenti per la realizzazione di strutture sanitarie all’avanguardia (repar ti di degenza, laboratori), contributo alla formazione professionale di medici e biologi attraverso l’erogazione di borse di studio, istituzione di un programma di assistenza domiciliare, offerta di ospitalità in casa AIL a pazienti e familiari, aiuto economico a famiglie in difficoltà, assistenza sociale per pratiche burocratiche, fino ad occuparsi di aspetti apparentemente non essenziali quali la realizzazione di un punto di ristoro per i pazienti che in Day Hospital eseguono prelievi ematici a digiuno o addirittura la donazione di televisori al plasma nelle stanze di degenza del reparto ospedaliero. Molti di questi interventi realizzano la cosiddetta “umanizzazione” della sanità di cui spesso gli utenti sentono la carenza. Ma AIL Treviso non si dedica solo all’assistenza dei pazienti. Essa infatti affronta a viso aperto le malattie ematologiche. In che modo? Erogando fondi per la ricerca, clinica o di laboratorio, con lo scopo di chiarire i meccanismi che stanno alla base dell’insorgenza delle patologie, di sviluppare nuove terapie o utilizzare in modo migliore quelle già esistenti. Questa attività rimane più nascosta, più “lontana” dai malati, ma è l’unica vera speranza per aumentare il numero delle guarigioni. In questo ambito è nata la recente iniziativa AIL Treviso di erogare fondi (400.000 euro) per sostenere tre

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progetti di ricerca che coinvolgono le unità di Ematologia, Anatomia Patologica ed il centro Immunotrasfusionale dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso. Senza entrare in dettagli che interessano i tecnici del mestiere, il primo progetto si propone di approfondire alcuni meccanismi che determinano la trasformazione di una cellula midollare sana in una cellula leucemica, il secondo di approfondire le caratteristiche di geni interessati nella sensibilità o resistenza ai farmaci chemioterapici nei linfomi cerebrali, l’ultimo progetto si propone di sviluppare tecniche per una migliore “pulizia” delle cellule staminali raccolte da un paziente che deve sottoporsi all’autotrapianto di midollo. Alcune considerazioni conclusive. Nell’ambito della ricerca i fallimenti sono più numerosi dei successi. L’esplorazione della natura, nei suoi fenomeni fisiologici o patologici, è infatti una sfida priva di garanzia alcuna. A differenza di quanto si possa credere, o si voglia talora far credere dagli stessi medici o ricercatori, le scoper te scientifiche, anche quelle di maggior rilievo, necessitano spesso di molto tempo prima di tradursi in nuovi strumenti terapeutici (e molte terapie oggi considerate innovative fondano le loro radici su ricerche di molti anni precedenti). Gli studi che inizieremo a Treviso rappresenteranno un piccolo contributo, pur ambizioso, ad un enorme lavoro che istituzioni anche molto più prestigiose della nostra svolgono da anni. Non sembrino queste considerazioni pessimistiche. Servono piuttosto a sottolineare il grande valore morale della ricerca, che ci ricorda una grande verità. Le grandi conquiste, di un uomo o di una comunità, nascono da una scommessa fatta nel buio. Chi non accetta questa regola, non si occupi di ricerca ed investa i suoi denari altrove. Dott Michele Gottardi Ematologia di Treviso


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CURE DOMICILIARI IN EMATOLOGIA: una sfida del terzo millennio Da sinistra: dott.ssa Stefania Cavallin, dott.ssa Elisabetta Calistri (responsabile del progetto), Pietro De Santis, dott.ssa Marta Bellè

AIL Treviso e ULSS 9 insieme per l’assistenza domiciliare del paziente affetto da Patologia Ematologia BILANCIO DEL PRIMO ANNO DI ATTIVITÀ E LE PROSPETTIVE FUTURE L’assistenza domiciliare in Ematologia ha una lunga e prestigiosa storia. In Italia nasce dall’intuizione di due autorevoli ematologi romani il prof. Giuseppe Papa e il prof. Franco Mandelli che nei primi anni ‘90 istituirono due servizi di cure domiciliari, di cui uno con sede presso l’Ospedale S. Eugenio e uno presso il Policlinico Umberto I. Anche all’estero, in particolare in Svezia, Australia, USA, sono attivi programmi di assistenza domiciliare, anche se spesso la fruizione del servizio da parte del paziente non è gratuita. L’efficacia e la fecondità di tale proposta assistenziale sono evidenti considerando quale disabilità fisica e psicologica possono causare una malattia ematologica e i trattamenti volti a curarla. Nonostante gli incoraggianti risultati della ricerca, alcune patologie sono ancora gravate da un enorme carico di sofferenza sia per il paziente che per la sua famiglia; la malattia non altera soltanto la condizione fisica del malato, ma comporta anche un importante stress psichico e porta spesso all’isolamento sociale del paziente e della sua famiglia. L’assistenza domiciliare rappresenta una forma innovativa di assistenza perché si fa carico di tutti i bisogni del malato considerandolo nella sua dimensione globale con i relativi legami familiari, amicali, sociali. Di tale forma di assistenza possono beneficiare non solo pazienti con patologie in fase avanzata, con scarse probabilità di guarigione, ma anche malati cronici non autosufficienti, o pazienti con possibilità di cura e guarigione, reduci da terapie intensive come il trapianto di cellule staminali. Nell’agosto 2007 è stata concretamente attivata a Treviso l’assistenza domiciliare per i pazienti affetti da patologie ematologiche. Il progetto che è stato fortemente voluto e sostenuto dalla presidente dell’AIL Treviso,Teresa Pelos, è realizzato in collaborazione con il Centro Immunotrasfusionale, Medici di Medina Generale, i Distretti della USLL 9 e Medicasa S.P.A. L’equipe della U.O. di Ematologia dell’Ospedale Ca’ Foncello che si occupa dell’Assistenza Domiciliare Ematologica è composta da un medico specialista, un medico specializzando, un infermiere professionale (dal maggio u.s.), una psicologa ed una assistente sociale. Dall’agosto 2007 ad oggi sono stati assistiti 23 pazienti, con un età mediana di 75 anni. La maggior

parte dei pazienti è affetta da sindrome mielodisplastica, ma sono stati assistiti anche pazienti con leucemie acute mieloidi e linfoblastiche, linfomi non Hodgkin, sindromi mieloproliferative croniche e mieloma multiplo. A domicilio sono state trasfuse più di 120 unità di emazie concentrate, 24 aferesi piastriniche, oltre che somministrate varie terapie infusive (Bisfosfonati, Idratazione, Steroide).Tali risultati del tutto preliminari sono comunque promettenti, soprattutto in virtù del recente apporto in termini di professionalità ed esperienza di un infermiere, intermante dedicato al progetto. Dobbiamo sottolineare come l’Assistenza Domiciliare Ematologica sia interamente finanziata da AIL di Treviso che fornisce la copertura economica per i contratti di tutti gli operatori sanitari medici e paramedici coinvolti nel progetto. Dal punto di vista professionale ed umano questo primo anno di assistenza domiciliare ci ha insegnato molto; entrare nella casa di un paziente ci ha permesso di capire concretamente la realtà della malattia, toccare con mano il disagio, la paura, le difficoltà della vita quotidiana. Allo stesso tempo ci ha restituito la dimensione umana dei nostri pazienti, persone con una storia familiare, dei legami affettivi, dei sentimenti e dei valori di cui ogni giorno si armano per affrontare la malattia. Purtroppo queste componenti non riescono ad emergere in Ospedale dove il paziente troppo spesso non è visto come un uomo o una donna ma come una malattia da curare e dove la fretta e la confusione possono impedirci di avere un dialogo. Nel futuro ci proponiamo sia di incrementare l’attività dell’Assistenza Domiciliare in termini di numerosità della popolazione assistita, che di valutare qual è il livello di soddisfazione del servizio portato al paziente. Stiamo inoltre stringendo collaborazioni con altri Centri Ematologici che si occupano di Assistenza Domiciliare, per tenere sempre aggiornato e ricco di nuove iniziative il nostro progetto. In quest’ottica si inserirà la nostra partecipazione al congresso “Cure Domiciliari in Ematologia: una sfida del Terzo Millennio” che si terrà a Roma il 21 novembre 2008. Elisabetta Calistri

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Quando tra le attività didattiche nasce la cultura della sensibilità Il 20 dicembre 2007 l’assessore provinciale alla Formazione Professionale, Denis Farnea, e gli allievi dei corsi “acconciatura” ed “estetica” del Centro di Formazione Professionale della Provincia di Treviso, hanno consegnato alla signora Teresa Pelos, presidente dell’AIL, il contributo ricavato dalle offerte donate dalle modelle che usufruiscono dei servizi di benessere personale offerti dalla scuola, durante le simulazione di esperienze lavorative che consentono agli allievi di acquisire delle competenze tecnico-pratiche ed imparare come rapportarsi direttamente con il cliente. Gli allievi del Centro di Formazione Professionale della Provincia hanno attivamente partecipato all’iniziativa, decidendo di destinare anche per il 2008 il ricavato all’attività benefica della nostra Associazione. L’AIL ringrazia.

Una bella serata con Giancarlo Il giorno 8 febbraio, presso il ristorante “Perché” di Roncade, ha avuto luogo una cena a favore della nostra associazione. Organizzatore della serata è stato Giancarlo, ex paziente del Reparto di Ematologia di Treviso, insieme alla sua famiglia, in particolare alla moglie Pilar. Il bel locale dall’architettura moderna è stato gradevolmente allestito per l’occasione. La serata si è aperta con un sentito discorso di Giancarlo che, commosso ma sicuro, ha voluto ringraziare tutte le persone che gli sono state vicine nei momenti più dolorosi, durante i quali solo lui può sapere veramente cosa abbia sentito nel suo cuore. Prima fra tutti Giancarlo ha citato la nostra presidente, la signora Teresa Pelos, descritta come una donna che dedica tutte le sue energie per cercare di alleviare la sofferenza nella malattia; ha poi nominato i medici dell’Ematologia ed in particolare il dottor Piero Maria Stefani, che in occasioni particolarmente critiche è riuscito a sollecitare tenacia e forza. Infine ha ringraziato tutti i presenti, parenti e amici, i gestori del locale “Perché”, chi ha fornito i vini e il pasticcere che ha preparato il dolce. Alla cena è seguita l’esibizione del cantautore Giorgio Barbarotta, accompagnato al piano da Giacomo Li Volsi. Il successo della serata è stato garantito dalla partecipata adesione: più di 200 persone hanno voluto essere presenti, per dimostrare a Giancarlo il loro affetto. Giancarlo prova una profonda gratitudine per tutto il personale dell’Ematologia: medici, infermieri, operatori, psicologa, volontari e con questa serata ha desiderato restituire del

bene, quel bene che ha sentito ricevere con generosità nel momento del bisogno. Fornire una cura umana alla persona vuol dire dare la possibilità di avere le condizioni migliori per affrontare la sofferenza. Questo sentimento di gratitudine rende il nostro amico Giancarlo desideroso di restituire all’AIL ciò che gli è stato a suo tempo dato. E questo suo sentirsi riconoscente e volenteroso di dare fa di Giancarlo una persona sensibile, forte e generosa. Quindi vogliamo dire Grazie a te Giancarlo! Marta Bellè

La psicologa Marta Bellè, Giancarlo Pasquini con la moglie Pilar, il dottor Stefani e la mamma di Giancarlo

Come da prassi il taglio della torta è affidato alla nostra presidente, con pasticcere, dottor Stefani e figlia.

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A Navolè di Gorgo al Monticano sportivi e commedianti per l’AIL

La Compagnia Teatrale “Tentativo” Sabato 1 marzo 2008 il Gruppo Sportivo “Biano Azzuro” ha ospitato presso i suoi impianti la Compagnia Teatrale

“Tentativo” di San Pelaio di Treviso per una serata a favore dell’AIL. Gli attori si sono esibiti nella commedia “Il malato immaginario” di Molière. Con stupore da parte degli organizzatori la sala si è riempita velocemente. Presentazione della Compagnia, discorso di Serena (volontaria dell’AIL ) che ha motivato lo spirito della serata e saluto della poetessa Renata Alberti. Quindi la commedia, che fin dall’inizio ha provocato ilarità ed applausi a scena aperta. Al termine dello spettacolo le volontarie AIL e quelli del Gruppo Sportivo hanno allestito una bella tavolata imbandita di dolci fatti in casa, buon vino, bibite e caffé a volontà. La bella serata è stata l’occasione per raccogliere una bella somma da devolvere all’AIL e di questo i partecipanti devono essere orgogliosi dal momento che Navolè è un paese piccolo. Grazie di cuore alla generosità del simpaticissimi attori del “Tentativo”, al Gruppo Sportivo “Biano Azzuro”, alle volontari dell’AIL e a tutti coloro che hanno partecipato alla bella serata. Gabriella

Calci di solidarietà a Zenzon Di Piave Si sono disputate sabato 30 giugno le gare di finale del torneo dei Bar in notturna “Memorial Michele Toffoli, Giuseppe Salmasi, Manlio Padovan, con la vittoria della Pizzeria Flora, che ha battuto ai calci di rigore il Bar “al Portego” con il punteggio di 6 a 4. Come negli anni precedenti le quattro serate hanno registrato un notevole afflusso di pubblico. Ringraziamo gli organizzatori che ogni anno, nel ricordo degli amici che non ci

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sono più, fanno sentire in maniera tangibile l’attaccamento alla nostra associazione.


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Fine settimana a casa Tashi Di Casa Tashi, casa soggiorno per pazienti e familiari sita a Lamosano, un paese dell’Alpago, avevo sentito parlare alcune volte la signora Teresa, però non avevo mai avuto l’occasione di andarci nonostante avessi capito che il posto e la struttura dovessero essere molto accoglienti. A luglio, per un caso fortuito, ci andai con alcune compagne e la signora Teresa e rimanemmo a Casa Tashi per tutto il giorno. Subito mi resi conto quanto amore, lavoro, tempo e fatica, la signora Teresa ed il marito Benito avessero dedicato a questa struttura per renderla accogliente, comoda e confortevole per i pazienti. Attraverso le grandi finestre che tutto intorno fanno da cornice alle stanze si possono ammirare bei paesaggi con tanto verde e respirare aria pura. In una bella terrazza, molto spaziosa, sono stati posizionati ombrelloni, tavolini e griglie per poter pranzare all’aperto. La sala da pranzo Insieme a Casa Tashi può ospitare anche 30 persone, tutto è sistemato con gusto, spicca il bel turchese dei copritavoli con cestini di accolsero i signori Irene ed Ernesto, già ospiti di Casa Tashi, fiori ed il tavolo bar, decorato dalla pittrice Maria Patrizio che furono felici di condividere con noi due belle giornate di di Venezia, raffigurante il lago di Santa Croce. Non manca il ferie. Irene ed Ernesto, conoscitori del posto, ci hanno guisalottino con la televisione. Le stanze da letto sono spaziodato in varie escursioni. se, comode e luminose, con lettino e seggiolone, a dimostraDobbiamo ringraziare la signora Teresa per la sua ospitalità zione che si è pensato ad ogni esigenza. e chissà se anche l’anno prossimo potremo ritornare a La signora Teresa mi invitò a trascorrere con amici e parenLamosano. Ancora una volta dobbiamo dare atto a quanti un fine settimana: accolsi l’invito e in poco tempo ci ritroto ha fatto e continua a fare con passione, umiltà e dediziovammo in ventuno, una bella compagnia. Verso la fine di ne per l’AIL. Grazie di cuore da parte di tutti. luglio un sabato mattina arrivammo a Lamosano, dove ci Una volontaria Cara Teresa averla con noi alla laurea di Marika è stata una vera gioia. E’ stata l’occasione per tornare indietro con la memoria e ricordare la sua presenza e il suo aiuto nei momenti più difficili. Con l’aiuto di Dio abbiamo trovato la forza per andare avanti. Ed ora eccoci qui festeggiare Marika e il suo primo traguardo. Siamo certi che la sua determinazione, Teresa, ha contagiato anche Marika e per questo ci sentiamo di ringraziarla di cuore per quello che ha fatto e quello che continua a fare. Un caloroso abbraccio a tutti gli amici dell’AIL e in particolare alle persone incontrate a Lamosano e nel viaggio fatto a Roma in occasione dell’incontro, molto emozionante, con Giovanni Paolo II. Mamma Silvana 9


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“Per ricordare Elia e Moreno” Sabato 28 giugno 2008 il Gruppo AIL di Zero Branco ha avuto il piacere di organizzare l’annuale cena estiva “per ricordare Elia e Moreno”. Un incontro significativo che ha coinvolto attivamente sia i volontari dell’associazione, con cui collaboravano il Gruppo Alpini e il Gruppo Sagra di Zero Branco, sia gli ospiti della serata (gradita la presenza del dottor Gherlinzoni) contribuendo insieme alla positiva e piena realizzazione dell’iniziativa. Il ricavato della serata, sempre più generoso, e stato devoluto all’AIL di Treviso, con la speranza e la certezza che sarà di aiuto per la cura e la guarigione di tante persone. Il clima di armonia e familiarità erano accompagnate dalla convinzione che i nostri due angeli erano lì con noi in prima fila a tifare perché queste malattie siano un giorno definitivamente sconfitte.

Dedicato a Monica Sabato 6 ottobre, Oderzo, entri… c’è la musica e la foto di una ragazza, un viso bello e sereno che illumina la stanza. E’ Monica, che ci accoglie con il suo sorriso dolce e coinvolgente. L’abbiamo ricordata insieme a chi le ha voluto bene. C’erano tanti giovani, i suoi amici, è stata una serata strana, che celava sofferenza, ma esternava speranza: la speranza che un giorno la ricerca possa sconfiggere queste terribili malattie, la speranza che amori non vengano interrotti, che genitori non perdano i loro figli. Ringraziamo tutte le persone che hanno collaborato col loro apporto e la loro presenza, dimostrando affetto e bontà d’animo. Ci siamo sentiti veramente partecipi e a nostro agio. Ringraziamo soprattutto i genitori di Monica che ci hanno fatto capire quanto meravigliosa e splendida fosse questa ragazza, dandoci la carica per continuare nel nostro lavoro, a volte difficile, di volontari. Grazie ancora a tutti I Volontari AIL Oderzo e Motta

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L’Albero della Vita (storie di amore e di amicizia) Era forse il 1993 quando ho conosciuto la signora Pelos. Andava su e giù con la sua panda rossa piena zeppa di scatole, Dio quante uova di Pasqua riusciva a far stare dentro quell’auto, cose da non credere! Mi diede qualche numero di telefono per organizzare le manifestazioni dell’AIL della mia zona: Paola di Oderzo, la signora Pasquali di Mansuè, il prof. Rorato di San Polo, a Portobuffolè c’erano Caterina, Martina e Simonetta. Ma ci voleva più gente. Per fortuna avevo molti amici, passavamo le domeniche in montagna, le serate in compagnia. Abbiamo condiviso anche questo impegno, poi, si sa, un amico tira l’altro. Nel frattempo si è formato un bel gruppo a Colfrancui, un altro a Navolè, direi il migliore. Fra loro ci sono le signore che noi chiamiamo “Angeli” perché fanno volontariato in Ospedale. Hanno frequentato i corsi organizzati dall’AIL e svolgono un ottimo lavoro, soprattutto dal punto di vista umano. Storie di amore e di amicizia di questo nostro percorso, da un piccolo seme è nato un albero che ha dato e

dà buoni frutti. Fra i volontari c’è collaborazione e possiamo contare sul sostegno dei parroci e delle Pro Loco, che vorrei ringraziare. Abbiamo conosciuto associazioni straordinarie, come l’ARISMA di Magera e il gruppo Arcobaleno di Vazzola, artisti e sportivi sempre disponibili per le nostre iniziative. Ed è con l’aiuto di persone come queste che la signora Teresa ha realizzato il progetto più importante. E qui mi viene in mente il nostro Luca Zaia, ora al Governo e ne siamo felicissimi, se lo merita. L’Albero della Vita è sempre più verde e i miei amici ci sono ancora tutti, qualcuno si è sposato, sono nati dei bambini, ma loro continuano a sostenere l’AIL. A proposito: la vecchia panda rossa è stata sostituita da un bel pulmino, ma la signora Pelos, anche se dice di aver le batterie scariche, ... lei no non la possiamo sostituire. Paola Tomasella Gruppo AIL Oderzo

Gruppo AIL Conegliano Siamo il Gruppo AIL di Conegliano. Desideriamo ringraziare tutte le persone sensibili e generose che ogni anno, puntuali, acquistano la Stella di Natale e l’uovo di Pasqua. Un grazie speciale a Don Fausto della parrocchia di Parè e a tutti i parroci che promuovono questa campagna di solidarietà.

Luigi D. N., Luigi M., Luigi S., Felix, Mario, Augusto, Rita, Gabriella, Luigi e Fernanda Z.

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San Fior Pedala Già da 21 anni il Circolo ACLI di San Fior organizza “SAN FIOR PEDALA” donando parte del ricavato all’AIL. Ringraziamo la presidente signora Nicoletta, il marito e tutti gli organizzatori per la fedeltà alla nostra associazione.

San Fior Pedala

La signora Pelos con la presidente del Circolo ACLI, Nicoletta De Nadai

Prima Comunione La prima comunione è stata per me un’esperienza emozionante con la quale mi sono incontrata con Gesù. Come Gesù mi ha fatto questo immenso dono anch’ io ho fatto un piccolo dono a coloro che sono meno fortunati di me. Vorrei tanto che tutte le persone che soffrono tornassero a sorridere. Marica Zurolo

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Battesimo, Prima Comunione, Cresima e Matrimonio sempre più spesso sono l’occasione per un pensiero nei confronti della nostra associazione. L’AIL ringrazia


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A Bavaria la solidarietà si rinnova Franca non ha voluto essere meno del marito. L’anno scorso, grazie ad Elio, i cresimandi si erano ricordati della nostra associazione: la catechista dei cresimandi quest’anno era Franca e cosi si è …replicato. Grazie a Franca, al Parroco, ai Cresimandi e ai loro genitori.

Gruppo AIL Vittorio Veneto Quest’anno il nostro gruppo ha voluto festeggiare il buon esito della Campagna Nazionale Uova di Pasqua in un modo nuovo ed originale. Grazie alla professionalità dello studio “Foto Turchetto” di Vittorio Veneto ed alla complicità di una splendida giornata di sole, molti dei suoi componenti si sono ritrovati davanti al Municipio per farsi immortalare in una foto. Osservandola si capisce che per entrare a far parte del mondo del volontariato non è necessario essere uomini o donne, giovani o meno giovani perché quello che serve è il cuore e la disponibilità a mettersi in gioco. Cogliamo qui l’occasione per ringraziare tutti i Vittoriesi che ci hanno premiato con la loro generosità, senza la quale il nostro gruppo non avrebbe ragione d’esistere.

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LE NUOVE SPERANZE UN FIGLIO COS’È?

Benvenuta Diletta, ti auguro di crescere in bontà e grazia. Congratulazioni a mamma Chiara e papà Adriano. Zia e madrina Teresa

Gioele

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Un figlio è un tu con cui dialogare, una libertà da rispettare, una coscienza da educare, una vita da generare. Un figlio non è un piacere, è una responsabilità. Signore non possiamo essere superficiali, non possiamo amarci pensando solo a noi stessi. Un figlio esige da noi speranza, sacrificio, pazienza e coraggio. Signore, aiutaci ad essere non solo marito e moglie, ma anche padre e madre.

Daniele


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DELL’AIL

Nicola

La dolce Sofia il 4 settembre ha festeggiato il suo primo anno di vita, per la gioia di mamma e papà, nonni, zie e zii. Buon compleanno Sofia.

Francesca e Veronica

Samuele

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Il farmaco: dalla ricerca alla cura Le conoscenze della biologia e della medicina sono in continua evoluzione, ma in nessun altro campo come in Oncologia tali conoscenze sono fortemente legate all’aspettativa di vita. Si sa che il cancro è una malattia dovuta all’alterazione dei geni delle nostre cellule, e sapere cosa provoca il cancro è la prima tappa della ricerca oncologica. Quando un ricercatore studia da anni i meccanismi responsabili della trasformazione di una cellula sana nella sua controparte tumorale, deve sapere a cosa serve quel gene e cosa produce; cosa consente alla cellula maligna di moltiplicarsi in assenza di controllo e più velocemente del normale; cosa permette al tumore di non essere riconosciuto come estraneo e, quindi, eliminato dai sistemi di difesa del nostro organismo. Come procedere in questo è fondamentale, e cinquanta anni di progressi nel campo della medicina, della biologia e della genetica hanno modificato profondamente il modo di pensare e agire di un ricercatore: non più alla ricerca della causa (il gene) sulla base dell’osservazione dell’effetto (la malattia) e della risposta alla cura, ma sulla base dell’analisi della loro struttura (genomica strutturale), dei loro prodotti e dei meccanismi regolatori della loro espressione (genomica funzionale). Il genoma, l’insieme di tutti i geni di un individuo, è un testo che in ogni momento viene letto dall’ambiente. Nel cancro questo testo viene alterato in modo significativo senza possibilità di correzione, spesso con

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l’aggiunta di successive mutazioni (spontanee o indotte) che producono cellule neoplastiche dotate di maggiore aggressività, e per le quali l’identificazione della causa è ancora più difficile. Quella che oggi va sotto il nome di Genetica Inversa (Reverse Genetics) altro non è che la possibilità di conoscere il ruolo dei geni prima ancora che si sviluppi la malattia, e stabilire il loro grado di importanza in condizioni normali e patologiche,“nel bene e nel male, in salute e in malattia”. Ma non basta. Trovato il colpevole bisogna trovare il modo di sfruttare tale conoscenza. Bisogna trasferire la scoperta biologica nella pratica clinica, e tradurre questa consapevolezza in cure efficaci per i malati. La capacità di diagnosticare le malattie sulla base del genotipo (diagnosi differenziale) deve permettere di identificare le condizioni di rischio correlate al tipo di “danno” ed identificare la terapia migliore. Una terapia mirata sulla causa genetica/biologica, non in base ad un gruppo di caratteristiche fisiche, e utile a tutte le malattie che ne condividano i meccanismi patogenetici. Nuove tecnologie diagnostiche favoriscono nuove strategie terapeutiche. Nuove strategie terapeutiche significano nuovi farmaci: farmaci “su misura”. La vita di un farmaco ha inizio qui, nella mente di un team interdisciplinare di ricercatori, composto da farmacologi, biologi e chimici, che comincia ad immaginare una nuova cura sulla base del bersaglio terapeutico individuato (il gene o il suo prodotto, la proteina) e del meccanismo biologico su cui intervenire per sconfiggere la malattia. Cercare e testare sostanze naturali, sintetizzarle in laboratorio, o utilizzare sistemi biologici: sono queste le strategie utilizzate per “scoprire” un nuovo farmaco. La prima, la più antica, consiste nel cercare sostanze già disponibili in natura che possano interferire con il meccanismo biologico che causa la malattia (sono molti i farmaci scoperti in questo modo: molti antibiotici e un numero sempre crescente di antitumorali). La seconda strada, quella della sintesi chimica, prevede di pas-


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sare al vaglio un gran numero di molecole in grado di interagire con il meccanismo biologico su cui si sta lavorando, quando si hanno scarse informazioni strutturali sul bersaglio. La terza via, quella più recente, utilizza i sistemi biologici (batteri o cellule di mammifero) per ottenere molecole più adatte all’uomo (ad esempio alcune forme di insulina) e per perfezionare i meccanismi che favoriscono la selettività e l’efficacia una volta all’interno dell’organismo. Si possono usare i farmaci antineoplastici classici, le cosiddette chemioterapie, che funzionano bene e permettono a molte persone di guarire, ma sono poco precise: per bloccare il gene alterato uccidono la cellula del tumore, ma in parte anche quelle sane vicine. Oppure si possono usare quelli conosciuti come farmaci biologici o “intelligenti”, capaci di riconoscere nella cellula tumorale, e solo in quella, il “problema”. Tali farmaci sono attivi su una frazione forse più modesta di pazienti, identificati sulla base di specifici marcatori genetici, biologici o biochimici, e per i quali il bersaglio molecolare risulta accessibile e/o biologicamente rilevante. Ma riescono a risolvere il problema alla radice senza danneggiare le cellule sane.Talvolta è possibile disegnare la molecola intelligente al computer, se si conoscono bene le caratteristiche che dovrebbe avere (drug design). Così facendo se ne ottimizzano selettività, specificità e stabilità, prima ancora di valutarne l’efficacia sperimentale, limitando, o annullando addirittura, i possibili effetti tossici. Si avvia così la cosiddetta fase preclinica, che consiste nello studio, in laboratorio e su modelli in vivo, delle proprietà chimiche e tossicologiche della sostanza, perché la cura sia efficace nei confronti del bersaglio previsto (e che quindi curi la malattia) ma non sia ovviamente tossica. Altrimenti non sarà di nessuna utilità. Bisogna infatti partire dal presupposto che nessun farmaco è privo di effetti collaterali, neanche i più intelligenti: tutti possono fare danni, e tali danni devono essere messi in evidenza prima che la cura sia a disposizione. Un farmaco deve innanzitutto rispondere ad un principio inderogabile, quello del primum non nocere (anzitutto non nuocere), e l’obbiettivo della fase preclinica, la cosiddetta fase zero, è verificare in laboratorio il maggior numero possibile di caratteristiche del principio attivo, sia quelle positive che negative, valutando la sua effi-

cacia terapeutica sulle cellule tumorali, ma anche gli eventuali effetti tossici sulle quelle sane. E’ la prima fase della ricerca, e coinvolge più molecole chimicamente simili tra loro, e più modelli tumorali, istologicamente differenti ma con caratteri patogenetici comuni. Le cellule vengono pazientemente adattate alla crescita asettica, per evitare contaminazioni con le cellule sane o con microorganismi patogeni, in un ambiente “artificiale”, il laboratorio. Il profilo biologico di quelle che sono ora linee cellulari viene studiato mediante analisi di espressione genica e proteica con tecnologie sofisticate e strumenti bio-informatici, per escludere che l’adattamento in laboratorio (la cosiddetta crescita in vitro) modifichi le caratteristiche specifiche della cellula tumorale del paziente. Così come vengono analizzati, descritti e, quando necessario, modificati tutti i parametri chimici e biochimici che permettono la crescita della cellula neoplastica in condizioni simili a quelle dell’organismo in cui il tumore si è sviluppato. E’ fondamentale che le cellule tumorali stiano bene prima della fase zero, altrimenti il rischio è quello di sovrastimare l’efficacia del farmaco per le condizioni non ottimali in cui si sta lavorando. I test in vitro prevedono l’utilizzo di un largo pannello di linee cellulari e complesse analisi bio-molecolari di più target farmacologici, e il confronto con le cellule sane, nelle medesime condizioni sperimentali, serve per confermare la specificità del farmaco in vivo. La proliferazione e la sopravvivenza della cellula tumorale vengono analizzate prima e dopo trattamento farmacologico, per stabilire l’attività cito-tossica (quando la molecola causa la morte della cellula tumorale) e cito-statica (quando viene rallentata o impedita la proliferazione cellulare senza indurre mortalità) del farmaco. I tempi e le dosi di somministrazione sono critici per approfondire le conoscenze sui meccanismi cellulari implicati nella inibizione della tumorigenesi in vitro, o su quelli responsabili della eventuale refrattarietà,

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così da identificare tutti gli indicatori di risposta che influenzeranno l’efficacia clinica del farmaco. Una volta identificato il meccanismo patogenetico, l’analisi può essere estesa ad altri istotipi tumorali che presentino tale caratteristica, o verificata in cellule normali in cui la mutazione genica sia stata indotta dallo sperimentatore. Se il farmaco funziona, viene testato su animali che abbiano

Biologi e medici del laboratorio

caratteristiche compatibili con quelle umane. Se ne verifica l’effetto, ma anche la tossicità. Questo serve a comprendere le proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche della sostanza: come viene assunto e assorbito, il suo tropismo (la capacità di “correre” verso il tumore), il suo metabolismo e la sua escrezione. La sperimentazione sugli animali è una premessa assolutamente necessaria, e viene fatta nel rispetto di leggi molto severe e precise. Delle centinaia o migliaia di molecole inizialmente esaminate, solo poche superano tutti i test preliminari della fase zero. Questa fase dura 3-4 anni, un quarto circa dell’iter procedurale che un farmaco attraversa dalla scoperta all’entrata in commercio, e la selezione di quello che sarà il principio attivo migliore del gruppo, adatto all’impiego sull’uomo prevederà altre tre fasi

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prima del suo riconoscimento: l’analisi tossicologica sull’uomo (Fase 1), l’efficacia nel tempo (Fase 2), e la sua capacità di eliminare effettivamente la malattia (Fase3). Ecco la cura. Dodici anni il tempo medio che una ricerca impiega per diventare cura, dalla prima intuizione di un ricercatore alla comparsa del suo rimedio. La valutazione preclinica dell’efficacia anti-tumorale di nuove molecole è un interesse della Clinica di Oncoematologia Pediatrica di Padova ormai consolidato. Il laboratorio di Biologia dei Tumori Solidi del Dott. Angelo Rosolen, ha tra le sue attività la validazione clinica e analitica di marcatori biomolecolari di cancerogenesi, invasione e progressione della malattia neoplastica e conseguente applicazione delle fasi di prevenzione, diagnosi precoce e trattamento. In questo campo, con l’obbiettivo di migliorare la cura dei nostri piccoli pazienti, il nostro laboratorio è da diversi anni coinvolto in progetti di attività preclinica nazionali ed internazionali, e ha sviluppato collaborazioni con industrie farmaceutiche italiane o estere, così come proficue sinergie di ricerca con laboratori universitari di altri Istituti dell’Università di Padova. E’ grazie all’impegno di tante persone, giovani ricercatori (chimici, biologi, biotecnologi, farmacologi), medici e tecnici se i nostri studi hanno consentito l’individuazione di nuovi marcatori farmacologici nella terapia del cancro e lo sviluppo di molecole di nuova sintesi più specifiche e selettive di quelle attualmente in uso. E’ grazie all’aiuto benefico di diversi enti privati, in particolare dell’AIL, se questi anni di fatiche hanno mantenuto viva la…. speranza. Dr. Paolo Bonvini Laboratorio Biologia dei Tumori Solidi. Clinica di Oncoematologia Pediatrica, I.O.V. (Istituto Oncologico Veneto) Azienda Ospedaliera di Padova


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L’ impatto psico-sociale dell’Assistenza sui familiari di pazienti oncologi Nella vita di una persona, la diagnosi di tumore potrebbe essere paragonata, a ragion veduta, ad una vera e propria “catastrofe”, alla quale conseguono cambiamenti e sconvolgimenti che inevitabilmente coinvolgono anche il nucleo familiare.Vi è un’influenza reciproca fra la qualità di vita della persona malata e quella dei suoi famigliari; si imporrebbe quindi come doverosa un’ attenzione alla famiglia non disgiunta da quella per la persona ammalata. La famiglia intesa come “unità” che affronta la malattia, si trova di fronte ad alterazioni delle normali dinamiche e relazioni parentali. Molte cose cambiano: le prospettive, il senso del tempo, i valori essenziali… Vengono sperimentate emozioni quali, ad esempio, paura, rabbia, impotenza, solitudine, dolore, depressione, ansia, emozioni del tutto normali e comprensibili, la cui intensità, però, può assumere un valore negativo che non dovrebbe essere ignorato da medici, personale infermieristico, psicologi, volontari. Negli ultimi anni la letteratura in ambito psico-oncologico, seppur esigua, ha evidenziato il coinvolgimento della famiglia nell’assistenza, enfatizzandone il ruolo di “attore” e non di semplice “spettatore” e stimolando la ricerca di oggettivazione dell’impatto psico-sociale, dei bisogni e delle risorse della famiglia, legati alla malattia. Da gennaio 2004, presso il CRO (Centro di Riferimento Oncologico) di Aviano è in atto una ricerca dal titolo “L’impatto psico-sociale dell’assistenza sui famigliari di pazienti oncologici” finanziata dall’AIL Treviso. L’obiettivo è di raccogliere informazioni sull’esperienza del familiare che si occupa dell’ammalato, nell’ottica di programmare possibili interventi di sostegno psicologico. Fino ad oggi, i familiari coinvolti nella studio sono 110, ognuno dei quali ha compilato il questionario “Impat-on Family Scale” specifico per misurare il carico glo-

bale dell’assistenza. I dati riportati di seguito sono relativi a 82 questionari analizzati statisticamente. Il campione è composto da 50 maschi (60%) e 32 femmine (40%) l’età media è di 55 anni, per la maggioranza sono coniugi del paziente (71%) residenti nel triveneto (74%) con grado di scolarità > 8 anni (69.1%). L’ impatto globale dell’ assistenza risulta essere pari a 51.92, valore lievemente più basso rispetto alla media di riferimento (57.56). In particolare per quanto riguarda le 4 aree indagate: preoccupazioni economiche legate alla malattia (PE); ripercussioni sui rapporti familiari e sulle interazioni sociali (FS); affaticamento personale (FP); capacità di fronteggiare l’assistenza (COPPE), si nota che, tranne quest’ultima, tutte risultano moderatamente inferiori rispetto alle medie di riferimento. In occasione del Congresso internazionale di psico-oncologia (IPOS) che si terrà a Venezia saranno presentati dettagliatamente i risultati sin qui ottenuti. Vorrei concludere dicendo che ho condotto questa ricerca per il periodo di un anno, durante il quale ho potuto maturare competenze professionali ma sicuramente anche umane. Nell’ambito dello studio sull’impatto psicosociale, infatti, il “luogo” fisico e temporale in cui avviene l’incontro col familiare è un momento dedicato alla compilazione del questionario me è anche un momento di relazione. In un ambiente come l’Ospedale, cui ci si reca principalmente, se non esclusivamente, per curare il corpo e, nel particolare caso dei soggetti della ricerca, per accompagnare il proprio congiunto malato, si crea la possibilità di scegliere di dare spazio ad aspetti interiori e da qui il plus valore dell’esperienza in cui reciprocamente avviene uno scambio. Dott.ssa Anna Tammaro CRO di Aviano

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Il trapianto di cellule staminali periferiche nella malattie autoimmuni: Treviso ancora in prima linea nel Veneto. Il giorno 14 gennaio 2008 abbiamo eseguito a Treviso il primo trapianto di cellule staminali periferiche autologhe precedentemente criopreservate in un Paziente affetto da Sclerosi Multipla. Il nuovo anno è cominciato con un’esperienza nuova e poco conosciuta almeno per la nostra regione. Le Malattie Autoimmuni costituiscono un gruppo estremamente eterogeneo di patologie in cui il sistema immunitario per motivi ancora non ben chiariti sviluppa una reazione infiammatoria autoimmune (autoanticorpi) in grado di danneggiare spesso irreversibilmente organi e tessuti propri, determinando conseguentemente un malfunzionamento degli stessi. Può essere interessato il tratto gastrointestinale (es. Rettocolite Ulcerosa), la Tiroide, il Fegato, globuli rossi e/o piastrine (anemia emolitica autoimmune, piastrinopenia autoimmune), il Polmone e, non da ultimo, il Sistema Nervoso Centrale. In questo caso il meccanismo di autoaggressione sembra essere molto più complesso che negli altri casi (mediato probabilmente dai linfociti) e comporta la distruzione della guaina (la mielina) che riveste i neuroni (le cellule che nel sistema nervoso convogliano l’impulso elettrico). Si tratta di una malattia dall’andamento variabile ma in alcuni casi particolarmente aggressiva nel deteriorare progressivamente l’autonomia e l’autosufficienza del paziente causando livelli di disabilità estremamente gravi. In questa patologia, come negli altri casi di malattie autoimmuni, il cardine della terapia verte sull’immunosoppressione anche se talvolta la malattia purtroppo progredisce o non migliora nonostante il trattamento. Sono queste le condizioni in cui è necessario procedere con un’ immunosoppressione molto più intensiva usando farmaci a dosaggi che comportano anche una severissima depressione non solo del sistema immunitario ma anche del midollo osseo emopoietico. In questi casi, analogamente a

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quanto usualmente avviene in corso di mobilizzazione di cellule staminali periferiche per patologia tumorale ematologica, è necessario somministrare un trattamento chemioterapico di mobilizzazione cui segue la raccolta di cellule staminali periferiche che vengono Dottor Piero Maria Stefani (Ematologia di Treviso) successivamente reinfuse al termine di un trattamento chemio-immunoablativo. Al fine di evitare che i linfociti reinfusi possano successivamente causare una ripresa della malattia neurologica a tale trattamento, viene fatta seguire la somministrazione di un anticorpo che elimina anche queste cellule. Ne deriva quindi una severissima depressione del midollo (fase di aplasia) e del sistema immunitario, pertanto il paziente deve rimanere ricoverato in stanza singola, con particolari accorgimenti di igiene personale ed ambientale. In questi casi inoltre non è raccomandabile somministrare il fattore di crescita granulocitario (che in altri contesti viene usato per ridurre la durata della fase di aplasia): questo farmaco infatti è potenzialmente in grado di determinare un aggravamento del quadro neurologico. Da tutto ciò deriva che il rischio di infezioni è nettamente maggiore rispetto al trapianto autologo “convenziona-


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le ed emerge chiaramente come questo tipo di trapianto, pur in un contesto completamente diverso da una malattia tumorale, in realtà sia una procedura estremamente più delicata e potenzialmente molto rischiosa. Dopo il recupero della depressione midollare infatti sono necessari molti mesi prima che anche il sistema immunitario si ricostituisca ed in questo periodo il Paziente deve eseguire periodici controlli dell’emocromo, dei livelli di immunoglobuline e dei livelli di immunizzazione verso le malattia cui si viene generalmente vaccinati in età pediatrica al fine di evitare manifestazioni infettive molto pericolose. Il decorso clinico del paziente sia durante il ricovero sia nei mesi successivi alla dimissione è stato del tutto regolare con una rapida ricostituzione del suo sistema immunitario; è ancora presto

tuttavia per conoscere gli effetti ottenuti da tale trattamento sul quadro neurologico. Per la nostra Struttura si tratta di un’ulteriore meta che documenta la solidità e la continuità di un processo formativo/assistenziale che coinvolge tutto il Personale Medico, Infermieristico e di Supporto in un’attività di alta specializzazione. Come recentemente è avvenuto per il primo trapianto allogenico, anche in questo caso si tratta “solo” di una tappa in un percorso di continuo miglioramento dell’offerta assistenziale non solo in termini di disponibilità e accoglienza ma anche in termini di competenza, esperienza e sicurezza. Dottor Piero Maria Stefani (Ematologia di Treviso)

AIL Treviso e ULSS 9 insieme per la ricerca

TRE PROGETTI PER NON DIMENTICARE Il 21 giugno 2008 presso la Sala Convegni dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso sono stati presentati tre progetti di ricerca: sulle leucemie acute, sui linfomi cerebrali e sul mieloma multiplo. I tre progetti sono intitolati a giovani vite vinte da queste patologie e nascono dalla consapevolezza che senza ricerca non c’è futuro. Coinvolgono l’Ematologia, il Centro Trasfusionale e il Laboratorio di Anatomia Patologica per un costo complessivo di Euro 450 mila euro e la loro durata sarà di due e tre anni. Erano presenti il dottor Farronato, il pro sindaco di Treviso Gentilini, l’assessore provinciale Carla Puppinato ed il presidente onorario di Treviso AIL, l’on. Fabio Gava. L’appuntamento è fra un anno per la verifica dei primi risultati. Teresa Pelos

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Ricordiamo i nostri amici In ricordo di Renzo e Beppe De Polo Renzo De Polo nasce a Vittorio Veneto il 14 novembre 1929, ultimogenito di una famiglia di tre figli. L’infanzia trascorre serena, nonostante le ristrettezze e le paure imposte dal regime fascista prima e dalla guerra poi, fino al 14 ottobre 1944 quando il fratello maggiore Gianni, diciannovenne, a cui era fortemente legato e che era partigiano nella brigata Piave, muore eroicamente, ucciso dai miliziani fascisti. Questo dramma segna indelebilmente Renzo che in tutti gli anni a seguire manterrà viva la memoria dell’amato fratello e del suo sacrificio in molteplici modi peraltro sempre molto discreti e mai esibiti. Divenuto enologo presso il famoso Istituto Enologico Cerletti di Conegliano, apre e gestisce con grande professionalità , fino ai primi anni 90, un noto emporio agricolo a Vittorio Veneto. Molto conosciuto nella sua città, cui è stato profondamente legato, la sua onestà e correttezza nei rapporti interpersonali sia di lavoro che extraprofessionali ne contraddistinguono tutta l’esistenza. Sposato serenamente con Nikla, il matrimonio viene allietato da ben 5 figli: la famiglia è stato il fulcro di tutta la sua vita, e ad essa si è dedicato completamente, sempre teso a rinsaldare i legami parentali, superando qualsiasi problema che potesse turbarli. La sua storia, e quella dei congiunti, viene sconvolta alla fine del 1982, quando il secondogenito Beppe si ammala di leucemia mieloide acuta e muore a Vicenza il 20 gennaio 1983 dopo un decorso tanto rapido quanto drammatico per la gravità della malattia, per la sofferenza fisica patita con coraggio impensabile, per lo strazio di padre nel vedere ripetersi il destino di perdere un caro, questa volta il proprio figlio nel fiore degli anni, anche lui diciannovenne come il fratello Gianni. Supera questa tragedia con grande dignità, ancor di più dedicandosi alla amata moglie, agli altri quattro figli ed infine anche ai nipoti, sorretto dalla incrollabile convinzione cristiana di potere un giorno riabbracciare chi, per un disegno incomprensibile, gli era stato sottratto così dolorosamente e prematuramente. Renzo è morto il 1 agosto 2008, dopo quasi due mesi di ricovero in ospedale a seguito di un intervento cardochirurgico, resosi necessario per le precarie condizioni di salute ed al quale si era sottoposto consapevole dei rischi elevati che esso implicava, ma serenamente sorretto dalla fede forte, concreta e semplice che lo ha accompagnato in tutta la sua esistenza. Questa è, in sintesi estrema, la sua storia, in cui il bene è sempre stato fatto bene e in cui gli immancabili difetti sono stati grandemente superati dalla bontà, dalla generosità e dalla fede con cui ha vissuto. La moglie Nikla ed i quattro figli Gianni, Nicoletta, Gabriele ed Adriano, hanno scelto di indirizzare le offerte raccolte in occasione della sua scomparsa, a favore dell’ Associazione Italiana contro le Leucemie, a memoria di Beppe, certi che Renzo per primo avrebbe desiderato che ciò accadesse.

Alberto Landi Il tuo sorriso sarà sempre nei nostri cuori.

In ricordo di Andrea Caro Andrea, Sono ormai passati sei mesi da quella triste sera nella quale, all’ospedale di Verona, hai incontrato la morte. Dopo due anni di lunga malattia, di cure, di speranze….quando in tutti noi ed in te si era fatta strada la convinzione che il male fosse definitivamente debellato e che tu, finalmente, potessi riprendere il cammino che avevi progettato con la tua bella e giovane famiglia….tu, in silenzio, te ne sei andato. E’ vero, fisicamente non ci sei più, ma di te ci è rimasta un’inestimabile eredità fatta di enormi valori morali. Non dimenticheremo mai la tua umiltà nell’affrontare la vita quotidiana. Ricorderemo sempre il tuo semplice e spontaneo sorriso e la naturale gioiosità che ogni giorno appariva sul tuo volto. Non potremmo mai scordare con quale coraggio hai saputo affrontare la vita, soprattutto quando questa ti ha posto di fronte il duro ostacolo della malattia; con quale dignità hai sopportato il dolore,con quale forza sei riuscito a dare coraggio, a chi coraggio ti doveva dare. Rimarrà sempre vivo in noi il ricordo dell’affetto che hai dispensato a chi ti stava vicino, dell’amore con il quale ti sei curato di tua moglie e della tua splendida figlia Marta. Caro Andrea, grazie di cuore, perché ci hai fatto capire quanto sia bella la vita e quanto sia necessario avere una voglia infinita di viverla nonostante gli ostacoli. Ti porteremo sempre nel cuore. I tuoi cari.

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Franco Lorenzo Il 27 novembre improvvisamente ed in punta di piedi ci hai lasciati. Non era questo il viaggio che avevi progettato, aspettavi solo di passare il Natale con noi e poi avresti preso il volo per “andare al caldo” come dicevi tu, in quell’isola dove sei sempre stato bene e dove avevi da poco aperto un’altra attività. Tu sei sempre stato così nella tua vita, non ti sei mai fermato, hai sempre lavorato, la tua mente era sempre un susseguirsi di idee, progetti ed obbiettivi da realizzare. Anche se questa malattia ti aveva messo qualche freno, tu l’hai affrontata come noi facciamo con un raffreddore, era un ostacolo in più, ma non hai pensato che fosse invalicabile, perché ci hai sempre creduto fino alla fine e dicevi a tutti che stavi bene. Finché un giorno, il tuo corpo non ha seguito la tua voglia di vivere. … ma tu sei ancora fra noi, perché sei stato e sarai sempre per tutti noi un grande uomo, un punto di riferimento in cui trovare sostegno e forza e anche se è da qualche mese ormai che non ti vediamo più, che non si sente la tua voce, che non ti possiamo più toccare, l’amore sincero e l’affetto per tutte le persone che facevano parte della tua vita non morirà mai. Franco, il tuo ricordo, vivrà per sempre nelle nostre menti, nei nostri cuori, più forte di qualsiasi abbraccio, più importante di qualsiasi parola.... Mamma, Daniela, Ingrid, Rainer, tutta la tua famiglia, tutti gli amici, e tutti coloro che di te avranno per sempre un ricordo.

Irma Zanatta

Carniel Gianni

Non piangete la mia assenza, sentitemi vicina e parlatemi ancora, io vi amerò dal Cielo come vi ho amato sulla terra.

Grazie per il tuo buon umore, per la tua dolcezza, per la tua inesauribile forza, la tua fermezza e la tua sincerità di sempre, per tutte le risate e per averci dimostrato che il coraggio può non finire mai.

Dalla Bona Luciano Tutto parla di te, il cuore ti ricorda; noi sappiamo che dal cielo tu vegli su di noi.

Corrado Camillotto Nel nostro animo sarà sempre vivo il tuo ricordo.

Marisa Olivotto Nessuno muore su questa terra finché vive il suo ricordo.

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Ricordiamo i nostri amici Clara Ottombri Un ringraziamento all’AIL nel ricordo di nostra mamma E’ con gratitudine verso l’AIL Treviso che ricordiamo la nostra cara mamma pensando che la sua memoria rimanga viva, oltre che per sempre nei nostri cuori, anche in chi legge queste righe. E’ nata nelle campagne del Noalese, in una grande casa patriarcale dove si lavorava faticosamente la terra ed il cibo non era sempre presente nella tavola. Sette fratelli, lei era la secondogenita, e toccò a lei, come era di consuetudine a quei tempi, fare da mamma ai più piccoli. Diceva sempre che la sua era stata un’infanzia di sacrifici e privazioni. Aveva vissuto il periodo della guerra ed era fiera nel raccontarci di quando aveva salvato la vita di suo fratello rimasto prigioniero. Tutte queste dolorose esperienza avevano fatto di lei una mamma forte, grande lavoratrice, capace per i suoi figli di superare qualsiasi stanchezza e sacrificio, sempre disponibile, superando dignitosamente anche la morte di nostro padre avvenuta quando lei aveva 50 anni. Anche in questa fase si dimostrò una vera roccia superando il grande dolore dedicandosi interamente ai nipoti ed aiutando il figlio più piccolo a farsi strada nella vita. La vita andava avanti tranquilla, con gli alti e bassi dei suoi tre figli, matrimoni, battesimi, quando parlava di noi era fiera, per non parlare poi dell’unico figlio maschio suo prediletto, per cui aveva sempre un complimento in più: voleva bene a tutti ma quando nominava il suo Beppino il viso le si illuminava e noi sorelle eravamo felici di questo. Era l’anno 2003 quando cadde e si fratturò un femore, ma la nostra grande mamma guarì abbastanza in fretta e dopo poco era già a cavallo della sua bicicletta, sempre attiva ed instancabile. Ma dopo poco, i primi segnali di quella malattia che l’accompagnerà sino alla fine. La prima visita al reparto di Ematologia, nel novembre del 2004, eseguita dal dottor Michele Gottardi, conferma la diagnosi di Mieloma multiplo. Il Dr. Gottardi riesce, fin dall’inizio, a trasmettere tanta fiducia, sicurezza e simpatia alla mamma, da sempre restia alle cure mediche, con la sua grande umanità trasmette coraggio e fiducia, è sempre gentile e pieno di frasi confortevoli: “Signora, il suo emocromo è migliore del mio”. Così nostra madre usciva felice e con tanta voglia di vivere. Reagiva bene anche alle varie terapie, cicli mensili, che ci facevano soggiornare nel Day Hospital per mezze giornate, in un ambiente sempre sereno con infermieri e volontari disponibili, simpatici, educati e.... ogni volta che uscivamo era sempre la solita frase: “Ma perchè l’ospedale non è tutto così?”.Tutto questo per quattro anni… La nostra riconoscenza per l’attenzione verso nostra madre, Ottombri Tecla, al dottor Gottardi e a tutto il personale dell’Ematologia. Un grande ringraziamento all’AIL Treviso che ha realizzato questa stupenda realtà. Alida, Giuseppe, Adelina

Tarcisio Bozzon Non chiedetevi perché vi ho lasciato, ricordate soltanto il bene che vi ho voluto.

Rosa Uliana Visse per l’amore della famiglia. Riposa nella serenità del Giusto. Rivive nella luce di Dio.

Ricordiamo anche Pasqua Samossi Il tuo spirito viva in noi

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Soldera Augusta Marangon Italo Imerio Gioia Zanette Pietro

Scatamburlo Elio Rinaldi Angelo Zago Adelina Devanport Silvana


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Carmen Lettera a mamy Carmen Cara mamy, come stai, dove sei, cosa stai facendo adesso? E’ bello il Paradiso assieme all’altra mamma? Mi stai guardando? Sembra ieri che tu sei venuta a prendermi all’aeroporto di Roma assieme a papà. Eri tutta contenta di avere in braccio me, la tua bambina. Dopo 10 anni è arrivato Edoardo il mio fratellino.Tu eri sempre così allegra, forte, piena di iniziativa, prendevi una decisione subito dopo esserti consultata con papà. Quando ti diagnosticarono la malattia che ti segnò per sempre, ogni giorno era una corsa tra ospedali.Tu con la tua forza vitale riuscivi ad affrontare qualsiasi cosa, non ti lamentavi mai, eseguivi tutto alla lettera come dicevano i medici. Ogni sera prima di andare a dormire mi davi la buona notte, e mi chiedevi come era andata la giornata e se avevo ripassato tutte le materie. Sei riuscita a sopportare due trapianti e sei sopravvissuta solo grazie all’amore che provi per me e Edoardo. Hai lottato fino alla fine, senza mai tirarti indietro. Sembra ieri quando ti venivo a trovare a Perugia, e ogni pomeriggio io e te facevamo un sonnellino, assieme, schiena contro schiena. Inutile spiegare il nostro dolore. Papà ti è sempre rimasto vicino, portando con sé la difficile realtà. Edoardo con la sua età innocente crescerà sano e forte. Saremo io e papà a raccontargli la tua storia. Oggi hai la possibilità di vedere dal Cielo il tuo bambino fare il chierichetto. Vivremo sempre secondo il tuo insegnamento.Ti vogliamo bene. I tuoi 3 tesori Auyu, Edoardo e Luciano

Gabriele Trenta Il mio angelo di nome Gabriele Gabriele è stato il più coraggioso e bravo bambino che una mamma si possa aspettare di avere. Nonostante fosse ammalato lui infondeva forza a tutti dicendo a noi e a sé stesso “devo guarire”. Ha sofferto tantissimo, ma nel momento in cui si sentiva un briciolo di forza era pronto a sorprenderci tutti con sorrisi che riempivano i nostri cuori. La frase più bella che mi diceva spesso e che non dimenticherò mai è:“mamma io e te abbiamo il cordone ombelicale attaccato e staremo sempre insieme”. Purtroppo non è andata così, il mio Gabriele è volato via lasciando un vuoto incolmabile in noi e in tutti quelli che lo hanno conosciuto ed anche nell’AIL che ci è stata tanto vicina e che ringraziamo con la poesia scritta dal nostro angelo di nome Gabriele.

La tartaruga La tartaruga fruga fruga per trovare la lattuga trova un bruchino piccolino con in testa un cappellino trova una farfallina che ha smarrito la stradina fruga fruga e finalmente ha trovato la lattuga.

Rigo Benito Italo Ci hai lasciato in punta di piedi, forse stanco di lottare dopo anni di speranze, paure, vittorie e delusioni vissute con dignità e coraggio insieme alla sua famiglia. Ogni cosa ci parla di te: la casa, l’orto, il giardino, le canne da pesca... e noi, nei gesti del quotidiano, ritroviamo il tuo sguardo di uomo mite e laborioso, le tue parole ed i tuoi insegnamenti. Ci manchi sempre più ma sappiamo che da lassù ci vedi , ci sorridi e ci guidi. Teresa, Carmen, Cinzia generi e nipoti.

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IL RACCONTO “... che Andrea no’ l’àpie bisogno de ‘na man…”

Mio padre era il sacrestano del paese, professione che si tramandava da generazioni nella famiglia, quindi sono nato e vissuto all’ombra del campanile. Ora l’elettricità ha fatto sparire i campanari e chiuso per sempre le porte dei campanili e riesce difficile ai giovani capire perché gli scalini dei vecchi campanili della zona presentino degli incavi così vistosi. Si cominciava alle cinque del mattino con l’Ave Maria che era un doppio (due campane). Poi veniva l’ultimo (altro doppio) poi il bot e alle sei la messa veniva annunciata dal campanello. Al Sanctus, mio padre lasciava la celebrazione e raggiungeva il campanile per un altro doppio. Le campane annunciavano poi mezzogiorno, l’Ave Maria della sera e, mezz’ora dopo, l’ora de not, che era l’invito ad una prece per i morti. Nei giorni festivi il doppio diventava terzo (tre campane). Il giovedì, il venerdì ed il sabato che precedevano una festa granda, prima di mezzogiorno e prima dell’Ave Maria della sera, venivano suonate le grezze. Mio padre saliva nella cella campanaria e legava le corde ai tre batocchi: due venivano manovrate a mano, la terza da un piede, cui era assicurata da un nodo sopra la caviglia. Erano variazioni di rintocchi allegri, giochi di note festose. Dopo le grezze veniva suonato un terzo quindi altra legrezzàda e altro terzo. C’era chi dava una mano e chi voleva far parte del concerto, anche perchè questa era l’occasione per ammirare un panorama unico. E così bisognava chiudere la porta del campanile per evitare che lassù si venissero a formare pericolosi affollamenti. Ricordo l’emozione che provai quando la prima volta la mia vista spaziò oltre la balaustra della cella campanaria. Mai avevo immaginato che la campagna fosse così sconfinata ed il cielo tanto vasto, che l’altezza potesse alterare le distanze e ridurre i campi a fazzoletti multicolore. Da lassù una successione di piante, fossi, rettangoli d’erba, di frumento, di mais: un ordine stupendo, una bellezza stupefacente, una fuga di colori sempre più indefinibili. La mia vista poteva dominare in una sola volta Villa di Villa, Silvella, Santo Stefano, Ponte della Muda, Godega, Orsago, la prateria dei Palù oltre la Pontebbana, invisibile sotto la folta scia dei platani. Si librava poi nell’azzurro del cielo, che da lassù sembrava più intenso. Più a sud altri campanili parevano tenersi compagnia, mi segnalavano paesi di cui ignoravo l’esistenza: sparsi in modo irregolare, davano alla campagna la forma di un unico, smisurato presepio. E mi compiacevo di constatare che, fin dove arrivava la mia vista, il campanile più alto era quello del mio paese, quello di cui mio padre era l’unico a tenere le chiavi. Ma dalla cella campanaria potevo anche violare i

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segreti di villa Brandolini: le geometrie dei giardini segnate dai sentieri in ghiaino, le aiuole, gli alberi secolari, le multiformi attività che si sviluppavano nella masseria retrostante la grande casa, il pullulare dei contadini attorno alle stalle, ai granai, alla cantina, alla latteria… …Tutti i riti che segnano il passaggio da un’età all’altra, la nascita, le nozze, l’agonia e la morte, venivano annunciati dalle campane per darne rilevanza comunitaria e non avessero significato solo individuale. L’agonia consisteva in 33 rintocchi lenti che invitavano a pregare per il moribondo; si poteva anche capire se si trattava di un uomo o di una donna: nel primo caso si diceva l’à ciot do bot, e nel secondo caso l’à ciot un bot e cioè la campana veniva tenuta sospesa due o una volta. La sera che precedeva la notte tra i santi e i morti, rintocchi molto lenti accompagnavano la processione dei defunti che si diceva avvenisse in cimitero. Era tradizione che gli uomini, riuniti nel campanile per tale opera, vegliassero tra castagne e vino. Facevo parte anch’io della compagnia e ricordo che, nonostante le campane a morto, era una festa. L’approssimarsi del brutto tempo veniva annunciato da un terzo a rovescio: prima la grande, poi la mezzana, poi la piccola. I rintocchi si spandevano per la campagna mescolandosi spesso al pauroso fragore del tuono. Gli uomini rientravano dai campi, le donne si affrettavano a bruciare rametti di ulivo benedetto e, accesa la candela della Ceriola, venivano recitate le litanie della Madonna. “Andrea al sona, le brut davèro...” Sembrava che fossero le campane a stabilire se i lampi ed i tuoni erano segnali fallaci o meno. Consapevole di questo, mio padre era diventato esperto meteorologo. Il sabato venivano suonati i vei de festa. Era il segnale che, interrotti i lavori e riposti gli attrezzi, ci si poteva preparare alla festa del giorno dopo. Ricordo in particolare i concerti di campane del venerdì che precedevano un matrimonio (allora i matrimoni si celebravano solo di sabato) ed erano tanto più lunghi quanto numerosi erano i fiaschi di vino ed i biscotti che il padre della sposa portava ai suonatori. Sì, i suonatori. Perché mio padre io l’ho sempre visto ammalato e c’era sempre qualcuno che lo aiutava. Così fin da piccolo mi trovai, primo di tre fratelli, a sostituirlo spesso nei preparativi per le funzioni o nel riordino della sacrestia. Ma tutta la mia famiglia era coinvolta, a cominciare da mia madre Antonietta, che divideva il suo tempo tra le faccende domestiche e l’impegnativa pulizia della chiesa e, man mano che crescevano, Livio e Maria Teresa. Ma tante altre persone collaboravano e ci sostenevano. Ogni mattina, alle cinque o sei, il proprietario del panificio adiacente al campanile dava una voce ai garzoni: “’ndè fora vèder che Andrea no’ l’àpie bisogno de ‘na man…”. E così prima di partire con le biciclette e le ceste cariche di pane per raggiungere le botteghe di Cordignano e dintorni, che già alle sette aprivano i battenti, i garzoni si facevano la loro bella suonata di campane. Ogni tanto lo rivedo uno di quei ragazzi, ora è lui a gestire un fiorente panificio. Mi dice sempre: “ti ricordi quando aiutavamo il tuo papà a suonare le campane?”. E come potrei dimenticare… C’era tanta solidarietà (ma allora non si


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chiamava così) nei confronti della nostra povera famiglia. Come non potrò mai dimenticare la fatica di mio padre nel salire in cima al campanile, con i bronchi che non funzionavano più. E quella volta, avevo 13 anni, che lo aiutavo a suonare per il temporale che già imperversava ed un fulmine si scatenò lungo il corrimano in ferro della scala che scendeva dal campanile ed andò a scaricarsi in strada, attraversando la porta che in questi frangenti veniva lasciata aperta. Uno spettacolo lungo meno di un istante, terrificante, bellissimo…. …A volte mi par di intravedere i volti di persone che non ci sono più e che mi volevano bene. Hanno segnato la mia giovinezza e mi sono rimasti nel cuore. Rivedo Demetrio, giulivo, spiritoso e sempre pronto alla battuta. Otorino, che in chiesa non perdeva l’occasione per riprenderci con lo sguardo severo quando il nostro compor tamento non era irreprensibile. Ma era troppo buono per darsi atteggiamenti di severità, severità che nemmeno i grandi baffi riuscivano a rendere credibile. Poi Varisto, sempre sorridente e gentile. Una vita passata sul banchetto da calzolaio aveva curvato il suo tronco quasi a renderlo deforme, ma lui non aveva rinunciato ad essere presente nelle cerimonie con la veste di capàto, anche se la sua presenza metteva in difficoltà l’equilibrio del baldacchino durante le processioni con il Santissimo. Si diceva, infatti, che Varisto tirèa bass. I capàti, uniformati dall’ampia tunica bianca ricoperta da una cappa rossa… Non ho mai capito se far parte della ristretta cerchia dei capàti fosse un segno di distinzione o una testimonianza di fede. Anche il Moro Tomè metteva in crisi l’andare del baldacchino, ma per motivi opposti. “Moro, tièn bass”, gli bisbigliavano i capàti, dal momento che i suoi 30 centimetri in più creavano problemi al gruppo. Per questo al Moro veniva affidato più volentieri il compito di aprire la processione con l’enorme stendardo colorato, ogni terza del mese in Biorca. Il Moro Tomè, imponente, con quei baffi enormi ed il cappello a grandi tese calato sulla fronte fino a nascondere gli occhi. Rivedo la signorina Resi, una figura esile, presente a tutte le funzioni sempre nello stesso banco della chiesa. La ricordo sempre incipriata, con il suo bel cappellino nero con veletta che le conferiva un aspetto di spiccata signorilità. Poi la siora Pina, affabile e sempre con le gonne lunghe alla caviglia. Il peso degli anni l’aveva talmente curvata da non essere capace di alzare la testa.

E la signorina Irene, titolare con il fratello Nino della locanda “Alla Regina”. Era perennemente circondata da gatti di ogni razza e colore che ne condividevano l’esistenza. L’accompagnavano anche a messa prima: lei li fermava fuori della porta della chiesa, loro se ne stavano in attesa fino alla fine, poi la riaccompagnavano ripercorrendo il sagrato e la piazza fino alla locanda, attaccati alle caviglie della loro padrona. Poi Nano Mian, el postin. Con la sua bicicletta con i freni a bacchetta e la borsa di cuoio, sdrucita e consunta dall’uso, sformata da fasci di buste, lettere, cartoline e pacchi, si faceva ogni giorno tutto il territorio comunale, dai Palù a Villa di Villa e fino a Santo Stefano. Persona sempre allegra, in tempi in cui tutta la comunicazione avveniva solo per posta lui sapeva tutto di tutti, pì ancòra del piovàn. Entrava nei cortili scampanellando e consegnava lettere col timbro posto su francobolli svizzeri, belgi, francesi e d’oltre oceano. Sapeva anticipare il contenuto delle lettere e, nel portare la notizia, sembrava si fosse assunto il ruolo di condividerla, bella o brutta che fosse. Per questo era l’amico di tutti ed ovunque benvoluto. Quando, ultimamente, erano diventati di moda i telegrammi in occasione dei matrimoni, Nano Mian aveva introdotto la consuetudine di accomodarsi e consumare un brodino caldo in casa dello sposo o della sposa, ritenendo naturale che il postino del paese dovesse essere anche lui parte della festa. E Vittorio Cao, commerciante di carbone e legna da ardere, che con cavallo e carretto si faceva tutti i mercati, anche quelli lontani di Oderzo e Portogruaro. Poi la sera, in osteria, pontificava davanti agli avventori, lui che sapeva come andava il mondo, lui che frequentava piazze ben più vaste di quella di Cordignano. Aveva la fama di saper fare i conti senza penna e carta nonostante fosse analfabeta. Amava atteggiarsi ad uomo di mondo e, quando la domenica aspettava gli amici sotto i portici davanti all’osteria, non disdegnava di sfogliare il giornale, senza preoccuparsi se fosse dritto o storto. Figure amate ed indimenticabili. Sembra che siano tutte appena usciti da messa, se ne stanno tornando a casa e, passando davanti alla mia bottega, sbirciano dentro e mi sorridono. A volte vedo mio padre che sale con fatica i sette scalini che portano al campanile per suonare un’Ave Maria. Umile, grande protagonista di una storia che è finita nel 1960 con il taglio delle corde delle campane…

Da “Una vita sotto il campanile – ricordi di Antonio Da Dalt”

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