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L’Incoronata – Foggia

Pubblicato da Redazione Gargano.it il 4 Giugno 2015
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Un campanile alto, che svetta sulla campagna, annuncia da lontano il santuario della Madonna Incoronata di Foggia. La tradizione assegna al 1001 l’inizio della sua storia. Il conte d’Ariano, di cui non si conosce il nome, dopo una giornata di caccia, fu colto dal buio in un casolare nel folto della foresta nei pressi del fiume Cervaro. Durante la notte una luce vivissima attraversò la selva. Il conte, attratto dal chiarore, giunse ai piedi di un albero dalla cui sommità una misteriosa Signora, avvolta in aura sfolgorante, gli indicava una statua poggiata fra i rami di una quercia. Nello stesso tempo un contadino che si recava al lavoro con i suoi buoi, alla vista della Signora, capì subito di essere in presenza della Vergine Santissima. Strazzacappa, così si chiamava il contadino, prese il paiolo che gli serviva per il magro pasto giornaliero, vi versò dal cornetto la razione d’olio d’oliva che avrebbe dovuto bastargli per tutto il mese, e, fatto un rozzo stoppino, l’accese in onore della Madonna. L’omaggio di Strazzacappa restò per sempre, come il povero obolo della vedova evangelica, simbolo del santuario e segno di una fede che tutto dona al Signore e che dal Signore tutto riceve. Il nobile conte di Ariano fece costruire una cappella che poi divenne un Santuario famoso. La chiesina fu affidata a un romito, ma le comitive di villani e di pastori, sempre più numerose, e soprattutto i pellegrini che passavano diretti al grande Santuario dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo, ne consigliarono l’ampliamento.

La nuova chiesa fu affidata ai monaci Basiliani, che la tennero fino al 1139. In quella data il normanno Ruggero II la donò a San Guglielmo da Vercelli che aveva da poco fondato il monastero di Montevergine sulla montagna del Partenio presso Avellino. Il santo vi rimase fino alla morte. Dal sec. XIII agli inizi del sec. XVI nel santuario vi furono i monaci cistercensi. La loro operosità e la dedizione ai pellegrini fecero del santuario uno dei maggiori centri religiosi della Capitanata. Il conte Guevara di Bovino finanziò una vera ricostruzione del convento e del Santuario. Nella seconda metà del sec. XVI l’intero complesso fu sottratto ai cistercensi e dato in commenda dapprima ad Antonio Carafa e poi ad altri dignitari ecclesiastici molti dei quali si resero benemeriti del santuario. Il secolo XIX fu infelice per il santuario. Nel 1808, in seguito alla legge del 21 febbraio del 1806, i beni del Santuario vennero confiscati. Si aprì così il periodo più buio della vita del Santuario caratterizzato da ingerenza dei laici, dal proliferare di interessi che niente avevano in comune col servizio religioso, da uno stato di abbandono che più volte fece temere la distruzione dello stesso edificio. Anche i pellegrini per mancanza di assistenza diminuivano; spesso i vescovi denunciarono lo stato di confusione e di degrado. I primi decenni del secolo XX videro l’opera solerte dei vescovi e di alcuni amministratori cittadini particolarmente solleciti della sorte dell’antichissimo santuario; fra questi sono da ricordare Alberto Perrone e Gaetano Postiglione ambedue sindaci di Foggia. Finalmente nel 1939 il santuario ritornò sotto la piena giurisdizione delle autorità ecclesiastiche. Il vescovo mons. Fortunato Maria Farina zelò l’onore di Dio riportando il santuario dell’Incoronata alla primitiva funzione di Casa di Dio particolarmente cara al popolo cristiano per la speciale presenza della Vergine Madre di Dio. Nel 1950 lo stesso mons. Farina, ne affidò la custodia ai Figli della Divina Provvidenza, fondati da don Luigi Orione. Da quell’anno la vita del santuario crebbe in continuazione. Le popolazioni vicine avvertirono subito il benefico influsso dei Figli di Don Orione che avevano riportato lo spirito di preghiera, la dedizione ai pellegrini, il continuo dono di sé ai devoti della Madonna, tutte cose che avevano caratterizzato la vita del santuario nei secoli passati quando nel bosco risuonava il salmodiare dei benedettini e dei cistercensi. I pellegrinaggi aumentavano per cui la vecchia chiesa divenne insufficiente. Dopo una lunga fase di studio, nel 1953, si decise di realizzare il progetto dell’ing. Luigi Vagnetti di Roma. I lavori andarono avanti fra alterne vicende per oltre dieci anni. Finalmente nel 1965 il nuovo tempio, con il suo alto campanile era una realtà bella e consolante. La nuova basilica si erge solitaria dall’antico bosco di querce a vegliare sul Tavoliere delle Puglie, ricco di grani, olivi e vigneti. Il complesso del Santuario esprime una felice sintesi fra elementi simbolici e strutture architettoniche tipiche del territorio. La grande area recintata, di cui il santuario è il centro, ispira certo il senso dell’arrivo nella quiete piena di pace della casa di Dio. Ricorda anche gli stazzi, numerosi una volta intorno al bosco dell’Incoronata, disposti a corona intorno alle grande masserie, in cui trovavano rifugio le greggi di pecore dei pastori abruzzesi. Fra i grandi santuari della Capitanata, quello dell’Incoronata esprime meglio di tutti l’attesa operosa e lungimirante della Chiesa di vedere tutti i suoi figli intorno a lei, felici negli atri del Signore. E’ la rappresentazione visiva della maternità di Maria e della Chiesa che tutti aspetta, tutti riceve nel suo seno provvido e materno. L’altissimo campanile è, insieme, segno felice del trionfo della croce, preghiera che s’innalza solenne, voce della madre Chiesa che chiama. Intorno le opere del Santuario, della Parrocchia e del Padri Orionini fanno corona alla chiesa. Il complesso, pur attraverso una modernità di linee e di soluzioni, esprime mirabilmente una storia che, iniziata mille anni addietro, si concluderà solo quando i lontani saranno diventati vicini, quando i dispersi avranno trovato la via del ritorno, e i pellegrini del mondo saranno finalmente nella pace del Signore. Nel segno della continuità spirituale con i padri che l’hanno fondato e frequentato in questi mille anni, il santuario conserva gelosamente tutto un patrimonio di tradizioni legate al particolare culto della Madonna. Ricordo la vestizione della Madonna che avviene il mercoledì precedente l’ultimo sabato di aprile. Degna di nota è anche la Cavalcata degli Angeli che si svolge il venerdì successivo alla vestizione della statua. Vuole riproporre il tripudio angelico che aveva riempito la selva di canti e luci nella lontana notte di aprile del 1001 quando la Vergine apparve al conte di Ariano e all’umile e privilegiato Strazzacappa. Cavalli superbamente bardati, ornati di lustrini e sonagliere, insieme a centinaia di fanciulli vestiti da angeli, da santi e da fraticelli girano per tre volte intorno al santuario in mezzo a decine di migliaia di fedeli che accompagnano il corteo col canto di antiche laudi. Oggi i pellegrinaggi si esprimono con maggiore sobrietà. Una volta, invece, la gente umile più che con le parole, amava parlare col Signore attraverso la plasticità del gesto e il linguaggio dei simboli. Quando i pellegrini, arrivavano al ponte sul Cervaro o, per quelli che arrivavano da mezzogiorno, alla confluenza del tratturo con la ferrovia per Potenza, usavano togliersi i calzari e percorrere gli ultimi due chilometri a piedi nudi. Era un gesto di umiltà fatto nel ricordo di Mosè a cui sul monte Oreb il Signore comandò “togliti i sandali perché il suolo che calpesti è terra santa“. I luoghi ove i pellegrini si toglievano i sandali venivano detti “scalzatori”. Ora questa usanza, insieme ad altre pratiche penitenziali più o meno spettacolari, non c’è più. E’ rimasto il triplice giro che ogni compagnia compie intorno al Santuario prima di entrarvi. E’ un ulteriore atto di omaggio alla Vergine Celeste, quasi un’anticamera, prima di chiedere umilmente il permesso di essere ammessi al cospetto della Regina del Cielo. Tra le usanze religiose sopravvissute è da ricordare anche la benedizione dell’olio che ogni pellegrino riceve; come l’olio dell’umile e fortunato Strazzacappa, significa la fede, la speranza e la santa carità come ricorda la bellissima preghiera tramandataci dai pellegrini di Ripabottoni “Ora vi preghiamo di ungere la nostra anima con quell’olio che il semplice campagnolo detto Strazzacappa mise ad ardere per voi sull’albero. Perciò fate che nell’anima nostra non manchi mai l’olio della fede, l’unzione della ferma speranza e la fiamma della santa carità”.