La decima Ragunanza di Poesia, narrativa e pittura: il bando di partecipazione

L’Associazione di Promozione Sociale ‘Le Ragunanze’ con il patrocinio morale del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, in collaborazione con FLIPNEWS, LATIUM, LEGGERE TUTTI, ACTAS, WIKIPOESIA, COORDINAMENTO DIFENDIAMO I PINI DI ROMA COMITATO VILLA GLORI, VIVERE D’ARTE LETTERATURA promuove la 10^ Ragunanza di “POESIA, NARRATIVA e PITTURA”.

La partecipazione è aperta a tutti coloro che, dai 16 anni in su – per i minorenni è necessaria l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci – senza distinzioni di sesso, provenienza, religione e cittadinanza, accettano i tredici (13) articoli qui di seguito specificati.

La frase sopra menzionata “per i minorenni è necessaria l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci”, vuol dire che chi non ha compiuto 16 anni può partecipare alla decima ragunanza, previa l’autorizzazione scritta e firmata da entrambi i genitori che dovranno allegare alla loro autorizzazione la fotocopia della loro carta d’identità.

I nostri GIURATI, i cui nomi saranno resi noti solo a conclusione della votazione, valuteranno gli scritti pervenuti e le opere pittoriche (in foto) spedite per e-mail, a loro insindacabile giudizio! Il REGOLAMENTO per la 10^ Ragunanza di POESIA, NARRATIVA & PITTURA, prevede quattro sezioni:

I sez.: POESIA INEDITA “NATURA-I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI”

II sez.: SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”

III sez.: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

IV sez.: PITTURA “A TEMA NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O A TEMA LIBERO”

La tematica di tutte e quattro le sezioni, trattandosi di “ragunanza”, termine in uso nell’Arcadia di Christina di Svezia, dovrà almeno contenere dei riferimenti alla natura che ci accoglie.

Per la I sezione, la POESIA “NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI”, che sarà da Voi scritta, nel rispetto della sintesi poetica, dovrà ricordare i dettami dell’Arcadia, il valore della natura, filtrati dagli eventi attuali che coinvolgono, modificano, distruggono i quattro elementi della nostra madre Terra e lo spirito di tutti coloro che si prodigano per la salvezza ed il recupero dell’ambiente e in particolare dei pini di Roma e nelle altre latitudini.

Per la II sezione, la SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”, che sarà da Voi già stata pubblicata (o da Casa Editrice o in proprio) e che decidete di far partecipare a questa X Ragunanza, si presenterà quindi come un libretto, potrà trattare qualsiasi tematica, essendo “A TEMA LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali, che abbraccino il genere umano.

Per la III sezione, NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”, che sarà da Voi già stato pubblicato (o da Casa Editrice o in proprio) e si presenta quindi in forma di libro, potrà trattare qualsiasi tematica, essendo “A TEMA LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici, che abbraccino il genere umano.

Per la IV sezione, PITTURA “A TEMA NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O TEMA LIBERO” si tratta di un’opera pittorica, realizzata con qualsiasi tecnica e che verrà inviata per e-mail al giudizio, in formato jpg come fotografia; l’opera potrà trattare la tematica sui pini di Roma o libera, essendo “A TEMA NATURA – I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici, che abbraccino il genere umano. Quell’opera pittorica scelta, qualora risultasse tra i vincitori, dovrà essere portata, se possibile, dall’autore in originale (non deve superare le dimensioni di 50 x 60) per essere esposta nelle tre ore della cerimonia di premiazione.

Art.1 Si richiede per la 10^ Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA, che il testo della poesia sia di massimo 36 versi e scritto in Times New Roman, a carattere 12 o 18 e che si rispettino in tutte le loro parti i 13 Articoli, i quali specificano le norme, i diritti, i requisiti e le leggi di questo regolamento.

Art.2 La POESIA della sezione “NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI” dovrà essere inedita e, per concorrere, andrà spedita via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione I: POESIA INEDITA “NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI”

1.La POESIA sarà ammessa solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso. I dati del concorrente sopra indicati andranno scritti in un foglio “a parte” e spediti insieme al foglio dove sarà scritta la Vostra POESIA che concorrerà.

Ai nostri giurati sarà fatta pervenire la POESIA in forma anonima.

2.La “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”, per concorrere, andrà spedita in pdf via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione II: POESIA “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”

La SILLOGE già pubblicata – o da Casa Editrice o in proprio – sarà ammessa solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso; questi dati saranno scritti su foglio a parte, che conterrà i dati ulteriori dell’Autore, nonostante appaia sul libro solo il nome ed il cognome dell’Autore della Silloge.

La Silloge di poesia, il libro, potrà essere spedita a scelta del partecipante, o con Raccomandata R/R o con piego di libri in una (1) unica copia a: A.P.S. “Le Ragunanze” c/o Michela Zanarella – Via Fabiola, 1 – 00152 Roma.

Congiuntamente (se possibile) dovrà comunque e pertanto arrivare, in pdf la Vostra silloge alla e-mail: apsleragunanze@gmail.com indicando nell’oggetto la sezione ovvero: sezione POESIA “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”

Nel foglio inserito nella busta, che conterrà la silloge (il libretto), dovranno essere specificati i dati dell’autore: nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso.

3.Il LIBRO DI NARRATIVA “A TEMA LIBERO”, per concorrere, andrà spedito in pdf via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione III: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

ovvero, il Vostro romanzo, la Vs opera, potrà riguardare tematiche varie, essendo “A TEMA LIBERO” e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici che abbraccino il genere umano, i sentimenti, oltre alla fauna che regna nel nostro pianeta Terra. Il libro già pubblicato – o da Casa Editrice o in proprio – sarà ammesso solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso; questi dati saranno scritti su foglio a parte, che conterrà i dati ulteriori dell’Autore, nonostante appaia sul libro solo il nome ed il cognome dell’Autore del romanzo di narrativa a tema libero.

Il libro, potrà essere spedito, a scelta del partecipante, o con Raccomandata R/R o con piego di libri in una (1) unica copia a: A.P.S. “Le Ragunanze” c/o Michela Zanarella – Via Fabiola, 1 – 00152 Roma.

Il Vostro libro “a tema libero” sarà fatto pervenire ai Nostri giurati in pdf e sarà esposto nel giorno della Premiazione.

IV sezione: PITTURA “A TEMA NATURA – I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O TEMA LIBERO”. Si partecipa con un’opera pittorica in qualsiasi tecnica a tema libero, a colori o in bianco e nero, da inviare in foto per posta elettronica all’indirizzo apsleragunanze@gmail.com in formato JPG, i file devono essere nominati con il titolo della foto.

Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione IV: PITTURA “A TEMA NATURA – I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O A TEMA LIBERO”

Art.3 Le modalità espressive della POESIA, della SILLOGE, del LIBRO DI NARRATIVA, della PITTURA ripartite nelle due modalità, non dovranno essere offensive né ledere la sensibilità e/o la dignità del lettore, dell’ascoltatore, del visore e della persona chiamata in causa a “giudicare” e a leggere. Le opere che non ottemperano quanto specificato nell’articolo 3 saranno automaticamente escluse.

Art.4 La partecipazione è soggetta ad una quota di € 15,00, che sottintende la presenza dell’autore concorrente ed include le spese di segreteria; si può partecipare a due o più sezioni con una quota pari a € 20,00.

Art.5 La scadenza per l’inoltro dei materiali è fissata a domenica 30 GIUGNO 2024;

Art.6 Il giudizio della giuria è insindacabile;

Art.7 La partecipazione al concorso comporta l’accettazione di tutte le norme del presente regolamento ed il partecipante dovrà essere presente il giorno della ragunanza per la lettura delle POESIE e di alcuni stralci di brani tratti dal LIBRO di Narrativa, secondo la graduatoria di premiazione di fronte agli astanti e per la descrizione breve “a commento” della propria opera, la PITTURA, qualora ci fosse tempo ulteriore a disposizione.

Sono ammesse deleghe solo in presenza del delegato a ritirare il premio assegnato, il quale si dovrà mettere in contatto con la segreteria del PREMIO, confermando il nome del delegato alla mail: apsleragunanze@gmail.com ;

Art.8 Qualora il premiato o il suo delegato non fosse presente, il suo riconoscimento sarà recapitato solo previo inoltro tassa di spedizione ed accordi con la segreteria del premio.

Art.9 I partecipanti, le cui loro opere di poesie, sillogi, racconti brevi, romanzi e pitture nelle modalità specificate, siano state selezionate per la premiazione, la lettura e la visione in pubblico, saranno informati sui risultati delle selezioni mediante e-mail personale e segnalazione nel sito dell’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze”: http://www.leragunanze.it.

Art.10 La premiazione avverrà in data da definirsi secondo le disponibilità della struttura che ci ospita 

Art.11 A tutti i selezionati sarà inviato, con largo anticipo, l’invito per partecipare alla cerimonia di premiazione.

Art.12 I PREMI saranno così suddivisi:

Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA.

  1. I sez.: POESIA INEDITA “NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI”

POESIA INEDITA sez. “NATURA- I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI”:

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • II sez.: SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”

SILLOGE DI POESIA EDITA a “Tema Libero”

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • III sez.: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

NARRATIVA LIBRO a “Tema Libero”

– primo classificato: (targa+ abbonamento per 1 anno al mensile LEGGERE TUTTI)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • IV sez.: PITTURA “A TEMA NATURA – I PINI DI ROMA E NELLE ALTRE LATITUDINI O A TEMA LIBERO”

PITTURA in modalità “a Tema Natura – i pini di Roma e nelle altre latitudini o a Tema Libero”

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

Saranno consegnate le Menzioni d’Onore (cartiglio pergamenato con medaglia)

L’assegnazione della TARGA del PRESIDENTE dell’A.P.S. “Le Ragunanze” è a discrezione del PRESIDENTE.

 L’associazione ACTAS di Tuscania e l’associazione LATIUM di Madrid assegneranno una targa per le opere che riterranno più meritevoli.

* Nella sinergia tra l’A.P.S. “Le Ragunanze” e FLIPNEWS è contemplata l’assegnazione di una targa, che verrà consegnata a discrezione del presidente dell’omonima associazione. 

Tutti i partecipanti presenti, e solo i presenti, riceveranno brevi manu l’attestazione di partecipazione alla decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA per aver concorso con l’opera, anche se questa non si è posizionata tra i vincitori.

Art.13 Nel file d’invio a apsleragunanze@gmail.com includere dati personali, indirizzo postale, indirizzo e-mail, telefono, breve nota biografica, (per i minorenni includere anche l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci con la fotocopia della loro carta d’identità) la dicitura “SARÒ PRESENTE”, fotocopia del versamento di € 15,00 per una sezione, si può partecipare a due o più sezioni con una quota pari a € 20,00, da effettuare tramite ricarica Postepay n° 5333 1711 2801 1620 intestato a Michela Zanarella, C.F.: ZNRMHL80L41C743L o con Paypal a miczanar@yahoo.it o in contanti nel plico di spedizione per i diritti di segreteria; in calce al testo, la seguente dichiarazione firmata:

 “Dichiaro che i testi delle poesie, i libri, le pitture da me presentati a codesto concorso internazionale sono opere di mia creazione personale.

 Sono consapevole che false attestazioni configurano un illecito perseguibile a norma di legge.

 Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (L. n. 675/1996; D. Lgs. n. 196/2003) e la lettura e la diffusione del testo per via telematica e nei siti di Cultura della Poesia, della Narrativa e dell’Arte, nel caso venga selezionato, dai giurati del concorso Decima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA & PITTURA”

Per il sesto anno consecutivo, l’associazione di promozione sociale ‘Le Ragunanze’, nel X anno dell’omonimo Premio internazionale per la poesia, la narrativa e la pittura, consegnerà la Targa dedicata ad Anastasia Sciuto, ad un giovane talento dell’Arte Drammatica, Cinematografica e Televisiva, nel plauso e nel ricordo dell’impegno artistico della giovane.

Referenti del concorso:

La Presidente dell’A.P.S. “Le Ragunanze”, Michela Zanarella

Coordinatore e Vicepresidente, Giuseppe Lorin

Mail: apsleragunanze@gmail.com

Tel: 340.1981250

Sito: www.leragunanze.it

“E la chiamarono Vigata. La Sicilia nel cuore” di Pasquale Hamel. Recensione di Gabriella Maggio

La nostra epoca, ha messo in discussione la rilevanza e il concetto stesso di passato e di conseguenza anche della memoria. Tutti gli eventi, i sentimenti, le emozioni della vita sono oggi riferite a un incessante presente, disancorato dal passato, che pure è l’unico dato di fatto che ci appartiene. Non sorprende quindi che uno scrittore che va oltre le apparenze, e soprattutto uno storico come Pasquale Hamel, abbia interesse a valorizzare la memoria e ricostruire un mondo che gli è caro per motivi biografici, legati all’infanzia ed alla giovinezza.

Hamel in E la chiamarono Vigata vuole ricreare sulla pagina il senso e il sapore di un luogo vero, vissuto, dove si interconnettono vicende umane e luoghi. Porto Empedocle è nella sua narrazione un luogo antropologico, quello che, secondo M. Augé, è «simultaneamente principio di senso per chi lo abita e principio di intellegibilità per chi lo osserva», perché detiene tre caratteristiche fondamentali: identità, relazione e storia I luoghi parlano e hanno molto da raccontare. Per gli antichi, non a caso, ogni luogo era abitato da uno spirito guardiano, il Genius Loci, che bisognava conoscere, rispettare e a cui ci si doveva rivolgere per avere il permesso di attraversare il luogo che custodiva. Oggi pochi usano il nome originario del luogo “Porto Empedocle” perché nell’immaginario comune prevale il nome di Vigata, datogli da Andrea Camilleri nei romanzi del commissario Montalbano. Nome condiviso anche dal pubblico dei non lettori per l’omonima fortunata serie televisiva. Questo spiega il titolo scelto da Pasquale Hamel E la chiamarono Vigata, dove il passato remoto chiamarono indica un’azione avvenuta un volta per tutte, irreversibile. Sono i libri che creano il mondo, diceva J.L. Borges. E la chiamarono Vigata raccoglie quaranta bozzetti, brevi racconti realistici, che con vivacità impressionistica descrivono una situazione, un carattere, un personaggio che ha colpito l’immaginazione di Hamel e che hanno caratterizzato Porto Empedocle nel ‘9oo.

Nel paese lo scrittore ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza: “un luogo che non mi ha visto neppure nascere ma dove ho vissuto, fra grandi tensioni emotive e forti affetti familiari, gli anni dell’infanzia e della mia adolescenza… snodo da cui guardare la complessità delle vicende del mondo”.

Se i Siciliani sono gli unici eccentrici italiani gli empedoclini incarnano in molti casi la iperbole dell’eccentricità. Questa particolare eccentricità siciliana va cercata nella storia locale come dice Sciascia e ribadisce Hamel che scrive che: “Gli empedoclini sono sempre stati uomini del fare”, hanno dato vita a “una piccola città, carica di positiva originalità”, tuttavia non sono sfuggiti alla sicilianitudine.

Questa è la condizione dei Siciliani anche secondo D.H. Lawrence, che però la chiama la “difficoltà” perché ne fiacca l’energia eccezionale”. Nei bozzetti si coglie proprio l’impossibilità dei personaggi a realizzare il proprio obiettivo per deficienze proprie o per impedimenti sorti nel contesto in cui operano. Quanto accade a Fofò, animatore culturale, è emblematico delle difficoltà che si frappongono all’energia eccezionale di tutti gli empedoclini.

Il lettore si ritrova in un microcosmo che, col senso e col senno di oggi, diviene rappresentativo dell’umana complessa fragilità di tutti i tempi, osservata e studiata dall’occhio acuto dell’autore che vuole comporre non soltanto un mosaico locale, soddisfacendo così la sua volontà di ricordare, ma fare riferimento a un mosaico più ampio di “storia civile” dell’Isola.

Le pagine scorrono veloci e ariose per l’affettuosa ironia che le connota e per lo stile asciutto, dove le espressioni dialettali hanno il sapore del linguaggio dell’anima.

GABRIELLA MAGGIO


La pubblicazione del presente testo è stata autorizzata dall’autrice. La riproduzione del testo, in forma integrale o di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentita senza l’autorizzazione dell’autrice.

N.E. 02/2024 – “POEVITÀSIA. Manifesto della Filosofia dell’Umafeminità”, a cura di Nadia Cavalera

La vita è il tempo che passa tra la nascita e la morte, è un passa-tempo nella semplice accezione denotativa, la più novile (niente di dispersivo, di negativo) e che ognuno imposta come meglio crede, senza dettami di specie, purché non offenda l’altrui fede.

La vita, in ottemperanza all’obbligo naturale inderogabile, avviato dal big ben iniziale, è un passa-tempo che impone il movimento, causa generata e generante da mantenere e reiterare.

La vita è azione, ma anche la poesia è azione, dunque vivere vuol dire poetare, esplicitare nel mondo una creazione sempre unica e irripetibile in ogni sua sfaccettatura, nei più svariati ambiti.

La vita/poesia e la poesia/vita si equivalgono. In un mix mutante di vasi comunicanti a volte castranti che mi piace chiamare POEVITÀSIA, dove la poesia, sulle ali della libertà seppur condizionata, è madre di tutte le arti, e ingloba la vita normale (che definisco COATTA) relegata alle comuni mansioni per garantire l’esistenza materiale, secondo il sistema economico-sociale-politico dato, e mai soddisfacente per la maggioranza (anche quando viene spacciato per tale col ricorso all’abusata e vuota parola di “democrazia” “una tecnica del potere, una tra le altre, niente di qualificante).

La Democrazia, nonostante l’emancipazione delle donne che, si sperava, lo scongiurasse, è rimasta un luogo di ipocrisia e menzogna.

POEVITÀSIA si conclude con la morte, suo completamento che apre a un nuovo ciclo infinito. Un eterno ritorno. Prima si barcamena tra un momento ludens e un momento moriens, gioca ogni sorta di giochi d’amore di successo di vizio e di virtù e TUTTO proprio per ammansire la morte. La fase successiva alla vita.

E se fosse il contrario? Se fosse la morte la vera protagonista, la dia ex machina di ogni esistenza? Veniamo dalla morte e ad essa ritorniamo. La vita è forse il sogno della morte che continua, che si perpetua nel movimento per sfuggire alla sua eternità con la nostra precarietà. Siamo fiori caduchi del male è vero. Siamo fiori della morte, la sua fervida immaginazione. La sua poesia. Consolatoria. Ma caduca. Non si può esaurire in nessuna interpretazione (e lo sapeva già Platone) perché rimanda all’agire, all’azione, a tutte le azioni in cui si produce l’umafemìno. E sono infinite.

La poesia coincide così con la vita in tutta la sua molteplicità e la vita è un gioco, in cui si impara imitando e dove non si scinde mai la realtà dall’immaginario. L’imitazione non è semplice riproduzione della realtà sulla base di una qualche tecnica facilmente assimilabile, ma è porsi in ascolto delle cose, percepire ciò che si nasconde al loro interno, coglierne il ritmo, il ritmo delle cose, afferrarlo e abbandonarvisi in un fare, in un poiéin sempre nuovo e diverso, come nuovo e diverso è ogni soggetto che si cimenta nell’operazione.

Nel mondo del gioco realtà e irrealtà trapassano di continuo una nell’altra sono inseparabili e indivisibili. E non si possono cogliere che in un unico movimento, quello dato nel LINGUAGGIO e dal LINGUAGGIO – più generalmente, nei segni e dai segni. Tant’è che è necessario che prima ci sia il gioco perché esista la realtà, e non viceversa.  Giocando col linguaggio si costruisce la realtà. Così che il gioco da eraclitea metafora cosmica, diventa simbolo del mondo. E «la lingua non solo manifesta ma anche condiziona il nostro modo di pensare: incorpora una visione del mondo e ce la impone». Quell’ attuale è maschia da sempre.

Il gioco è ricreazione della creazione, e il suo annullamento, per una ripresa continua.
Affidata al linguaggio che non va ingessato in una lingua morta e che dà oggi MORTE, ma va tenuto in un frullatore rigenerante che veda finalmente la partecipazione della donna, con la speranza che faccia man bassa della lingua che i maschi le hanno cucito addosso, e possa rinnovarne la vitalità. Orientarla al bene, alla giustizia, che latitano da tempo immemore.

POEVITÀSIA è fare agire attuare porgere attenzione alla realtà più profonda per testimoniarla, condividerla, contribuire per quanto possibile a comporre il puzzle di senso che a tutti sfugge.
È l’illusione che se tutti potessimo impegnarci a trovare la nostra piccola verità personale forse chissà finalmente ci si potrebbe avvicinare alla verità generale universale.
Ecco perché concordo con chi dice che la poesia è il gioco più serio che ci sia.
La poesia andrebbe affrontata con questo spirito di massima serietà, e da tutte e tutti. DICO Tutte e tutti.

Ecco il punctum dolens. Inaccettabile da chi fa della poesia solo uno status simbol di posizionamento sociale o di supposta superiorità morale, e di magnanima sensibilità. Da chi crede nell’ispirazione divina, dai cultori della poesia bella, orfica, infiocchettata, baciata, portatrice di successo, pratica di vanità.

A tutte e tutti dunque, secondo lo stile che meglio gli aggrada e li inquadra, la dignità iniziale di poete e poeti. Senza graduatoria alcuna, perché ciò che preme non è arrivare ai primi posti in classifica o scorrazzare ovunque nei festival, in vuoti protagonismi, ma condividere un progetto di impegno solidale nella catastrofe attuale. Anzi più che andare verso l’altro bisognerebbe assumere l’altro in sé, capire finalmente che ognuno è centro dell’universo.  Anche se non necessaria, la testimonianza di sé scritta sarebbe auspicabile per compilare quel libro unico che in un puzzle universale potrebbe aprire qualche spiraglio sul mistero dell’esistenza. Scongiurare intanto di farne SQUALLIDA sopravvivenza.

Tutti siamo poete e poeti, perché tutte e tutti agiamo nel gioco della vita e tutte e tutti abbiamo diritto di cercarci e raccontarci seppure non eccezionali (senza essere Ulisse, Enea, Orlando, Dante…). Dovremmo scavare in noi per recuperare l’orma della nostra esistenza.

Poesia è la vita di ogni donnuomo che, come l’arte, esiste a prescindere che piaccia o meno agli altri.  A prescindere che riesca a gettare ponti, che, essendo di parole, durerebbero come neve al sole. La poesia di ognuno esiste come le stelle nel cielo che non chiedono di certo la nostra approvazione per esserci. È la vita di ognuno la più bella poesia.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Guardo”, poesia di Emanuele Marcuccio

guardo

per le strade

equoree figure


fluttuanti

defilate

e trafilate


osservo

indifferenza


passi fuggitivi

ignorano

il tempo

trascorso


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2025 – “fissavi quella scia”, poesia di Cinzia Demi

fissavi quella scia

di luce che s’involava sopra

le nubi   e una volta sparita

ne fissavi ancora l’impronta  

contavi le gemme di fumo

   del boato lontano gioivi

chiedevi clemenza al cielo

di dio   per quel sangue

lassù   per quel figlio

gettato oltre il filo spinato

   sulla riva le farfalle

avrebbero continuato i voli

si sarebbero ancora alzati

i soli e le lune   socchiuse

le palpebre di stelle

   avrebbe crepitato

il tuo sangue nella pioggia

fingendosi airone sui

prati   e sentendo vicina

la bava dei predatori

   avresti tolto le scarpe

correndo un’ultima volta

sulla vetta insensata del

destino   avresti visto

l’alba destarsi sui grembi

   immaginato il bambino

la bellezza del padre   i colori

di tua madre   e in un grido

avresti abdicato alla via

lanciato la fionda al tuo Golia


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Dai capitoli del tempo”, poesia di Pasqualino Cinnirella

Volto ai dissesti ormai senili tu,

ancora taci anima stanca

nel chiuso torbido,

se pur non reggi mutola la pena

di un cuore dove impera solitudine,

dissonanze a vivere nell’oggi turbinoso

in cui la violenza spezza ali di colomba.

E’ tempo dei rimpianti, dei ricordi e timori,

di celate ansie al presto divenire

di giorni inoperosi e assente l’io.

Ancora la speranza regge appena

nei chiarori dell’alba senza nubi,

al ravvivarsi di quel sogno antico;

ma scemando ne scandisce l’ore

fino ammutolirsi col farsi delle ombre

in piena luna, che pur sempre ignara

questa, ancor più gaia mi sorride…fanciullo.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “La luna e il suo mistero”, poesia di Lucia Lo Bianco

Rimane vigile un’ultima parola

mentre accanto sospira il vento,

raccolgo i cocci dei miei giorni

ed accarezzo lenta i miei pensieri.

Si avvolgono le onde una ad una

e rimane solo un urlo morbido

e silente, solitudine al tramonto,

voce soffusa nel silenzio dei colori

al calare delle ombre. Rumori.

Mi chiedevi dei fruscii, singhiozzi

di mare verso sera. Ricordi?

Sembra ieri: sfioravi la mia anima

col soffice tocco fragile di vita.

Ora solo suoni, distanti e perduti

e mi ritrovo in questa cuna del tempo

ad attendere invano l’infrangersi

del mare sulla riva, moto infinito.

Attendo la luna e il suo mistero.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “La danza”, poesia di Irene Sabetta

La morte ha una sua coreografia

di acqua bevuta a piccoli sorsi

di piedi per terra

                           seduti

                                     sulla sponda del letto

di sguardi al soffitto

di labbra socchiuse

                      sorrisi tra i denti

 nascosti a metà

                         dal lembo di lenzuolo

                         rimboccato sudario

Minuscoli movimenti del capo

al ritmo spezzato della stessa musica

                                    Morire è meglio che soffrire

Arte impercettibile

sulla punta delle dita

                                    Morire è meglio che soffrire

a tempo di campana

senza rintocco

                       un ultimo passo di danza


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Mantra di Speranze”, poesia di Nicole Fiameni

Ho visto nel mare le rughe del tempo

trascritte su pelle da incognite brezze.

A nubi insicure e stagioni indecise

ho volto il mio sguardo per anni,

su pagine ondose ho esposto il mio cuore

e ora non posso che essere amante

del mantra che scorre tra i venti del fato.

A lungo ho consunto i miei giorni

sul bivio tra fuga e attesa

e quando mi son liberata

ho visto i miei sogni fiorire

e l’anima farsi leggera.

Rime piovose e alte maree

mondano gli occhi, annacquano i dubbi,

sciolgono nodi interiori

e allungano il fiele dei crucci –

io cullo i miei antichi dolori

e infine li lascio svanire

nell’aria lontano da me.

E risalendo sui sentieri

di una fervida visione

cerco vette di speranze,

compongo una scala di versi

che possa portarmi al tepore

del cielo paziente e immortale.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Liturgia del silenzio”, poesia di Gabriele Greco

Dalla sutura

della notte

rilucevano

spore.

Ceneri

disperse

dall’angelo

fuggito.

Un latte

d’ombra

sgorgava

dai solchi

delle mani.

Lo bevvi

a fior di labbra

prosternato

sulla faglia

di sabbia.

Ci fu

una luce

germinale:

e mi sembrò

mattino.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Christine Lavant, stella abbandonata da Dio”, saggio di Loretta Fusco

Basta guardarla nelle rare fotografie che la ritraggono, per capire chi fosse Christine Lavant, la grande poetessa austriaca, nata nel 1915, originaria di un paesino della valle della Lavant, in Carinzia, nome che adotterà come suo pseudonimo, perché in realtà lei si chiamava Christine Thonhauser.  Nona figlia di un povero minatore, bambina gracile, affetta da scrofola e problemi agli occhi, oltre che da regolari polmoniti che la prostrarono impedendole una vita regolare, frequentò comunque la scuola elementare, ma la sua fu un’esistenza segnata dalla povertà e dalla malattia. Crebbe in un ambiente rigido e cattolico col quale non riuscì mai a identificarsi. Anche se le sue poesie e opere in prosa sono caratterizzate da un linguaggio moderno e fortemente simbolico, il patrimonio culturale é quello cristiano, orientato verso una religiosità naturale contraddistinta dal desiderio di sicurezza e di riconoscimento.

Questi giorni non diventeranno vita.
Forse già nel ventre di mia madre il mio destino
s’è coraggiosamente separato da me
e se n’è andato – audace come io non sono mai stata –
sulla stella abbandonata da Dio
ed è rimasto là, s’è messo a dormire
e forse sogna ciò che mi deve accadere
con le tempie luccicanti.
Maliziosa mi lascio portare dal vento
vicino al focolare della realtà
mi lascio abbrustolire, mi lascio sbucciare
e da coloro che sono amaramente delusi
mi lascio risputare nel fuoco
o nell’acqua salata.
Là spesso rifletto e mi chiedo, se Dio sappia di me
se ci siano spiriti custodi anche per quelli come me
e se il sacro nucleo dell’anima
ce l’abbiano davvero solo i sani
che rompono le noci con i denti
e prendono il destino degli altri per il loro.
Nel fuoco e nell’acqua nessuno è lucido –
Perdonatemi Dio Padre, Figlio e Spirito Santo!
Voi siete una trinità e io sono così sola
e nessuno lassù risveglia il mio destino.

La poetessa e scrittrice austriaca Christine Lavant (1915-1973)

Thomas Bernhard, suo conterraneo, la porterà alla luce, e curerà personalmente un volumetto di sue poesie, 81 in tutto, scegliendole dalle sue quattro principali raccolte. Le consegnerà al suo editore nel 1987 avendo individuato in questa donna apparentemente fragile, un’interessantissima voce, isolata soltanto geograficamente entro i confini angusti di un’Austria nazionalsocialista, che lui stesso avversava. Nonostante il suo humus valligiano, la Lavant, sin dal suo primo volontario ricovero nel manicomio di Klagenfurt, dimostrò interessi culturali notevoli e una passione per Rilke, il poeta che ispirerà quasi tutta la sua opera. Bernhard, contrariamente all’immagine consolidata, la sottrae all’idea che fosse un Ligabue della poesia, esaltandone l’intelligente e raffinata espressività poetica, anche perché, nel tempo, la poetessa aveva intessuto una rete notevole di relazioni e contatti con i massimi esponenti dell’avanguardia viennese.

La sua poesia coniuga l’attaccamento alla terra, la tradizione, i riti liturgici, il folklore, a una sete inestinguibile di infinito. La sua è un’invocazione a un Dio sordo e cieco, verso cui inveisce con rabbia, nel dolore inascoltato che l’attanaglia. Rivendica con orgoglio il diritto a esistere come creatura di Dio, dimenticata e abbandonata a se stessa.

Dice Bernhard, nella prefazione al libro da lui curato: “Questo libro documenta la cronologia della vita di Christine Lavant che fino alla morte non ha trovato né pace né tranquillità e che nella sua esistenza si è flagellata attraverso la sua persona ed è stata distrutta e tradita dalla propria fede cristiano-cattolica; si tratta della testimonianza elementare di un essere umano strapazzato da tutti gli spiriti celesti, un essere umano, che altro non è se non grande letteratura, meno conosciuta nel mondo di quanto meriterebbe. La scelta qui proposta segue solo il mio intento e quello di nessun altro”.

Dimentica il tuo ciarpame, Creatore!

O sarai creatore

di ciò che è cadavere e lo rimane

e si unisce alla terra

ben più volentieri che al cielo.

Vai, continua ad ammantare i gigli

corrompi pure i passeri con il miele vergine –

io vivo di ruggine e muffa.

Tu dici che questo non mi sazia

e blateri della città di Dio

che molti conquistano con il digiuno.

Non io! Mi piace vivere nell’argilla

per diventare pietra e tuttavia

mai esserti di peso.

Le sue insicurezze risiedono nella sua fragilità fisica e psichica. Sin da piccola dovette rimanere a casa occupandosi di lavori domestici e cucito, cosa che lei fece con scrupolo anche per riuscire a mantenersi. Non disdegnava la lettura e la scrittura tanto che si rivolse a un editore di Graz per pubblicare il suo primo romanzo, che distrusse dopo che fu definitivamente respinto nel 1932, questo a testimoniare una personalità immatura, ma già provata dalle delusioni della vita. Nel 1935 si ricoverò spontaneamente al manicomio di Klagenfurt dal quale uscì dopo qualche tempo. Morti i genitori, si trovò in condizioni economiche disastrose sostenuta solo dal suo lavoro di cucito e dal supporto finanziario dei fratelli. Decise allora di sposare il pittore Josef Habernig, molto più vecchio di lei.

Le poesie della Lavant sono state definite preghiere blasfeme non solo perché si rivolge in modo irriverente a Dio ma soprattutto perché lo sfida. Emerge la sua natura semplice, franca, simile alla terra natia, dove nulla è concesso con generosità ma è la risultante di un lavoro duro e faticoso. La scrittura diventa elemento salvifico e testimonianza di vita subita, non agìta. Anche Ingeborg Bachman appartiene a quella terra ma da quella terra se n’è andata per trovare ispirazione e pace altrove. La malinconia che permea l’opera di entrambe si spande per quelle vallate dove il silenzio è rotto soltanto dal rimbombo dell’eco.

La Lavant sentiva ardere dentro di sé il fuoco dell’arte ma dovette soffocarlo perché la sua realtà oggettiva non le permetteva di realizzarlo e nessuno intorno lei, a partire dai medici dell’Ospedale psichiatrico in cui era stata ricoverata, erano riusciti a capire il suo desiderio di poetare, stroncando ogni sua velleità poetica, come denuncia nei suoi “Appunti da un manicomio”.

Sono nel reparto “Due”. E’ il reparto del’’osservazione per “i meno gravi” in cui di regola si arriva solo dopo essere passati dal”Tre”. Io non sono passata dal “Tre” e per questa ragione quasi tutti me ne vogliono. Ieri ho sentito dire dalla Regina a Renate: “Quella ci è piombata addosso con gli occhiali e la roba per scrivere. Che se la porti il diavolo! Che cosa è venuta a fare da noi? Probabilmente a spiarci, cosa altro sennò?!”… Renate si è limitata a risponderle: “Ah, eccola che riattacca con queste storie”. Ma poi a sera è venuta dirmi che aveva di nuovo bisogno dei suoi fermacapelli e che doveva riprenderseli. Peccato, non per i fermacapelli, ma per Renate perché credevo che avremmo potuto stringere una qualche amicizia. Fin dal primo giorno ho provato simpatia per lei, per questi suoi occhi muti e malinconici e per quel sorriso evanescente e dimesso che certo mette un po’ di tristezza, ma che non fa paura come la risata delle altre. Dall’altra parte ci si abitua incredibilmente presto ai visi e a discorsi più strani…]

Morte diffamata, per me sei così bella!Già di mattino ti penso come la mia capanna,dove la sera mi trasferirò,e penso che sopra la capanna brillerà una stella.Nemmeno del trasloco ho paura!Certo, prima bisognerà bruciare molto,prima di tutto il corpo con tutte le sue bramee dell’anima ciò che qui si è accumulatoin fatto di coraggio e di allegria.Solo il mio amore, morte, lo porterò con me!Per lui, se davvero sei il mio rifugio,dovrai preparare l’angolo migliore della mia capanna,e se possibile mettici anche una finestra,perché la stella, la buona stella di cui parlo,la possa colmare di tutta la consolazione,che qui non gli ho mai potuto dare.

Le sue invocazioni a Dio ricordano quelle di Rilke, il poeta che la Lavant sentì più di tutti. Lei grida a Dio la sua impotenza, con veemenza e spirito combattivo ben sapendo che il suo urlo disperato è un atto di rassegnazione.

Voglio condividere il pane con i pazzi,ogni giorno un pezzo di questo grande orrore,anche la campana nel cuore,là, dove il colombo fa il nidoe trova un minuscolo asilonella selva sulle acque.A lungo ho vissuto come pietrasul fondo delle cose.Ma ho sentito la campanaSussurrare il tuo segretonei pesci volanti.Imparerò a volare e a nuotaree lascerò tutto ciò che è pietra sotto la pietralascerò la malinconia coricata nella madreperla,ma solleverò in alto la rabbia e la miseria.Le mie ali sono più antiche della tua pazienza,le mie ali sono volate oltre il coraggio,che s’era fatto carico dell’errare.Voglio condividere il pane con i pazzilà, nella spaventosa selva del colombodove la capanna divide in tre parti il grande terroretrasformandolo nel suono tripartito del tuo nome.

***

Ti ho tuffato nella mia rabbia!

Ora sei d’acciaio sopra la terra

e sotto, mansuete, avanzano le tue radici

tra pietre scricchiolanti.

Non portarmi il grano! Non ti ho reso acciaio

per saziarmi o addormentarmi

a me spetta la metà di quella mela

che matura tra i rami dell’albero del serpente.

Spada o giglio – tu li sei entrambi a metà!

Voglio scagliare in alto la tua affilatezza

ed essere dolce sorella della terra

e indurre in tentazione Dio come lui ha fatto con me.

Ti ha tuffato tre volte nel mio cuore

e ti ha ordinato di rinunciare a lui

ma io ti ho immerso nell’acciaio della rabbia;

ora porta a suo figlio la mia metà della mela!

***

Mentre io, turbata, scrivo,

nel disco della luna piena brilla

la parola che osservo

da quando la colomba mi ha deriso

perché dallo specchio dell’acqua

senza nome, senza sigillo,

entravo nell’arido.

Non fosse cresciuta

la semina dell’osservazione

dovrei uccidere luna e colomba

che sempre m’ingannano

e fanno il nido sul mio albero del sonno

che per questo rinsecchisce.

Spesso una parola s’imprime a fuoco

da sé nella sua corteccia,

e allora mando quel cieco

messaggio, che inutilmente si rigira

aggredendo il tuo sonno

mentre nel disco della luna

è in salvo la risposta.

Christine Lavant morì a Wolfsberg nel 1973, all’età di 57 anni. Non lo sapeva allora che la sua voce sarebbe diventata alta e sarebbe uscita da quei confini che lei aveva sempre considerato un limite alla sua brama di libertà.


(Le poesie scelte appartengono al volumetto Christine Lavant, Poesie, scelte da Thomas Bernhard, nella traduzione di Anna Ruchat. Effigie Edizioni).


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Sei il verme della tristezza”, poesia di Emilio Paolo Taormina

il verme della tristezza

mi divora

ho perso

sulla tua fronte

la briglia della luna

nei tuoi occhi

il profumo dei gelsomini

se sei tu

il seme nel mio petto

sboccia

senza attendere la neve

se sei tu

la catena alle mie caviglie

dammi la chiave

senza attendere le piaghe

aspetto solo

le piogge di primavera

per scorrere

le acque del tuo fiume


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