Con “L’Ultimo squillo” si chiude la “Trilogia di Pyramid”, ambientata da Andrea Manfredi Hofer nella città-stato di Pyramid, la città delle cinque piramidi, la megalopoli adagiata su una splendida isola al centro della meravigliosa cornice dei Caraibi.
Come nei due libri precedenti , “Pyramid” e “37 ore post mortem”, la città-stato non è solo ambientazione, non è solo uno sfondo che spinge per mettersi in mostra ma in questo terzo romanzo entra, con tutta la sua violenza, la sua corruzione, le sue ingiustizie, con tutto il suo distorto modo di vedere la realtà nel tessuto stesso della narrazione.
Il protagonista del romanzo è Michael Limkow, un giornalista investigativo triste e disincantato segnato dal suicidio del figlio Paul: la moglie si è trasferita in Francia e l’unico suo punto di riferimento al mondo è la figlia Kate, una poliziotta, una ragazza che tenta di fare al meglio il suo lavoro all’interno di uno dei corpi di polizia più corrotti del mondo.
Quando il passato della città, ossessionata dai serial killer come lo scrittore ha raccontato in “Pyramid”, sembra finalmente rasserenarsi un altro incubo si materializza nella comparsa di misteriosi cellulari sulla scena di spietati omicidi.
Michael Limkow, con tutti i suoi dubbi e le sue incertezze, si ritroverà in prima linea ad affrontare un mostro che, in una terrificante girandola di sangue e violenza, sparge nell’isola il panico più assoluto, panico che risale fino all’ultimo piano della più alta piramide della città, fino al potere dei Kimbler, i “sovrani” di Pyramid.
La storia non dà tregua, i colpi di scena si susseguono in un’escalation di brividi e paura per arrivare ad un finale che dire sorprendente è semplicemente dire poco.

L'ultimo squillo

Anteprima

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Il Prologo

La luna è piena e i fari dell’auto che sfreccia nella notte di Pyramid sembrano superflui. Le ruote mordono l’asfalto come cani rabbiosi e il motore grida tutta la sua potenza. Una curva a gomito attende la macchina che sta andando troppo veloce: una frenata, una sbandata e l’auto inizia a rotolare su se stessa emettendo gemiti metallici. Qualcuno viene sbalzato dal sedile del guidatore mentre la macchina finisce la sua folle carambola in un fossato. Dopo qualche secondo di silenzio assoluto un rumore sordo.
La notte si colora di fiamme sempre più alte.
Ampi specchi circondano il grande tavolo bianco e rotondo attorno al quale siedono, su sedie bianche, sei figure che indossano cappucci neri, tuniche rosso sangue e guanti neri. Di fronte ad ogni incappucciato, sul tavolo, arde una candela.
Nella penombra, un po’ in disparte, sopra un ripiano di legno nero è seduta, su una specie di trono ricoperto di velluto rosso, una settima figura che indossa, a differenza delle altre, un cappuccio bianco, una tunica azzurra e un paio di guanti bianchi.
La tensione sembra rimbalzare tra gli specchi quando uno degli incappucciati, un uomo, parla con tono solenne:
- È arrivato il giorno che stiamo aspettando da sempre! Quattro ragazzi, due maschi e due femmine, col volto scoperto, con delle tuniche bianche e con dei guanti neri si avvicinano lentamente al tavolo portando ciascuno, su un cuscinetto di seta azzurra, un cellulare. Con gesti misurati depongono i telefonini al centro del tavolo.
Una delle ragazze si avvicina alla figura seduta sul trono e prende in consegna altri due cellulari che poi dispone accanto ai quattro che già sono sul tavolo.
L’incappucciato che aveva parlato precedentemente pone di fronte a ognuno dei presenti un cellulare. Lui prende l’ultimo rimasto, lo mette davanti a sé e allarga le braccia.
A quel gesto tutti e sei si prendono per mano.
Sempre lo stesso riprende a parlare:
- Stasera saremo salvati!
L’uomo alza lo sguardo verso l’alto.
- Ora aspettiamo che chiami.
Un silenzio lunghissimo pare trafiggere i cuori dei presenti
le cui mani guantate tremano ogni secondo di più.
Improvvisamente il silenzio è squarciato da uno squillo.

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Le cinque piramidi di vetro, sfiorando il cielo stellato, svettavano maestose sull’isola caraibica dove sorgeva la grande cittàstato di Pyramid, una città che aveva appena toccato i dieci milioni di abitanti e che racchiudeva tutta la sua vita proprio nelle gigantesche piramidi che si specchiavano nell’oceano.
La Business Pyramid si ergeva a nord dell’isola e ospitava la vita economica dello Stato: assicurazioni, società finanziarie, banche e tutto ciò che riguardava in qualche modo gli affari. Nella Business Pyramid erano collocati anche tutti i numerosissimi uffici dei tour operator: la maggior fonte d’entrata della città infatti era il turismo poiché milioni di persone da tutto il mondo invadevano, ogni anno, le splendide spiagge dell’isola.
A est sorgeva la “piramide dell’amicizia”, la Friendship Pyramid, che conteneva il Pyramid Hospital, modernissimo, la ricca biblioteca cittadina, il museo di Stato, il Museum of Sir Leopold Kimbler, dedicato al fondatore della città e capostipite della famiglia che la governava, grande amante dell’antico Egitto da cui avevano preso spunto le piramidi. Naturalmente, nel museo che portava il suo nome, erano custoditi preziosissimi reperti dell’Egitto dei faraoni. Nella stessa piramide si

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trovavano la State University e le scuole di ogni ordine e grado. Conteneva anche tutti i mass-media, giornali, televisioni, radio.
Nella parte opposta dell’isola, a ovest, s’innalzava la Shopping Pyramid la quale pullulava di migliaia di negozi e dove si poteva trovare qualsiasi prodotto in commercio nel mondo. I piani inferiori della Shopping Pyramid erano contraddistinti anche dalla presenza di numerosissime concessionarie automobilistiche, di officine meccaniche e di carrozzerie.
A sud si stagliava la Funny’s Pyramid, la piramide del divertimento. Qui trovavano posto innumerevoli ristoranti, discoteche, cinema, teatri, casinò, palestre, piscine, sale giochi. La Funny’s Pyramid era anche il regno del sesso a pagamento: veri e propri bordelli legalizzati dove ci si poteva appartare con splendide ragazze o bellissimi ragazzi, night club per tutti i gusti, dal più raffinato al più crudo, saune thailandesi, locali gay che davano la possibilità a ciascuno di sfogare i propri istinti sessuali.
Infine, al centro della città svettava la piramide più grande, alta milleduecento metri, la Kimbler Pyramid, dove avevano sede il governo, gli uffici statali, le forze armate, la polizia e i servizi segreti. L’ultimo piano della Kimbler Pyramid era la residenza della famiglia Kimbler, una residenza che si raccontava, pochissimi avessero potuto vedere, fosse una vera e propria reggia ipertecnologica e tempestata di oro e diamanti.
Gli abitanti di Pyramid adoravano le loro piramidi che chiamavano semplicemente Business, Friendship, Shopping, Funny. Solo la piramide centrale veniva chiamata, quasi con una sorta d’inconscia soggezione, Kimbler Pyramid.

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Mark Krison stava uscendo dalla solita festicciola del venerdì. Ogni fine settimana, infatti, un vigile del fuoco organizzava un incontro a casa propria invitando i colleghi del suo dipartimento e le loro famiglie. Krison era ormai stufo di quelle feste durante le quali si finiva sempre col parlare di lavoro tanto che, quasi quasi, preferiva quei venerdì in cui scoppiava un incendio in modo da poter evitare quel tormento settimanale. Scendendo gli ultimi scalini che portavano al marciapiede Krison pensò, però, che, in fondo, anche quelle riunioni conviviali facevano parte del suo lavoro perché servivano a rinsaldare l’amicizia e la solidarietà del gruppo, una solidarietà fondamentale quando ci si trovava uniti di fronte alla forza bestiale del fuoco.
Il marciapiede e la strada erano silenziosi, una cosa molto rara per Pyramid, pensò Krison, abituato ad un traffico infernale ventiquattr’ore su ventiquattro. Il collega che aveva organizzato quella serata abitava nella zona della Business, una zona costellata di piccole succursali dei grandi uffici che avevano tutti sede nella piramide e quindi in uno dei pochi settori della città non molto frequentato la notte.
Fatti pochi passi Krison sentì uno squillo. Si guardò intorno e s’accorse che il suono proveniva da un telefono pubblico che si trovava proprio di fronte a lui. Gli sembrò strano che suonasse così, a vuoto, senza nessuno pronto a rispondere. Si avvicinò alla cabina telefonica e subito notò che a suonare era un cellulare posto proprio sopra il telefono pubblico. Dopo un attimo di stupore il lungo volto di Krison, con il suo pizzetto tagliato alla perfezione, si aprì in un sorriso. Certamente qualcuno lo aveva dimenticato lì. Decise di rispondere per comunicare a chi chiamava che il

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cellulare con cui si era messo in contatto era stato smarrito e che avrebbe potuto avvertire il proprietario di venire a riprenderselo presso la caserma dei vigili del fuoco situata nella Friendship Pyramid. Magari, pensò Krison, ne usciva anche una ricompensa. Inoltre era incuriosito da quello squillo che sembrava proprio suonare per lui.
Con le sue mani robuste afferrò il cellulare.
- Pronto!
Una voce metallica sentenziò:
- Tu adesso morirai!
E subito la comunicazione s’interruppe.
Sentendo quelle parole Krison fu attraversato da un brivido. Poi però si passò una mano sul volto e sorrise di nuovo. O era uno scherzo dei suoi colleghi, veri professionisti in materia, o si era imbattuto in qualche pazzoide. Si guardò attorno: non c’era proprio nessuno pronto a fargli la pelle. Allora si infilò il cellulare in tasca ripromettendosi di raccontare tutto a Wanda, sua moglie, che quella sera era rimasta a casa in attesa dell’arrivo della madre. Wanda era, tra l’altro, una grande appassionata di gialli e così gli avrebbe anche consigliato cosa fare con quel misterioso telefonino.
Krison si incamminò verso la macchina, che era parcheggiata subito al di là di un vicolo piccolo e stretto, controllando se in tasca aveva le chiavi e, toccandole, ci giocò con le dita. Stava per arrivare alla sua Toyota quando qualcuno lo afferrò per la giacca. Krison, sbilanciato, per non cadere, si appoggiò al muro del vicolo in cui si trovava. Alzò lo sguardo quel tanto per vedere i riflessi della luna giocare sulla lama di un coltello. La prima coltellata fu solo dolore, un dolore immenso, la seconda fu puro terrore, la terza gli aprì le porte dell’eternità.

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Sotto la stessa luna il più giovane dei cinque poliziotti addetti alla reception della Centrale di polizia di Pyramid alzò gli occhi dal giornale sportivo che stava leggendo per trovarsi di fronte un uomo strano che indossava un impermeabile blu, capo di abbigliamento inconsueto per Pyramid dove era sempre estate e la temperatura era sempre elevata. I capelli castani gli cadevano sugli occhi verdi e una barba lunga e incolta sembrava nascondere il suo volto pallido.
- Desidera?
Il poliziotto aspettava con noia malcelata l’ennesima stronzata dell’ennesimo barbone del cazzo.
L’uomo aprì l’impermeabile ed il poliziotto vide una mazza da baseball insanguinata infilata in una delle tasche interne. Fece per afferrare la pistola ma l’uomo fu più veloce di lui: estrasse la mazza ma, invece di colpirlo, la gettò a terra.
Il giovane poliziotto riconobbe subito chi gli stava di fronte e, ancora incredulo, ordinò a Drenan Stoke di inginocchiarsi.
Drenan Stoke, uno dei serial killer più famosi non solo di Pyramid ma della storia. Drenan Stoke che, con la sua mazza da baseball, aveva ammazzato trentasette persone colpevoli, secondo lui, di aver abusato di bambini, era ora in ginocchio davanti ad una decina di poliziotti che lo avevano subito circondato. Gli occhi spenti dell’uomo erano fissi sul giovane agente che, per primo, gli aveva puntato contro la pistola.
- Arrestami! – disse.

In quella sala della Kimbler Pyramid il calore era ancora più torrido di quello esterno che, con i suoi quarantatre gradi all’ombra, non scherzava di certo. In quella sala dall’aria condizionata

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resa inefficace dalla calca di poliziotti, giornalisti, cameramen, fotografi Michael Limkow, cronista cinquantenne della Pyramid Gazette, il più autorevole quotidiano dell’isola, sudava come tutti nell’attesa dell’arrivo del capo della polizia, Robert Sander, che di lì a poco avrebbe tenuto una conferenza stampa. Infatti, all’improvviso, accolto dai flash delle macchine fotografiche e dai riflettori delle televisioni, accompagnato da due poliziotte con il fisico da copertina, comparve Sander. Indossava la lucente uniforme delle grandi occasioni che rendeva ancora più massiccia la sua corporatura. Appoggiò le mani sul ripiano che sorreggeva il microfono. Immediatamente una poliziotta si precipitò ad alzarglielo perché l’altezza del sessantenne numero uno della polizia dell’isola non era da meno, con il suo metro e novantacinque, alla sua corporatura. Gli occhi piccoli e grigi si guardarono intorno in attesa che il brusio scemasse e quando si sentirono solo il rumore dei flash, il ticchettio dei computer e lo stropiccio della carta dei taccuini iniziò a parlare, in tono solenne, con la sua classica voce cupa:
- Come già saprete questa notte il pluriomicida Drenan Stoke si è costituito alla polizia di Pyramid. Dati i gravissimi reati di cui si è macchiato, mi è stato appena comunicato che sarà il presidente Robert Kimbler in persona a decidere se dovrà essere processato, condannato direttamente all’ergastolo o portato immediatamente davanti al plotone di esecuzione. Proseguì poi enumerando la serie di omicidi commessi da Stoke ed il suo modus operandi.
Limkow, quasi sommerso dai colleghi, riuscì comunque a interrompere Sander.
- Il fatto che Stoke si sia presentato alla polizia spontaneamente e si sia costituito non potrebbe rappresentare un’attenuante?

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Sander girò lo sguardo duro come l’acciaio fino a posarlo su Limkow.
- Sarà il presidente Kimbler a decidere il trattamento da riservare a un serial killer come lui.
Domande di vario tipo fioccarono sul capo della polizia: in che condizioni si era presentato Stoke, se si era detto pentito per i crimini commessi, se la polizia si aspettava l’improvviso cedimento del pluriassassino e molte altre. Sander rispondeva sempre più spazientito perché, come tutti sapevano, odiava i giornalisti e li odiava a tal punto che una sera, ad una cerimonia per la consegna delle medaglie ai poliziotti più valorosi della città, li aveva definiti semplicemente “inutili”.
Michael Limkow riuscì, letteralmente ondeggiando in mezzo alla folla dei suoi colleghi, a porre una seconda domanda: - Poiché Stoke ha perso tragicamente suo figlio per la negligenza di qualcuno si può forse ipotizzare un’incapacità di intendere e di volere?
Gli occhi grigi di Sander fissarono Limkow facendosi ancora più piccoli e un sibilo uscì dalla sua bocca: - Odio i buonisti!

Limkow, appena uscito dalla Kimbler Pyramid, emise un lungo sospiro, ripose in tasca il taccuino ed estrasse un pacchetto di sigarette. Mentre spegneva con un gesto della mano il fiammifero e aspirava con gusto il sapore della sigaretta sentì una voce alle sue spalle:
- Bisognerebbe stare molto più attenti alle domande che si rivolgono al capo della polizia perché si può rischiare di fare una brutta fine.

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Limkow si voltò di scatto e vide una giovane e bella ragazza, vestita in modo sportivo, con i capelli biondi, lisci e lunghi sulle spalle che incorniciavano due splendidi occhi azzurri. Il distintivo che luccicava appeso alla cintura aveva uno scopo: far sapere a Pyramid che quella ragazza era una poliziotta.
- Pyramid si sta proprio trasformando in una giungla – replicò irritato il giornalista – visto che ormai si condannano le persone senza nemmeno l’ombra di un processo.
La ragazza si avvicinò con uno sguardo molto serio.
- Pyramid, signor giornalista, non sta diventando una giungla, è sempre stata una giungla.
L’irritazione di Limkow si trasformò in un sorriso e con un braccio circondò le spalle della giovane.
- Ciao Kate. E tu la stai difendendo questa giungla?
Anche la ragazza sorrise.
- Si fa quel che si può nonostante il mio capo si sia incazzato per le domande “buoniste” di mio padre.

Michael e Kate Limkow rientrarono nella piramide e andarono a sedersi a un tavolo di uno dei tanti bar dell’atrio. Limkow si appoggiò allo schienale della sedia in metallo e borbottò:
- Comunque mi vergogno veramente di essere un cittadino di Pyramid.
Kate ordinò due caffè.
- Però, papà, secondo me qualcosa in questa città sta cambiando, l’ho notato dal comportamento di diversi colleghi che, da qualche tempo, iniziano a criticare, anche apertamente, i metodi poco ortodossi della nostra polizia.

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Una cameriera portò i caffè, Limkow fece per pagare ma Kate lo fermò con la mano dicendo che era stata lei ad importunarlo. Risero insieme e Kate pagò le consumazioni.
La ragazza si fece seria.
- Io stessa l’altra notte sono intervenuta, insieme ad un collega, per evitare il solito pestaggio del sospettato di turno.
Limkow non disse nulla, poi guardando la figlia negli occhi sospirò:
- Tua madre sarebbe molto orgogliosa della sua Kate.
Kate abbassò lo sguardo tristemente.
- Già.

I libri

37 ore post mortem

Disponibile su richiesta, scivere a info@andreamanfredihofer.it

L'ultimo squillo

Pyramid

Il gioco sulla pelle

Quanti sono in Italia i ragazzi alla disperata ricerca di un lavoro? Tanti, troppi. Il protagonista de “Il gioco sulla pelle” – sottotitolo “disoccupazione e delitti”, il primo romanzo di Andrea Manfredi Hofer, un thriller tragico e sarcastico, è uno di questi. Le sue, prima fiduciose poi forsennate, richieste di impiego vengono costantemente deluse. La sua mente cede, la rabbia sale, l’odio acceca… Una buona lettura, un esempio da non seguire.
Per acquistare “Il gioco sulla pelle” inviare un’email a info@andreamanfredihofer.it

Biografia

Andrea Manfredi Hofer

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Andrea Manfredi Hofer nasce a Trento il 6 maggio 1963.
E’ uno scrittore di thriller, genere in cui eccelle per la sua capacità di immergere il lettore in atmosfere cariche di suspense e per la sua abilità nel creare immagini dallo spiccato taglio cinematografico. Una critica ha infatti puntualmente definito i suoi romanzi come “film da leggere”.
Andrea Manfredi Hofer, che preferisce essere individuato attraverso le prime lettere dei suoi tre nomi: AMH, ha vissuto per anni a Primiero, una splendida vallata del Trentino, dove, poco prima di trasferirsi a Trento, città in cui attualmente risiede, ha iniziato a scrivere il suo primo libro, “Il gioco sulla pelle”, edito da “Gianni Monduzzi Editore” di Bologna, uscito nel 1999, nel quale il delicato tema della disoccupazione, non solo quella giovanile, si intreccia ad una follia e ad una violenza tanto realistiche da trafiggere il lettore come le armi usate dal protagonista.
Dopo questo primo libro, una sorta di “sperimentazione stilistica”, AMH decide di dar vita ad una trilogia estremamente particolare ed originale, la trilogia di Pyramid, che inizia, nel 2006, con il romanzo, legato al genere thriller, “Pyramid”, edito dalla “costlan editori” di Milano. Il libro prende il nome da una città-stato di fantasia, contraddistinta da cinque enormi ed altissime piramidi e adagiata nello splendido scenario dei Caraibi, una megalopoli tanto spettacolare quanto crudele governata dalla spietata dittatura dei Kimbler. Qui violenza, sesso e sangue si fondono sotto i raggi implacabili di una torrida e terribile estate che sembra non finire mai.
Il terzo romanzo di Andrea Manfredi Hofer, il secondo della trilogia, “37 ore post mortem”, uscito nel 2012, vira verso un noir dalle tinte via via sempre più cupe caratterizzato, all’interno di una cronologia non sequenziale, da un’angoscia che trova alimento nel lento incedere delle ore per sfociare in un finale tanto inquietante quanto inatteso. In quest’occasione lo scrittore decide di cimentarsi con la vendita online appoggiandosi alle ”Edizioni Effe Erre” di Trento diventando sostanzialmente editore di se stesso.
Nell’ultimo libro, “L’ultimo squillo”, che chiude la trilogia, lo scrittore che si affaccia sui territori del giallo classico con una narrazione percorsa però da una tensione strisciante che non trova alcun momento di tregua, torna sotto l’etichetta di una casa editrice, la “Grafiche Stile Edizioni” di Rovereto, ma questa è un’altra storia.
AMH ha lavorato in campo giornalistico e ora è impegnato nel settore pubblico senza però mai dimenticare la voglia di lasciare tutto per dedicarsi solamente, come ha affermato in più di un’intervista, “a raccontare storie alla gente”

Qualche domanda?