L’Italia? Non è pronta per l’economia del futuro. A rivelarlo una indagine di CFMT e Logotel, secondo cui il 70 % delle aziende più avanzate ha ancora un’organizzazione fordista. – L’economia collaborativa, Weconomy, è una rivoluzione che coinvolge tutti, aziende e lavoratori, e cambia il nostro modo di lavorare, ma secondo un’indagine del CFMT e Logotel, non siamo pronti
– Per il 92 % dei manager l’economia collaborativa influenza il loro business, ma il 70 % delle aziende ha ancora la classica organizzazione fordista top-down
– Le aziende più avanzate aprono la rete ai dipendenti (Facebook 30 %) e puntano su trasparenza (58 %), collaborazione (52 %) merito (41 %)
– Nella weconomy lavorare è sostituito da collaborare, comandare da condividere, autorità da autorevolezza, management da engagement.
Milano 24 maggio 2011. L’impresa fordista, gerarchizzata, che programma, standardizza e ingabbia lavoratori, fornitori e clienti in un sistema rigido, autoritario e centripeto non funziona più. L’azienda della Weconomy fa tutto il contrario: democratizza i processi gestionali, co-progetta e stimola tutti gli attori a coprodurre idee, relazioni, valore.
Chi pensa che sia solo una moda, sbaglia di grosso. Ne sono esempio proprio aziende della vecchia economia come Boeing e BMW visto che il 70-80 % dei loro più recenti prodotti (Boeing 787 Dreamliner e BMW X3 o Serie 7) è stata progettata, prodotta e assemblata da una rete globale di fornitori. La stessa Google intraprende ormai da tempo percorsi innovazione con scambio alla pari dei propri dipendenti con altri “big” come Procter e Gamble. E Best Buy, retailer leader in America nell’elettronica di consumo, affida il proprio servizio di assistenza clienti a un Twitter decentralizzato costituito dai propri dipendenti.
A dimostrare che l’economia sta cambiando in senso partecipativo oltre mille (1.057) dirigenti intervistati dal Centro di Formazione Management del Terziario affermano che le modalità di fare business più aperte, più partecipative, più trasparenti, fatte di condivisione, reputazione e collaborazione stanno già influenzando il loro business (del tutto 63,8 % o in parte 28,5 %). E lo affermano consci, peraltro, di non essere pronti alla sfida, perché nel 70 % dei casi hanno un’organizzazione aziendale top-down, per il futuro puntano su co-peration (52 %) e co-working (42 %), trasparenza (58 %), valorizzazione del merito e dello sviluppo professionale (41 %), raccolta di nuove idee anche dal basso e da non specialisti (48 %), delega (47 %). Per sviluppare quest’anima “we” puntano all’interno su formazione più coinvolgente e condivisa (52 %), creatività collettiva (26 %), co-progettazione (23 %) e community per i dipendenti (14 %). All’esterno investono su cooperazione in network con altre imprese (50 %), esplorazione di mercati esteri (20 %) e social strategy per i clienti (18 %). Indice della loro “anomalia” rispetto al sistema consolidato è l’utilizzo da parte dei loro lavoratori dei tanto discussi social network o simili – Linkedin (37 %), Facebook (30 %), YouTube (26 %) – e la volontà dichiarata di puntarci ancor più in futuro.
Insomma, la weconomy è un misto di vecchia e nuova economia dove le tecnologie digitali (la rete, il 2.0 ecc.) sono solo un nuovo e più efficace strumento per liberare e mettere a sistema le energie dei tanti attori coinvolti.
Un modo di lavorare e fare affari proprio al momento di uno sparuto manipolo di imprenditori, dirigenti e aziende fuori da branco, come quei 200 manager che oggi a Milano hanno dato vita al primo Weconomy day, organizzato da Centro Formazione del terziario e Logotel. Tra questi alcuni protagonisti delle più diverse e innovative realtà aziendali italiane – Telecom Italia, Google, Intesa Sanpaolo, Gruppo Loccioni, Politecnico di Milano – insieme a studiosi ed esperti quali Thomas Bialas, Enzo Rullani, Franco Bolelli. Un gruppetto di “irresponsabili” decisi a cambiare le cose.
“Un movimento – dice Giuliano Favini, ad di Logotel – che ha già i suoi adepti con i quali lavoriamo da anni per sviluppare insieme un terreno capace di portare l’azienda naturalmente a democratizzare i processi gestionali, co-progettare e stimolare tutti gli attori a coprodurre idee, relazioni … valore. Oggi non c’è più spazio per gli Archimede Pitagorici isolati, per i Paperon de’ Paperoni autoritari e arroccati, ma l’invenzione, pardon l’innovazione, la devono sviluppare, gestire e mettere a sistema tutti, in tutti gli aspetti della creazione del valore. E fiducia, merito, trasparenza e collaborazione sono le linee guida”.
“Una rivoluzione che – dice Michelangelo Patron, direttore generale di CFMT – ha nel management, nella sua indubbia guida e propulsione, il vero motore culturale e fattuale. E nella formazione lo strumento per aiutare tutti a entrare a piè pari nella weconomy, condividendo i suoi valori (fiducia, condivisione ecc.) e facendo propri competenze e comportamenti adeguati”.
“La weconomy – dice Giuseppe Truglia, presidente di CFMT – ha bisogno di aziende, manager e lavoratori che ci credano e ci investano. Non può essere imposta dall’altro, ma deve essere aiutata dall’alto, anche e soprattutto dal basso e dall’intorno, a diventare quotidianità. In questo senso c’è tanto bisogno che cambi tutto il sistema: la politica industriale, le infrastrutture fisiche e non, la P.A. le imprese, le organizzazioni e gli uomini che rappresentano e guidano questo mondo. C’è bisogno di superare il vecchio andando con fiducia verso un nuovo dove soprattutto le relazioni industriali siano stimolo e facilitatore di questa necessità di lavorare insieme, con trasparenza, fiducia ecc. Questo è il futuro e, se lo sapremo cogliere, anche le tante pmi che caratterizzano la nostra economia avranno spazio e ruolo per essere a pieno titolo il motore della nostra economia. Come in passato, ma passando dall’io al noi. Per essere ancora capaci di creare valore, ricchezza, produttività avendo nella collaborazione di tanti attori, in contrapposizione all’idea del singolo (individuo o azienda) un vantaggio competitivo dinamico, flessibile e più difficile da replicare e copiare. Insomma, dal piccolo è bello all’insieme è meglio”.
Come cambia l’azienda WE
– IN net-working P2P “tutti a tutti”, OUT working “uno a uno” o “uno a tutti”
– IN crowdsourcing (o, appunto, “elitesourcing”), OUT outsourcing
– IN modello border-up (l’evoluzione del “bottom-up” che passa attraverso una governance sostenibile), OUT top-down
– IN co-progettazione aperta, OUT progettazione chiusa
– IN multidisciplinarietà e mash-up delle competenze, OUT iper-specializzazione per “silos aziendali”
Come cambia il lavoratore WE/ WECONOMY WORKSTYLE
– IN condividere, OUT comandare (= dividere)
– IN fluidità nel controllo (flow control), OUT rigidità nel controllo
– IN co-working, OUT working
– IN autorevolezza, OUT autorità
– IN conversazione (= reputazione), OUT comunicazione
– IN coopetizione, OUT competizione
– IN engagement, OUT management
Fonte: www.adnkronos.com
Foto: www.weconomy.it/