Che si dice in Türkiye?

Che si dice in Türkiye? – La Supercoppa 2023, una partita che non s’aveva da giocare

Anche il secondo tentativo di giocare la Supercoppa di Türkiye 2023 è andato a vuoto. Ciò che è accaduto a Urfa domenica 7 aprile è subito saltato alla ribalta della cronaca, una notizia che ha raggiunto anche i non appassionati di calcio.

Ma partiamo dal principio della storia di quest’edizione del trofeo, cari amici del Club. A contendersi la Supercoppa di Türkiye di questa stagione erano il Galatasaray, vincitore del campionato ’22-’23, e il Fenerbahçe, vincitore della coppa nazionale nella medesima stagione. Doveva essere una partita da urlo: il derby dei derby in Türkiye, tra le due rivali di sempre, per altro entrambe al top della forma, dato che si stanno anche contendendo l’attuale Süper Lig in un testa a testa mozzafiato. Invece…

La maglia da riscaldamento del Fenerbahçe con l’immagine di Atatürk

Il big match era programmato inizialmente a fine dicembre scorso, a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, ma per via dell’increscioso comportamento della autorità locali è stato posticipato a data da destinarsi. Le squadre erano pronte a recarsi allo stadio, peccato che i sauditi hanno vietato gli striscioni dedicati ad Atatürk portati dai tifosi, le maglie da riscaldamento dei giocatori con l’immagine del Grande Condottiero e, fatto ancora più grave, l’esecuzione dell’inno nazionale turco. Giustamente, i due Club hanno senza esitazioni deciso di tornare a casa, accompagnati dallo sdegno dell’intera opinione pubblica del Paese.

La TFF, la federazione calcio di Türkiye, ha così dovuto riprogrammare l’incontro, fissandolo appunto il 7 aprile, nella città di Şanlıurfa. Peccato che il Fenerbahçe sia in lotta con la Federazione, ritenendosi vittima di una serie di ingiustizie: nonostante il Club avesse chiesto di posticipare ulteriormente l’evento, in modo da prepararsi al meglio all’andata dei quarti dı finale di Conference League, la trasferta in Grecia contro l’Olympiakos di giovedì 11 aprile, e avesse anche chiesto che il match fosse diretto da un arbitro straniero, la Federazione ha rifiutato le istanze; il Fenerbahçe è inoltre adirato con la Federazione per quanto accaduto di recente al termine del match vinto in trasferta a Trabzon, quando un gruppo di tifosi della squadra di casa è riuscita a invadere il campo per aggredire i giocatori giallo-blu.

Giocatori e staff del Galatasaray con i poşu di Urfa

Per questi motivi, la dirigenza ha deciso dapprima di mandare in campo a Urfa l’Under 19, sostenuta da pochissimi tifosi considerato l’invito del Club a non acquistare i biglietti, oltre alla distanza di più di 1000 km da Istanbul. Pronti, via, a soli 50 secondi dall’inizio della partita Mauro Icardi ha portato in vantaggio il Galatasaray; a quel punto, su indicazione del presidente Ali Koç, i giovani Canarini si sono ritirati definitivamente dal campo. L’arbitro è stato quindi costretto ad annullare la gara, con i giocatori giallo-rossi che hanno iniziato a festeggiare insieme ai propri sostenitori. Per garantire loro un minimo di intrattenimento, il Galatasaray ha anche improvvisato una partitella d’allenamento titolari contro riserve. La squadra è poi andata avanti a celebrare la surreale vittoria con gli speciali ‘poşu’ – il tradizionale indumento locale da annodare sulla testa – fatti preparare a ricordo di questo speciale appuntamento a Urfa, tinti con i colori del Club.

Ora si attende il verdetto ufficiale della TFF, ma la vittoria a tavolino del Galatasaray è cosa scontata. I Leoni metteranno un altro trofeo nella loro ricca bacheca, tuttavia possiamo affermare che questa Supercoppa dal grande potenziale storico e tecnico sul campo non si è mai giocata; una sconfitta dapprima per l’Arabia Saudita, poi per il calcio turco. Che peccato.

 

Che si dice in Türkiye?

Che si dice in Türkiye? – Vittoria del CHP e della democrazia turca alle elezioni locali del 31 marzo

Ed eccoci qui per i risultati delle elezioni locali tenutesi in tutta la Türkiye domenica 31 marzo.

Le percentuali di voti ottenuti su scala nazionale

Il Cumhuriyet Halk Partisi (CHP, Partito Popolare Repubblicano) ha conseguito un successo storico. Innanzitutto, è riuscito a mantenere senza problemi le tre città chiave, con numeri ancora più netti rispetto a cinque anni fa: i cittadini di Istanbul hanno scelto di andare avanti per la strada di Ekrem İmamoğlu, assicurandogli più di 11 punti percentuali di divario su Murat Kurum; anche ad Ankara forte dimostrazione di apprezzamento per l’operato e la figura di Mansur Yavaş, che ha dilagato superando il 60% di voti e lasciando nei dintorni del 30% il rivale Turgut Altınok; Cemil Tugay non ha raggiunto il 50% di consensi a İzmir, ma ha comunque ottenuto agevolmente l’incarico di sindaco metropolitano, come da pronostici, distanziando di quasi

Il confronto tra 2019 e 2024 circa le città conquistate dai maggiori partiti

12 punti percentuali Hamza Dağ. Insomma, nessuno degli uomini selezionati dall’Adalet ve Kalkınma Partisi (AKP, Partito della Giustizia e dello Sviluppo) di Recep Tayyip Erdoğan si è rivelato all’altezza.

Considerando l’insieme delle province, i rapporti di forza tra CHP e AKP si sono invertiti rispetto al 2019: se fino alla settimana scorsa il partito di ideologia socialdemocratica e laicista aveva in mano 21 città contro le 39 del partito conservatore al governo, oggi il primo ne controlla 35 (di cui 14 città metropolitane), mentre il secondo è sceso a 24 (di cui 12 città metropolitane).

Ma non è finita qui: il CHP è divenuto il primo partito sull’intero territorio, scavalcando l’AKP di più di 2 punti percentuali. Il partito fondato da Atatürk non era al vertice assoluto dei consensi da una cinquantina d’anni, mandando alle stelle l’entusiasmo del suo nuovo presidente Özgür Özel e di tutti i sostenitori riversatisi nelle strade a festeggiare sin dalla serata di domenica. Il Presidente Erdoğan, che a Istanbul ha perso perfino il municipio del distretto di Üsküdar, dove detiene la residenza da privato cittadino, ha esplicitamente riconosciuto la sconfitta.

Guardando agli altri partiti, il DEM Parti (Partito dei Popoli dell’Uguaglianza e della Democrazia) ha confermato il suo predominio nel sud-est, aumentando da 8 a 10 le province amministrate. È flop per l’İyi Parti (Buon Partito, di stampo nazionalista), che nonostante abbia conquistato per la prima volta una città, ha visto dimezzare i voti rispetto alle precedenti amministrative, spingendo la leader Meral Akşener sull’orlo delle dimissioni. Risultati deludenti anche per il MHP (Milliyetçi Hareket Partisi, Partito del Movimento Nazionalista), alleato dell’AKP, che ha perso 3 grossi municipi rispetto al 2019 e che rimane sotto al 5% su scala nazionale. Una sorpresa è invece il risultato positivo ottenuto dal Yeniden Refah Partisi (Nuovo Partito del Benessere), guidato da Fatih Erbakan, figlio di Necmettin, uno dei personaggi salienti della storia della politica turca; la compagine conservatrice-religiosa, ispirata a quella di successo negli anni ’90, oltre ad essersi accaparrato 2 città, si pone ora al terzo posto in tutta la Türkiye.

Festeggiamenti nella sede del CHP ad Ankara, durante il discorso del presidente Özgür Özel

Più in generale, siamo davanti a un notevole successo della democrazia turca, cari amici del Club: la nuova mappa amministrativa del Paese – dove si è espanso verso il centro dell’Anatolia il rosso del principale partito d’opposizione -, la nuova leadership nella graduatoria nazionale, quindi l’evidente cambio di vento in corso, lo stanno bene a dimostrare; la libertà nel dibattito politico è evidente anche nella miriade di post satirici che stanno spopolando sui social in questi primi giorni di aprile.

Che si dice in Türkiye?

Che si dice in Türkiye? – Conto alla rovescia per le attese elezioni locali

Domenica 31 marzo si svolgeranno in Turchia le elezioni locali, scadenziate con precisione ogni cinque anni. Le votazioni riguardano tutte le amministrazioni territoriali in cui si articola l’intero Paese, a partire dalle 81 province – di cui 30 città metropolitane – e i relativi distretti, con la scelta dei relativi sindaci e dei membri dei consigli comunali.

A pochi giorni dall’appuntamento alle urne, i giornali turchi danno sempre più spazio all’atteso evento politico, e i canali TV trasmettono di frequente i video promozionali dei più importanti candidati. L’assegnazione delle province, specie le più popolose e strategiche, è un obiettivo rilevante per i partiti politici che si contendono il potere centrale, rappresentando al contempo una cartina tornasole degli attuali rapporti di forza.

Carta politica della Türkiye con le 81 province in fase di riassegnazione

A contendersi i vari Comuni saranno soprattutto l’AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi, Partito della Giustizia e dello Sviluppo), fondato dal Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan, e il CHP (Cumhuriyet Halk Partisi, Partito Popolare Repubblicano), che da qualche mese si avvale della nuova gestione di Özgür Özel. L’AKP, la cui ideologia è basata sul conservatorismo sociale e sul neo-ottomanesimo, si presenta con lo slogan ‘Il vero modo di gestire i Comuni per le città del Secolo della Türkiye’, mentre il CHP, fondato da Atatürk, e per questo fedele al kemalismo laicista, per l’occasione ha coniato lo slogan ‘Tutto ciò a cui ci dedichiamo è la Türkiye’.

Se l’AKP di Erdoğan sta puntando sin dal trionfo alle elezioni politiche di maggio ’23 a riprendersi l’amata Istanbul, ma anche la capitale Ankara, dando il colpo di grazia ai tentativi di resurrezione dell’opposizione, il CHP punta a difendere l’enorme successo ottenuto alle precedenti amministrative del 2019, quando riuscì a strappare al partito al governo nazionale queste due città fondamentali.

Ekrem İmamoğlu (CHP) e Murat Kurum (AKP), Istanbul

Le altre maggiori compagini sulla scena sono il MHP (Milliyetçi Hareket Partisi, Partito del Movimento Nazionalista), riferimento per i fondamentalisti del nazionalismo turco; l’İYİ Parti (Buon partito), anch’esso nazionalista e conservatore; il DEM Parti (Halkların Eşitlik ve Demokrasi Partisi, Partito dei Popoli dell’Uguaglianza e della Democrazia), avente a cuore questioni civili come i diritti delle minoranze; il Saadet Partisi (Partito della Felicità), noto per la sua spiccata ispirazione religiosa.

Mansur Yavaş (CHP) e Turgut Altınok (AKP), Ankara

Focalizziamoci ora sulle tre città più prestigiose, vedendo chi sono i due principali candidati sindaci.

A Istanbul abbiamo Ekrem İmamoğlu, il sindaco metropolitano in carica, del CHP, con lo slogan ‘Avanti tutta con il servizio a Istanbul’. Per insidiarlo l’AKP scommette su Murat Kurum, ingegnere edile ed ex Ministro dell’Ambiente e dell’Urbanistica, accompagnato dallo slogan ‘Solamente Istanbul’.

Hamza Dağ (AKP) e Cemil Tugay (CHP), İzmir

Ad Ankara l’attuale sindaco della Città Metropolitana Mansur Yavaş, avvocato, rappresentante del CHP, viene sfidato da Turgut Altınok dell’AKP, anch’egli avvocato.

A İzmir, invece, il CHP non ha confermato la candidatura di Tunç Soyer, ormai sindaco metropolitano uscente, rimpiazzato da Cemil Tugay; a contendergli la ‘Perla dell’Egeo’ trova Hamza Dağ dell’AKP.

Cosa dicono i vari sondaggi, sempre in riferimento ai tre centri chiave? A İzmir, storica roccaforte del CHP, c’è poca storia: difficilmente Tugay non verrà eletto. Anche nella capitale sembrerebbe che il CHP con Yavaş riesca a rimanere al potere, così come İmamoğlu appare in sensibile vantaggio su Kurum nella ‘Città dai sette colli’.

Staremo a vedere, cari amici del Club … Vi do appuntamento al dopo-elezioni per i risultati!

I giorni speciali

Benvenuta primavera, in Türkiye come in Italia

‘Tre gocce di fuoco cadranno tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, a distanza di sette giorni. La prima nell’aria, la seconda nell’acqua… E quando anche la terza sarà caduta nella terra, sarà l’inizio della primavera.’

Il mito della caduta delle ‘cemre’ – così si chiamano questi elementi infuocati della mitologia turca -, è utilizzato ogni anno in Türkiye per annunciare con entusiasmo l’arrivo della bella stagione. Un progressivo aumento della temperatura, causato idealmente dalle tre gocce fantastiche, ed ecco il disgelo, il risveglio della natura.

Come si può immaginare, amici del Club, l’avvento della primavera è un evento ciclico particolarmente atteso e salutato in vari modi dalla cultura turca così come da quella italiana, e ovviamente da quelle di tanti altri Paesi.

Messaggio augurale per la Festa del Nevruz, le colombe con le bandiere dei 7 Paesi turchi

Rimanendo in Türkiye, è piuttosto diffusa la celebrazione della Nevruz Bayramı, la Festa del Nevruz, un termine di origine persiana che significa ‘primo giorno’; infatti questa festa cade ogni anno il 21 marzo, giorno identificato con l’equinozio di primavera. Come suggerisce l’etimologia della parola, è una ricorrenza di rilevanza ufficiale in Iran, del cui calendario costituisce il Capodanno, ma con tutti i suoi gioiosi rituali – tipo il salto del fuoco – è presente anche nella cultura dei popoli turchi, dall’Asia Centrale all’Anatolia e oltre.

Un’altra tradizione riscontrabile in Türkiye per onorare l’arrivo della primavera è quella dei ‘marteniçka’, una tradizione in realtà di origine balcanica, per la precisione bulgara. Si tratta di un semplice braccialetto composto da due sottili fili intrecciati, uno bianco e uno rosso, che si porta al polso dall’inizio di marzo, unitamente all’espressione di un desiderio; alla vista della prima cicogna, o della prima rondine, ci si toglie il braccialetto e lo si lega a un albero appena fiorito.

Nella cultura italiana la parte iniziale della primavera è caratterizzato dalla Pasqua, festività ovviamente celebrata anche dalle minoranze cristiane in Türkiye. Non è certo un caso che la Pasqua sia fissata ogni anno in corrispondenza della prima domenica di luna piena dall’inizio astronomico della primavera: il messaggio di resurrezione dopo la morte annunciato da questa Festa si armonizza alla perfezione con la rinascita della natura, con tutta la sua rinnovata bellezza accompagnata da un ritrovato calore, dopo l’oscurità e il gelo invernali. Inutile dire che le uova pasquali, dipinte o di cioccolato, così radicate nelle usanze italiane di questa giornata, stanno a rappresentare la nuova vita. Tra l’altro l’usanza delle uova colorate è anche una delle tradizioni della Nevruz Bayramı, ed ecco che il nostro cerchio si chiude.

Andando al di là delle tradizioni culturali e delle credenze religiose diffuse tra i popoli, non c’è dubbio che lo sbocciare della primavera porti con sé una brezza carica di speranza da accogliere con piacere, un’occasione utile per rigenerare anche sé stessi, trovando magari dei buoni spunti di conforto nel caso si stiano vivendo situazioni difficili. Basta osservare con attenzione lo spettacolo del risveglio che avviene attorno noi, il fiorire degli alberi e dei prati, le miriadi di margherite nelle più semplici aiuole, l’aria che profuma di fresco e risuona del canto degli uccellini, per lasciare spazio allo stupore, per lasciare che un germoglio nuovo cresca anche nel nostro cuore.

I giorni speciali

Çanakkale 18.03.15, il messaggio di pace e fratellanza di Atatürk

Per l’anniversario della Vittoria di Çanakkale, per il 18 marzo di quest’anno, ho pensato di proporre a voi, amici di questo Club, un toccante messaggio a tema di Atatürk. Un messaggio che traspira umanità in ogni singola parola, che rivoluziona completamente il rapporto con quelli che erano i nemici. Il grande leader si rivolge infatti ai giovani soldati australiani e neozelandesi morti nella battaglia di Çanakkale – detta ‘di Gallipoli’ in Italia, un capitolo saliente della Prima Guerra Mondiale -, soldati che nel 1915 rappresentavano l’invasore da uccidere, membri indistinti dell’esercito britannico aggressore, e che ora sono diventati fratelli. Fratelli dei soldati turchi caduti sullo stesso campo, combattendo ferocemente gli uni contro gli altri, ora tutti accumunati dal fatto di rappresentare l’enorme sacrificio umano di un evento ritenuto storicamente inevitabile e determinante, ma pur sempre doloroso.

Atatürk fece leggere questo messaggio all’allora suo ministro degli interni, nel 1934, a Gelibolu, nell’ambito delle commemorazioni di quell’anno della grande battaglia. Ecco il testo originale e la mia traduzione:

“Bu memleketin toprakları üzerinde kanlarını döken kahramanlar! Burada bir dost vatanın toprağındasınız. Huzur ve sükûn içinde uyuyunuz. Sizler, Mehmetçiklerle yan yana, koyun koyunasınız. Uzak diyarlardan evlâtlarını harbe gönderen analar! Gözyaşlarınızı dindiriniz. Evlatlarınız bizim bağrımızdadır. Huzur içindedirler ve huzur içinde rahat uyuyacaklardır. Onlar, bu toprakta canlarını verdikten sonra, artık bizim evlatlarımız olmuşlardır”

(Eroi che avete versato il sangue sulle terre di questo Paese! Qui siete nella terra di una patria amica. Dormite nella pace e nella quiete. Voi siete fianco a fianco, spalla a spalla dei Mehmettini*. Madri che avete inviato i vostri figli in guerra da mondi lontani! Fermate le vostre lacrime. I vostri figli sono tra le nostre braccia. Si trovano in pace e nella pace dormiranno tranquilli. Essi, dopo aver dato la loro vita in questa terra, sono ormai divenuti nostri figli)

*Popolarmente e affettuosamente, i soldati turchi

Come è edificante leggere che quei caduti, una volta bersaglio da abbattere, ora sono considerati addirittura figli acquisiti, accomunati a quelli diretti, ospiti graditi della cara terra in cui hanno perso la vita. Come è empatico Atatürk verso le loro mamme, ben intuendone il dolore, come è rassicurante circa il rispetto e la pace che il popolo turco è intenzionato a garantire a quei ragazzi, innocenti rimasti schiacciati da meccanismi molto più grandi di loro.

Con il tempo l’amicizia tra Türkiye, Australia e Nuova Zelanda – Paesi accomunati dal fatto che proprio su questa battaglia si fonda la loro attuale identità nazionale -, si è ulteriormente rafforzata. Negli anni ’80, il governo turco ha esaudito la richiesta di rinominare ‘Baia degli Anzac’ il tratto di litorale della penisola di Gelibolu in cui sbarcarono i soldati australiani e neozelandesi (‘Anzac’ sta per ‘Australian and New Zeland Army Corps’); in cambio, a Canberra e a Wellington, le rispettive capitali dei due Paesi oceanici, sono stati eretti monumenti memoriali ad Atatürk, completi del messaggio di riconciliazione del 1934. Si noti che nella versione in inglese compare l’aggiunta di una frase:

“There is no difference between the Johnnies and the Mehmets to us” (per noi non c’è differenza tra i Johnny e i Mehmet), dove per ‘Johnny’ si intendono i soldati ‘Anzac’, e per ‘Mehmet’ i soldati turchi.

Questa frase in realtà non appartiene ad Atatürk, è una libera iniziativa dei governi oceanici, un’iniziativa di certo contestabile. Chi di dovere in Türkiye ha però gradito la frase, giudicandola degna del pensiero egualitario e umanistico del padre dei turchi, così non solo non ne ha richiesto la cancellazione, ma l’ha anche riportata nell’iscrizione in inglese presente ad Arıburnu, promontorio di Gelibolu all’estremità della sopra citata baia.

Ecco come sono state costruite le basi che spingono anche quest’anno numerose persone da Australia e Nuova Zelanda a intraprendere un lungo viaggio fino alla Türkiye per l’‘Anzac Day’, il 25 aprile, loro Festa nazionale. Un lungo viaggio per rendere onore ai loro padri, e per farsi abbracciare dagli amici turchi, pronti ancora una volta ad accoglierli a Çanakkale. Evviva gli uomini di buona volontà nel riappacificarsi, fasciare le reciproche ferite e farvi sbocciare fiori, e il primo esempio in questa vicenda l’ha dato lui, Kemal Atatürk.

I miei racconti

Ritorno a Gaziantep (racconto)

A un anno esatto dal disastro che ha colpito il Sud-Est della Turchia e il Nord della Siria, i tremendi terremoti con epicentri nella provincia di Kahramanmaraş, vorrei raccontarvi una piccola storia che la riguarda, cari amici del Club:

***

Una persona sta seduta in un caffè affollato di un aeroporto, i cui spazi, già con la coda dell’occhio e dell’orecchio, paiono smisurati. Mentre un grosso bicchiere di carta se ne sta sul tavolo a osservarla, la persona scrive qualcosa su un taccuino, senza sosta, nemmeno per sorseggiare di tanto in tanto la bevanda racchiusa in quel contenitore, ormai di sicuro fredda. Noi proviamo ad avvicinarci sempre più, fino a poter vedere le lettere, i punti e le virgole che stanno riempiendo foglio dopo foglio. E ci riusciamo, così da mettere a fuoco tutto ciò che la persona ha scritto, sin dall’inizio:

“L’inizio di questo mio viaggio speciale è stato circa un anno e mezzo fa, era l’autunno del ’22. Io e i miei amici siamo appassionati di cucina, tant’è che ci definiamo ‘gli chef mancati’. E amiamo viaggiare, sempre con un occhio di riguardo alla gastronomia locale, tasto importante per capire i popoli. Più o meno ogni settimana ci invitiamo a turno a casa, cucinando qualcosa di inedito per gli altri, fantasticando sulle nostre prossime mete.

«Propostona!» disse Gaia, con davanti i piatti del tiramisù appena ripuliti dalle nostre forchette, in quel mite sabato sera. «Che ne dite se il prossimo giro lo facciamo così: ognuno di noi pesca un Paese, scopre la sua capitale gastronomica, come è Bologna per l’Italia, e al suo turno prepara una cena a tema, con i piatti di quella città. Ognuno darà un voto. E la città che vince… la visiteremo per prima l’anno prossimo! Come vi sembra?»

Aderimmo tutti con entusiasmo all’idea: questa trovata, ispirata a quei programmi di cucina che seguiamo un po’ tutti in TV, era un modo diverso e stimolante per mandare avanti le nostre gustose riunioni del fine settimana.

Scegliemmo i Paesi in modo piuttosto mirato, accordandoci su quattro che non avevamo ancora visitato insieme, nel raggio di un weekend lungo o poco più, dopodiché procedemmo con la pesca. A me capitò la Turchia, e poco dopo, con una ricerca su Internet, scoprii che la capitale gastronomica di questo Paese non è Istanbul – che avevo avuto modo di visitare per lavoro qualche anno fa –, ma una certa Gaziantep, mai sentita prima. La trovai sulla mappa, a un passo dal Medio Oriente, in una culla delle civiltà.

In realtà io non sono amante del cucinare piatti di altre culture che non ho mai avuto il piacere di provare, preferisco il contrario: prima assaggio sul posto, e poi cerco di replicare a casa. Però il lavoro di studio che era richiesto per questa prova mi stimolò. Girando alcuni siti web, mi documentai circa le specialità che fanno di Antep – questo il nome popolare della città – la riconosciuta capitale della cucina turca, scoprendo che esiste anche il ‘kebap’ di melanzane, e che il migliore dei baklava viene proprio da lì, il più celebre di una serie di dolci impreziositi dall’oro verde del pistacchio locale. Il menù da presentare ai miei amici lo incentrai sull’Alinazik, bocconcini di carne arrostita adagiati su una sorta di crema di melanzane alla brace e yogurt denso. Ebbi l’idea di scrivere a un autentico ristorante di Gaziantep, per chiedere consigli. Ne individuai uno tra quelli in evidenza in rete, il Çingene Kızı Lokantası, che un paio di giorni dopo mi rispose. Mi spiegarono come arrostire le melanzane direttamente sui fornelli, come dare la giusta croccantezza allo şöbiyet, il dessert che avevo scelto, con la pasta fillo già pronta e lo sciroppo di zucchero fatto in casa… Il proprietario del locale sottolineò che mi svelava volentieri ricette e segreti perché ‘è per noi un grande piacere sapere che un amico in Italia farà conoscere la nostra amata Antep! Vi aspettiamo!’

Il calore trasmessomi nella risposta scritta di questo ristorante locale mi spinse ad approfondire la conoscenza del luogo, seppure a distanza. Più cercavo informazioni, anche sulla Storia locale – appresi tra l’altro che ‘Gazi’, la prima parte del nome completo, significa ‘la veterana’, in omaggio all’eroica difesa cittadina durante la guerra d’indipendenza -, più volevo immergermi nei suoi meandri, utilizzando la funzione Street View della mappa. Così iniziai a perdermi negli stretti vicoli del centro storico, a farmi avvolgere dal color terra calda delle case; ogni tanto alzavo lo sguardo virtuale seguendo i minareti, alcuni sovrastati da un balconcino ampio, rotondo, chiuso da una cima a cappello. Gaziantep mi rapì, e mi rapì lo sguardo di quella ragazza, una zingara, gli occhi inquieti, penetranti, uno sguardo reso potente dell’impossibilità di emettere suoni, perché la bocca non ce l’ha più… È un mosaico, risalente a chissà quando, ritagliato in più parti dal tempo, un simbolo che la città custodisce con cura. Lo sguardo di quella ragazza mi avvinceva, mi destabilizzava, mi invitava… Sì, volevo fortemente andare con i miei amici ad Antep, magari già a gennaio-febbraio, sfruttando il fatto che posso prendere ferie senza problemi a inizio anno. Già mi vedevo a vagare nei mercati coperti visti in foto, straripanti di cascate di melanzane e peperoni secchi, di montagne di peperoncini in polvere, a farmi abbagliare dai riflessi delle creazioni dei ramai… Era ora di indossare il grembiule e provare a realizzare quei piatti: dovevo stupire e vincerla, quella gara culinaria.

La gara culinaria non la vinsi io, ma in ogni caso non era nostro destino andare a Gaziantep a inizio 2023. Ciò che appresi dai giornali online e dalla televisione la mattina del 6 febbraio, al principio dell’ennesima settimana da affrontare, mi trafisse l’anima. I due terremoti che a distanza di poche ore avevano percosso la Turchia, e di riflesso la Siria, avevano distrutto proprio quel territorio che avevo conosciuto da lontano, con cui avevo già avuto dei contatti a livello umano. I numeri che emergevano nel corso della giornata, e poi in quelle successive, erano sempre più drammatici. Le scosse avevano generato una potenza pari a centinaia di bombe atomiche; una decina di province, tra cui Gaziantep, mezze rase al suolo, un’area più vasta di Lombardia, Piemonte, Sicilia e Sardegna messe insieme. Più di cinquantamila morti, milioni di persone vittime della catastrofe, inclusi tutti coloro rimasti senza casa, genitori che hanno perso figli ancora in tenera età, bambini ritrovatisi orfani, piccoli che non avranno neppure un ricordo del loro papà, della loro mamma… Così, in un attimo, per un raptus inconsulto della terra. Mi colpì in particolare la foto di quel padre seduto tra i detriti, lo sguardo perso mentre regge la mano senza vita di sua figlia, schiacciata mentre dormiva nel suo letto, un padre annientato dentro più di quanto sia distrutto tutto ciò che lo circonda.

Andai a cercare immagini di Gaziantep dopo il terremoto: come mi aspettavo, erano sconcertanti. Il castello che svetta sulla città, in cima a una collinetta, si era mezzo sbriciolato; quella moschea che una volta era una chiesa armena, ora appare mozzata, la cupola collassata all’interno… Il 6 febbraio stesso mi venne in mente di scrivere un messaggio a quel ristorante, chiesi se stavano bene, espressi il mio profondo dispiacere. Non risposero. Nemmeno i giorni dopo. No, purtroppo non potevo andare a trovarli a Gaziantep, a vedere se esistevano ancora.”

All’improvviso, la persona ripone nello zaino il taccuino, si alza e fa per lasciare il tavolo del caffè, pronta a disperdersi nell’aeroporto. Non facciamo in tempo a leggere il prosieguo della sua narrazione. Prima di andarsene, tuttavia, dalla tasca del cappotto estrae una busta. Dentro c’è una cartolina e una lettera piegata, con un cartoncino colorato attaccato tramite una graffetta. È il biglietto da visita di un ristorante. Riusciamo anche noi a leggere il manoscritto in inglese, una volta spiegato:

“Ringraziamo di cuore per i fondi che hai potuto raccogliere per la nostra gente, ringraziamo di cuore per l’aiuto che ci hai fatto avere. Non vediamo l’ora di accogliere te e i tuoi amici a Gaziantep, nel nostro ristorante, dove cucineremo il nostro meglio per voi”

Riusciamo a intuire come è giunto un lieto fine a questa piccola vicenda, emersa da un mare di sofferenza e disperazione. La nostra persona mette di nuovo via la busta e si incammina, per poi puntare gli occhi verso lo schermo dei voli in partenza, sovrastato da una rete di morbide onde: sì, il suo gate è aperto. L’attesa durante lo scalo è terminata, è finalmente ora di andare a Gaziantep, anzi, in un certo senso, di ritornarci. Dalle infinite vetrate dell’aeroporto sembra che fuori nevichi. È il nevischio che sta cadendo su Istanbul, che sta cadendo soffice a pochi giorni dal primo anniversario della tragedia, un candore che non può cancellare il dolore di chi l’ha vista da vicino, e nemmeno il dispiacere di chi l’ha vissuta da lontano e tra poco la toccherà con mano.

Che si dice in Türkiye?

Che si dice in Türkiye? – Orgoglio per il primo turco nello spazio

Gennaio 2024

Momento storico per ciò che riguarda il rapporto tra la Türkiye e i cieli, tra la Türkiye e la scienza. Alle h. 16.49 locali di giovedì 18 gennaio 2024, dal Kennedy Space Center, Florida, è avvenuto il lancio della missione Axiom Mission 3; uno dei quattro membri dell’equipaggio è il turco Alper Gezeravcı, di Mersin, classe ’79, della Türkiye Uzay Ajansı (agenzia spaziale turca). Evento che negli ultimi giorni in Türkiye è saltato alla ribalta mediatica e sui social network perché si tratta del primo cittadino turco a viaggiare nello spazio, un notevole motivo di orgoglio per l’intera nazione.

Alper Gezeravcı

“Voglio iniziare questo momento con le parole del nostro Grande Padre: ‘L’avvenire è nei cieli’.” È a Mustafa Kemal Atatürk che ha pensato Alper, in passato anche pilota della Turkish Airlines, sia dopo essere salito a bordo della navetta spaziale, sia all’ingresso della Stazione Spaziale Internazionale; è citando il fondatore della Repubblica di Türkiye, il quale nella conquista dei cieli vedeva non solo una fonte di prestigio, ma anche un’occasione di progresso umano, che Alper ha voluto manifestare il suo entusiasmo nel corso di questa esperienza a dir poco particolare. Se circa cento anni fa la conquista dei cieli tramite l’aviazione si fermava appena al di là delle nuvole, oggi è possibile spingersi persino oltre l’atmosfera terrestre, e ora possiamo esclamare che anche il popolo turco è riuscito nell’impresa.

Un momento di una giornata nello spazio di un astronauta turco immaginata sui social

Per noi del Club Culturale Galata un ulteriore motivo di interesse nell’evento è che un altro dei membri dell’equipaggio è l’italiano Walter Villadei, nato nel ’74, dell’Aeronautica Militare; Villadei è l’ottavo cittadino italiano nello spazio, trentadue anni dopo il primo storico volo di Enrico Malerba. È piacevole per noi vedere nell’alto dei cieli un astronauta con al braccio il tricolore insieme a un collega che sfoggia la luna e la stella, e pensare che insieme, al di sopra delle nostre comuni attività terrestri, stanno svolgendo esperimenti scientifici utili al nostro futuro.

Il link a una comunicazione sull’evento da parte di un’agenzia di stampa italiana (AGI)

All’interno dell’International Space Station, è proprio Villadei a passare la parola a Gezeravcı, che conclude la seconda parte del suo intervento, in turco, con la citazione “istikbal göklerdedir”, “l’avvenire è nei cieli”
Atatürk ci indica il cielo

I giorni speciali

Il 19 maggio, fondamenta di una nazione, nascita di un leader immenso

19 maggio 1919, una data fondamentale per la Storia turca. Quel giorno, un lunedì, è stato ben più dell’inizio di una nuova settimana: è considerato l’avvio della Guerra di liberazione, quella guerra che portò i turchi a riprendersi l’ampio territorio di loro spettanza, alla fondazione dell’odierna Repubblica di Türkiye.

Cosa successe quel giorno, cari amici del Club? Facciamo un piccolo passo indietro, al venerdì precedente: insieme ai suoi uomini, Mustafa Kemal salì a bordo del battello Bandırma dalla banchina di Galata, a Istanbul – una Istanbul occupata, con le sue acque pullulanti di navi straniere -, e salpò alla volta di Samsun, intenzionato a far partire da lì, dall’Anatolia settentrionale, l’azione di insurrezione nazionale.

L’arrivo di Mustafa Kemal Paşa a Samsun, dopo un burrascoso viaggio di tre giorni sul Mar Nero, è un evento così rilevante che lui stesso, in seguito, indicò il 19 maggio come suo compleanno. In effetti, è il 19 maggio 1919 che Mustafa Kemal divenne il padre dei turchi, ossia ‘Atatürk’, come si fece chiamare in seguito, con l’adozione della Legge sul Cognome.

A partire dal 1981, il 19 maggio – oltre a essere la Festa della gioventù e dello sport, come voluto da Atatürk -, è anche il giorno della sua commemorazione. Nell’occasione di quest’anno vorrei ricordare in maniera particolare la straordinaria leadership del Padre dei turchi, ciò che ne fa uno degli uomini più grandi della Storia, un uomo come ne capitano pochi sulla faccia della Terra. Una capacità di farsi condottiero che va oltre le competenze politiche e militari, il carisma e l’autorevolezza. La traversata marittima da Istanbul a Samsun rappresenta l’immensa presa di responsabilità del futuro fondatore della Repubblica, come se avesse caricato tutta la sua gente con lui, su quella nave, sfidando una situazione drammatica, con l’intera Anatolia in mano ad altri, con Istanbul che per la prima volta dopo quasi cinquecento anni non era più sotto il controllo del popolo turco.

Quest’azione ci deve essere di modello per tutte quelle piccole o grandi circostanze in cui siamo chiamati a prenderci l’onere di guidare le vite altrui. Anche quando parliamo di questioni di poco conto a livello assoluto – niente di paragonabile al salvataggio di un’intera nazione -, può trattarsi di questioni che, in proporzione al contesto, sono vissute come essenziali da parte delle persone direttamente coinvolte. Possiamo essere grandi leader in famiglia – nelle vesti di madri, padri o nonni -, in un gruppo di lavoro di qualsiasi tipo, oppure per la propria squadra su un campo sportivo, giusto per tornare al 19 maggio come Festa dello sport, e in tanti altri ambiti. L’assumersi la responsabilità del proprio ruolo di guida, affidatoci o riconosciuto autonomamente da che ci sta attorno, è la base per svolgere il compito con successo.

Comportarsi da leader non significa per forza avere un ruolo superiore ufficializzato: quando si compiono azioni per il beneficio altrui, della propria comunità di appartenenza, sacrificando qualcosa di sé stessi, assumendosi rischi, divenendo esempio vivente di valori e comportamenti, si è di fatto leader. Come fece Mustafa Kemal Atatürk, quando, alla vigilia dell’imbarco da Istanbul, si recò a palazzo da Mehmet VI per discutere la decisione presa, per poi passare la notte a casa di sua madre, in preda alla preoccupazione. Una decisione cruciale per i destini di milioni e milioni di persone, presenti e future; persone che ora hanno già vissuto, che stanno vivendo o che devono ancora nascere, persone con il piacere e il dovere di conoscere questa storia.

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Gençlik ve spor Bayramımız kutlu olsun!

Buona Festa della gioventù e dello sport!

I miei racconti

Messaggio dal destino nella notte dell’Hıdırellez (racconto)

Cari amici del Club, in occasione della notte dell’Hıdırellez vi racconto una storia… Un momento, cos’è l’Hıdırellez – o Hıdrellez? Si tratta di una festa della tradizione turca, ma diffusa in un vasto territorio che va dall’Asia centrale ai Balcani, basata sulla leggenda dell’incontro in Terra di Hızır, personaggio dalla mistica saggezza descritto nel Corano, con il profeta Elia (İlyas in turco). Una festa che cade ogni anno nella notte tra il 5 e il 6 maggio, e che annuncia la fine definitiva dell’inverno e l’arrivo dei caldi giorni d’estate, insieme al definitivo risveglio della natura. In Türkiye, in occasione di questa notte speciale, svariati sono i tradizionali rituali per attirare fortuna, abbondanza e realizzare i propri sogni, dal saltare sopra a un fuoco a seppellire un bigliettino con scritto il proprio desiderio sotto a una pianta di rose. Ed è proprio questo l’evento cardine del mio racconto. Buona lettura e buon Hıdırellez! Hıdırellez kutlu olsun!

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«Mamma, mi racconti come vi siete conosciuti tu e papà?»

Diverse volte Koray mi ha rivolto questa domanda; sono sempre stata sul vago, tipo ‘andavamo a scuola insieme’. Ma ora, ora che ormai ha quindici anni, ho deciso di raccontagli per bene la nostra storia:

«Ti ho sempre detto che uscivamo sempre insieme, quando studiavamo all’università, a Eskişehir. Ma in realtà all’inizio non era così. Tuo papà, nel mio gruppo di compagni, aveva chiaramente un debole per me, tutte le mie amiche me lo facevano notare. Io lo trovavo simpatico e intelligente, però, sai, mancava quella scintilla… Una volta, chattando, si era spinto oltre la solita ostentazione di brillantezza, chiedendomi se potevamo uscire una sera insieme. Rifiutai, senza curarmi in quel momento della ferita che gli provocavo. Poi me ne resi conto, e proprio per questo decisi di stargli il più possibile lontana, anche per il suo bene.

Una sera, la sera prima dell’Hıdırellez, scrissi il solito messaggio su un fogliettino e lo avvolsi in una moneta, e poi in un pezzo di nastro rosso. Dopodiché uscii dal residence studentesco e lo andai a seppellire sotto una pianta di rose del parchetto vicino. Proprio come facciamo io e te ogni anno. Mentre mi stavo per rialzare da terra, un pallone quasi mi colpì. “Ehi, stai attento!”, dissi d’istinto al bambino che l’aveva lanciato. Aveva i capelli ricci, avrà avuto sei-sette anni.

Il mattino dopo, quando andai a recuperare la monetina con il bigliettino, pronta a riporla nel portafoglio… Non c’era più! Solo terra smossa. Ci rimasi. Forse l’avrà disseppellita e portata via un cane durante la notte, mi diedi come spiegazione più plausibile. Comunque la cosa non mi piacque.

Qualche giorno dopo, insieme a un altro paio di amiche, andammo a mangiare un kumpir in un posto lungo il fiume Porsuk. Lui era in cassa. Sì, İlker, tuo padre. Solo quando lo vidi, al momento di pagare, mi ricordai che lavorava lì, la sera e nel fine settimana, per pagarsi gli studi.

“Ciao! Tutto bene?” riuscì a dirmi quando fummo di fronte, con un sorriso forzato. Capii che era imbarazzato per il fatto di trovarci per la prima volta a tu per tu dopo quella conversazione tramite PC finita male.

“Sì sì, tu? Quanto devo per il conto?” Anche io ero imbarazzata. Ero così a disagio che non mi accorsi che, mentre tiravo fuori il portafoglio dalla borsetta, qualcosa cadde per terra ai miei piedi. Se ne accorse lui:

“Derya, mi sa che quello è tuo. No, da questa parte, aspetta, ci arrivo meglio io.” E così mi porse in mano un piccolo involucro, qualcosa avvolto da un nastro rosso. Non mi sembrava vero, sembrava proprio… Non resistetti e lo aprii lì, di fronte a tuo padre: era proprio lui, il mio biglietto con dentro la monetina!»

«Waow! Ma cosa avevi scritto sopra, mamma? E come era finito nella tua borsa?» Mi fa molto piacere vedere che il mio racconto ha acceso l’interesse di Koray. Era proprio quello che speravo! Probabilmente, se gliene avessi parlato un paio di anni fa, si sarebbe subito annoiato. E come mi sembra maturo, ora, seduto composto sul divano del nostro salotto, proprio come un adulto.

«Avevo scritto ‘Vorrei incontrare l’uomo della mia vita’. Su come era finito nella mia borsa, non avevo la più pallida idea, ero sbigottita. Mi impietrii. “Stai bene?” mi chiese tuo padre, vedendomi così. Poco dopo mi ripresi, pagai il conto, lo salutai quasi di sfuggita, ancora confusa, e raggiunsi le due amiche fuori dal locale, distratte da una gondola che passava nel fiume. Mi girai un’ultima volta per guardare dentro, ma non vidi più İlker, non era più in cassa in quel momento; il momento in cui notai che a un tavolo dentro, lontano da quello su cui avevamo pranzato io e le mie amiche, stava seduto un bambino con i suoi genitori. Mangiava sereno un’enorme patata ricoperta da una montagna di variopinti ingredienti – hai presente? Anche se si trovava piuttosto lontano da me, con la vetrina in mezzo, ero quasi sicura che si trattasse dello stesso bambino riccio che quasi mi aveva colpito con la palla quella sera, la sera dell’Hıdırellez.

Da quel momento una serie di strani pensieri mi affollarono la testa. Mentre passeggiavo con le mie amiche, lungo le vie pedonali di Adalar che costeggiano il Porsuk, insieme al solito viavai di altra gente, di altri giovani, arrivai a pormi questa domanda: ‘Quel bambino è complice di İlker? Gli ha dato una mancetta per questa messinscena? Rubare la moneta con il fogliettino del mio desiderio da sottoterra, per poi farmela trovare magicamente in sua presenza, per fare colpo su di me? Che patetico giochetto! Oppure è stato un caso? Un gioco del destino?’. Il destino. Già, la faccenda stava assumendo una dimensione vitale, ormai. Mi ritrovai seduta con le amiche in un caffè, uno dei tanti che arricchiscono le rive del fiume, senza quasi accorgermene; poi mi ritrovai sul tram diretta a casa senza rendermi conto di esserci salita, e quella notte mi ritrovai a non chiudere occhio, sudavo nonostante il freddo che prende sempre le notti di Eskişehir, anche a primavera inoltrata, anche quando poi diventa estate torrida.

Con il passare dei giorni, delle settimane, pian piano ristabilii una comunicazione normale con tuo papà. Da normali amici di università, come se niente fosse. Anche perché era piuttosto evidente che ormai lui non ci sperava più, in qualche modo si era messo il cuore in pace – sarebbe meglio dire ‘aveva messo il cuore a tacere’. Fui io a rompere gli indugi, un tardo pomeriggio in cui, per puro caso, ci trovammo a lasciare insieme la grande biblioteca dell’Anadolu Üniversitesi:

“Senti, dimmi una cosa, ti prego di rispondermi con sincerità. Hai usato quel bambino per arrivare a me?”

Dal modo in cui mi guardò, tra lo smarrito e lo spaventato, dal modo deciso in cui mi rispose “Quale bambino, Derya?”, mi decisi a fare io, il passo successivo. Un passo che nemmeno İlker poteva pensare, nemmeno quando si illudeva di potercela fare, con me:

“Ti va se una delle prossime sere andiamo a bere qualcosa insieme? Io e te?”

Tuo papà ti potrà raccontare che considera quell’attimo, lì in piedi in quella discesa alberata del campus, l’attimo più bello della sua vita, almeno fino a quel momento. E io ti posso ora aggiungere questo: quando eri un po’ più piccolo, ogni volta che ti guardavo, con i tuoi bei capelli ricci, mi sembrava evidente che assomigliassi tanto a quel bambino di Eskişehir. Sì, in qualche modo doveva aver fatto veramente tutto lui. Non mi ero soffermata sui suoi genitori quando mi voltai a guardare dentro a quel locale specializzato in kumpir, non saprei dire che volti avessero… Però ormai avevo deciso che dovevano avere per forza le nostre sembianze, quella mia e quella di tuo padre. Al di là delle fantasie, quello su cui da anni non avevo il minimo dubbio era che il destino mi aveva inviato un particolare messaggio, non scritto ma molto più raffinato, facendomi ritrovare il bigliettino con il mio desiderio in quel modo teatrale, nella mano di tuo padre: era lui l’uomo della mia vita, anche se solo allora me ne accorgevo. La scintilla si era accesa anche per me.»

«Che storia, mamma! Mi sa che senza l’Hıdırellez non sarei nato!»

I giorni speciali

Il 25 aprile, spartiacque tra un prima e un dopo

In ogni cambiamento di epoca si può individuare uno spartiacque ideale, un periodo circoscritto o un singolo giorno che delimita un prima e un dopo, sebbene spesso si tratti di passaggi tanto inavvertiti al momento, quanto percepiti come netti a distanza di tempo. Il 25 aprile, Festa della Liberazione, è la Festa di un giorno spartiacque. Mercoledì 25 aprile 1945 è il giorno che simbolicamente segna il passaggio da un prima terrificante a uno splendido dopo. Il prima è quello della deriva autoritaria, della negazione di libertà fondamentali, della corruzione ideologica imperialista e ultranazionalista, che portò al razzismo ufficializzato, alla collaborazione nel piano di sterminio del popolo ebraico, alla morte e alla distruzione della guerra, trasformatasi poi in spaccatura fratricida del popolo. Il dopo è quello del ritorno della pace e di una relativa riconciliazione nazionale, della ricostruzione, del boom economico e della prosperità, del godimento dei piaceri della vita a un livello popolare così diffuso come mai prima nella Storia italiana, con particolare riferimento ai mitici anni ‘60.

Il 25 aprile ’46 è uno spartiacque simbolico perché il passaggio non si realizzò in una giornata. In quella data avvenne ‘solo’ l’annuncio dell’insurrezione generale contro i nazifascisti, che si arresero definitivamente qualche giorno dopo. Si consideri inoltre che la liberazione dell’Italia iniziò quasi due anni prima, e il processo di costruzione del nuovo Paese richiese altro tempo: la Repubblica è nata l’anno successivo, più di un altro anno ancora per avere la nuova Costituzione, l’attuazione del piano Marshall…

L’elemento critico su cui vorrei porre l’attenzione è che non sempre si ha la consapevolezza di trovarsi in una situazione negativa, non sempre si avverte la necessità di un cambiamento. Gli italiani dell’epoca si resero diffusamente conto dell’opportunità di avere un ‘25 aprile’ solo a ridosso di questa data. Per lunghi anni, circa venti, la maggioranza non si era accorta della pericolosità di certe idee, di certe dottrine in cui si trovava immersa; non si era accorta della mancanza di certi diritti, per noi oggi scontati; non si era accorta della follia delle guerre di conquista, delle atrocità cui erano destinate persone vicine. Non si era accorta di essere immersa nella pagina più nera della Storia d’Italia.

In un periodo in cui le tecnologie continuano a fare passi avanti da gigante, ma in cui in diverse parti del mondo – anche considerate avanzate, Italia inclusa – imperversano visioni sociali e dei diritti civili ammiccanti a un triste passato, non solo nei bar ma fin dentro ai governi eletti, è fondamentale saper esaminare l’ambiente attorno e cogliere la presenza di pensieri dannosi, la mal disposizione verso determinati individui, il rigetto di libertà individuali e di gruppo a difesa di valori ‘tradizionali’. Una volta presa coscienza di un contesto critico di questo tipo, deve seguire la volontà di liberarsene. La Festa della Liberazione ci deve essere di aiuto proprio in questo senso: il ricordarsi cosa è successo ieri deve essere un suggerimento a guardarci allo specchio del nostro oggi.

Cari amici del Club, il concetto di ‘momento spartiacque’ non si applica esclusivamente alla Storia degli Stati, delle nazioni, ma anche alle vite private: il renderci conto che stiamo vivendo qualcosa di sbagliato è già la base per un nostro personale 25 aprile, per liberarci da attuali grigiori e oppressioni, e voltare pagina. E quando si tratta di noi stessi, tutto può essere più facile, oppure più difficile; comunque, sta sempre a noi.

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Buon 25 aprile, buona Liberazione!